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Il pensiero di San Tommaso e l’ordinamento feudale

Mentre Sant’Agostino esclude del tutto la partecipazione dell’uomo alla costruzione della "città terrena" ed enfatizza l’idea paolina dell’o- rigine divina dell’autorità, che, anche quando ingiusta e corrotta, deve essere rispettata, poiché rappresenta la punizione inflitta da Dio agli uomini per le loro colpe; San Tommaso d’Aquino ha rivalutato la “città politica” e il libero arbitrio dell’uomo, per quanto non si distacchi con- siderevolmente dall’idea di Agostino: la grazia è necessaria alla salvezza dell’uomo, il quale con le sole opere buone non può aspirare ad ottene- re il "premio" della vita eterna. Nella sua filosofia politica e giuridica ritroviamo gran parte dei temi del pensiero medioevale, tra cui la legge ingiusta, il tiranno e la resistenza.

Quanto al primo aspetto, l’aquinate sostiene che le leggi positive umane sono leggi quando conformi alla legge di natura, altrimenti sono solo ‹‹corruzione di questa››44

. Questo è un punto cruciale: se la legge difforme al diritto naturale non è più legge, quindi inesistente come tale, allora non sarà più valida e, perciò, non vincolante. Questa è la lettura che, per molto tempo, è stata data per giustificare l’invalidità della legge positiva contraria al diritto naturale.

In realtà, il pensiero di Tommaso è molto più complesso e meno lineare. Per poter comprendere la sua dottrina della resistenza non si deve perdere di vista l’antropologia tomista, che fa perno sull’idea di un uomo essere razionale, sociale e politico, che ha bisogno della socie- tà45

per potersi sviluppare pienamente e condurre una vita virtuosa46

in funzione del fine ultimo della beatitudine eterna. Dalla necessità di questo fine deriva il ruolo decisivo attribuito allo Stato e l’indispensa- bilità del potere sovrano che deve essere orientato al bene comune. Per

44

Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I e II, 95, 2. Il suo pensiero prende avvio dall’idea della legge naturale come parte della lex aeterna conoscibile alla ragione umana, mentre la lex divina è la legge positiva di Dio rivelata all’uomo e che deve far fronte alle imperfezioni delle leggi umane.

45 Lo stato è il risultato dell’insieme di tre società: la famiglia, la civitas ed

il regnum, ognuna delle quali ha un fine particolare. Lo Stato fa da collante a tutte queste “società”, costituendo un corpo unico ed evitando che queste diventino elementi di disgregazione.

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questo motivo non esclude la validità giuridica delle norme ingiuste, che possono anche obbligare in coscienza, qualora dalla disobbedienza possa derivare un danno maggiore per i consociati; mentre, sicuramen- te, è doveroso disobbedire alle leggi positive che contrastano con quella divina. Ad ogni modo, il fine ultimo è quello della beatitudine eterna a cui è chiamato ciascun individuo, il quale prevale sugli altri fini dello Stato, il che significa che qualora lo Stato pretenda dall’individuo delle azioni che mettono in pericolo la salvezza umana, si giustifica l’obie- zione di coscienza del singolo. Qui si inserisce il diritto di resistenza di Tommaso, quale garanzia di conformità della voluntas alla ratio47

. Per quel che riguarda il tiranno, in Tommaso si intravede la teoria ‘democratica’: la sovranità deriva da Dio48

, ma al principe passa tramite il popolo ed è orientata al bene comune; quindi il popolo innalza alla sua carica il monarca, conseguentemente, lo può anche destituire 49

. Non è altro che il cambiamento di contenuto della teoria dell’origine divina del potere (affermata con il cristianesimo) attraverso il concetto di ‘partecipazione’ democratica, reso possibile anche grazie all’apporto proveniente dall’incontro con la tradizione barbarica50

, in cui il re viene ‘eletto’ dagli altri uomini liberi e, come tutti, è soggetto alla legge.

Da ciò deriva una problematizzazione del dovere di obbedire alle leggi: non è più un obbligo assoluto come affermava Sant’Agostino. Tommaso, a questo proposito, riprende la figura del tiranno51

(tipica del discorso politico medioevale): è il re che, governando non in confor- mità al diritto naturale ed alla legge, da ministro di Dio si trasforma in ministro del diavolo 52

. Qualora il monarca violi la legge, ovvero

47 A. Buratti, op. cit., p. 78.

48 Non manca di riconoscere la derivazione del potere da Dio, causa prima di

tutte le cose ed ultimo fine. E quanto più è “alto” il fine di una cosa (come è quello del potere ordinato al bonum commune) tanto più partecipa dell’azione divina.

49

A. Buratti, op. cit., p. 79.

50

G. Garancini, op. cit., p. 86.

51

Figura classica delle teorie politiche medioevali, si distingue tra tiranno ex defectu tituli e tiranno quoad exercitium. Il primo è il tiranno che ha ottenuto illegittimamente il potere; il secondo è legittimato a governare, ma abusa del suo potere. Per Tommaso la società ha un fine ben preciso: realizzare il bene comune, in modo tale da permettere all’uomo di vivere una vita virtuosa. Da questo nasce la sua visione del regime tirannico che non è ordinato al bene comune, ma al bene egoistico del tiranno, che comanda cose ingiuste. Di fronte a questo uso ingiusto del potere non si può che resistere.

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divenga tiranno, il popolo ha il dovere di opporsi, anche uccidendolo. Bisogna però precisare che si potrà resistere solo in due casi: quando egli imponga leggi contrarie alla lex divina; ma anche quando imponga delle leggi ingiuste contrarie a quella naturale, se dalla disobbedienza non deriva un danno maggiore rispetto a quello che si ha obbedendo a quella legge, oppure se ai sudditi non derivi un male peggiore della tirannide.

La distinzione netta tra la figura del principe e quella del tiranno è presente anche in Giovanni di Salisbury: il primo è colui che, in virtù della legge, ha diritto ad esercitare il potere, ed è legittimo se rispetta le leggi e lotta per la libertà dei sudditi, mentre è tiranno se le sopprime. La storia medioevale del diritto di resistenza, poi, prende le mosse dagli svolgimenti storici delle lotte tra Impero e Papato, riprendendo gli aspetti caratteristici del diritto naturale, ma iniziando a formula- re il principio contrattualistico della sovranità popolare, quello che la dottrina successiva chiamerà pactum subiectionis, da cui il re deriva il diritto di punire i trasgressori, e il popolo quello di deporre il sovrano e di resistere. Questo principio si svilupperà grazie all’esperienza feu- dale: il rapporto tra il popolo e il monarca è riconducibile al rapporto sinallagmatico del contratto feudale, per cui il vassallo era ovviamente subordinato al dominus, ma nel caso in cui questo non rispettasse i suoi obblighi, si aveva la rescissione del contratto53

. La disobbedienza al sovrano (dominus), che, da quando si diffuse la teoria della investi- tura divina del potere temporale, derivava la sua potestà da Dio, sarà considerata non tanto reato quanto un peccato; ma anche in questo contesto la resistenza non sarà mai messa da parte, perché il sovrano nel momento in cui non rispetti i principi di giustizia sarà destituibile.