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Il diritto di resistenza nei suoi rapporti con il “positivi-

solvimento negli strumenti di garanzia

e nel principio di sovranità popolare

La chiusura della lunga parabola del diritto-dovere di resistenza è sicuramente mostrata da Kant80

che evidenzia il punto d’arrivo nella sovranità popolare e nella volontà collettiva grazie alla quale ‹‹ognuno decide la stessa cosa per tutti e tutti la decidono per ognuno››81

cosicché ognuno non ‹‹obbedisce ad altra legge che non sia quella a cui essi hanno dato il loro consenso››82

. Di conseguenza, se i governati coincidono con i governanti, secondo la visione rousseauviana di autolegislazione, è evidente che:

«Contro il supremo legislatore dello Stato non vi può essere dunque nessuna resistenza legittima da parte del popolo, perché soltanto grazie alla sottomissione di tutti alla sua volontà universalmente legislatrice è possibile uno stato giuridico; quindi non può essere ammesso alcun diritto di insurrezione (seditio), ancor meno di ribellione (rebellio), e meno che meno poi attentati contro di lui come individuo (come mo- narca) sotto pretesto di abuso di potere (tyrannis), nella sua persona o nella sua vita (monarchomachismus sub specie tirannicidi). Il fon- damento del dovere che ha il popolo di sopportare l’abuso del potere supremo persino quando questo è dato come insopportabile, consiste in ciò: che la sua resistenza contro la legislazione sovrana non deve mai essere considerata altrimenti che come contraria alla legge, anzi come distruggiente l’intiera costituzione legale83

».

Con Kant si giunge a definire la struttura del formalismo giuridico, in cui si afferma il paradigma della legittimità nella definizione del- la validità della norma giuridica e l’idea di un modello monolitico di sovranità. Questo comporta una perdita di significato della resisten-

80

Ivi, p.144.

81 I. Kant, Principi metafisici della dottrina del diritto, (1797), par. 46, in Id.,

La metafisica dei costumi, Laterza, Roma – Bari, 2001, cit., pp. 142-3.

82

Ibidem.

83

za, che non può che presentarsi come rivoluzione, come sradicamento dell’impianto statuale.

Queste tendenze neoassolutistiche del filosofo liberale sono, in realtà, contrarie alla sua filosofia politica, tanto che alcuni autori ritengono che la vera fonte del liberalismo kantiano risieda nella sua filosofia morale – il cui fondamento è l’autonomia del soggetto – e non in quella giuri- dica, contestando che con lo stato di diritto si risolva definitivamente il problema della resistenza84

.

Se la teoria del diritto di resistenza era sempre più ammessa concet- tualmente, sempre più sperimentava la difficoltà a tradursi in pratica come istituto giuridicamente organizzato.

Con l’avvento del positivismo giuridico il diritto di resistenza venne assorbito e, allo stesso tempo, disintegrato nello Stato stesso, a segui- to del processo che diede luogo allo Stato di diritto prima, e a quello democratico poi, attraverso alcuni istituti ritenuti correttivi delle dege- nerazioni del potere: l’abuso del potere ed il difetto di legittimazione85

. È il cambiamento che coinvolse il costituzionalismo moderno che si fe- ce diritto costituzionale positivo, comportando un’eclissi del momento oppositivo.

Per l’abuso di potere, due sono i rimedi realizzati con l’avvento dello stato di diritto: la subordinazione del potere alla legge e la separazione dei poteri.

Per il primo aspetto, lo stato di diritto comporta che l’unico diritto è quello posto dall’autorità (è l’affermazione del principio di legalità), ad esso lo stato stesso si sottomette, cioè si limita attraverso il diritto da lui stesso posto (stato legale). Ma se lo stato ha la capacità di autolimitarsi e non ammette altre limitazioni, se non quelle che positivamente si dà, è chiaro che non può ammettere la facoltà del singolo o della collettività di opporsi alla sua legge e di limitare il potere86

, anche perché se è esso

84

M. A. Cattaneo, Considerazioni su diritto di resistenza e liberalismo, in AA.VV., “Autonomia e diritto di resistenza”, Studi Sassaresi, Serie III, Giuffrè, Torino, 1970, pp. 216 – 217.

85

N. Bobbio, ult. op. cit., p. 20.

86

Secondo la visione di Jellinek, riportata da G. Garancini (op. cit., p. 134) il diritto di resistenza diventa un non-senso poiché con lo stato moderno si è superato il dualismo che ha caratterizzato l’epoca medioevale, ed i limiti della sua azione non derivano più dall’antitesi tra il sovrano e il popolo, ma dallo stato stesso, che riconosce anche la persona come titolare di diritti.

stesso a porre i limiti necessari per tutelare la persona, ammettere un diritto di non obbedire, sarebbe come riconoscere il fallimento del suo obiettivo.

Per quel che riguarda la separazione dei poteri elaborata da Monte- squieu, questa è erede del pensiero dei monarcomachi ugonotti francesi

87

ed ha subito una grande trasformazione. Dapprima, ha conosciuto un posto privilegiato nell’architettura dello stato come uno dei principi fondativi dell’ordinamento; in seguito, nello stato di diritto, accompa- gnandosi con il principio di legalità e, successivamente, con quello della responsabilità dell’esecutivo, subì una “ridislocazione” come regola di organizzazione dei pubblici poteri, e, se rappresenta uno strumento ga- rantistico contro la concentrazione del potere, la sua subordinazione alla legge rende debole l’assorbimento in esso del diritto di resistenza

88

. È una prova ulteriore di quella transizione del costituzionalismo moderno in diritto costituzionale positivo.

Il processo di assorbimento del diritto di resistenza è proseguito con la costruzione dello stato democratico, con la “costituzionalizzazione” dei rimedi contro l’usurpazione del potere legittimo: da un lato il rico- noscimento dell’opposizione e dall’altro della sovranità popolare, quindi dell’investitura popolare dei governanti, con il controllo periodico della loro investitura attraverso il riconoscimento del suffragio universale.

Non si può negare la correttezza delle tesi di quanti sostengono che, nello stato di diritto democratico, il diritto di resistenza sia stato assor- bito in strumenti di garanzia e procedurali, che lo rendono pressoché inutile; ma non si può trascurare chi, come Cattaneo89

, ritiene che la resistenza, sia individuale che collettiva, trovi ancora uno spazio nello Stato liberale.

Del resto, l’eclissi subita dal diritto di resistenza a causa dell’affer-

87

A. Buratti, op.cit., p. 138.

88

Ivi, p. 141.

89

L’autore critica la teoria secondo cui nello Stato di diritto non vi è più spazio per la resistenza, perché sostiene l’esistenza di quel ‹‹residuo›› che esprime il nucleo sostanziale del diritto di resistenza; e tale residuo consiste nell’irreducibilità della coscienza individuale all’espressione della volontà generale›› (p. 214). E nella filosofia kantiana, che normalmente viene portata a sostegno dell’idea contestata, la negazione del diritto di resistenza è contraria alla sua filosofia morale, il cui punto centrale è l’imperativo categorico nella sua seconda formulazione, quella per cui ogni uomo deve essere trattato come fine e mai come mezzo. (M.A. Cattaneo, op.cit., pp. 214 – 215 – 216).

marsi del formalismo giuridico e delle garanzie costituzionali, non ha ovviamente spento la resistenza, che ha conosciuto nuove forme: si è venuta costituendo così l’opposizione parlamentare, avente il compito di svolgere una critica permanente all’indirizzo politico dell’esecutivo e che, nel contesto inglese del settecento, avrà una relazione stretta con la società civile strutturata in opinione pubblica; rappresentando, per giunta, una premessa necessaria per la nascita del partito, quale sog- getto di riferimento della società civile90

. È da notare come se, da un lato, le forme di dissenso e di critica politica si “istituzionalizzavano” nell’opinione pubblica e nell’opposizione parlamentare come argini al dispotismo del potere; dall’altro, si perse l’idea della resistenza come disobbedienza ad una norma giuridica approvata secondo le regole della deliberazione parlamentare. Non era concepibile l’idea di una possibile disobbedienza in uno Stato che, si è visto, sapeva autolimitarsi, e per far fronte alle varie prassi dissenzienti (come le lotte operaie e sindacali) – espressione di una società che stava mutando da soggetto monoliti- co a soggetto eteronomo – lo Stato ottocentesco si munì di strumenti repressivi volti a tutelare interessi pubblici, sintetizzati nella generica clausola dell’ordine pubblico91

.

2.7

Un tentativo di recupero del diritto di