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FEDERICA UCCI. L indagine. N arrativa. Da metodo di Ricerca a strumento di Lavoro

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FEDERICA UCCI

L’indagine

N arrativa

Da metodo

di R icerca

a strumento di L avoro

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Federica Ucci

L’INDAGINE NARRATIVA

Da metodo di ricerca a strumento di lavoro

Collana On the road n°7

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L’indagine narrativa

Da metodo di ricerca a strumento di lavoro

© 2021 Edizioni Homeless Book www.homelessbook.it

ISBN: 978-88-3276-168-9 (eBook)

Pubblicato a gennaio 2021

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Indice

PREMESSA 5 ALLE ORIGINI DELLA RICERCA QUALITATIVA 11

Il pensiero debole del postmodernismo 12

L’interdipendenza tra individuo e cultura nel costruttivismo 13 L’interazionismo e la connessione tra teoria e ricerca 14 Il linguaggio come referente simbolico nel contesto sociale 15 Verso una teorizzazione sociologica del comportamento umano 16

La ricerca qualitativa in Italia 18

La transizione da biografia a narrazione 21

LA NARRAZIONE

COME ESIGENZA VITALE DELL’UOMO 23

Costruire la realtà attraverso la narrazione 23 Narrazione come metafora che descrive l’esistenza umana 27

Narrare l’identità come mito personale 29

Utilità della narrazione per il sé contemporaneo 31 La narrazione come life-skill personale e professionale 33

LA RILEVANZA SOCIOLOGICA

DELL’APPROCCIO NARRATIVO 35

Una risorsa strategica per la sociologia clinica 35 Le storie di vita, comune denominatore per capirsi e per capire 37 Legittimare il valore del materiale narrativo 40

L’APPLICAZIONE PROFESSIONALE

DELLA NARRATIVA 43

La mission del sociologo clinico 43

Bisogni complessi in una realtà complessa 45

Alla base ci sono i modelli culturali 46

Disagio sociale e disagio sociologico 49

Narrare e narrarsi nella relazione d’aiuto 51 Il sociologo clinico come terapista sociale 53 Il colloquio narrativo dal punto di vista sociologico 53

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LA RELAZIONE D’AIUTO

SOCIOLOGICAMENTE ORIENTATA 55

La lettura del bisogno 56

L’incontro tra io-professionista ed altro-utente 58 L’utilità delle narrazioni per il gruppo di lavoro 59

LA “CON-RICERCA” SUL CAMPO

PER LA FORMAZIONE CONTINUA 63

Allenarsi alla competenza 63

Una prospettiva adultocentrica 65

Un percorso formativo e formatore 66

CONCLUSIONI 71 BIBLIOGRAFIA 79 L’AUTRICE 83

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Premessa

Questo elaborato nasce dall’esigenza di porre al cen- tro di una riflessione l’utilizzo del paradigma narrativo da parte del sociologo sul campo, in ottica di ricerca-a- zione, al fine di stimolare nella pratica professionale de- gli spunti per dei cambiamenti migliorativi.

L’esperienza è la più grande maestra nel proporre abilità, occasioni di crescita ed argomenti da approfon- dire, essere sociologi on the road vuol dire anche essere costantemente curiosi verso ciò che accade intorno a noi mentre svolgiamo il nostro lavoro ed essere pronti ad adattarci alle molteplici situazioni che lo scenario odier- no ci pone di fronte.

L’uomo è intimamente connesso con la sua cultura di appartenenza, egli può svilupparsi proprio grazie alla sua continua interazione con la società, costruendosi modelli simbolici per interiorizzare ed approfondire la sua conoscenza.

La narrazione è il veicolo per eccellenza della tra- smissione culturale, il principale strumento utilizzato dall’essere umano nella vita quotidiana per assegnare e trasmettere significati nella sua relazione con i suoi simili.

Preziosissima per l’individuo dal punto di vista per- sonale, intimo ed introspettivo, essa può essere una ri- sorsa addirittura eccellente dal punto di vista lavorativo.

L’approccio narrativo, infatti, è ampiamente utilizza- to nell’ambito della ricerca sociale, ma si presta molto bene anche ad entrare nella cassetta degli attrezzi degli operatori sociali impegnati sul campo.

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Ci troviamo ad affrontare un momento storico che, oltre a generare un caos esterno, ci provoca anche un grande caos interiore.

Siamo portati spesso a chiederci come si possa anco- ra avere fiducia nel futuro quando tutto sembra andare a rotoli.

La realtà, però, è influenzata dalle nostre idealizza- zioni e dalle nostre emozioni, se lasciamo che la rabbia, la paura e la frustrazione prendano il sopravvento, dia- mo loro il potere di offuscare la nostra visione oggettiva delle cose.

Come sostiene Umberto Eco, raccontare è come un

“gioco attraverso il quale si impara a dar senso alla im- mensità delle cose che sono accadute, accadono e acca- dranno nel mondo reale. (…)

La sua funzione terapeutica e la ragione per cui gli uomini, dall’inizio dell’umanità raccontano storie, è dare forma al disordine delle esperienze”.1

Per questo, lo strumento delle storie di vita è oggi più che mai un “asso nella manica” per imparare a ge- stire questo “virus dell’incertezza” che, in maniera silente ma ininterrotta, nel giro di qualche anno è giunto ad imporsi in maniera plateale con una nuova, grandissi- ma crisi sanitaria, ambientale ed economica.

Se prima ci si poteva illudere di non vedere che i tem- pi sono ormai cambiati, adesso non si può fare a meno di prendere atto che la normalità, come la ricordavamo, non tornerà più.

È addirittura necessario ridefinire il concetto di nor- malità, ma probabilmente lo si potrà fare man mano che

1 U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano 1994, p.

51 (in riferimento alla funzione dei miti).

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la metamorfosi è in corso, non possiamo agire sulle con- tingenze esterne ma possiamo agire su di noi e su ciò che creiamo, le nostre storie, ad esempio.

Vederne i meccanismi e le trame è difficile in quan- to narrare è un atto automatico, ma le storie sono uno strumento efficace per modificare le nostre traiettorie e migliorare la nostra vita, solo noi infatti abbiamo la chiave per il nostro benessere.

Da questo punto di vista il sociologo clinico può es- sere una figura strategica per la lettura del contesto, at- traverso la lente culturale, per riuscire a trovare metodi che possano migliorarlo, intervenendo sull’aspetto re- lazionale degli individui, al fine di accompagnarli verso una migliore elaborazione dei loro vissuti problematici.

Il mio obiettivo di approfondimento si è evoluto nel tempo, è partito dalla mia esperienza di operatrice ter- ritoriale di Telesoccorso e Teleassistenza, un servizio che pone l’ascolto alla base di tutte le altre competenze fino a giungere all’incontro, per motivi di ricerca, come Sociologa specialista in Organizzazione e Relazioni So- ciali, con alcuni colleghi proprio durante la prima fase di lockdown.

Dopo una ricerca qualitativa all’interno dell’ Asso- ciazione Sociologi Italiani sul vissuto delle persone du- rante l’esplosione della pandemia da covid-19, e l’avvio di uno sportello online di Counsenlig Sociolistico, il grup- po di ricerca ha dato vita, a novembre 2020, a “Kairos”, un’Associazione di Scienze Sociali e Umane2.

Sotto la guida e il coordinamento della dott.ssa Sonia Angelisi, questa realtà professionale si pone l’obiettivo

2 Home | KAIROS - Associazione di Scienze Sociali e Umane (jim- dosite.com)

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di mettersi al servizio della comunità in maniera uti- le, costruttiva e collaborativa in ottica multidisciplinare (oltre ai sociologi sono infatti presenti anche le figure dello psicologo, dell’assistente sociale, della criminolo- ga e dell’avvocato).

Il Counseling Sociolistico è nato dall’intuizione del- la dott.ssa Angelisi, la quale introduce la figura inno- vativa del counselor sociolistico, orientata al benessere dell’Altro attraverso una comprensione equilibrata dell’irrazionale.

Il Metodo Beyond, di cui si avvale, vuol dire lette- ralmente “andare oltre” le costruzioni sociali, gli inca- sellamenti disciplinari e le rigorosità scientifiche senza, però, abbandonarne le solide basi. È un modo per invi- tare scienze ufficiali e scienze alternative a dialogare tra loro per trarre vantaggio dalla cooperazione3.

Il Counseling Sociolistico è un innovativo metodo uni- ficato che prende in considerazione mente, corpo e spi- ritualità della persona basandosi su solide fondamenta sociologiche; per questo si può definire un counseling sociologico, ma non propriamente sociologico in quanto include la variabile olistica e si concentra sull’approccio bio-psico-sociale e, quindi, sulla comprensione dei fattori che proteggono la salute (fattori salutogenici)4.

Il Counseling sociolistico si pone come intervento di sociologia clinica, perciò nell’ ambito della definizio- ne dei suoi vari strumenti operativi, ho offerto il mio contributo cercando di approfondire quello narrativo,

3 S. Angelisi, Emozio-Nati. Viaggio verso l’isola che non c’è, Youcan- print, 2019

4 S. Angelisi, Manuale breve di counseling sociolistico, Teoria e Metodo Operativo, Youcanprint, 2020.

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condividendo con tutti i miei colleghi la volontà di impegnarsi per far sconfinare la sociologia dai settori prettamente accademici e applicarla concretamente alla pratica professionale.

Mettere qui a disposizione la mia ricerca è un ulterio- re passo verso questa direzione.

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Alle origini

della ricerca qualitativa

Le scienze umane, analogamente a quelle naturali, partono sempre dall’osservazione sistematica volta al rac- coglimento di informazioni le quali, opportunamente ordinate in categorie ed analizzate statisticamente ed analiticamente, vengono utilizzate per spiegare un de- terminato fenomeno concorrendo a comporre quella che Durkheim (1858-1917) chiamò morfologia sociale5.

Più tardi Weber (1864-1929) aggiunse a questa im- postazione di ricerca uno stadio di analisi di tipo com- prendente, rivolgendo la sua attenzione soprattutto al significato culturale del fatto sociale osservato e all’in- tenzione soggettiva come senso profondo che orienta l’azione degli attori che lo hanno prodotto. La respon- sabilità del ricercatore, allora, diventa raccogliere non asetticamente, ma sensibilmente, il vissuto individuale quale elemento sintomatico dell’aggregato presente, pas- sato e futuro6.

L’indagine narrativa nelle scienze umane è nata nel XX secolo e trova le sue radici nel postmodernismo, nel costruttivismo e nell’interazionismo simbolico.

Vedremo come, nel corso del tempo e con il suo uti- lizzo essa andrà modificandosi e definendosi.

5 E. Durkheim, La fisica dei costumi. Antologia di etica sociale, Angelo Signorelli, Roma, 1967.

6 V. Cesareo, Sociologia: teorie e problemi, Vita e Pensiero, Milano, 1996

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IL PENSIERO DEBOLE DEL POSTMODERNISMO Il postmodernismo è il movimento per il quale i principi organizzativi del mondo occidentale, ovvero razionalità, scienza, ideologia e istituzioni che caratte- rizzavano il pensiero ottocentesco si indeboliscono e il pensiero razionale viene sostituito con un pensiero de- bole, critico, dubitativo che si traduce in atteggiamenti culturali che perdono contatto con la realtà.

Massimo esponente è il filosofo francese J. F. Lyotard (1979) che descrive la modernità come caratterizzata dal progressivo tramonto delle grandi ideologie totaliz- zanti che pretendevano di spiegare la realtà attraverso modelli rigidi di razionalità legittimati scientificamen- te.Egli teorizza la fine del pensiero unico e “forte”, cioè certo e universale, in favore del pluralismo di “pensieri deboli”, dunque, per analizzare i saperi non si può pro- cedere in modo astratto ma è necessario analizzare an- che le società nelle quali essi prosperano.7

Il passaggio alla post-modernità si realizza, appunto, con l’esistenza e la co-esistenza di diversi modelli che possono funzionare a seconda del contesto in cui ven- gono applicati e qui il sapere narrativo può trovare una propria dimensione progettuale in quanto è in grado di abbracciare molte di quelle dimensioni relazionali e uma- ne che sfuggono ai rigidi parametri razionalistici.

Da ciò deriva anche la tendenza neopositivistica, per la quale il prodotto della narrazione supporta ed

7 J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, (2014), Feltrinelli, Milano.

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integra la ricerca quantitativa8, l’approccio biografico si sofferma sulla raccolta di informazioni oggettivabi- li, veicolate dal linguaggio, che permettano un’analisi congiunta e comparata di casi diversi così da inferire se e quanto essi rimandano al sociale.9

L’INTERDIPENDENZA TRA INDIVIDUO E CULTURA NEL COSTRUTTIVISMO

Anche nel costruttivismo, ispirato da Weber, la real- tà sociale non ha una struttura a priori ma è frutto della costruzione di senso e significato degli attori sociali al loro agire.

La comprensione del mondo avviene attraverso la costruzione di concetti e categorie che lo organizzano e vengono in parte adattate per renderli compatibili con quelli degli altri, attraverso la guida e la contempora- nea limitazione da parte degli strumenti culturali che si hanno a disposizione10.

Al suo interno, l’approccio della sociologia feno- menologica, elaborata dal sociologo tedesco Alfred Schütz fa partire l’analisi dell’esperienza quotidiana (mondo della vita) dall’azione sociale e dall’intersog- gettività che le dà significato11.

Uomo e mondo sociale sono in rapporto dialettico

8 P. Guidicini, Questionari Interviste Storie di vita. Come costruire gli strumenti, raccogliere le informazioni ed elaborare i dati, (1995), Franco Angeli, Milano.

9 E. Campelli, Il metodo e il suo contrario. Sul recupero della problematica del metodo in sociologia, (1998), Franco Angeli, Milano.

10 Bruner J., La ricerca del significato, (1992), Bollati Boringhieri, To- rino.

11 A. Schutz, La fenomenologia del mondo sociale, (2018), Meltemi, Roma.

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per cui la conoscenza del mondo è filtrata dalla prospet- tiva umana ma altresì la influenza a livello individuale o collettivo: l’ambiente modella l’individuo che a sua volta modella il suo ambiente.

Secondo questa tendenza, il linguaggio non è un semplice medium attraverso cui conservare e trasmet- tere esperienze, ma è cruciale nell’interpretazione e modificazione della realtà, coinvolge l’individuo, la sua identità e il suo bagaglio culturale e sociale.12

L’approccio narrativo, in questa prospettiva, per- mette di osservare come gli esseri umani raccontano e danno senso alla loro esperienza.

L’INTERAZIONISMO E LA CONNESSIONE TRA TEORIA E RICERCA

L’interazionismo simbolico nasce grazie alle radici teoriche elaborate da Herbert Blumer, allievo di G. H.

Mead, e si sviluppa come corrente teorica tra gli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo, in contrapposizione al funzio- nalismo e con un interesse alla soggettività come fonte di significati che, attraverso l’interazione, determinano un sistema di valori relativi riconosciuti dai partecipanti di quella stessa interazione.

In particolare, questo è stato un periodo molto favo- revole per l’introduzione e la diffusione di metodologie qualitative come le storie di vita, l’osservazione parte- cipante, lo studio dei documenti, l’analisi ecologica ed etnografica, lo studio delle culture organizzative e la ricerca-azione.

12 A. Melucci, (a cura di), Verso una sociologia riflessiva. Ricerca quali- tativa e cultura, (1998), Franco Angeli, Milano.

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Quegli anni, infatti, sono stati importanti per la con- nessione tra teoria e ricerca empirica attraverso le prime esperienze degli studi di comunità13, che hanno usato l’approccio più vicino a quello etnografico di deriva- zione antropologica, nel quale il ricercatore, di fatto, si appresta a vivere per un certo periodo di tempo all’in- terno di piccole realtà territorialmente localizzate, per studiarne tutti i microcosmi sociali dotati di un universo culturale chiuso che investe tutti gli aspetti della vita comunitaria.

Secondo l’interazionismo simbolico, la condotta umana non è determinata dalla semplice reazione agli stimoli esterni ma dall’interazione tra esseri umani e dalla loro capacità di interpretazione e simbolizzazione.

IL LINGUAGGIO COME REFERENTE SIMBOLICO NEL CONTESTO SOCIALE

Per George Herbert Mead, il comportamento umano è la somma delle reazioni degli esseri viventi ai rispet- tivi ambienti e agli oggetti (quali costruzioni umane oggettive o astratte) che all’interno di essi hanno signi- ficato.

Per comprendere il comportamento individuale è necessario fare riferimento ai comportamenti organizzati del gruppo sociale.

La mente e il Sé non sono precostituiti ma sono il ri- sultato di un processo comune ed il linguaggio, inteso come referente simbolico, ne permette lo sviluppo.

13 Franco Ferrarotti, “Osservazioni preliminari sul ritorno della so- ciologia in Italia nel secondo dopoguerra”, in Per una storia della sociologia in Italia: gli anni ‘50 e il Mezzogiorno (a cura di Francesco Costantini), (1993), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.

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Il mondo dei significati emerge nel contesto sociale della interazione e la sua espressione in azione richiede un colloquio interiore finalizzato all’assunzione del ruolo dell’altro.

Il processo di auto-interazione permette all’indivi- duo di percepirsi, di comunicare con sé stesso a livel- lo interiore, di giudicare le sue azioni e di regolare la propria condotta in base alla risposta che egli si attende dall’altro14.

L’individuo recepisce e interiorizza gli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti e rivede sé stesso nel modo in cui reputa che gli altri lo vedano, fino a definire il proprio comportamento in relazione a ciò che crede che gli altri percepiscano di lui.

È il gruppo il contesto nel quale si definisce il Sé del singolo in base all’interpretazione costante dell’azione altrui e alla riorganizzazione dei propri sentimenti ed atteggiamenti, esso rinforza e ridefinisce i modelli di condotta attraverso la creazione di nuovi oggetti, com- portamenti e relazioni.

VERSO UNA TEORIZZAZIONE SOCIOLOGICA DEL COMPORTAMENTO UMANO

La società è, quindi, un insieme di persone che inte- ragiscono rispetto alle loro condizioni esistenziali.

Blumer utilizzò per primo la definizione di “intera- zionismo simbolico” dando vita ad un filone teorico che si sviluppò all’interno della scuola di Chicago, la cui par- ticolarità fu l’applicazione di una metodologia di ricer- ca di tipo qualitativo ed interpretativo.

14 G. H. Mead, Mente, Sé e Società, (1966), Giunti-Barbera, Firenze.

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Influenzato dalle ricerche dei sociologi R. E. Park e W. I. Thomas, giunse a una teorizzazione più sociologi- ca del comportamento umano, interpretato attraverso azioni di ricerca calate nel contesto sociale e osservanti l’interazione umana come sostanziale interpretazione di significati e definizioni delle singole realtà.

Sulla scia dello studio sui contadini polacchi immi- grati negli USA condotto da W. I. Thomas e F. Znaniecki, teorizzerà, poi, che gli individui agiscono rispetto al mondo e al Sé partendo non da cultura (consuetudini, tradizioni, norme e valori) e struttura sociale (posizione sociale, status, ruolo, autorità prestigio) date, ma dalle definizioni che essi danno alle situazioni: cultura e strut- tura sociale dipendono quindi da quello che gli indivi- dui fanno nell’agire reciproco.

Grazie a Thomas emergerà l’aspetto conflittuale dell’ambiente che porta l’individuo a ridefinire costan- temente il proprio Sé già sviluppato per tutto l’arco della sua vita attraverso le interazioni simboliche che si verificano nel contesto sociale.

La definizione della situazione15 è determinata da atteg- giamenti e cultura dei gruppi sociali in cui gli individui interagiscono ed interpretano le situazioni16.

In tutti questi approcci sono presenti dimensioni in- dividuali e collettive degli eventi, essi si accostano alla

15 Dal “Teorema di Thomas”: (Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze), coniato dal sociologo nel 1928. Per esplicitare la capacità dei gruppi di “rendere reali” le situazioni sociali che reputano tali mediante un comportamento che si adegui a quel- le situazioni. – Fonte: Wikipedia

16 C. Galavotti, Approccio narrativo e servizio sociale. Raccontare di Sé e raccontare dell’Altro. La metodologia narrativa come strumento per l’Assistente Sociale, (2020), Maggioli Editore, Rimini.

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prospettiva del “corso di vita”, utile per leggere le connes- sioni tra il mutamento che si produce a livello micro, nel- le singole biografie e le trasformazioni che si generano a livello macro, nelle dimensioni sociali ed istituzionali.

Nel quotidiano, luogo privilegiato del racconto di vita, non si afferma il primato del contesto sociale sulla soggettività dell’individuo o, viceversa, dell’attore so- ciale sui meccanismi di funzionamento della struttura, ma i due elementi si intrecciano e interagiscono in con- tinui rimandi.

La dimensione temporale, intrinseca nell’atto della narrazione, diventa centrale: in questo sono implicite, da un lato, l’idea di identità individuale e collettiva co- stituite come tempo individuale, tempo delle genera- zioni e tempo storico e, dall’altro, l’ipotesi che l’identità individuale si costituisca attraverso relazioni sociali si- gnificative con altri soggetti in cui l’individuo si rico- nosce e si specchia e con i quali condivide esperienze e appartenenze.

LA RICERCA QUALITATIVA IN ITALIA

La riscoperta della ricerca qualitativa in Italia è avve- nuta negli anni Ottanta, inizialmente con una valorizza- zione e successivamente con il consolidamento dei suoi metodi empirici nella sociologia contemporanea.

Le storie di vita come strumento d’indagine e le tecni- che di ascolto, le testimonianze orali, le interviste focaliz- zate, le biografie e le autobiografie, stimolavano delle in- dagini sociali partendo dal contesto e dal tessuto sociale.

La componente narrativa fondava non soltanto l’ap- proccio empirico ma era un contributo fondamentale al metodo della partecipazione dal basso: valorizzare il vissu-

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to e le esperienze degli individui per innescare dei pro- cessi orizzontali di partecipazione.

Da noi è stato Duccio Demetrio ad approfondire l’interesse per la relazione diretta con la persona, la ri- costruzione della storia di vita e la relativa narrazione che permette di entrare in contatto con i significati che la persona le attribuisce, sollecitandola alla riflessione e alla consapevolezza attraverso la costruzione e ricostruzione della propria storia di vita17.

L’approccio biografico, per quanto non possa riven- dicare un’autonomia metodologica, costituisce una stra- tegia di ricerca specifica per gli obiettivi cognitivi che si pone e per il materiale empirico di cui si avvale.

Come ricerca consiste in una serie di tecniche volte alla raccolta e all’analisi di racconti riferiti a segmenti di vita o all’intera esistenza, scritti o orali, sollecitati o auto- prodotti, di soggetti rappresentativi di una certa realtà o significativi proprio per la particolarità del loro percorso esistenziale, accomunati dalla condivisione di un tratto (povertà, homeless, essere disoccupati, ecc..) o di un’espe- rienza (isolamento sociale, emergenza sanitaria, eccete- ra).La prospettiva del corso di vita prende dunque in considerazione sia le traiettorie e le transizioni individua- li – come il passaggio da un’età all’altra o da un ruolo all’altro – sia le relazioni e le appartenenze – come il gruppo dei pari o la famiglia.

Le tecniche di raccolta dei dati biografici si caratte- rizzano generalmente per una considerevole apertura dello strumento di ricerca che consente di dare spazio

17 D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, (1996), Raf- faello Cortina Editore, Milano.

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al ricordo spontaneo, tuttavia sono possibili gradi di- versi di strutturazione del processo di stimolo e selezio- ne dei dati.

Per la ricostruzione delle storie di vita può essere uti- lizzata tanto l’analisi documentale quanto l’intervista, in particolare, quella in profondità non strutturata rap- presenta uno degli strumenti privilegiati dagli studiosi che utilizzano l’approccio biografico.

Seguendo tale metodologia, il ricercatore fornirà al- cuni input per stimolare l’intervistato a parlare delle proprie esperienze e ricordi, lasciandolo libero di segui- re il flusso dei suoi pensieri e di introdurre temi che poi saranno rilevanti ai fini della ricerca.

Per limitare il rischio che chi racconta sconfini in am- biti di scarso interesse, l’intervistatore può strutturare parzialmente le interviste inserendo alcuni vincoli, quali:

• vincoli temporali: fornendo all’intervistato delle indicazioni di ordine temporale che individuano l’inizio, la fine e le tappe principali della narrazio- ne della storia di vita;

• vincoli tematici: delimitando il racconto a delle tematiche ritenute di particolare interesse;

• vincoli per punti codificati: concentrando il rac- conto su determinati aspetti considerati impor- tanti.

L’introduzione di tali vincoli consente di dirigere l’attenzione di intervistato e intervistatore pur preser- vando uno schema aperto di raccolta dei dati nel quale il racconto spontaneo è tendenzialmente privilegiato.18

18 F.P. Arcuri, F. Arcuri, Manuale di Sociologia, Teorie e strumenti per la ricerca sociale, (2010) Springer, Fondazione Santa Lucia, IRCCS, Roma.

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LA TRANSIZIONE

DA BIOGRAFIA A NARRAZIONE

Intorno alla metà degli anni ’90, all’interno della me- todologia qualitativa si genera una svolta narrativa, o narrative turn” in un contesto in cui narratività e storytel- ling, caratterizzanti il campo della critica letteraria pri- ma e quello della storia poi già negli anni ’60, assumono posizione centrale arrivando a coinvolgere anche am- biti tradizionalmente a-narrativi, come la politica o il marketing (Calabrese, 2009)19.

Anche nel campo delle neuroscienze, della biologia e della psicologia il processo di comprensione del mondo attraverso la narrazione inizia ad essere riconosciuto in quanto tale e non solo come un mezzo espressivo e co- municativo.

Questo ha portato al progressivo abbandono dell’i- dea dell’essere umano pienamente razionale e logico mettendo in rilievo l’utilità dello storytelling come stru- mento di comprensione della soggettività e propulsore verso l’interesse per l’analisi delle storie individuali sia nel loro contenuto che nel modo in cui vengono raccon- tate.

Rispetto all’approccio biografico degli anni prece- denti, il paradigma narrativo si concentra non solo su- gli eventi presenti nella biografia ma anche a come sono vissuti, ai significati che l’individuo attribuisce loro e non utilizza più tecniche di indagine di tipo strutturato o semi-strutturato, ma usa il racconto aperto e libero da parte del soggetto.

19 S. Calabrese, Neuro-narratologia. Il futuro dell’analisi del racconto”, (2009), Archetipolibri, Bologna, 2009.

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Possiamo dire che mentre l’approccio biografico è storico ricostruttivo e descrittivo, quello narrativo è si- tuato nel qui e ora ed è di tipo interpretativo diagnosti- co20.

Il professionista che utilizza questa risorsa in ambito di ricerca o in quello lavorativo deve ascoltare lascian- dosi guidare dalla narrazione e poi reinterpretarla par- tendo dal senso profondo associato dall’individuo agli eventi della propria vita che emergono dal racconto.

La narrative turn ha rappresentato un importante cambiamento per le scienze sociali e per le professio- ni che si occupano di relazione d’aiuto in quanto solo attraverso l’esplorazione dei vissuti interiori, dei sen- timenti, delle emozioni e del sistema di attribuzione di significato agli eventi è possibile risalire alle dinamiche personali profonde che si celano dietro l’agire umano e, in questo modo, realizzare interventi assistenziali e di cura personalizzati e specifici per il soggetto.

20 C. Gavalotti, op. cit.

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La narrazione

come esigenza vitale dell’uomo

Vediamo ora come il narrare e il narrarsi siano stret- tamente collegati all’individuo, sia nella sua dimensio- ne micro e strettamente intimistica, a partire dall’in- fanzia, sia nella sua dimensione macro di relazione ed inserimento in un contesto sociale più ampio.

COSTRUIRE LA REALTÀ

ATTRAVERSO LA NARRAZIONE

Secondo lo psicologo cognitivista Jerome Bruner, la narrazione è uno dei meccanismi psicologici più impor- tanti dell’uomo per organizzare la propria esperienza e i ricordi degli eventi passati.

È un dispositivo conoscitivo e interpretativo che serve per costruire la realtà: raccontando, infatti, l’individuo attribuisce senso e significato ai suoi vissuti in relazio- ne a quanto è convenzionalmente accettato nel proprio contesto socio-culturale di appartenenza, e in questo modo orienta il suo agire.

L’atto del narrare si basa su una forma di pensiero narrativo, che si distingue da quello logico ma allo stes- so tempo ne è complementare ai fini dell’organizzazio- ne dell’esperienza.

Mentre il pensiero paradigmatico, scientifico e lo- gico si basa su concettualizzazione e categorizzazione ed è orientato alla verità scientifica, il pensiero narrativo riguarda le storie di vita ed è caratterizzato da soggetti- vità e “verosimiglianza”.

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L’uomo accede alla conoscenza della realtà attraver- so processi di codifica, simbolizzazione e “categoriz- zazione”, approccio che Bruner definisce tipicamente umano21.

Le categorie in termini dei quali l’uomo sceglie e re- agisce al mondo che lo circonda, riflettono profonda- mente la cultura in cui è nato.

Il linguaggio, il modo di vivere, la religione e la scienza di un popolo, tutto ciò plasma il modo in cui un uomo ha esperienza degli eventi che formano la sua storia personale.

In questo senso, la sua storia personale finisce per riflettere la tradizione ed i modi di pensare della sua cultura, poiché gli eventi che costituiscono quella storia sono filtrati da sistemi categoriali che egli ha appresi22.

Inoltre, attraverso la categorizzazione, l’uomo riesce ad adattarsi al suo ambiente riducendone la comples- sità, per lo più, quando categorizziamo, cerchiamo di raggiungere quei segni definitori, che siano i più sicuri ed i più rapidi possibili per l’identificazione di un even- to. Al livello delle più strette necessità, questo è essen- ziale alla vita23.

Mediante categorizzazione, l’individuo si aiuta a chiarire le ambiguità attraverso il pensiero propositivo o paradigmatico (ovvero logico-scientifico), mentre col pensiero narrativo organizza e gestisce la sua conoscen- za del mondo, strutturando la sua stessa esperienza nell’immediato.

21 J. Bruner, Il pensiero. Strategie e categorie, (1969), Armando, Roma.

22 Ibidem, pagg. 29-29 23 Ibidem, pag. 33

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La modalità paradigmatica è più recente, mentre quel- la narrativa è così antica da far pensare che sia alla base del linguaggio naturale.

Se il pensiero paradigmatico (che, invece, sarebbe alla base del linguaggio matematico) tende a trascendere il particolare per conseguire un grado di astrazione più ele- vato, quello narrativo è teso a situare l’esperienza nel tem- po e nello spazio24.

È dunque evidente come l’organizzazione dell’espe- rienza in forma narrativa sia un’attitudine umana essenziale

“per la coesione di una cultura come per la strutturazione di una vita individuale” 25, funzione che, come vedremo nei prossimi capitoli, viene svolta anche sul campo, dal- la supervisione professionale, quando attraverso la nar- razione del caso, si condividono l’agito professionale e l’emozione esperita e ma anche una certa apertura alla possibilità sia nel costruire scenari diversi, sia nel condi- videre cultura di autoformazione.

Attraverso il racconto si procede anche alla creazione narrativa del Sé, è soprattutto attraverso le nostre narrazio- ni che costruiamo una versione di noi stessi nel mondo, ed è attraverso la sua narrativa che una cultura fornisce ai suoi membri modelli di identità e di capacità di azione.26

Questa creazione narrativa del Sé è dimensione es- senziale di costruzione della identità soggettiva e insie- me di apertura e confronto costante con l’Altro da Sé27,

24 J.S. Bruner, La mente a più dimensioni, (1993), Laterza, Roma-Bari.

25 J.S. Bruner, “The Narrative Construction of Reality”, Critical Inqui- ry, vol. 18, no.1, The University of Chicago Press,1991.

26 J.S. Bruner, La cultura dell’educazione, (2002), Feltrinelli, Milano, pag. 12.

27 Bruner, J.S. (1997). “A narrative model of self construction”, in J.

(27)

dove l’Altro nel Servizio Sociale è oggetto di lavoro ma soprattutto soggetto nell’interazione data dalla relazione d’aiuto.

Per Bruner, il pensiero narrativo è caratterizzato dal fatto che gli eventi nel racconto possono non seguire lo scorrere del tempo lineare ma susseguirsi a seconda del senso che il narratore gli dà.

Il tempo, nella narrazione, è dato dalla significatività che viene associata agli eventi all’interno di una cornice cronologica più ampia.

Inoltre, le azioni intenzionali sono influenzate da ra- gioni che condizionano lo svolgimento dei fatti oltre la casualità e le vicende umane sono filtrate attraverso delle cornici di interpretazione implicite che inevitabilmente con- dizionano la capacità umana di conoscere e decodificare il mondo circostante.

L’interpretazione, poi, varia senza sosta e la sua am- biguità fisiologica non sempre permette di stabilire uno scenario realmente oggettivo, all’interno del quale ogni storia di vita si intreccia con altre storie di vita, ogni even- to come “punto di svolta” può essere causa di altri eventi, perciò è costantemente in opera una negoziabilità ineren- te a garantire la compresenza e la tollerabilità di più storie contemporaneamente.

Queste caratteristiche inducono a credere che il pen- siero narrativo non possa veicolare la verità dei fatti, non sia in grado di oggettivare la realtà degli eventi come il pensiero logico razionale.

Sarà davvero così?

G. Snodgrass & R.L. Thompson (Eds.), The self across psychology: Self-Recog- nition, self-awareness, and the self-concept., Annals of the New York Accade- my of sciences, 818 (pp. 145-161).

(28)

NARRAZIONE COME METAFORA CHE DESCRIVE L’ESISTENZA UMANA

Il sociologo Walter R. Fisher (1987) ha proposto come metafora per descrivere la natura essenziale umana, quella di homo narrans.

L’uomo è la sua life story, costruita sulla base della

“memoria autobiografica” (autobiographical memory), un particolare tipo di memoria in cui sono immagazzinate esperienze specifiche, avvenute in un tempo e in uno spazio ben precisi ed accompagnate da emozioni.

Questa storia è disseminata di capitoli in cui le vicen- de esistenziali si modificano, evolvono o si estinguono.

Nel raccontare la sua storia, l’uomo seleziona deter- minati nuclear episodes (Mc Adams, 1988), vissuti rite- nuti importanti, cruciali e gli attribuisce un significato proprio, unico e personale dando senso alla propria esperienza soggettiva e alla propria vita28 nel “qui e ora” narrativo.

Contemporaneamente, questi episodi di vita parti- colarmente significativi permettono di reinterpretare il passato con una capacità immaginativa di direzionali- tà verso il futuro,29 coerenza e compattezza della per- sonalità umana possono, dunque, essere rintracciabili nei copioni di vita all’interno di ciascuna storia indivi- duale30.

28 W. R. Fisher, Human Communication as Narration: Toward a Philos- ophy of Reason, Value and Action, Columbia: University of South Carolina Press, 1987.

29 D. P. Mc Adams McAdams, Power, intimacy, and the life story. Per- sonological inquiries into identity, (1988) Guilford Press, New York (USA).

30 D.P. Mc Adams, “The role of narrative in personality psychology today”, in Narrative Inquiry, (2006), 16, 1:11-18.

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L’essere umano quotidianamente sperimenta moltis- sime esperienze ma solo alcuni ricordi (memories) vengo- no incorporati all’interno delle storie di vita, nei nuclear episodes ci sarebbero quelle “lezioni” che orientano i com- portamenti del soggetto (Pillemer, 2001)31.

Allo stesso tempo, chi riceve la storia la interpreta e ri- elabora in termini propri, in relazione ai propri significa- ti, al proprio modo di pensare e alle proprie conoscenze.

La narrazione di storie è anche lo strumento con cui gli individui e i gruppi sociali formano la propria identità culturale e sociale, tramandandola di generazione in gene- razione; l’innata esigenza di raccontarsi da parte dell’uo- mo è oggi ancora più evidente ad esempio nel mondo virtuale, dove attraverso le webcam è possibile condivi- dere la propria dimensione privata su qualsiasi tipo di social e in qualunque momento della giornata.

McAdams (1988) col suo life story model of identity con- sidera le storie di vita come costruzioni psicosociali crea- te sia dal soggetto che dal suo contesto socio-culturale di appartenenza riflettendo così valori e norme culturali del contesto in cui sono inserite, inclusi gli ideali su temati- che di genere, razza e classe sociale.

Il modello di identità basato sulla storia di vita indi- viduale vede la narrativa come un aspetto cruciale nella vita dell’ uomo, tanto che Brian Schiff (2012) la definisce come la metafora per comprendere l’esistenza umana, poiché quando racconta la propria storia, ogni persona indica dei fatti soggettivi della propria esperienza e comunica i propri sentimenti e la trama della propria esistenza32.

31 D. B. Pillemer, “Momentus events and the life story”, in Review of General Psychology, (2001), 5, 2.

32 B. Schiff, “The Function of Narrative: Toward a Narrative Psy-

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In questa prospettiva l’approccio narratologico ha l’obiettivo di capire come il soggetto dà significato a Sé, alle proprie azioni e alla propria vita tenendo conto del contesto sociale in cui è inserito e della sua unicità33. NARRARE L’IDENTITÀ COME MITO PERSONALE

Già nella prima infanzia l’individuo è in grado di raccontare storie partendo dai ricordi autobiografici, se- condo McAdams la stesura di un racconto è un mezzo per sviluppare e mantenere il senso di identità, perciò attraverso il modo di raccontarci possiamo conoscere il tipo di identità che ci siamo costruiti. L’identità è la storia di vita individuale, un mito personale sul quale si comincia a lavorare davvero nella tarda adolescenza e nei primi tempi dell’età adulta, per fornire alla propria vita un senso di unità e un obiettivo per costruire una nicchia significativa nel mondo psicosociale34.

In questo periodo di vita si sviluppa un processo di autoriflessione sul proprio passato chiamato autobio- graphical reasoning35 (Habermas e Bluck, 2000), esso permette di creare connessioni tra esperienze passate e le caratteristiche attuali del Sé e di associare, quindi, passato e presente.

A questa capacità di costruire una narrazione con una coerenza biografica globale sono legate altre quat-

chology of Meaning”, in Narrative Works: Issues, Investigation, & Interven- tions, (2012), 2, 1: 33-47.

33 C. Galavotti, 2020, op. cit.

34 D. P. McAdams, Stories We Live by: Personal Myths and the Making of the Self, (1997), Guilford Press, New York.

35 Habermas T, Bluck S., (2000), “Getting a life: The development of the life story in adolescence”, in Psychological Bulletin, 126, 748-769.

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tro abilità cognitive:

1. la temporal coherence, che coincide con il saper col- locare gli eventi secondo un certo ordine tempo- rale;

2. la causal coherence, cioè il saper vedere i nessi cau- sali tra gli eventi passati e come questi hanno in- fluenzato le proprie esperienze;

3. la thematic coherence, ovvero la capacità di indivi- duare le tematiche dominanti o simili all’interno della propria storia;

4. la cultural coherence, che rappresenta la capacità di saper riconoscere la cornice culturale di riferi- mento che definisce come una storia di vita ci si aspetta che sia.

Dal punto di vista evolutivo, i bambini non sono in grado di costruire una storia autobiografica, alla richie- sta di raccontare la propria vita, tendono a fornire una serie di eventi, più o meno scollegati tra loro.

Solo i preadolescenti riescono a costruire una vita temporalmente coerente, anche con l’aiuto della com- prensione del tempo del calendario e di un concetto culturale di biografia.

Nella media adolescenza si incomincia a creare una coerenza causale-motivazionale e tematica, che aumen- ta fino all’età del giovane adulto36 (Habermas 2007).

36 T. Habermas, “How to tell a life: The development of the cultural concept of biography across the lifespan”, in (2007) Journal of Cognition and Development.

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UTILITÀ DELLA NARRAZIONE PER IL SÉ CONTEMPORANEO

Demetrio afferma che il pensiero autobiografico de- riva da un particolare bisogno che emerge a un certo punto della propria vita, che spinge l’individuo a rac- contarsi in modo diverso dal solito per “sentire” che ha vissuto e sta ancora vivendo.

La narrazione non sempre è ordinata e coerente, può anche non essere del tutto vera ma è comunque una te- stimonianza dell’essere nel qui ed ora di chi racconta.

Il “vivere” contemporaneo è caratterizzato da una frammentazione dispersiva, da un’incertezza che troppo spesso crea disagio nel trovare una coerenza unitaria nelle proprie esperienze, pensiamo ad esempio alla si- tuazione attuale, nella quale molti individui si trova- no a fronteggiare timori legati alla perdita del lavoro, alla sospensione di progetti, all’interagire in sicurezza e tranquillità con i propri simili.

Il Sé contemporaneo tende a distribuirsi in tanti sé diversi, in contraddizione o persino in opposizione fra loro, diventa sempre più frequente sperimentare la ne- cessità di rimettere a posto, ancora una volta, le tesse- re del puzzle della propria storia, venire a patti con sé stessi e ridefinire la propria identità ed è allora che rac- contarsi è fondamentale per dare un senso alla propria vita.

In questo contesto emerge la funzione fondamentale dell’Io tessitore, che in qualche modo prevale su tutti gli altri, come “mediatore” collega e sutura le parti discon- nesse, riconoscendo legittimità a tutte, come una sorta di autoterapia per ripercorrere il passato ed aprirsi al cambiamento.

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L’Io tessitore crea molte versioni delle storie di vita attraverso tre momenti: 1) la retrospezione con cui si ricorda il passato; 2) l’interpretazione, concentrata sul presente; 3) la creazione di vicende e personaggi che sono altro da noi.

Secondo Demetrio, infatti, quando l’individuo co- struisce la propria autobiografia è come se guardasse la vita dall’esterno, creando un altro Io staccato da sé per risignificare in maniera nuova i propri vissuti e ri- conciliarsi anche col proprio passato nel caso di espe- rienze traumatiche, accettandolo e ripartendo da esso per affrontare presente e futuro37.

Nella narrazione su di Sé, l’individuo ricorre a un copione convenzionale che gli permette di normaliz- zarsi, ovvero percepirsi come facente parte di un dato contesto sociale e culturale.

Per rendere “sua” la storia, inserisce poi degli even- ti critici o eccezionali che, trasgredendo quella nor- malità, sono percepiti come fondanti l’“unicità” di chi racconta.

I personaggi coinvolti sono tutti portatori di in- tenzionalità ed obiettivi, affrontano alcune deviazio- ni dalla normalità con azioni e reazioni all’interno di una situazione o ambiente che di solito coincide con il mondo fisico naturale38.

37 D. Demetrio, 1996, op. cit.

38 C. Galavotti, 2020, op. cit.

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LA NARRAZIONE

COME LIFE-SKILL PERSONALE E PROFESSIONALE La vita è scandita dalla narrazione e, di conseguenza, lo sono tutti i suoi ambiti, in una società complessa e conoscitiva, essa diventa una life-skill, una competenza che permette di avere performance vitali in quanto nar- rare e narrarsi diventano strumenti per creare modelli di costruzione dell’identità sociale e individuale (sul la- voro e sulla vita privata). Inoltre, permettono di inferire i “copioni” e le sceneggiature di vita dell’individuo e delle organizzazioni, portano alla luce i modi di definir- si delle comunità locali e/o globali oppure stimolano la ricerca di nuove modalità per raccontarle.

Il racconto è portatore e costruttore di identità perché porta sempre a generare significati, sperimentando un ordine di senso che dà forma a sé stessi, al mondo circo- stante e orienta gli altri.

Ogni volta che si racconta qualcosa si da forma a un’i- dentità, che in primis riconosciamo noi (anche quando mentiamo) e secondariamente viene riconosciuta dagli altri39.

All’interno dei servizi professionali caratterizzati dalla relazione d’aiuto, la narrativa e le storie di vita sono sempre presenti sia oralmente che in maniera scritta e costituiscono delle risorse estremamente utili ai fini di una migliore comprensione della utenza, del lavoro e dell’ operatore sociale stesso.

Attraverso l’interpretazione del significato che gli eventi hanno per l’altro è possibile co-costruire insieme all’utente scenari diversi, ricostruire il contesto sociale

39 S. Calabrese, 2009, op. cit.

(35)

esplorando le esperienze dell’altro e le proprie nell’a- scolto attivo e partecipato, ma si può estendere l’esame anche alle esperienze collettive analizzando situazioni problematiche di difficile interpretazione per trovare soluzioni interpretative diverse.

Un esempio è aiutare le persone a fare chiarezza in- terna sull’attuale situazione pandemica in modo da tra- sformare il perenne stato di ansia per l’incertezza futu- ra in ricerca di nuove opportunità di crescita personale, interiore o professionale.

(36)

La rilevanza sociologica dell’approccio narrativo

L’approccio narrativo all’interno della scienza so- ciale ricorre alle storie di vita non solo come modalità di indagine nei contesti sociali ma anche come stru- menti di intervento pratico di coinvolgimento attivo dell’individuo nell’analisi e nella trasformazione di una situazione sociale, per sollecitare cambiamenti e per riconsiderare le radici e le identità coniugate al passato trovando degli ancoraggi e dei sostegni nel presente.

UNA RISORSA STRATEGICA PER LA SOCIOLOGIA CLINICA

In una prospettiva socioclinica la narrativa è una ri- sorsa strategica per entrare in relazione e avvicinarsi agli attori sociali, per conoscere i bisogni e le risorse di una comunità e dei singoli individui al suo interno.

Al di la dei modelli e degli stereotipi omologanti è possibile in questo modo comprendere e conoscere la singolarità, la molteplicità e la variabilità dei percorsi individuali, le differenze esistenti tra i soggetti ma an- che l’universalità della loro condizione.

Le storie di vita mediante il racconto situano le bio- grafie in un processo di ricostruzione della memoria dove, attraverso percorsi di riflessione e declinazione delle proprie esperienze e del contesto sociale in cui queste si sono sviluppate, danno origine alla narrazio- ne di un vissuto individuale e collettivo.

(37)

Un vissuto rielaborato attraverso l’opera di selezio- ne della memoria in relazione all’immagine che l’indi- viduo ha di sé e del suo ruolo, della propria collocazio- ne e partecipazione al gruppo sociale di appartenenza.

I vissuti individuali e collettivi, le traiettorie e le esperienze sociali, le esistenze di genere, donne e uo- mini, e intergenerazionali, minori, giovani e anziani si incrociano tra storie individuali, collettive, familiari e di gruppo.

Le biografie sono delle testimonianze insieme in- dividuali e collettive ed allo stesso tempo rappresen- tano e interpretano la complessità sociale, i processi di costruzione delle identità e quelli del cambiamento sociale.

In sociologia il ricorso ai materiali biografici, sem- pre più approfondito e sviluppato nell’osservazione e l’analisi sociale dei processi comunicativi, risponde inoltre a precise esigenze di conoscenza e ricostruzio- ne delle molteplici realtà sociali e culturali che inte- ragiscono con la dimensione istituzionale in funzione delle problematiche di una larga fascia di utenti.

La conoscenza metodologica e l’esperienza pratica delle storie di vita sono altresì un prezioso e concre- to bagaglio formativo per avvicinare e avvicinarsi ai protagonisti del sociale, per conoscere i bisogni e le ri- sorse di una determinata realtà comunitaria nella sua dimensione temporale e comunicativa40.

40 G. Gargano, in: (a cura di) Massimo Corsale, Sociologia clinica e terapia sociale, (2010), Franco Angeli, Milano.

(38)

LE STORIE DI VITA, COMUNE DENOMINATORE PER CAPIRSI E PER CAPIRE

Alla luce di quanto fin qui esposto, possiamo iniziare a tirare le somme per rispondere alla questione circa la rilevanza o meno, in termini di affidabilità, dello stru- mento storia di vita.

Ricapitolando, una storia permette a una persona di collegare nel tempo gli eventi vissuti attraverso il suo modo abituale di considerare le cose o i costrutti perso- nali, in ognuna possiamo riconoscere aspetti personali, sociali e culturali.

Gli aspetti personali includono sia la presentazione di sé agli altri sia gli eventi più significativi per la persona, lasciando trasparire anche dei bisogni psicologici.

Le storie hanno conseguenze anche sulle emozioni, sulle azioni e sul rapporto tra presente e passato per poter anticipare il futuro.

Gli aspetti più importanti di una storia sono rappre- sentati dal suo contesto, dalle fonti di conferma e valida- zione e dalla misura in cui si attribuisce potere al narra- tore e alle altre persone.

Il suo aspetto culturale risiede nelle informazioni che attraverso di essa si trasmettono e nei valori che ne sono veicolati.

Le nostre storie hanno almeno quattro implicazioni principali sulla nostra vita e sulla comprensione di noi stessi:

• Aiutano a sviluppare e mantenere un senso di identità: sappiamo meglio chi siamo raccontan- do storie in cui abbiamo un ruolo attivo e che ci aiutano ad allargare i nostri modelli di vita e a riconoscere le nostre risorse. Altrettanto impor-

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tante è ascoltare le storie delle altre persone che riguardano noi o storie che potrebbero essere nostre, vivere in una cultura in cui nessuna delle nostre storie venisse mai raccontata porterebbe a una perdita dell’identità.

• Le storie ci danno indicazioni su come vivere la nostra vita, ci permettono di riflettere sulla nostra esistenza, esprimere le nostre capacità e conti- nuare ad ampliare la nostra visione del mondo, con esse possiamo individuare le nostre analogie con gli altri e mantenere, contemporaneamente il senso dell’individualità. Esse ci permettono di prepararci al futuro, altrimenti i problemi emer- gerebbero con maggiore gravità.

• Le storie ci permettono di ordinare gli eventi caotici della nostra vita, danno sequenzialità alla nostre esperienze così che possiamo spostarci tra esse senza essere sopraffatti e seguendo il filo logico degli accadimenti, ci permettono di riflettere sul- le azioni, ricavarne conclusioni generali e dare senso a ciò che accade.

• Quando convinciamo gli altri ad ascoltare le no- stre storie otteniamo un potere e una grande op- portunità: condividere e confrontare in quel conte- sto sociale la loro interpretazione degli eventi. Le persone le cui storie vengono ascoltate all’interno di un certo ambiente culturale contribuiscono a determinare il modo in cui quella cultura guarda a sé stessa e ai suoi problemi, le persone che non sono ascoltate, invece, non hanno alcuna influen- za.

(40)

Le storie di vita sono centrali in quanto la conoscen- za narrativa ha sia valore epistemologico in quanto è uti- le per la comprensione del mondo, sia valore ontologico in quanto dimensione attraverso la quale gli uomini si presentano a sé stessi e agli altri.

Infine, la narrazione ha carattere trasformativo perché raccontando la persona trasforma di fatto la sua iden- tità ricostruendo e dando significato ad aspetti rimasti latenti nella coscienza e ricostruiti diversamente41.

Le storie di vita consentono un’analisi estesa alla struttura e alle funzioni della società, attraverso la ve- rifica nel processo d’intervista di come si intrecciano storie e biografia, esperienze pubbliche e private con- siderando le relazioni e i modelli culturali individuali.

L’osservazione diretta, attraverso domande aper- te e griglie tematiche personalizzate di lettura e inter- pretazione delle esperienze, realizza l’inclusione nella temporalità della vita quotidiana e sociale e permette di riconoscere la memoria come un supporto positivo per radicarsi in una nuova realtà e riconoscere elementi fondamentali per la realizzazione del futuro.

La ricerca di una identità coniugata al presente te- stimonia l’esigenza di riconsiderare le radici di quella coniugata al passato che deve trovare degli ancoraggi e dei sostegni nel qui ed ora.

Così, attraverso un buon rapporto col proprio passa- to individuale o di gruppo si possono stabilire processi di crescita per facilitare la realizzazione e l’autostima degli individui.

41 C. Galavotti, 2020, op. cit.

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LEGITTIMARE IL VALORE DEL MATERIALE NARRATIVO

Il problema della validità e affidabilità del materia- le raccolto tramite le narrazioni nasce dalla possibilità di controllare le inferenze effettuate a partire dai dati biografici e dal dubbio che la storia di vita nasconda una possibile finzione da parte del soggetto per fornire un’immagine di sé e proteggere in qualche modo la sua “vera” identità, in questo caso essa non avrà più rilevanza sociologica.

Tuttavia, si può affermare che esiste una stretta re- lazione tra il corso di vita e la storia di vita: qualsiasi specifico corso di vita non produrrà qualsiasi storia di vita.

Di conseguenza, l’esperienza personale può venire modificata dal racconto ma essa è, comunque, l’espres- sione di un determinato mondo storico e sociale, inoltre la narrazione contiene in sé degli elementi normativi che non possono essere arbitrariamente forzati: esisto- no norme di interazione che vanno rispettate, una se- quenza coerente, ogni evento rilevante possiede degli antecedenti e degli effetti successivi individuabili.

Le proprietà normative della narrazione ed il con- testo storico-sociale di appartenenza costituiscono, dunque, dei limiti alle potenziali “finzioni” delle nar- razioni42.

Narrare è l’attività principale implicata da questa strategia di ricerca e vuol dire mettere ordine negli eventi costruendo testi in particolari contesti.

42 P. Alheit, S. Bergamini, Storie di vita. Metodologia di ricerca per le scienze sociali, (1996), Guerini e Associati, Milano.

(42)

Il narrare definisce un parlare organizzato attorno a eventi sequenziali43, è dunque un’attività selettiva e ordinatrice attraverso la quale un soggetto espone e organizza in maniera progressiva, e con l’ausilio del- la mediazione linguistica, eventi che il ricercatore non può anticipare44.

Tutti cerchiamo di capire il senso di noi stessi e del mondo attraverso l’interpretazione degli eventi, tutti noi viviamo la nostra vita in termini di storie narrate come sequenza di significati organizzati in un tema, al- cune sono interpretazioni personali, altre sono condi- vise dalla comunità sia nelle regole che nei contenuti, in questo senso, le reazioni delle persone verso un dato fenomeno dipendono anche dalle storie che si racconta- no su di esso, ad esempio dai mass media, economisti, assistenti sociali, psicologi, sociologi, eccetera.

Nella relazione tra intervistatore e intervistato, quest’ultimo non viene considerato una mera fonte in- formativa ma un esperto del proprio mondo sociale, che racconta utilizzando le proprie categorie linguistiche.

Tuttavia, questa bi-direzionalità tendenzialmente simmetrica non comporta la sovrapponibilità dei ruoli, infatti è sempre il ricercatore che stabilisce gli obiettivi cognitivi della conversazione e ne detta il ritmo, ponen- do una serie di domande a cui l’intervistato dovrebbe rispondere con sincerità45.

43 C. K. Riessman, Narrative Analysis, (1993), Sage Pubblications, London.

44 M. Olagnero, Vite nel tempo. La ricerca biografica in sociologia (2004), Carocci, Roma.

45 M, Cardano, Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali, (2003), Carocci, Roma.

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Infine, grazie all’utilizzo del linguaggio naturale, è possibile accedere alla “definizione della situazione”

dal punto di vista del soggetto, ma anche alle sue rap- presentazioni e auto rappresentazioni e, contempora- neamente disporre di “una finestra aperta sul contesto”46 che permette una ricostruzione/valutazione di processi e meccanismi sociali.

46 M. Olagnero, C. Saraceno, Che vita è. L’uso dei materiali biografici nell’analisi sociologica, (1993), La Nuova Italia Scientifica, Roma.

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L’applicazione professionale della narrativa

L’ approccio narrativo, concretamente, come può di- ventare uno strumento nell’ambito del lavoro svolto nel territorio?

LA MISSION DEL SOCIOLOGO CLINICO

Lo sradicamento dell’uomo contemporaneo dalle pro- prie sicurezze e il mutamento dei legami sociali e cul- turali determinano una sua condizione di fragilità che può generargli un percepirsi come estraneo o estraniato da un contesto sociale e culturale e alimentare compor- tamenti che non sempre favoriscono la sua integrazione nella comunità più grande.

Le narrazioni di vita, oltre che strumenti di ricerca per approfondire la comprensione di questa condizione umana, possono essere anche mezzi per favorire cam- biamenti attraverso la costruzione di ambienti sociologi- camente orientati che favoriscono l’incontro e la narra- zione per agevolare l’esigenza di adattamento a nuovi contesti.

La narrazione fa emergere differenze e similitudini tra percorsi diversi veicolando le giuste informazioni per valorizzare le risorse collettive, attivare processi di emancipazione da stati di disagio e arricchire le offerte dei servizi territoriali di matrice sociologica.

Il sociologo clinico impegnato sul campo anche come operatore sociale può avere come mission quella di re- alizzare un ambiente sociologicamente orientato, ov-

(45)

vero concepirlo come luogo di setting terapeutico; esso comprende elementi strutturali e relazionali in cui può immergersi per co-esplorare, insieme all’utente, le mo- dalità attraverso cui la persona agisce e gli schemi inter- pretativi della realtà influenzati da ciò che egli crede sia la propria biografia.

L’aspetto comunicativo è l’elemento su cui si fonda tale approccio, soprattutto se per comunicazione si in- tende un modo per “con vers are” (nella sua accezione

“cum verso”, andare verso) con le storie vissute e perce- pite dagli attori sociali.

Il sociologo clinico conserva la sua “anima” di ricer- catore ma la integra con quella di progettista di interven- ti condivisi di emancipazione da situazioni di disagio.

L’incontro con le biografie degli utenti avviene at- traverso la costruzione di un luogo che può essere una strada, una casa, una città, in cui si sperimenta una reci- procità intesa come stimolare un interesse a concentrar- si sulla propria condizione.

L’ambiente sociologicamente orientato è un luogo come costruzione concreta e simbolica di uno spazio che assolve una funzione identitaria, relazionale e stori- ca, uno spazio umanizzato e abitato che non viene solo interpretato ma fornisce a chi è al suo interno le chiavi di interpretazione per dargli un senso.

Inoltre, stimola le persone alla progettualità futura offrendo loro le informazioni per vivere le relazioni e mettere in atto comportamenti costruttivi al suo inter- no, differenziandosi così dai non luoghi, i quali fanno semplicemente svolgere delle funzioni alle persone in- serendole in sistemi relazionali anonimi e massificati in cui i sistemi simbolici non agevolano strategie di ac-

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coglienza e motivazione al cambiamento né realizzano appartenenza, solidarietà, disponibilità e responsabili- tà.47

BISOGNI COMPLESSI

IN UNA REALTÀ COMPLESSA

Ciò che caratterizza la sociologia clinica non è il fat- to di occuparsi di problemi sociali, ma il modo in cui lo fa: i problemi di cui si occupano i sociologi non clini- ci sono generalmente macro-problemi, mentre quelli oggetto dell’attenzione dei sociologi clinici hanno una portata più circoscritta (anche se spesso sono a loro volta manifestazioni specifiche di macro-fenomeni);

la loro trattazione prevede un’interazione diretta tra ricercatore ed attori sociali coinvolti, interazione fina- lizzata a cercare una soluzione operativa del proble- ma.Cosa intendiamo per problema sociale?

In primo luogo, la chiave per definire cosa sia un pro- blema è la sofferenza e, quindi, soggettivamente come esso viene avvertito.

È una situazione di sofferenza quella che induce gli interessati a rivolgersi ad istituzioni sanitarie, così come è una situazione di disagio quella che provoca compor- tamenti collettivi disfunzionali rispetto all’ordine socia- le, suscitando così allarme o fra i diretti interessati o fra gli attori sociali contro-interessati.

Utilizzando sofferenza e disagio come sintomi pos- siamo quindi inferire l’esistenza di un problema (sani- tario o sociale).

47 G. Gargano in M. Corsale, 2010, Op. Cit.

(47)

Mentre in medicina e psicoterapia si interviene sulle situazioni di disagio, in sociologia clinica gli attori pos- sono essere anche coloro che non vivono direttamente il disagio primario (es. disoccupazione, carenze educa- tive o sanitarie eccetera) bensì quelli che vivono il disa- gio derivato dal timore che gli altri possano, reagendo direttamente al loro disagio primario, mettere in crisi gli equilibri sociali che essi intenderebbero, invece, con- servare.

All’interno di una società complessa come quella in cui viviamo, il bisogno di cui è portatrice l’utenza non può che essere altrettanto complesso e letto non solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello psicologi- co, sociale e relazionale/partecipativo.

Il professionista deve dunque pensare in maniera ar- ticolata, nel senso che non vanno considerati soltanto l’individuo e il suo ambiente, il territorio o l’organiz- zazione ma si devono sviluppare anche connessioni e relazionalità tra questi diversi sistemi.

Alla luce di ciò, dunque, la professione del sociologo e dell’operatore sociale impegnati sul campo è in conti- nua ridefinizione.

ALLA BASE CI SONO I MODELLI CULTURALI Un osservatore per predire la reazione umana di fronte a un oggetto sconosciuto ha bisogno sia di infor- mazioni su questo oggetto che di informazioni sull’at- tore stesso in termini di biografia, provenienza sociale e soprattutto cultura.

I condizionamenti culturali, infatti, possono determi- nare il modo con cui un individuo si rappresenta il pro- prio ambiente (attività cognitiva) o lo cambia (azione).

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L’identità individuale non è solo il prodotto di even- ti biografici che hanno determinato una data configu- razione dei “personaggi” interiori: Io, Super-io ed Es ma dipende anche dalla cultura di appartenenza che comprende non solo credenze metafisiche, mitologiche, tecniche eccetera ma anche una data rappresentazione dello spazio sociale in cui si colloca la comunità di rife- rimento.

Possiamo dire che il flusso ininterrotto dell’azione di un determinato attore sociale coincide col suo vissuto, nel corso del quale ha sperimentato ed appreso tutti i contenuti della sua cultura.

Per chiarire il concetto di modello culturale dobbiamo partire da quel flusso ininterrotto di azione sociale in rapporto con l’ambiente, quando individuiamo all’in- terno di esso quei segmenti con significato corrispon- dente a una determinata funzione sociale ci troviamo di fronte a comportamenti.

Ma il fatto che essi abbiano un significato implica che siano destinati ad essere ripetuti, da parte della stessa persona o di altre e, quindi, che siano riconducibili a modelli o schemi, pertanto parliamo di modelli di com- portamento.

Il comportamento umano sembra prevedibile, alcu- ne condotte si innescano in maniera così rapida da sem- brare istintive ma in realtà sono il prodotto di esperien- ze passate che abbiamo formalizzato in rituali, regole, narrazioni eccetera.

Ad esempio, può sembrarci naturale lavarsi le mani, indossare abiti in pubblico o abbracciarci ma questi at- teggiamenti non sono innati, li abbiamo appresi attra- verso lunghi processi di imitazione, tentativi ed errori.

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Ma nel libro offre almeno due esempi della validità della prospettiva adottata: nel secondo capitolo del libro (pp. 49-77), con la ricostruzione del saggio del 1912 su Storia,

Forse, dentro di me, mi sto proprio convincendo che preferisco rimanere al di qua della linea del traguardo, perché l’obiettivo è l’esperienza di tutto ciò che trovo nel