• Non ci sono risultati.

ORGANIZZAZIONI CULTURALI ALLA COMPETENZA METICCIA

verso per le organizzazioni culturali, un differente paradigma. Diventa indi-spensabile rompere la prigionia degli schemi con i quali non solo finora si è agito, ma si è soprattutto ragionato e assunto decisioni e orientamenti. L’ab-bandono di vecchie, inutili, suppellettili intellettuali che sono inabilitanti e rendono forzoso qualsiasi slancio nuovo è prioritariamente una necessità. Ma il vero punto in questione diventa il rinnovamento o la generazione ex novo di nuove competenze individuali e collettive che, dato il contesto evolutivo, sono inevitabilmente meticce e integrate.

Sullo sfondo di questo processo assume importanza la consapevolezza, per le organizzazioni culturali, della consistenza e rilevanza del proprio capitale in-tellettuale. Ogni organizzazione attiva all’interno del sistema culturale, crea-tivo e anche sociale, date le profonde analogie di finalità e assetti, condensa il proprio senso dell’agire su tre gambe. Quella principale è data dalla missione (lo scopo primario della propria esistenza), dalla visione (la prospettiva come prefigurazione del futuro) e il sistema valoriale (della stessa organizzazione e delle persone che la popolano), tre elementi che delineano il profilo strategico. Accanto vi è la seconda gamba costituita dall’anima che si traduce nelle com-petenze distintive e nell’originalità, dando luogo alla singolarità e all’identità. La terza gamba è il capitale, che generalmente si presenta più debole come consistenza se parliamo di quello finanziario (motivo per cui il mondo cul-turale, e il Terzo Settore in generale, anche per le forme giuridiche in uso, è strutturalmente sottocapitalizzato in termini economico finanziari).

Ma il vero, potente, indiscutibile capitale di cui dispongono è certamente quel-lo intellettuale. Esso si ramifica in quattro articolazioni. C’è in primis il capitale umano, vale a dire le persone, con la ricchezza della motivazione, delle com-petenze (capacità, conoscenze, abilità, attitudini), dei valori individuali. Poi c’è il capitale strutturale, che è formato da beni materiali e immateriali, dalla cultura organizzativa interna, dalla storia aziendale, dai meccanismi operativi (incluse politiche e procedure). Segue il capitale creativo, che consiste nella linea (culturale, artistica, politica) infusa all’organizzazione, nella stratigrafia delle esperienze e anche nella conoscenza dei mercati di riferimento. Infine, vi è il capitale relazionale, formato dalla trama di relazioni e dai network di appartenenza, ma anche dalla reputazione e dalla credibilità. In un contesto sfuggente, contraddittorio, il primo imperativo è rafforzare e incrementare il capitale intellettuale, sapendolo rapportare a una realtà in perenne divenire. La complessità è paragonabile a un groviglio, una matassa in cui è facile restare imbrigliati. Solo decidendo di esplorarla, sfruttando così le opportunità che possono crearsi, c’è spazio vitale e performante e per fare questo serve interve-nire proprio sulle competenze, rinvigorendo così il capitale intellettuale, ma

61 60

consolidando in questo modo pure le altre “gambe”.

Le prime competenze su cui intervenire sono quelle cognitive.

Le organizzazioni culturali e sociali, le persone in primis che ne fanno parte, devono imparare a leggere meglio il “dentro” e il “fuori” del contesto in tutte le sue declinazioni (umane, sociali, economiche, culturali, tecnologiche). Osservare e non solo vedere, rilevare ciò che emerge, i segnali deboli, i fab-bisogni latenti e inespressi. Sulla scorta di quanto appreso, utilizzare il senso critico per fare analisi, formulare congetture e costruire ipotesi di scenari (per-corribili, desiderabili) sulla base delle quali prospettare delle possibili linee d’intervento. Le competenze cognitive si rinforzano inoltre attraverso la valu-tazione delle esperienze vissute come lezioni apprese.

Le competenze strategiche sono ugualmente fondamentali da sviluppare per superare il consueto atteggiamento del settore culturale di privilegiare il com-portamento tattico.

Acquisire una mentalità strategica vuole dire in primo luogo possedere o ela-borare una visione di medio/lungo periodo come cinghia di trasmissione per definire uno o più traguardi finali.

In secondo luogo, è necessario mettere a frutto le competenze cognitive come strumento a monte per alimentare la direzione strategica che ha senso se col-locata in una comprensione accurata del contesto (ambiente) in cui si opera. Definire prospettive multiformi rispetto ai propri spazi di manovra è deter-minante per individuare quali traiettorie privilegiare. Imparare a stabilire obiettivi concreti e realistici, seppure sfidanti, a cui collegare piani di azione (che vuole dire lavorare per obiettivi) è fondamentale, considerando che la complessità richiede oggi obiettivi aperti a risultati che possono evolversi e che non necessariamente siano troppi. Pianificare in un’epoca complessa significa anche non essere troppo fiscali, centrati sul processo, e considerare che ogni piano o programma deve essere abbastanza duttile da poter essere rimesso in discussione senza perdere di vista la meta. Questo comporta la capacità di valutare opzioni diverse e alternative, adottando decisioni ponderate e rivisi-tando gli indirizzi assunti senza eccessiva caparbietà o delusione.

La componente strategica ha rilevanza anche rispetto alla sostenibilità finan-ziaria, per ampliare lo spettro delle possibilità di reperimento risorse econo-miche da fonti e forme diverse, investigando modalità inedite e attuando un

mix di fundraising che appare oggi la via maestra per garantire la sostenibilità del settore. All’interno delle competenze strategiche c’è anche la capacità di misurare e capitalizzare i risultati conseguiti, così come gli effetti prodotti

(ac-countability).

Le competenze relazionali, che alimentano il capitale relazionale, consistono

nel coltivare le relazioni come processo di friendraising, individuando conver-genze e complementarietà, valorizzando le differenti visioni, interessi, valo-ri, mentalità e diversità a partire dalla propria distintività. Diventa centrale lo stakeholder approach, dove la cura dei diversi soggetti (persone fisiche, enti, aziende e organismi) può risultare significativo per il successo dell’organizza-zione.

All’interno delle relazioni è basilare il rapporto con l’utenza, attraverso pro-cessi di conoscenza, di ascolto, di dialogo e di condivisione e partecipazione, che può sfociare nella co-progettazione di iniziative, progetti e processualità. Le competenze relazionali consolidate consentono di costruire alleanze e for-me collaborative liquide, anche episodiche e in termini di coopetition, fondate sui progetti e sul territorio con la sua comunità, avendo il senso del quotidiano e contezza dei limiti. In progetti evolutivi si può imparare a promuovere dove possibile una governance allargata a livello “micro” e “meso”, coinvolgendo an-che l’utenza. Lavorare sulle relazioni articolate e differenziate può far scattare il networking secondo un modello policentrico di relazioni orizzontali, multi-direzionali, multisettoriali e multilivello o multistrato (individuando queste compresenze).

Le competenze progettuali sono centrali all’interno del sistema culturale di cui rappresentano il baricentro, a condizione che siano all’interno di un dise-gno coerente e non come frutto di idee estemporanee. Oggi assume rilevanza la capacità di saper meticciare contenuti, forme, modalità di partecipazione, combinazioni di linguaggi, anche rivisitando idee e suggestioni, generando esperienze di qualità complessiva, capaci di garantire la piena accessibilità di tutti i tipi di utenza e l’attenzione alla sostenibilità ambientale. Serve rinfor-zare e miscelare le competenze soft della progettazione (ideazione, teamwork, valutazione, comunicazione) con quelle hard (pianificazione, controllo, ge-stione), sperimentando anche soluzioni nuove. Infine, diventa fondamentale sapere considerare le progettualità legate a nuove opportunità, come quelle dei bandi europei, non solo dedicati, e quelle attinenti ad altre opportunità, programmazioni e politiche pubblico-private.

Per ultime vanno sviluppate le competenze manageriali che consentono di rendere flessibile il funzionamento organizzativo, abilitare l’auto organizza-zione e i processi che derivano dall’autonomia e dalla partecipaorganizza-zione di tutti i membri della squadra. Ciò consentirà anche d’investire autenticamente sul capitale umano, sulle abilità e capacità distintive dei singoli ricondotte a una intelligenza organizzativa distribuita, collettiva, ascoltata. Giova esplorare la conoscenza attraverso la ricerca di buone pratiche (all’interno e all’esterno) e il benchmarking (the best in class) di altre esperienze fuori dell’organizzazione.

63 62

Sapendo condividere tutto questo, sapendo anche copiare se serve, ma in chiave del tutto nuova e originale. Bisogna imparare ad accettare i propri errori, saperli riconoscere, commentare e valutare, saperli non ripetere, considerandoli occasioni per fare esperienza e per acquisire una saggezza manageriale e una capacità di rinnovamento costante.

Infine, è importante aggiornarsi in modo continuo e approfondito su aspetti giuridici, amministrativi, fiscali, nonché sulle nuove tecnologie e media, perché la complessità pone continuamente nuovi vincoli e nuove strumentazioni con cui confrontarsi.

Concludendo, la sfida vera delle organizzazioni culturali, sociali e creative consiste nell’essere nello spirito dei tempi che viviamo, non passivamente o subendo fenomeni e fatti in maniera inerte, ma con un protagonismo sociale e un pensiero lungo.

65 L’incontro di Melting Pro1 con l’audience development risale all’ottobre 2013,

quando all’European Cultural Forum, conferenza biennale organizzata a Bru-xelles dalla Commissione europea, si presentarono dei dati preoccupanti sulla partecipazione alle attività culturali europee e si invitò a porre l’attenzione sul concetto di “sviluppo del pubblico”.

La Commissione ci propose una definizione di audience development come di un processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione:

“Audience development is a strategic and interactive process of making the arts widely accessible by cultural organisations. It aims at engaging individuals and communities in fully experiencing, enjoying, participating in and valuing the arts. Its focus is on a two way exchange. Audience development integrates cultural, economic and social dimensions and refers to a space in which cultural organisations can act directly”.2

Le domande poste a Bruxelles erano: come possiamo fare in modo che le perso-ne tornino a vedere uno spettacolo e/o un festival, a visitare un museo e/o una mostra, a frequentare il teatro e/o l'Opera, e così via? Come possiamo coinvol-gere chi oggi non ci conosce e non ci frequenta? Come possiamo migliorare la qualità dell’esperienza di fruizione culturale?

Da allora audience development ed engagement sono entrati a far parte del nostro

LUDOVICA DE ANGELIS

IL PUBBLICO AL CENTRO