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Qualora i patti sociali consentissero la trasformazione eterogenea atipica della società di

persone a maggioranza, si porrebbe il problema del riconoscimento del diritto di recesso e, in caso

di risposta positiva, della disciplina in concreto applicabile.

Ai sensi dell’art. 2500 ter, comma 1, c.c., infatti, “(…) in ogni caso al socio che non ha

concorso alla decisione spetta il diritto di recesso”.

Anteriormente alla riforma del diritto societario, seppur con riferimento all’ipotesi di

trasformazione omogenea progressiva di società di persone in società di capitali, la

giurisprudenza

191

tendeva a negare la spettanza del diritto di recesso, argomentando sia dal carattere

eccezionale del diritto di recesso ex art. 2437 c.c. (quale deroga al generale principio ex art. 1372

c.c.), sia dalla circostanza che il principio maggioritario avrebbe dovuto essere introdotto

all’unanimità, con la conseguenza che l’eventuale pregiudizio subito da soci sarebbe stato

imputabile ad un loro atto negoziale.

Attualmente, invece, il problema permane solo per le trasformazioni eterogenee atipiche e

per le trasformazioni omogenee (atipiche) tra società di persone.

Come si è detto, il diritto di recesso a favore dei soci assenti, dissenzienti o astenuti a fronte

delle decisioni assunte dalla maggioranza pare essere espressione di un principio di carattere

generale, come tale estensibile analogicamente al caso in esame, data l’identità di ratio.

192

Può discutersi, semmai, se trovi applicazione la disciplina dell’ente di partenza o di quello di

arrivo.

Sul punto è preferibile la tesi, seguita dalla giurisprudenza di merito, che ritiene applicabile

la disciplina dell’ente “di partenza”, perché altrimenti il socio potrebbe decidere a sua discrezione

tra due differenti discipline; inoltre, come brillantemente rilevato, il legislatore, col diritto di

recesso, ha voluto dare al socio che non concorra alla decisione la possibilità di non entrare a far

parte dell’ente di arrivo

193

.

191 Trib. Trento, 2 dicembre 2002, in Società, 2003, 3, 441 ss.

192 In questo senso la Massima K.A.22 del Comitato Triveneto dei Notai. 193 L. GENGHINI – P. SIMONETTI, Le società di capitali cit., 1081.

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LUCA CATTANI, “Trasformazioni eterogenee atipiche e limiti all’autonomia privata”, Tesi di dottorato in scienze giuridiche, Università degli Studi di Sassari

Nell’ipotesi inversa (in cui, cioè, la società di persone costituisca l’ente di arrivo) si rende

necessario verificare la disciplina di riferimento nell’ente che effettua la trasformazione.

L’art. 2607 c.c., nell’ambito del contratto di consorzio, in evidente analogia con quanto

previsto dall’ art. 2252 c.c., prevede che “il contratto, se non è diversamente convenuto, non può

essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati”.

L’opinione prevalente in dottrina ritiene che la trasformazione del consorzio a maggioranza -

ove contrattualmente ammessa - costituisca una giusta causa di recesso, dato che va ad incidere

sulle basi essenziali dello stesso

194

. In proposito si segnala una nota pronuncia del Consiglio di

Stato

195

, che ha affermato la nullità della clausola che disponesse la trasformabilità a maggioranza

senza la tutela del diritto di recesso.

Secondo la dottrina tradizionale

196

, in caso di recesso al consorziato deve essere assicurata la

liquidazione della quota di partecipazione al fondo patrimoniale consortile, che spetta in parti uguali

in difetto di previsioni contrarie.

Qualora l’ente di partenza fosse una società consortile (art. 2615 ter c.c.), si rende

preliminarmente necessario individuare la disciplina alla stessa applicabile.

Secondo una prima ricostruzione, prevalente nella giurisprudenza di merito

197

, alle società

consortili si dovrebbe applicare integralmente la disciplina della forma societaria prescelta. Altra

parte della dottrina, con una tesi che mal si adatta alle esigenze di certezza del diritto, propende per

una disciplina mista: quella dei consorzi per quanto riguarda i rapporti tra soci e tra soci e terzi,

quella del tipo societario prescelto relativamente alla struttura organizzativa (ad esempio per quanto

riguarda il procedimento assembleare)

198

. Altri autori

199

, infine, in maniera condivisibile, ritengono

194 C. G. CORVESE, La trasformazione eterogenea in società di capitali, Milano, 2005, 90. 195 Cons.St., sez. IV, 11 marzo 1989, n. 242, Cons. Stato 1989, I, 346.

196 G. F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 1, Diritto dell’impresa, Torino, 2006, 266 ss., ad avviso del quale l’accrescimento a favore dei consorziati di cui discorre l’art. 2609 co.1 c.c. riguarderebbe esclusivamente la c.d. quota di contingentamento e non anche la quota di partecipazione al patrimonio del consorzio.

197 Trib. Padova 16 ottobre 1997, in Giur. comm., 1999, II, 27 ss. 198 G. MARASÀ, Consorzi e società consortili, Torino, 1990, 127 ss.

199 Per tutti, G. VOLPE PUTZOLU, Le società consortili, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo - Portale, Torino, 1991, VIII, 280.

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che si applichino le norme inderogabili qualificanti il tipo societario adottato, ad eccezione di quelle

incompatibili coi caratteri essenziali del fenomeno consortile.

Pertanto, seguendo la prima e la terza teoria, troverà applicazione la disciplina prevista per il

tipo societario scelto dai soci.

Nessun problema in caso di recesso dalla società cooperativa: troverà applicazione, a

seconda dei casi, la disciplina della s.p.a. (artt. 2437 ss. c.c.) o quella della s.r.l. (art. 2473 c.c.).

L’art. 24, comma 2, c.c., in tema di associazioni, dispone che “l'associato può

sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo

determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e

ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima”.

Si tratta, evidentemente, di un’ipotesi di recesso ad nutum ad effetti differiti che mal si

adatta alle esigenze sottese al caso in esame. In caso di trasformazione, infatti, il fondamento del

diritto di recesso va piuttosto ricercato nei principio generale dell’ordinamento che riconosce la

libertà di associazione ex art. 18 Cost.

Nell’ipotesi in esame, pertanto, il recesso non sarebbe ad nutum ex art. 24 c.c., bensì per

giusta causa, in guisa che lo stesso avrebbe effetti immediati non appena la dichiarazione giunga a

conoscenza all’associazione (art. 1334 c.c.)

200

.

Altro e diverso problema è quello della spettanza o meno della quota di liquidazione a

favore dell’associato recedente.

Nonostante alcune voci positive

201

, pare preferibile optare per la tesi negativa,

argomentando, sia da quanto previsto dall’art. 24, ultimo comma, c.c.

202

(“gli associati che abbiano

receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non

200 M. MALTONI, La trasformazione delle società cit., 405 ss.

201 Per la tesi positiva, tra gli altri, C. G. CORVESE (La trasformazione eterogenea in società di capitali, cit., 45 ss.), che argomenta proprio dalla suddivisione del capitale in parti uguali nell’ente di arrivo, a conferma del carattere patrimoniale delle quote nelle associazioni e M. MALTONI (La trasformazione delle società cit., 407) , ritiene limitatamente alle associazioni che perseguono “fini di natura economica”, anche mediante erogazione di servizi ai soci.

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possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione”) sia

dalla ripartizione paritaria del capitale nella società di arrivo

203

.

Le fondazioni sono persone giuridiche di carattere non associativo, perciò non si sussiste il

problema del diritto di recesso.

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