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La resistenza dall’età della Riforma alle teorie de

2.5 Contrattualismo e giusnaturalismo

2.5.1 La resistenza dall’età della Riforma alle teorie de

Il problema della resistenza si propone con forza durante il periodo delle lotte di religione che seguono alla Riforma protestante. Si sente l’esigenza di fissare un limite invalicabile al potere dello stato: la co- scienza degli individui; qui intesa come coscienza religiosa, che, in un momento successivo, assumerà un significato neutrale, nel senso di una coscienza non necessariamente credente.

Mentre lo stato cerca di imporre l’unità religiosa con l’adesione di tutti i sudditi alla religione ufficiale (secondo il principio cuius regio eius et religio affermato dalla dieta di Augusta nel 1555); pensatori sia protestanti che calvinisti e cattolici elaborano delle teorie organiche della resistenza57

. Sono quelle dei monarcomachi58

in cui il diritto di resistenza assume un carattere di completezza, a partire dal riconosci- mento della centralità della coscienza dell’individuo e del fondamento del potere politico nella volontà popolare.

È lapidario il riconoscimento del primato della coscienza da parte di Martin Lutero, che, quando il 18 aprile 1521 alla dieta di Worms venne richiesto di sconfessare ciò che aveva scritto, rispose che ‹‹se non fosse stato vinto con testimonianze della Scrittura o evidenti fondamenti di

55 G. Garancini, op.cit., p. 115.

56 La genesi della dottrina del diritto di resistenza si è avuta nella teoria del

diritto naturale, centro del pensiero giuridico e politico antico e medioevale. In questo contesto, il diritto di resistenza rappresenta uno strumento con cui legare l’innovazione del diritto da parte del potere politico, che è teleologicamente orientato al perseguimento del bene comune.

57

G. Garancini, op. cit., p. 110

58

Il significato etimologico del termine significa: “coloro che combattono i monar- chi”. Per la prima volta fu utilizzato da William Barclay nell’opera De regno et regali potestate adversus Buchananum, Brutum; Boucherium et reliquos Monarchomacos del 1600 (Rif. G. Garancini, op. cit., p. 110).

ragione, sarebbe rimasto fedele alle cose che aveva scritto e la sua co- scienza sarebbe rimasta convinta della parola di Dio[. . . ] Non intendo affatto né posso ritrattare poiché non è né sicuro né saggio fare qualcosa contro la propria coscienza››59

. Nonostante la fermezza di questa rispo- sta, sul piano dell’obbedienza all’autorità, il suo pensiero oscilla tra due estremi: da un lato, conformemente all’esaltazione della coscienza, ri- conosce un dovere di disobbedienza al sovrano, quando questo pretenda di interferire nelle questioni riguardanti la coscienza stessa; dall’altro, dopo che le rivolte dei contadini anabattisti guidati dal Muntzer as- sumono la forma di una vera e propria sedizione politica, attribuisce all’autorità politica la titolarità di un diritto di repressione60

.

I più importanti autori protestanti, partendo dagli scritti di Lutero e avvicinandosi al pensiero di Sant’Agostino che considerava il tiranno come strumento di Dio per punire i peccati degli uomini, negarono la possibilità di un diritto di resistenza.

Tuttavia, i Principi protestanti cominciarono a fare pressioni su Lu- tero perché riformasse la sua posizione, in modo tale da consentire di sciogliere il legame con l’Imperatore. Fu così che si passò dal rifiuto della resistenza ad un vero e proprio dovere e si delineò una teoria co- stituzionale del diritto di resistenza, a cui la riflessione luterana, seguita da quella calvinista, ha dato un contributo notevole.

Il calvinismo, da parte sua, riprende la teoria di Martino Bucero che riteneva che l’autorità fosse conferita da Dio non solo alle magi- strature superiori, ma anche inferiori che potevano opporsi al ‘cattivo sovrano’ e destituirlo, e teorizza l’idea dei “poteri eforali”, ossia magi- strature inferiori che rispondevano al popolo ed avevano il potere di resistere al monarca nelle assemblee elettive rappresentative degli stati della nazione.

Sotto Caterina de Medici in Francia venne emanato nel 1562 l’E- ditto di tolleranza: ci si rese conto che erano di primaria importanza l’ordine e la pace pubblica rispetto al tentativo di realizzare l’omoge- neità confessionale. Per quanto questa tolleranza avesse un carattere strumentale61

al perseguimento degli obiettivi politici, è a partire da

59 Cit. in C.A. Viano, La coscienza: voci e mistificazioni, in P. Borsellino, L.

Forni, S. Salardi (a cura di), Obiezione di coscienza. op.cit., p. 20.

60 A. Buratti, op. cit., p. 87.

questa e da un iniziale affacciarsi della libertà di coscienza che prende corpo la teorizzazione di un diritto di resistenza. I semi più maturi provengono proprio da chi sentiva maggiormente il bisogno di rispetto, ovvero da quelle correnti ereticali perseguitate dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese riformate62

. Tra queste un ruolo rilevante nella lotta per la libertà di coscienza è ricoperto dai sociniani, il cui credo si riduceva a poche verità deducibili razionalmente dalla scrittura ed all’esaltazione del libero arbitrio, della volontà dell’uomo nel fare il bene e il male e, quindi, nel cooperare attivamente alla salvezza della propria anima.

Una tolleranza che ha avuto vita breve, perché il dramma delle guerre di religione ha conosciuto un momento cruento con il massacro degli ugonotti, in seguito al quale la riflessione calvinista sulla legit- timità della resistenza al tiranno prese nuovo vigore e si indirizzò in maniera radicale, a causa dell’esigenza di giustificare l’opposizione non solo per motivi di coscienza, ma anche per trovare un fondamento più ampio possibile, “più costituzionale”. L’obiettivo era quello di smuove- re l’opposizione della nobiltà francese, soprattutto dei nobili legati al cattolicesimo più moderato, nei confronti dell’assolutismo della fami- glia reale. A questo scopo, molti intellettuali francesi elaborarono una dottrina riguardo ai limiti della sovranità monarchica, recuperando le vecchie teorie sul governo misto. Ed è paradossalmente all’interno del filone del repubblicanesimo che si può scorgere una lettura del costitu- zionalismo moderno oppositivo ed emancipativo, ma soprattutto fonte dell’idea contrattualistica dell’obbligo politico63

. L’elaborazione della teoria del contratto sociale si deve anche ad un filone del pensiero calvi- nista francese, che superò l’idea agostiniana della sottomissione politica al potere come riparazione dei peccati, sostenendo, invece, che la con- dizione originale del popolo dovesse essere di libertà naturale64

. Questo pensiero portò ad una progressiva laicizzazione del diritto di resistenza, svincolando la giustificazione della sua legittimità dal motivo religioso. Il risultato di questa operazione fu una teoria politica della rivolu-

di Caterina de’ Medici, figura molto discussa, a cui una parte della storiografia ha attribuito la strage della notte di San Bartolomeo, è anche vero che in questo periodo hanno cominciato a fiorire opere in cui si scorgono quei principi di tolleranza, religiosità e di libertà di coscienza che assumeranno una rilevanza decisiva.

62 Ivi, p. 92. 63 Ivi, p.97. 64 Ivi, p.100.

zione moderna e secolare, fondata sul contratto sociale in cui il dirit- to di resistenza emerge come presupposto logico ed estrema sanzione giuridica.

Non fu prerogativa esclusiva del pensiero calvinista rielaborare la dottrina della resistenza. Lo stesso avvenne in epoca di controriforma in ambienti cattolici, in particolare, ad opera dei Gesuiti, che posero dei freni al potere politico, partendo dalle teorie della sovranità popolare. Secondo Juan de Mariana, il più noto monarcomaco cattolico, partendo dal pensiero di Suarez sulla sovranità popolare, sosteneva che gli uomini vivessero inizialmente in uno stato di natura secondo gli istinti, quegli stessi istinti che li portarono ad unirsi e a dare origine alla famiglia. È a causa delle debolezze umane che si rende necessaria la creazione della società che permette agli uomini di raggiungere i loro fini e tutelare la sicurezza. Nel creare la società affidano ad un sovrano il potere senza cederlo definitivamente, infatti l’autorità è limitata dalle leggi positive e dal volere di Dio e della pubblica opinione. Il potere del sovrano deriva dal consenso del popolo che è al di sopra del monarca65

.

In tutti gli scrittori monarcomachi ritroviamo l’idea del contratto come momento originario dello Stato. Attraverso questo pactum su- biectionis nasce la società civile che sostituisce lo stato di natura: il popolo cede al sovrano la sua sovranità, ma non in modo irreversibile (in questo si distinguono dai teorici dell’assolutismo monarchico), per cui rimane padrone di se stesso e del proprio governo.

2.5.2

Le rivoluzioni liberali del XVIII secolo e il pen-