Nel pensiero di Severino, il tema del significato del diritto sembra risolversi all’interno della fede nella terra isolata, quale espressione nichilistica della volontà di potenza, che, non essendo cieca, è anche «volontà umana di dar leggi al mondo»160. Il diritto rappresenta forma di quella volontà che, se tutto è eterno, è un’illusione.
Ma l’ineluttabile affermarsi della tecnica (anche) sulla volontà giuridica, «destinata a diventare il principio ordinatore di ogni materia, la volontà che regola ogni altra volontà»161, «la regola e tutto il resto il regolato»162, la fa prevalere «su tutte le altre forme di volontà (quali la volontà economica, politica, religiosa, giuridica) che, invece di accorparsi ad essa, le si contrappongono»163.
158 E ancor di più: «Alla Struttura Originaria compete […] che la sua stessa negazione, per tenersi ferma come tale, lo deve presupporre» (E. SEVERINO, La struttura originaria, op. cit., p. 7), ossia la negazione della Struttura Originaria è una forma della sua manifestazione-affermazione, e quindi ogni negazione diretta di questa negazione è a sua volta una specie di negazione della Struttura Originaria stessa. 159 E. SEVERINO, Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 2010, p. 43.
160 F. PEDRINI, Colloquio su Filosofia e (Scienza del) Diritto. Intervista al Prof. Emanuele Severino (8 giugno 2013), in “Lo Stato. Rivista semestrale di scienza costituzionale e teoria del diritto”, 2013, I, pp. 151-177: 176
161 N. IRTI, E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Laterza, Bari 2001, p. 27 162 ivi, p. 80
È così che «il “soggetto” è messo in ombra o scavalcato da “apparati”, “istituzioni”, “strutture” ritenute più idonee alla dominazione della terra»164, che operano nel senso della «distruzione del soggetto»165: dal sistema di tutti i sottosistemi che tendono a un controllo del mondo (tra cui anche quello giuridico) nel suo «incremento indefinito della capacità di realizzare scopi»166.
Giustizia/diritto naturale versus diritto positivo: tappe del medesimo percorso nichilista in direzione dell’asservimento al dominio definitivo della tecnica.
Eppure, proprio il nucleo essenziale del pensiero severiniano, secondo cui «nello sguardo del destino della verità, il divenire non è divenir altro, ma è il comparire e lo scomparire dell’eternità»167, pare suggerire un’interpretazione del diritto, pur nella sua dimensione “volontativa” e quindi irrimediabilmente nichilistica, alla stregua di “apparire e scomparire della giustizia”, o manifestazione dell’eterno: il diritto, come norma di ciò che nasce e muore (che non è altro che la totalità dell’essere (Severino, 1981, p. 549)), ha forse anch’esso il “compito autentico dell’originario”, ossia la “necessità del toglimento della contraddizione”?
Come «la relazione tra questa lampada e il suo essere accesa, o tra quest’ombra e il suo essere insieme alle altre determinazioni, non può essere il risultato di un divenire – è un eterno»168, anche il rapporto tra diritto e giustizia (il “cuore” della questione del diritto naturale) va inteso non come contraddizione, ma come identità. Se nel compito – ciò che si deve portare a compimento – della manifestazione dell’immutabile «è l’impronta della nostra destinazione per l’eternità»169, il tramonto della follia – della terra isolata dal destino, del luogo della contraddizione, dell’errare, della morte – passa anche attraverso la giustizia? La risposta di Severino è negativa, dato che questo oltrepassare non consiste in una decisione: «il destino della verità non è volontà di verità, nel senso che non è volontà di trasformare il mondo»170. Insomma, il sopraggiungere della terra che salva dall’isolamento è qualcosa di necessario, la cui fondazione discende direttamente dalla «implicazione tra l’eternità di ogni essente e l’eternità di tale sopraggiungere»171.
Severino, dunque, nega risolutamente che il tramonto del nichilismo possa essere pensato in termini progettuali: il tramonto della follia non dipende dalla nostra eu-praxia, ma è destinato ad apparire da sé, e pertanto l’uomo è destinato alla gioia (Pedrini, 2013).
Sarebbe pertanto escluso un contributo del diritto a questo oltrepassare: anzi, è «impossibile che il destino della verità, per costituirsi, debba dipendere da qualsiasi tipo di scienza (compresa quindi quella giuridica)»172; e addirittura «il rifiuto di tale dipendenza appartiene all’essenza della filosofia autentica»173.
A riguardo si potrebbe peraltro osservare che la giustizia, e quindi il diritto naturale appartiene a quel destino, non come fede nel divenire o forma di una volontà illusoria, ma come aspetto dell’eterno apparire della verità incontrovertibile del destino.
Sul piano concettuale, “diritto naturale” rinvia a un’idea di natura dell’uomo che, se intesa nella fede dell’esistenza del divenire, della destinazione alla morte, conduce alla legittimazione dell’omicidio e della violenza proprio in forza dell’unicuique suum, «se ciò che spetta all’uomo è, appunto, di essere destinato alla morte»174. Non però nell’ordine del destino, che lascia trasparire una diversa lettura della giustizia: proprio e solo il disvelamento dell’eternità di ogni essente permette di giustificare principi come il rispetto della vita, non nella sua dimensione empirica o diveniente, ma in quanto manifestazione dell’eterno, laddove appare la verità dell’essere, che «dice che tutto è eterno, anche il corpo dell’uomo»175, quindi smentisce la credenza
164 E. SEVERINO, Studi di filosofia della prassi, Adelphi, Milano 19842, p. 31 165 E. SEVERINO, Dike, Adelphi, Milano 2015, p. 348
166 N. IRTI, E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, cit., p. 15 167 E. SEVERINO, Tautótes, Adelphi, Milano 1995, p. 185 168 ibidem
169 E. SEVERINO, La struttura originaria, Adelphi, Milano 19812, p. 555 170 E. SEVERINO, Dike, cit., p. 331 e sgg.
171 ivi., p. 333
172 F. PEDRINI, Colloquio su Filosofia e (Scienza del) Diritto, cit., p. 176 173 ibid.
174 E. SEVERINO, La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, BUR, Milano 2006, p. 304 175 ivi., p. 305
fondamentale che l’uomo sia un essere effimero, destinato alla morte, la «follia della persuasione che l’essente è niente»176.
Il concetto di “natura” – e quindi di diritto naturale – si dice diversamente rispetto al nichilismo e allo sguardo del destino, nel quale ultimo l’inviolabile esiste, ed è il destino dell’essente in quanto eterno177 (ivi, p. 310), mentre la violenza è mera illusione di dominio del mondo, quindi è follia178. Certo, non va obliato che il pensiero di Severino si sostanzia nella “critica del fare”, «mette in questione la struttura della prassi, la struttura dell’azione e dell’inazione…»179. Al tempo stesso, però, evidenzia anche un vero e proprio “dovere” o “imperativo categorico”: quello di «uscire dalla contraddizione», di oltrepassarla180. Per l’uomo dunque sembra potersi parlare di un progetto di liberazione dalla contraddizione che rappresenta “la radice di ogni altra liberazione”: infatti «la storia dell’uomo è… lo sforzo di rendersi accessibile l’intero»181, e culmina con la coscienza – onniscienza – del “mundus”, della trasparenza dell’infinito e eterno.
Allora anche il fine ultimo del diritto – certamente prodotto della temporalità, figlia della contraddizione – sta nell’oltrepassare questa temporalità nella quale l’uomo è immerso (anche se il tempo è una sua creazione)182, così come ogni altro limite, e contribuire al reale processo di liberazione dell’uomo dalla non-verità, dalla contraddizione.
In particolare, il diritto naturale nello sguardo del destino dovrebbe superare la logica del dominio, della volontà di potenza, per la “rivendicazione del corpo” («eterno astro dell’essere, eterno, immutabile»)183. Superamento che non implica l’annientamento dell’errore, anch’esso eterno «anche in quanto negato dalla verità»184, ma la sua conservazione185: il diritto è orientato a oltrepassare la temporalità – ad esempio, quella in cui consiste l’errore dato dalla commissione del reato – non per annullarla, ma per conservarla (uno spunto di estremo rilievo oggi, rispetto alla c.d. giustizia riparativa o restaurativa).
In prospettiva dialettica, al momento tetico del diritto naturale della tradizione classica – ancorato alla ‘epistéme’ – si contrappone quello antitetico dato dal giuspositivismo (il cui paradigma emblematico potrebbe essere ravvisato nella kelseniana scissione tra “Sein” e “Sollen”) – radicato nel tramonto di ogni verità assoluta – che nell’era della tecnica culmina nel giustecnicismo186. Ma la tecnica «non ha l’ultima parola»187: anch’essa dovrà tramontare188, essendo «la forma più rigorosa della Follia estrema»189. La sintesi è data dal superamento della follia del dominio tecnologico e incremento ermeneutico della verità, destino del diritto naturale al di là della volontà di potenza.
Bibliografia
E. SEVERINO, Dike, Adelphi, Milano 2015.
E. SEVERINO, La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, BUR, Milano 2006. E. SEVERINO, La struttura originaria, Adelphi, Milano 19812.
E. SEVERINO, Studi di filosofia della prassi, Adelphi, Milano 19842. E. SEVERINO, Tautótes, Adelphi, Milano 1995.
176 ibid. 177 ivi., p. 310
178 «La violenza è la follia. La follia è la violenza. Questo è il destino della follia e della violenza». E. SEVERINO, La filosofia futura, Op. cit.
179 E. SEVERINO, Studi di filosofia della prassi, cit., p. 393 180 ivi., p. 109 e sgg; p. 278 e sgg.
181 ivi., p. 278 182 ivi., p. 282 183 ivi., p. 399 184 ivi., p. 28
185 ivi., p. 285; E. SEVERINO, Dike, cit., p. 352; E. SEVERINO, Tautótes, cit., 248 186 N. IRTI, E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, cit., p. 21
187 ivi., p. 96
188 E. SEVERINO, Dike, cit., p. 348 189 ivi., p. 40
F. PEDRINI, Colloquio su Filosofia e (Scienza del) Diritto. Intervista al Prof. Emanuele Severino (8 giugno
2013), in “Lo Stato. Rivista semestrale di scienza costituzionale e teoria del diritto”, 2013, I, pp. 151-177.
N. IRTI, E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Laterza, Bari 2001.