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costituito anche la base teorica del welfare state, si è spaccata, creando, anche sul piano empirico, non poche conseguenze: quelli che Polanyi descrive come “contro-movimenti”6. Nasce così anche in Italia l’interesse per lo studio di spe-rimentazioni e pratiche di “comunità”7 a cui si connette lo sviluppo di nuovi strumenti giuridici e istituzionali. Si affaccia, poi sempre con più insistenza nel panorama giuridico, lo studio di nuove forme di gestione della proprietà e dei beni comuni8 nelcontesto urbano. Su questa base si innesta il dibattito sul di-ritto alla città9 e della città.10 Il diritto alla città è soprattutto connesso ai temi del riuso e alla trasformazione del patrimonio immobiliare urbano, pubblico e privato, ma anche a dinamiche socioeconomiche connesse alla città, come il fabbisogno abitativo, la gentrification, l’integrazione sociale, le nuove forme di gestione dei servizi, di condivisione degli spazi e dei beni con la creazione di nuove forme di lavoro.

COME HA RISPOSTO LA SCIENZA GIURIDICA A QUESTI FENOMENTI E QUALI PROSPETTIVE FUTURE

La scienza giuridica risponde ripensando il concetto di pianificazione e più in generale la nozione di governo del territorio. La rigenerazione urbana11 e l’ur-banistica collaborativa12 sono entrambe riletture dell’urbanistica e rispondono all’idea di nuovo modello “complesso”13 di pianificazione in grado di coinvol-gere tutte le componenti del territorio: sociali, economiche, ambientali, pa-esaggistiche e territoriali. Si parla a tal proposito di una nuova generazione dell’urbanistica14 e più nel dettaglio di una “quarta generazione” di leggi re-gionali urbanistiche, in cui il governo del territorio avrà interiorizzato i limiti ambientali, la funzione custodiale, la salvaguardia del suolo per le generazioni future, mettendo in campo nuovi e «rafforzati» principi procedurali. Questo approccio è necessario soprattutto nel perimetro urbano, ove risulta indispen-sabile una maggiore adattabilità degli strumenti in contesti così diversificati, nuovi modelli partecipativi, di cooperazione e collaborazione nel governo del territorio da parte degli abitanti e forme efficaci di monitoraggio.15 Non solo. Gli studiosi del diritto provano a costruire un nuovo impianto teorico ove sussumere tutti quei fenomeni urbani che negli ultimi anni hanno dato vita ad un vero e proprio diritto urbano nella Co-Città.16 Ove per fenomeni ur-bani si intendono le regolazioni prodotte dalle città. Si pensi ai regolamenti sulla collaborazione per i beni comuni urbani17, alle delibere di Napoli sugli usi civici urbani18. Vi sono state poi le politiche pubbliche locali e nazionali che utilizzano gli strumenti tradizionali di contrattazione anche se con fina-lità sociali, come il modello della concessione d’uso della città di Milano19 o quello previsto dal nuovo art. 151 del codice dei contratti pubblici, così come

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introdotto nel Codice del Terzo Settore20. E ancora, a livello nazionale vengono introdotti strumenti partenariali nuovi, come il ‘baratto amministrativo’, dap-prima introdotto nell’art. 24 del D.l. n. 133/2014 “Sblocca Italia” e dopo qualche applicazione, tra cui la delibera GC del Comune di Milano, del 19 maggio 2014 n. 2673, la norma è presto confluita nel codice dei contratti pubblici all’art. 190. Dunque, se l’intento era quello di creare un nuovo “spazio” e alimentare il dibattito giuridico per e su questi nuovi fenomeni, il compito è stato piena-mente compiuto. Sarà necessario, ora, domandarsi approfonditapiena-mente qual è il ruolo dello Stato e delle sue articolazioni in questo contesto. Perché lo Stato, ricordiamolo, è l’ente esponenziale della collettività21. Basterà dunque dire che esso deve svolgere la sola funzione di Stato abilitante o di Stato piattaforma22? Forse, bisognerà ricostruire la nozione di soggetto pubblico, quali ad esem-pio sono le sue responsabilità dopo aver svolto un ruolo di empowerment delle collettività locali23. E invero, in un contesto in cui si sono susseguiti processi di privatizzazione o di esternalizzazione a un partner privato, re-identificare e analizzare il complesso di norme, attività, soggetti, fini, beni e strutture che costituiscono lo Stato, sia come apparato che come comunità, è un compito a cui il giurista non può sottrarsi, sia per rielaborare ciò che oggi intendiamo per “pubblico” sia per ripensare gli strumenti amministrativi tesi a perseguire l’interesse collettivo.

Note

1. H. Lefebvre, Le droit à la ville, Parigi, 1968. 2. F. Engels, Die Lage der arbeitenden Klass in

England, Lipsia, 1845; trad. it. F. Engels, La situazione operaia in Inghilterra, Editori Riuniti,

Roma, 1955: “Ogni grande città ha uno o più quartieri brutti, nei quali si ammassa la classe operaia. È vero che spesso la miseria abita in vicoletti nascosti dietro i palazzi dei ricchi; ma in generale le è stata assegnata una zona a parte, nella quale essa, bandita dalla vista delle classi più fortunate, deve campare la vita per conto suo, comunque vada. Questi quartieri brutti in Inghilterra sono fatti più o meno alla stessa maniera in tutte le città; per lo più lunghe file di costruzioni in mattoni, eventualmente con cantine abitate, e quasi sempre irregolarmente. Queste casette di tre o quattro stanze con cucina sono chiamate cottages e in tutta l’Inghilterra – tranne qualche parte di Londra – sono le normali abitazioni della classe operaia. Quanto alle strade, di solito non sono lastricate, ma piene di buche, sporche, cosparse di rifiuti vegetali e animali, senza canali di scarico o fogne, ma provviste di fetide pozzanghere stagnanti. Oltre a ciò la circolazione dell’aria è resa più difficile dalla struttura pessima e irregolare di tutto il quartiere, e poiché in uno spazio ristretto vivono molte persone, è facile immaginare quale aria regni in questi quartieri operai. Inoltre, le strade, quando il tempo è bello, servono da stenditoio; da casa a casa vengono tese di traverso corde cui si appende la biancheria bagnata. […] Tutto il complesso di queste stalle abitate dagli esseri umani era contornato da due lati da case e da una fabbrica, il terzo lato confinava col fiume e, oltre l’angusto sentiero che s’arrampicava sulla riva, soltanto uno stretto androne immetteva in un altro labirinto di abitazioni, altrettanto mal costruite e mal tenute” (pp. 56-89).

3. R. Piano, Diversamente politico, Periferie, No. 1, 2014 pp.12.

4. P. Chirulli, La pianificazione urbanistica tra esigenze

di sviluppo e riduzione del consumo di suolo: la riqualificazione dell’esistente, [The urban planning between development needs and reduction of land consumption: the redevelopment of the existing].

Relazione al convegno “Il governo del territorio tra fare e conservare”, Università degli Studi di Trento, 19 dicembre 2014, in Rivista giuridica di urbanistica, 2015, fasc. 4, pt. 2, pp. 592-61. 5. Fonte ISTAT, 26 giugno 2018. Secondo i dati,

l’aumento della povertà assoluta colpisce soprattutto il Mezzogiorno, dove vive in questa condizione

oltre uno su dieci. L'incidenza stimata dall'Istat, nel Sud Italia, sale da 8,5% nel 2016 a 10,3% nel 2017, per le famiglie, e da 9,8% a 11,4% per gli individui. Il peggioramento riguarda soprattutto chi vive nelle città principali, i comuni centro di area metropolitana, (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni di minori dimensioni, fino a 50 mila abitanti (da 7,8% a 9,8%).

6. K. Polanyi, The Great Transformation: The Political

and Economic Origins of Our Time, 1944, Boston,

ed. 2001.

7. S. Zamagni, P. Venturi, S. Rago, Valutare l’impatto

sociale. La questione della misurazione nelle imprese sociali, in www.rivistaimpresasociale.it/rivista/

item/141-misurazione-impatto-sociale.html. 8. Si rileggono così in chiave giuridica gli studiosi

di commons, come G. Hardin, The Tragedy of

the Commons, Science, Vol. 162, 1968; E.

Ostrom, Governing the commons, Cambridge, 1999; C. Rose, The comedy of the commons, The University of Chicago Law review, Vol. 53, pp. 711-781,1986, da prospettive giuridiche diverse, S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Editori Laterza, Bari, 2012; U. Mattei, Beni comuni, un manifesto, Editori Laterza, Bari, 2012; N. Capone, Uso civico

urbano. beni pubblici e usi collettivi nella prospettiva costituzionale, in (a cura di) L. Bazzicalupo, F.

Mancuso, G. Preterossi, Le trasformazioni della

democrazia, Mimesis, Milano, 2016; A. Lucarelli, Beni comuni. Contributo per una teoria giuridica,

in costituzionalismo.it, fasc. 3/2014; G. Arena, C. Iaione, L’Italia dei beni comuni, Carocci Editore, Roma, 2012; P. Maddalena, Il territorio bene

comune degli italiani, Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Saggini, 2014;

S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene

comune, Einaudi, Torino 2012.

9. D. Harvey, Rebel Cities: From the Right to the

City to the Urban Revolution, London and New

York, 2013: “Il diritto alla città non si esaurisce nella libertà individuale di accedere alle risorse urbane, ma è il diritto di cambiare noi stessi cambiando la città. È un diritto collettivo, più che individuale, perché una trasformazione dei processi di urbanizzazione richiede inevitabilmente l’esercizio di un potere comune. La libertà di costruire e di ricostruire le nostre città e, di conseguenza, noi stessi è forse, a mio avviso, il più prezioso e, ciò nondimeno, il più negletto dei diritti umani”.

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10. J.B. Auby, Droit de la ville – Du fonctionnement

juridique des villes au droit à la Ville, LexisNexis,

2013.

11. E. Fontanari, G. Piperata (a cura di), Agenda

Re-cycle, il Mulino, Bologna, 2018.

12. C. Iaione, La città collaborativa: la governance

dei beni comuni per l’urbanistica collaborata e collaborativa, p. 85, in E. Fontanari, G. Piperata

(a cura di) op. cit. (2018). 13. P. Chirulli, op. cit. (2015)

14. A. Giusti, La rigenerazione urbana. Temi, questioni

e approcci nell' urbanistica di nuova generazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 56.

15. Parte di questi profili sono stati esposti nel Convegno AIDU XXI 2018, tenutosi a Varese il 28-29 settembre 2018, in particolare nelle relazioni del Prof. P. Stella Richter, del Prof. E. Boscolo (Leggi regionali di quarta generazione: struttura

e contenuti) e della Prof.ssa A. Simonati (Le città: luogo di nuove forme di partecipazione).

16. P. Chirulli, C. Iaione, La Co-Città - Diritto

urbano e politiche pubbliche per i beni comuni e la rigenerazione urbana, Jovene, Napoli, 2019.

17. Di cui il primo è stato quello di Bologna; il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani è stato approvato dal Consiglio Comunale, su proposta della Giunta, il 19 maggio 2014.

18. Delibere di Giunta n. 400 del 25/5/2012, n. 893 del 29/12/2015 e n. 446 dell'1/6/2016; con la Delibera n. 17 del 18.01.2013 l’Amministrazione napoletana ha approvato alcuni principi per il governo e la gestione dei beni comuni della Città di Napoli chiarendo tra l’altro che il Comune di Napoli “dispone di beni spesso non utilizzati o sottoutilizzati e/o che si trovano in uno stato di abbandono, deprezzamento, utilizzazione non idonea e che potrebbero essere utilizzati in maniera più conveniente per la collettività intera. Stabilendo regole, procedure e responsabilità”, da questo provvedimento sono scaturiti una serie di atti che hanno puntualmente individuato la “vocazione sociale” di diversi immobili del centro storico che, lasciati vuoti, erano stati occupati da associazioni e comitati della città. Delibera Comune di Napoli n. 258 del 24/04/2014 “per l’individuazione e la gestione dei beni del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli,

inutilizzati o parzialmente utilizzati, percepiti dalla comunità come beni comuni e suscettibili di funzione collettiva”; Delibera Comune di Napoli, n. del 09/03/2015 che modifica la precedente in relazione alla modalità di gestione degli immobili, Delibera 4581 del 10 agosto 2017. 19. Delibera del Comune di Milano n.1978/2012. 20. D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, denominato Codice

del Terzo Settore.

21. Per la rilevanza di questa caratteristica, v. P. Stella Richter, Dall’ente pubblico all’ente a legittimazione

democratica, in Foro amm.-Cons. Stato, 2002,

3299.

22. C. Iaione, L’azione collettiva urbana tra

partenariato comunità e pubblico-comunità-privato, in P. Chirulli, C. Iaione, op. cit.

p. 32.

23. P. Chirulli, Sussidiarietà e collaborazione

«amministrata» nei beni comuni urbani, in P.

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DIBATTITI ANTROPOLOGICI SULL’ECONOMIA

Il punto di vista dal quale parte questo scritto è quello dell’antropologia econo-mica, settore della disciplina che s’interessa ai processi di produzione, scambio e consumo. Gli antropologi che lavorano sulla dimensione economica si occupano delle relazioni sociali che preesistono o che sono generate da tali processi – le relazioni di proprietà, lavorative, i rapporti di potere e le forme di solidarietà –, delle idee, dei valori, e infine degli oggetti che circolano attraverso tali relazioni (Appadurai 1986, Wilk 1997). Secondo la definizione che ne dà l’antropologo Ri-chard Wilk, l’antropologia economica è “quel ramo della disciplina che affronta le problematiche legate alla natura umana, direttamente connesse alle decisioni della vita quotidiana e lavorativa”1.

Ripercorrendo rapidamente la storia dell’antropologia economica, possiamo ri-salire fino agli scritti di Bronislaw Malinowski sulle isole Trobriand (1922), i cui abitanti mettevano in circolazione oggetti e prestigio lungo linee che univano le isole dell’arcipelago trobriandese. La scienza economica appariva inadeguata per spiegare cosa accadesse in sistemi come quello osservato da Malinowski. Nel 1957, Karl Polanyi, uno storico dell’economia, propose una lettura dei fenomeni economici che distingueva il loro senso formale – cioè lo studio delle capacità di decisione razionale degli individui – dal loro senso sostanziale – gli atti