L’applicazione professionale della narrativa
DISAGIO SOCIALE E DISAGIO SOCIOLOGICO La cultura influisce anche sulle emozioni, non
sem-plicemente reprimendo quelle che non si adattano alla rappresentazione collettiva di quanto sia buono o leci-to, ma anche, come afferma Durkheim, creandole o as-sociandole all’evento sociale più appropriato: ad esem-pio, i riti sono fatti sociali che creano emozioni anche solo nominandole, pensiamo all’inno nazionale, spesso cantato sui balconi durante il lockdown, che può genera-re commozione nel momento in cui lo si ascolta.
Poiché la cultura non influisce solo sulla vita socia-le ma anche su parti significative di quella individuasocia-le, molti casi di disagio possono originarsi da disfunzioni nei sistemi culturali in due modi.
Parliamo di disagio sociale quando ci sono problemi nella sfera socio-strutturale, quindi tra attori sociali o fra essi ed istituzioni: questi eventi generano conflit-ti ed incomprensioni fra diversi modelli culturali, per esempio, si può leggere la violenza sulle donne non solo come un problema di aggressività incontrollata da parte degli uomini ma anche come rappresentazioni della realtà che orientano il comportamento maschile in quanto raffigurano le donne come inferiori o come oggetti di proprietà.
È indispensabile che ogni modello culturale sia effi-cace, cioè con una coerenza interna che permetta agli at-tori di usarlo nell’interpretazione e nell’interazione con il loro ambiente, diversamente non sarebbero in grado di capire cosa succede attorno a loro e si genera un disa-gio sociologico, perché c’è compromissione della capacità degli attori di interpretare la realtà esterna48.
48 M. Corsale, 2010, op. cit.
Per spiegare meglio la nascita del disagio sociologi-co, Bateson e Watzlawick hanno elaborato un sistema cognitivo usando i lavori di Whitehead e Russel, secon-do il quale la maggior parte dei fenomeni di disagio psi-chico è dovuta alla difficoltà di classificare le informa-zioni provenienti dalla vita quotidiana all’interno di un insieme coerente di categorie e legami logici.
Secondo Watzlawick bisogna distinguere tra una conoscenza degli oggetti, che consiste nelle informazio-ni forinformazio-nite dai sensi sulla realtà empirica attraverso atti linguistici che definiscono giudizi di primo livello (es.
“questo è un albero) e una conoscenza sugli oggetti, che è il risultato di un processo di astrazione mentale che permette di attribuire significato alla realtà empirica attraverso giudizi di secondo livello (es. quest’albero è una quercia).
I giudizi di secondo livello possono contenere giudi-zi di primo livello (es. quest’albero è fecondo), tuttavia esiste un terzo livello di conoscenza che riguarda giu-dizi il cui contenuto è diversificato e non si può stabi-lire se consistono in atti linguistici creatisi nella mente umana o se le narrazioni che li descrivono siano inter-pretazione di processi inconsci e non comunicabili lin-guisticamente.
Essendo molto differenti fra gli attori sociali, Wa-tzlawick non ne spiega il contenuto ma spiega che sono rappresentazioni del mondo, premesse esistenziali come insieme di assunti di natura metafisica che svolgono la funzione di cornice interpretativa dei fatti della vita quo-tidiana.
La conoscenza di terzo livello è di carattere culturale e può differire non solo fra individui ma anche fra
con-testi storico-sociali, così quando i discorsi che genera perdono di efficacia la realtà diventa assurda, gli indivi-dui non hanno più riferimenti e si origina un disagio.49 NARRARE E NARRARSI NELLA RELAZIONE D’AIUTO Assumendo i contenuti culturali sfumature diverse da soggetto a soggetto (non solo individuali ma anche collettivi come aziende ed organizzazioni, per le qua-li si deve considerare il doppio qua-livello della specificità della cultura dell’organizzazione e di quella di ciascun membro singolo al suo interno), i sociologi clinici sono particolarmente legati alla prassi della “storia di vita”.
Nella dimensione tra teoria e pratica, cercando nel-la renel-lazione d’aiuto di dare centralità agli utenti e so-stenerli nel loro percorso di responsabilizzazione per conoscere meglio se stessi e costruire progetti di vita significanti e premianti, bisogna abbandonare quel tipo di raccolta dati semi strutturata e modellata su un per-corso conoscitivo a favore di una maggiore libertà di narrazione da parte di essi.
Grazie alla narrative turn nella relazione d’aiuto di tipo professionale può realizzarsi un cambiamento di prospettiva in cui alla persona non viene lasciata solo la possibilità di “raccontare” la propria vita ma anche di “raccontarsi”, particolare attenzione viene prestata ad emozioni e sentimenti che esprimono anche le aspetta-tive e alla “crisi” che contiene la tensione di un conflitto da superare, la rottura di un equilibrio o un problema da risolvere.
Possiamo parlare di osservazione scientifica della
per-49 Ibidem
sonalità quando ci facciamo raccontare delle storie, le quali contengono dei feedback sotto forma di giudizi più o meno impliciti o espliciti rispetto a persone, compor-tamenti, problemi.
Durante la narrazione ci troviamo in un contesto di interazione sociale in cui si evidenziano i modelli cultu-rali che ispirano atteggiamenti e comportamenti di chi racconta così da poter costruire un profilo complessivo dell’individuo.50
Inoltre, quando qualcuno racconta anche solo un pez-zo della sua vita a qualcun altro, fa una ricostruzione parziale ritagliando gli eventi ritenuti soggettivamen-te rilevanti e metsoggettivamen-tendo in evidenza i modelli culturali che lo ispirano nel momento presente o che lo hanno ispirato in passato, e questo rende il materiale raccolto
“affidabile”.
Chi narra e chi ascolta costruiscono una storia nella storia della loro interazione, ci saranno così storie di-verse a seconda della “natura” del narratore e dell’a-scoltatore e si creerà un’interconnessione che renderà quel momento e quella storia unici: il qui e ora.
Se il sociologo clinico aiuta il suo interlocutore a prendere consapevolezza dei modelli culturali che han-no dato senso ai propri comportamenti lo mette in gra-do di leggere la cultura che egli condivide, prendengra-do in mano il proprio destino51.
50 Ibidem
51 M. Corsale, in M. Corsale, 2010, op. cit.
IL SOCIOLOGO CLINICO