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Il diritto del soggetto alla privacy, un lungo percorso nel corso della storia

Capitolo III: il dato personale alla luce del nuovo Regolamento U.E 679/2016, dalla

3.1. Il diritto del soggetto alla privacy, un lungo percorso nel corso della storia

Il diritto alla privacy ha subito, nel corso dell’intero percorso storico, una notevole evoluzione; infatti nel corso del tempo, l’accento si è spostato sempre di più dal semplice diritto alla riservatezza, alla sua nuova accezione di controllo sui propri dati.

L’esistenza di una sfera personale e intangibile non risulta essere cosa nuova ed ha un’origine molto antica, in quanto Aristotele72 già distingueva la vita di un essere umano

come una divisione fra due importanti sfere, ossia la sfera pubblica, πόλις, e infine la sua sfera privata, οἶκος, associata quest’ultima alla sua vita domestica o familiare.

La reale distinzione fra la due dimensioni che compongono l’uomo può essere ben riassunta all’interno di un famoso discorso di Lord Chatam al Parlamento nel 1763 in cui si afferma “il più povero degli uomini può, nella sua casetta lanciare una sfida opponendosi a tutte le forze della corona. La casetta può essere fragile, il suo tetto può essere traballante, il vento può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la pioggia può entrare, ma il re d’Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano attraversare la soglia di tale casetta in rovina»73.

72 Per un più approfondita indagine ARISTOTELE, Politica, a cura di M. CURNIS E G.BESSO, L’Erma di Bretschneider,

edizione del 2011.

Risulta quindi essere particolarmente netta la distinzione fra la sfera pubblica dell’individuo e la sua sfera intima, tant’è che può benissimo sfidare l’autorità del sovrano all’interno della sua casetta senza incorrere ad alcun tipo di ripercussione.

Un passo importante per l’origine moderna del diritto alla privacy viene fatto risalire grazie agli sforzi accademici di due importanti giuristi americani, ossia Samuel Warren e Luis Brandeis, i quali pubblicarono nel 1890 il saggio “The right to privacy”, in cui si delinea non solo una complessa teoria giuridica ma si afferma anche l’esistenza di un’importante sentenza del giudice Thomas Colley nel 1888, in cui afferma “the right to be alone”, ossia il diritto di essere soli e proprio grazie a tal sentenza che si fa risalire la reale origine del diritto alla privacy.

Il contenuto di quanto affermato dal giudice Colley prima e poi ribadito dagli studiosi Samuel Warren e Luis Brandeis, risultava essere un’importante reazione al nuovo contesto tecnologico del tempo, ossia piena rivoluzione industriale, con l’introduzione delle macchine da stampa rotativa, permettendo quindi una veloce stampa dei quotidiani, nonché lo sviluppo delle macchine fotografiche, per poter corredare gli articoli con foto degli interessati.

Per questo motivo la dottrina statunitense, vedendo quindi una progressiva invasione della sfera privata dei soggetti da parte di terzi estranei, si è iniziato a riflettere su quali informazioni della vita di un soggetto può essere di dominio pubblico e quali invece devono essere sottoposte a tutela.

Per questo motivo si può affermare che la privacy nasce e si sviluppa come diritto all’isolamento e a non subire interferenze esterne; tuttavia, il quadro odierno risulta essere sempre di più complesso, in quanto, grazie alla continua creazione di dati e dunque informazioni all’interno di uno spazio virtuale molto spesso si sovrappone all’identità fisica, fatta di sangue e ossa, un’identità virtuale o informatica, costituita da tutti quei dati ed informazioni, il cui contenuto risulta essere personalissimo, come ad esempio un scelta individuale, un gusto particolare fino ad arrivare alla salute e al credo politico.

Tutti questi elementi presi nell’insieme creano una nuova tipologia di diritto, incentrato non più alla riservatezza del singolo, ma soprattutto alla protezione dei dati di carattere personale.

La mutazione che ha subito il diritto alla privacy risulta essere un’importante conferma della teoria di Norberto Bobbio74, in quanto afferma che i diritti stessi posseggono in sé un

importante fondamento storico ed essi subiscono trasformazioni e mutazioni grazie alle condizioni storiche, economiche e sociali e ciò è avvenuto al diritto alla privacy, in quanto nasce come esigenza di carattere morale, si sviluppa in senso giuridico nell’età moderna, fino ad essere elevata ad enunciazione di principio, grazie alla sua disciplina presente all’interno delle leggi, in riferimento però prima alla tutela della riservatezza e successivamente, in un secondo momento, alla protezione dei dati personali.

La legislazione statunitense, essendo importante pioniere di tal diritto, è stata la prima a tutelare, all’interno del Freedom of Information act del 1965, il diritto di accesso al cittadino in relazione a tutte le informazioni che lo riguardavano.

In Europa invece, il primo provvedimento che ha iniziato ad introdurre una precisa normativa in materia di protezione dei dati personali risulta essere la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre del 1995 n. 46, la quale, in conformità con quanto disposto dalla Convenzione di Strasburgo del 1981, ha previsto il principio per qui ogni trattamento di dati è considerato legittimo in presenza del consenso e contestuale messa a conoscenza dell’individuo.

La disciplina, così proposta all’interno della direttiva, risulta essere il primo e importante passo del percorso iniziato a livello europeo dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, la quale aveva affermato che, in applicazione del principio presente all’interno dell’articolo 875 della Carta Europea dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali, rubricato Diritto

al Rispetto della Vita Privata e Familiare, la protezione dei dati personali rientra a pieno titolo all’interno di questo fondamentale articolo, così come ribadito all’interno del

considerando n. 10 della Direttiva, in cui si afferma, come importante impegno di tutti gli

74 Per un approfondimento N. BOBBIO, L’Età dei Diritti, Enaudi, 2005

75 “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria

corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

stati membri, il rispetto di tutti i diritti dell’uomo, in particolare il diritto alla vita privata, espresso all’interno dell’articolo 8 CEDU.

La direttiva così ideata aveva come importante obbiettivo ossia l’armonizzazione della disciplina, in vista della reale attuazione del mercato unico europeo, avendo come destinatario soprattutto gli Stati che non possedevano alcuna disposizione a riguardo.

Per quanto riguarda invece l’Italia fin dagli anni Settanta la Corte costituzionale aveva ricondotto, in alcune sentenze76 che però riguardavano la libertà di stampa, il diritto alla

riservatezza all’interno non solo dell’articolo 2 della Costituzione, il cui contenuto viene considerato, in relazione alla portata e ambito d’applicazione, come “valvola respiratrice dell’intero ordinamento”77, ma anche in relazione agli articoli 3 e 13 della Costituzione.

Successivamente all’effettiva presenza del diritto alla riservatezza all’interno del novero dei diritti fondamentali, la Corte di Cassazione iniziò l’operazione di definizione del contenuto di questo diritto, affermando in una nota sentenza che per diritto alla riservatezza s’intende “la tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari che, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per la reputazione, l’onore e il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti”78.

Successivamente, la Corte costituzionale con le sentenze n. 139 del 1990 e n. 81 del 1993 iniziò a porre le basi per una completa razionalizzazione della materia, riunendo, all’interno della nozione diritto alla privacy, la tutela della riservatezza e della protezione dei dati personali.

Per quanto riguarda invece l’attuazione della direttiva 95/46/CE già richiamata, si ebbe con la legge 675 del 1996 e il perché sia stata adottata quasi immediatamente deriva dal fatto che l’allora Comunità Europea obbligava tutti gli Stati membri, al fine dell’effettivo godimento dei benefici del trattato di Shengen, al recepimento della normativa sul trattamento dei dati delineata all’interno della direttiva.

76 In particolare, la Sentenza della Corte costituzionale n.122 del 1970 e n. 38 del 1973 77 P. GROSSI, L’Invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017

L’importanza della direttiva 95/46/CE risulta essere assolutamente innegabile, in quanto si è delineato un diritto all’identità personale, in molti aspetti distinto dal diritto alla riservatezza, affermando l’esistenza dell’individuo come persona e non semplice “somma dei dati informatici”79 e, riconoscendo contestualmente la portata potenzialmente invasiva

e in alcuni aspetti lesiva dello sviluppo della personalità del singolo attuato attraverso le tecniche di comunicazione e di circolazione delle informazioni nella ricostruzione dell’identikit virtuale di un soggetto.

Tuttavia, l’importanza della direttiva non si esaurisce qui; infatti, si prevedeva la possibilità, in capo a ciascun soggetto di accedere direttamente alle informazioni che lo riguardano e contestualmente modificarle, ovvero controllarle e correggerle da eventuali errori, prefigurando quindi una vera e proprio diritto all’autodeterminazione informatica ed è proprio per questo motivo che il diritto alla privacy è delineato non solo come diritto all’isolamento, ma anche, in questa accezione, come diritto di mostrarsi al mondo interno “nella propria identità, dignità e infine libertà”80; infatti, è per questo motivo che la Corte

Costituzionale ha ricondotto questo diritto all’interno degli articoli 2, 3 e 13 della Costituzione.

Il decreto legislativo 196/2003, chiamato anche Codice della Privacy, si allinea a quanto delineato a livello europeo; infatti, si riconosce accanto al diritto alla riservatezza il diritto alla protezione dei dati personali.

Un’ulteriore ed importante fonte di diritto internazionale è la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che nel 2009 diventò parte integrante delle fonti primarie dell’Unione Europea, e all’interno del capo dedicato ai diritti di libertà si afferma, all’articolo 881, il diritto alla protezione dei dati personali.

79 Termine utilizzato dall’avvocato Carla Faralli nel libro di N. ZORZI GALGANO, “Persona e Mercato dei dati”,

Cedam, 2019

80 NADIA ZORZI GALGANO, “Persona e Mercato dei dati”, Cedam, 2019

81 “Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono

essere trattati secondo il principio di lealtà per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o per altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”