La riflessione di Emanuele Severino risulta, ad oggi, uno dei più imponenti itinerari di pensiero nei luoghi della negatività: un autentico itinerarium mentis in nihilo. Infatti, nonostante l’irenismo che, prima facie, potrebbe emergere dalla lettura delle sue tesi fondamentali, il pensatore perviene invero al proprio esito speculativo attraverso una discussione serrata e drammatica delle questioni più controverse del filosofare: la struttura del divenire, lo statuto della contraddizione, la questione del non-essere. Il capitolo IV del suo capolavoro, La struttura originaria, è emblema di questa gigantomachia peri tes ousias, ed il celebre risolvimento dell’aporia del nulla intentato in questo capitolo, contrariamente alla serenità del rigore logico-argomentativo addotto, testimonia anzitutto l’angosciante confronto intrattenuto dal filosofo con l’abisso dell’aporetica. La riflessione sull’“eternità dell'essere” resta pertanto essenzialmente segnata dal sofferto esperimento dell’“oscura notte” che proprio l’apparire del non-essere mette antifrasticamente in luce. Ma come si può fronteggiare adeguatamente lo spettro di un (non) qualcosa che non c’è? L’impresa spiazza per semplicità e arditezza. Infatti, lungi dal volersi smarcare da questa impasse, Severino assume proprio il carattere aporetico dell’aporetica come la “chiave” del suo risolvimento145. La soluzione, pertanto, si apre facendo leva sulla struttura auto-contraddittoria del non-essere – ove la “forma”, il positivo significare, contrasta e confligge la sua “materia” assolutamente insignificante –, e dove, proprio l’accertamento del contrasto porta il nulla a sobbalzare via immediatamente dalla presa della propria significazione, “distinguendosene”. In questo modo, paradossalmente, proprio in quanto significato “contraddittoriamente”, il nulla si costituisce come nulla nullo “incontraddittoriamente”, e l’aporetica è “risolta” esperendola nel profondo della sua stessa catabasi semantica. Nel frattempo di questo passaggio l’essere severiniano acquista intanto la sua inconfondibile tonalità speculativa. La verità infatti è autenticamente incontrovertibile solo passando per il “dialogo”, ovvero, per la via di questo rimbalzo, in cui l’essere nega il non-essere, ed in cui, senza ontologizzarlo146, assegna ad esso uno statuto e una “ortografia” che tutti gli enti devono peraltro costantemente poter osservare147 ed “obbedire” (nel senso destinale dello ob-audire). Il nulla, allora, certamente “è”, brilla nella sua chiara notte, ma solo perché risplende “come tolto” e come revocato ab initio tempore. In questo modo, affianco al risolvimento della controversia originaria tra essere e non-essere, ovvero, affianco alla necessità che l’identità del nulla lasci comunque perfettamente integro ed intatto il non-essere stesso, Severino perviene alla definizione di quella particolare forma di “iridescenza” del logo, che, con chiaro riferimento al trascorso concettuale del neoidealismo, egli denomina “cerchio dell’apparire trascendentale”. Un cerchio, “ben rotondo”, che, però, è anche soprattutto ben disposto ad accogliere ed abbracciare nel suo slargo il molteplice e l’accadimento. Tuttavia, benché la legge che oppone l’essere al non-essere sia uno spettacolo di verità intramontabile, che ogni essente può intelligere ed esperire originariamente148, nella volta dell’apparire fa irruzione anche un essente riottoso ed inquietante; un dissidente, questo, che, pur ribadendo e
145 Critico, su questo punto, M. VISENTIN, Tra struttura e problema, in “Il neoparmenidismo italiano”, vol. II, Bibliopolis, Napoli 2010, pp. 315-336.
146 Per una posizione antitetica a quella severiniana, G. SASSO, Essere e negazione, Napoli Morano, 1987, pp. 45-168; su un ulteriore fronte argomentativo vedi anche M. VISENTIN, Ontologica, Napoli, Bibliopolis, 2015, pp. 283-302. Tenta invece di attenuare la portata delle obiezioni critiche N. CUSANO, Capire Severino, Mimesis, Milano-Udine 2011.
147 E. SEVERINO, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 153: «l’uomo è […] il tenersi eternamente innanzi la verità dell’essere».
osservando il logo, e pur abitando la sua dimora, lo fa rilucere nel suo sguardo ambiguamente: fraintendendo il senso verace dell’ “opposizione” e alterando, di conseguenza, anche il senso dell’ “ortografia” di cui perfino l’aporetica era già in qualche modo “custode” enigmatica. Infatti, nonostante la verità dell’essere (e del non-essere) appaia sempre in tutta luce anche davanti agli occhi del pensiero errante149, questi, distraendosi dallo spettacolo intramontabile, si persuade di osservare, nel divenire, l’enigma della loro coincidenza. Si potrebbe comunque ritenere che, da un certo punto di vista, questa certa “coincidenza” tra essere e non-essere sia riconducibile a quello stesso margine di coincidenza che Severino fronteggiava già, appunto, nel risolvimento dell’aporetica. E tuttavia, analizzando le due forme di coincidenza, non può non sorprendere che, a ben vedere, il concetto di “nulla”, in esse disimpegnato, risulta affatto eterogeneo ed irriducibile. Se infatti nell’aporetica del nulla la coincidenza del non-essere-che-“è” è subordinata al fatto che il nulla appaia come nulla, invece, nel caso del pensiero isolante, il non-essere “è” apparendo e insieme non apparendo come nulla: apparendo come nulla, perché in questa persuasione si sta comunque affermando la coincidenza del nulla a qualcosa d’altro da esso, ma, insieme, non apparendo come nulla, perché, se il nulla apparisse già simpliciter come tale, allora, pur producendosi una qualche forma di aporetica, si rimarrebbe per ciò stesso a contemplare il nulla nella sua nullità, senza vederlo in alcun modo coinvolto e compromesso nello scenario del divenire. L’isolamento, invece, può credere di costatare il divenire solo perché, almeno in un lato di sé – ovvero, in quel lato che corrisponde al suo “inconscio” –, egli equivoca l’identità del non-essere “acconsentendo” direttamente alla coincidenza tra essere e nulla. Ma chi è il mortale? E com’è possibile che egli fraintenda la verità del non-essere? Per rispondere al quesito è possibile mostrare che, in certa misura, la perturbazione concettuale generata dall’istanza del “pensiero isolante” conduce carsicamente l’autore a maturare un sotterraneo e per lo più inconfessato senso di insoddisfazione nei confronti del suo stesso risolvimento dell’aporetica. La questione si rende visibile, ad esempio, sebbene in una dimensione implicita dell’argomentazione, soprattutto in Destino della necessità, là dove, affermando del mortale che «accende per sé il “lume” del “sonno”»150, Severino si trova in qualche modo costretto, per ragioni che attengono l’anatomia del pensiero errante, a riconoscere a quest’ultimo l’enigmatica capacità di far apparire il niente come non niente (Severino, 1980, p. 421). In questo modo, però, proprio quella che doveva essere la “chiave” del risolvimento dell’aporetica – e cioè la posizione del non-essere come nonessere – diventa una chiave inservibile al compito del diaporein. In questo senso, anche l’impulso maturato successivamente dall’autore di volersi tecnicamente riconfrontare con l’aporia del nulla in una sua nuova e irriducibile veste concettuale (Severino, 2013) potrebbe essere inquadrato proprio all’insegna dell’esigenza di reagire più da vicino alle sollecitazioni provocate dal “dissenso” del pensiero isolante, il quale, nella sua persuasione, fa per un istante risplendere il “non essere” al di fuori delle condizioni, e delle coordinate, che consentivano il suo risolvimento.
Bibliografia
E. SEVERINO, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980. E. SEVERINO, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982.
E. SEVERINO, Fondamento della contraddizione, Adelphi, Milano 2005. E. SEVERINO, Intorno al senso del nulla, Adelphi, Milano 2013.
E. SEVERINO, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981. G. SASSO, Essere e negazione, Morano, Napoli 1987.
L. TARCA, Elenchos. Ragione e paradosso nella filosofia contemporanea, Marietti, Genova 19932. M. DONÀ, Sulla negazione, Bompiani, Milano 2004.
M. VISENTIN, Onto-logica. Scritti sull’essere e il senso della verità, Bibliopolis, Napoli 2015. N. CUSANO, Capire Severino. La risoluzione dell’aporetica del nulla, Mimesis, Milano 2011.
9.7 – L’opposizione della verità. La negazione della verità e il principio elenctico
Thomas Masini
Il carattere proprio della posizione della Verità, rispetto ad ogni altra, è che essa per sua natura non può essere negata, non patisce negazione alcuna. Da questo punto di vista il discorso che più rettamente è capace
149 Essenza del nichilismo, cit., p. 26; p. 47, ma anche l’introduzione a La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, pp. 41-47 150 E. SEVERINO, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 438
di manifestarla è quello che si dimostra incottraddittorio: ossia quello che nessun dire che gli sia contrario può rovesciare, o confutare. Esso è tale per via del suo carattere elenctico, che lo rende stabile ed inconcusso. Il movimento elenctico, infatti, è tale per cui ogni tipo di negazione venga mossa ad un principio di questa natura, non può agire se non presupponendo il principio stesso. Pertanto ogni negazione non potrà che avvenire solamente in actu signato, ma non in actu exercito. Di questa natura dev’essere il discorso intorno alla Struttura Originaria, che si può definire anche come la Verità dell’Essere. Sembrerebbe allora che nessuna negazione sia non solo possibile, ma pensabile tout court. Invece, osserva Emanuele Severino, «[l]a storia del fondamento è un elemento o un momento essenziale del fondamento stesso»151. Questo perché la necessità di esporre temporalmente e logicamente – in forma di discorso – la Verità non può che concretizzarsi in una successione di posizioni che concorrono alla sua esplicitazione. Tuttavia «[t]utti i possibili modi di prendere posizione (esplicitamente o implicitamente) rispetto al fondamento, meno uno, costituiscono altrettante negazioni del fondamento»152. Ovviamente, in quanto la Verità dev’essere concorde e non contraddittoria, ad essa può competere una sola posizione, ma risulta evidente dallo svolgersi storico del pensiero che molti più sono stati i discorsi che nel tempo hanno preteso avere valore di verità. Solo superficialmente questa presenza del falso nel pensiero – giacché ciò che è diverso dal Vero non può che essere, per sua natura, falso – rappresenta una confutazione della Verità. Anzi, proprio in virtù del principio elenctico queste posizioni contrarie – si potrebbe dire negative, ma questo termine avrà a breve una sua specifica analisi – non realizzano se stesse, ma la manifestazione più completa della Verità. Infatti, continua Severino, «la posizione del fondamento implica essenzialmente il toglimento della negazione del fondamento […] Sì che il fondamento è posto solo in quanto la sua negazione è posta (come tolta)»153. Più esplicitamente, un principio è elenctico qualora persino la sua negazione (si intenda: ogni negazione, e quindi persino la sua negazione) lo riafferma; pertanto le negazioni del principio sono altrettante riaffermazioni de principio stesso – esse vorrebbero essere negazioni, ma si manifestano in realtà come affermazioni.
Il concretizzarsi della manifestazione della Verità, pertanto, si completa con l’apparire del «sistema concreto delle negazioni possibili»154, il quale non include solo l’astratta universalità delle negazioni (logiche) ma «il sistema o l’organismo delle negazioni del fondamento»155. È evidente come la storia dell’apparire della negazione della Verità sia processuale, cioè da intendersi come in divenire – dando a questa espressione un duplice carattere: da una parte la manifestazione della concezione del divenire inteso come creazione ed annichilimento degli enti è la quintessenza della falsità, dell’errore, della negazione della Verità; dall’altra, essendo questo processo “vero”, almeno nel senso di “esistente”, esso diviene anche dal punto di vista della verità del Divenire (cioè l’apparire e lo scomparire degli enti dal cerchio dell’apparire). Perciò:
In questo divenire l’universalità della negazione si concreta. E quindi si concreta il toglimento della negazione; e perciò il fondamento stesso che implica la sua negazione come tolta156.
Esplicitato questo, tuttavia, sorgono alcuni problemi. Come fa notare Luigi Vero Tarca, se un principio elenctico è tale proprio perché anche la sua negazione lo riafferma, allora:
la Verità – in quanto è negazione della non-Verità (la quale, abbiamo visto, afferma a sua volta la Verità) – è negazione di qualcosa che afferma ciò che essa stessa (la Verità) afferma, e in questo senso è negazione di ciò che essa stessa afferma; dunque è negazione di se stessa e è quindi (auto)contraddittoria157.
Pertanto la verità, che si oppone alla sua negazione (e quindi, almeno in senso astratto, instaura un rapporto di negazione reciproca, ovviamente totalmente a suo favore – perché la negazione della Verità si dà già di per se stessa come tolta, mentre la Verità non può essere scalfita da alcun tipo di negazione, anzi ne viene rafforzata) si oppone al tempo stesso a qualcosa che, in maniera certo particolare, ma come abbiamo visto non secondaria, anzi essenziale, la riafferma. E quindi, in un certo senso, negando la propria negazione che la
151 E. SEVERINO, La struttura originaria, La Scuola, Brescia 20122, p. 9. 152 ivi., p. 10
153ivi., p. 11
154 ibid. 155 ibid. 156 ibid.
157 L.V. TARCA, Chi di negazione ferisce… l’unico argomento possibile per una confutazione della verità inconfutabile, in L.V. TARCA,
riafferma, nega se stessa, ossia nega una delle forme in cui essa stessa si manifesta158. Ne risulta quindi una contraddizione da sciogliere. Ma ancor più radicalmente: se per Positivo in senso forte si intende tutto ciò che si pone (e pertanto primariamente l’Essere, il quale si pone come immediatamente noto ed incontraddittorio), e per negativo si intende ciò che in qualche modo nega ciò che è altro da sé, evidentemente si dà un senso per il quale la Verità, in quanto qualcosa che nega tutto ciò che è altro da sé (con la precisazione sempre che l’altro da sé si dà come tolto, ma come tolto e da se stesso, e dalla Verità), è negativa.
Se si considera che: «Nel suo manifestarsi […] l’essere viene incontro dominato dalla legge che lo oppone al non-essere […]»159 – date ovviamente tutte le specificazioni sul fatto che essendo il nonessere nulla, al nulla non è necessario opporsi come se esso fosse qualcosa, ma questo sarà un tipo di opposizione affatto particolare, e cioè un particolare modo di totale ed indiscussa affermazione - e che questa legge o principio di opposizione regola anche il rapporto tra la Verità e il falso, ossia la sua negazione, ne deriva che qualsiasi rapporto di, appunto, opposizione comporta una certa reciprocità (si ripeta: anche solo astrattamente) e che quindi proprio nel suo essere oppositiva (negativa) si cela il maggior pericolo per la Verità: il quale non viene dall’esterno (ché non sarebbe possibile venisse dalla non-verità) ma dal fatto che in questo modo, come esplicita Tarca, la Verità si determina mediante la negazione, ed essendo la negazione stessa un principio elenctico – perché qualora si negasse la negazione si riproporrebbe una negazione – tutto rischia di assumere un carattere negativo, oppositivo, e perciò stesso non-positivo (e quindi, per quanto specificato sopra, falso).
Non rimane che da chiedersi se sia possibile ripensare tutto questo insieme di problemi dal punto di vista della Verità, e di quella sua manifestazione che si esprime all’interno della Struttura Originaria, ripensando il rapporto tra la Verità e la negazione, in modo che la sua posizione risulti puramente libera da ogni forma di opposizione e che le consenta di manifestarsi nella totalità della sua positività.
Bibliografia
E. SEVERINO, La struttura originaria, La Scuola, Brescia 20122.
E. SEVERINO, Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 2010.
L.V. TARCA, Chi di negazione ferisce… l’unico argomento possibile per una confutazione della verità
inconfutabile, in L.V. TARCA, Verità e Negazione, Variazioni di pensiero, a cura di T. Masini, Cafoscarina, Venezia 2016.