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3. LA RICERCA

3.3 Studio 1: L’interazione comunicativa tra medico e paziente: dinamiche e processi

3.3.1 Analisi delle registrazioni mediante il RIAS (Roter Interaction Analysis System)

3.3.1.4 Discussione

Ancora una volta sono le categorie “Counselling (Biomedical)” e “Social Behaviour” a mostrare i cambiamenti più evidenti (Grafico 10).

Gli scambi di tipo biomedico della prima categoria sono molto più rappresentati nella prima visita (M=44.95) e diminuiscono nelle altre due (M=34.05 nella seconda e M=34.75 nella visita di follow-up); gli scambi socioemotivi sono rappresentati soprattutto nella visita di follow-up (M=22.34).

Solo nel caso della categoria “Social Behaviour” la differenza tra le visite è statisticamente significativa [F(2,51) = 6.60, p.<.01].

Tabella 12. Confronto tra le tre visite: medie delle macrocategorie del RIAS (medie delle percentuali di utterance)

Prima visita

Seconda visita

Follow-up Tot.

Counselling (Biomedical Exchange) 44.95 34.05 34.75 37.92

Asks Questions Biomedical (Open, Closed) 11.72 10.40 11.85 11.32

Procedural Exchanges 18.61 21.15 17.28 19.01

Social Behaviour 11.43 a 12.15 a,b 22.34 b 15.31 **

Rapport Building 4.88 9.48 6.31 6.89

Counselling (Psychosocial Exchange) 6.51 9.65 5.93 7.36

Asks Questions Psychosocial (Open, Closed) 1.87 3.09 1.50 2.15

**p.<.01

In particolare, questa categoria è utilizzata nella prima visita in misura statisticamente minore (M=11.43) rispetto a quanto non avvenga nella visita di follow-up (M=22.34) (post-hoc Tukey test p.<.01).

successive) e per costruire una relazione, per dare spazio al racconto del paziente ed eventualmente ai suoi timori. Dopo questa prima fase del rapporto il medico e il paziente sembrano passare all’azione (alla cura) trascurando viceversa la conversazione che avviene durante le visite.

La durata delle visite è legata anche al tipo di specialità considerata (e anche in questo caso la differenza è risultata statisticamente significativa): le visite cardiologiche durano, in media, più delle altre (32 minuti); le visite più brevi sono quelle chirurgiche (in media 8 minuti), mentre le visite oncologiche hanno una durata intermedia rispetto alle altre due specialità (in media 20 minuti). Questo risultato potrebbe essere legato alle caratteristiche anche organizzative delle tre specialità considerate: il cardiologo e l’oncologo incontrano il paziente in ambulatorio, con una frequenza di 15-20 giorni circa, mentre il chirurgo incontra il paziente mentre è ricoverato in reparto, due volte al giorno, e le visite coincidono essenzialmente con la fase pre e post-operatoria.

In un interessante studio del 2003 (Bensing et al., 2003) si sono comparate le visite mediche di pazienti olandesi e americani a cui era stata posta diagnosi di ipertensione. Una delle variabili studiate fu proprio la durata delle visite e rispetto a questa variabile è emerso che nel campione americano la durata media delle visite oscillava tra un minimo di 7 e un massimo di 16 minuti, nel campione olandese essa diminuiva ed era in media di 10 minuti per visita. La durata media delle visite nel nostro studio è di circa 20 minuti (considerando la prima visita, la seconda e la visita di follow-up). La differenza riscontrata è probabilmente riconducibile al tipo di specialità considerate che non rendono precisamente confrontabili i due studi ma con ogni probabilità in essa può essere riconosciuta anche l’influenza della diversa cultura di appartenenza (mediterranea, latina vs. anglosassone, nordica) e dunque un diverso modo di concepire e utilizzare la relazione e la comunicazione a cui in Italia è probabilmente dedicato più spazio.

Un secondo risultato riguarda in generale il contributo di medico e paziente alla conversazione: la media delle percentuali di utterance del medico è sempre maggiore rispetto a quella del paziente. Questo avviene in tutte e tre le specialità e in tutte e tre le visite. Nelle visite il medico parla molto più del paziente e parla soprattutto degli aspetti legati alla diagnosi e alla prescrizione farmacologica. Il paziente fornisce un contributo minore (una minore quantità di utterance) durante l’incontro e tale contributo riguarda soprattutto il modo in cui egli interpreta personalmente la malattia, le sue preoccupazioni e aspettative e quindi la dimensione soggettiva della malattia. In questo risultato è ravvisabile in modo molto chiaro la

“centratura sul medico” delle visite, di tutte le visite, e la natura asimmetrica della relazione tra il medico ed il paziente (con lo sbilanciamento a favore del medico che mostra di avere più potere sulla relazione rispetto al paziente). I soli risultati del RIAS non sono tuttavia in grado di rivelare se tale asimmetria risulti infine in uno “svantaggio” per il paziente che non può/non riesce ad esprimere il proprio punto di vista nel corso della visita o se essa non rappresenti piuttosto l’assunzione di responsabilità del medico nella conduzione della visita. Non sono chiaramente identificabili, soprattutto, le dinamiche attraverso cui tale asimmetria si realizza:

se sia imposta dal contesto o dal medico, ad esempio, o se viceversa essa sia co-costruita da medico e paziente in interazione.

Per quello che riguarda il genere di interventi comunicativi di medici e pazienti, dalla ricerca è emersa una sostanziale prevalenza di scambi comunicativi “orientati al compito”, ovvero di carattere biomedico, rispetto agli interventi comunicativi di carattere “socioemotivo”

(prevalenza che è risultata significativa anche dal punto di vista statistico). Questo risultato è coerente con i numerosi studi che in letteratura hanno ripetutamente evidenziato questa tendenza (Eide et al., 2003; McDonagh et al., 2004; Detmar et al., 2001) e che hanno studiato il rapporto tra scambi comunicativi e soddisfazione del paziente (Beach et al., 2006; Brèdart et al., 2005; Ong et al., 2000b). Questa tipologia di scambi comunicativi è, naturalmente, la più caratteristica e rappresentativa della specifica situazione dell’incontro medico per ovvi motivi riconducibili agli scopi della visita oltre che agli obiettivi del medico.

Dal confronto tra le tre specialità (cardiologia, oncologia medica, chirurgia) emerge che gli scambi “orientati al compito” prevalgono sistematicamente su quelli “socioemotivi”. Tuttavia la consistenza di tale genere di interventi comunicativi non è la stessa in tutte e tre le specialità: gli scambi “orientati al compito” sono di gran lunga più numerosi in cardiologia, lo sono un po’ meno in oncologia, sono molto meno numerosi in chirurgia (in particolare le specialità che differiscono tra loro in modo statisticamente significativo sono la cardiologia e la chirurgia). Le due tipologie di scambi comunicativi (orientati al compito e socioemotivi) sembrano essere realizzate in modo differente nelle tre specialità: i temi di carattere biomedico (“scambi orientati al compito”) sembrano essere più numerosi quando lo scopo della visita è ottenere la piena collaborazione del paziente e la sua completa aderenza (come avviene, ad esempio, in cardiologia dove un ruolo centrale è svolto dal paziente che deve imparare ad assumere in autonomia una complessa terapia farmacologia e soprattutto modificare alcune basilari abitudini di vita). La necessità di discutere di questo genere di

argomenti sembra diminuire mano a mano che diminuisce il bisogno di collaborazione da parte del paziente fino all’affidarsi completo “nelle mani” del medico, come avviene nel caso della chirurgia.

Nell’ambito di ogni singola specialità sono poi riconoscibili differenti pattern comunicativi:

con il passare del tempo (dalla prima visita, alla seconda, alla visita di follow-up) il cardiologo tende a diminuire gradualmente i propri interventi biomedici per lasciare più spazio agli scambi riferiti al rapporto interpersonale stabilendo, nel corso delle visite, un dialogo con il paziente nel quale questi fornisce non solo informazioni sul proprio stato di salute oggettivo, ma anche informazioni personali riguardanti il modo soggettivo di vivere la malattia.

L’oncologo, al contrario, tende ad occuparsi da subito anche degli aspetti socioemotivi legati alla reazione psicologica alla diagnosi e alle terapie, ma rapidamente incrementa con il passare del tempo gli interventi biomedici riguardanti la terapia e i suoi effetti. Il chirurgo, infine, sembra utilizzare il primo incontro per condividere con il paziente il maggior numero di informazioni (soprattutto biomediche) per poi lasciar loro, successivamente, il minimo spazio a beneficio, invece, degli aspetti socioemotivi della relazione, soprattutto (presumiamo) della rassicurazione circa l’imminente intervento o circa il buon esito dell’intervento stesso.

Anche dal confronto tra contributi comunicativi di medico e paziente sono emerse regolarità interessanti e coerenti con i dati di letteratura. La decisa prevalenza di scambi “orientati al compito” rispetto a quelli “socioemotivi” riguarda entrambi gli “attori” della visita medica. La maggior parte dei contributi comunicativi del medico nel corso della visita riguardano aspetti legati alla diagnosi, alla prescrizione farmacologica e alla malattia. Anche i contributi del paziente sono soprattutto “biomedici”, tuttavia i pazienti portano in misura rilevante anche temi di tipo socioemotivo a differenza di quanto accade invece ai medici. Questo risultato, ancora una volta, trova conferma in letteratura: molti studi mostrano che la tendenza generale dei medici è quella di adottare in prevalenza tecniche direttive di carattere prettamente biomedico (domande mediche, spesso chiuse, indicazioni e consigli) ed in misura minore interventi centrati sul paziente a contenuto psicologico o psicosociale (Siminoff et al., 2006;

Bensing et al., 2003; Del Piccolo, 1998). Nel nostro studio è emerso che sia i medici che i pazienti strutturano i loro contributi nel corso delle visite in modo analogo, in particolare si osserva un progressivo decremento degli interventi biomedici ed un corrispondente incremento di quelli socioemotivi mano a mano che si passa dalla prima visita a quella di follow-up.

Confrontando tra loro prima visita, seconda visita e follow-up si osserva che mano a mano che la relazione tra medico e paziente procede gli scambi “orientati al compito” tendono progressivamente a diminuire mentre quelli “socioemotivi” tendono progressivamente ad aumentare. Nella prima visita appaiono decisamente prevalenti gli scambi “orientati al compito”, relativi alla malattia e ai trattamenti, tali interventi diminuiscono progressivamente con il passare del tempo poiché, possiamo ipotizzare, divengono sempre meno necessari per il paziente. Insieme, medico e paziente, si rendono poi artefici della costruzione del rapporto che li lega, lasciando così spazio ad una relazione “più personale”, agli scambi di carattere socioemotivo, ad una consuetudine di conversazione che può far pensare allo sviluppo di una certa “familiarità” tra i due.

In uno studio molto simile al nostro (Van Dulmen et al., 1997), i ricercatori hanno analizzato le visite di 18 pazienti rilevando che la prima visita aveva una durata di circa 28 minuti, la seconda di 11 e la terza di 9. A differenza di quanto emerso dal nostro studio, questi Autori non hanno rilevato sostanziali cambiamenti nel modo di condurre le visite da parte dei medici.

I pazienti invece tendevano a porre sempre maggiore enfasi sugli aspetti socioemotivi mano a mano che le visite si susseguivano. Risultati più simili a quelli del nostro studio si sono riscontranti nello studio di Graugaard et al. (2005) in cui la durata delle visite si riduceva progressivamente con il passare del tempo e seguiva un andamento simile a quello da noi osservato. Anche in questo studio la prima visita era contrassegnata da un continuo passaggio di informazioni di natura biomedica dal medico al paziente, passaggio che si riduceva notevolmente nella seconda e nella terza visita.

Scendendo più nel dettaglio nell’analisi delle categorie di interventi utilizzati dai medici e dai pazienti, è possibile notare che le categorie che mostrano maggiori differenze, anche dal punto di vista statistico, sono senz’altro due: la categoria “Social Behaviour” (che fa riferimento alle frasi utilizzate dal medico e dal paziente nelle fasi iniziali e finali della conversazione, alle battute amichevoli scambiate tra di essi e alle affermazioni di approvazione o disapprovazione dirette al paziente o ad altri) e la categoria “Counselling (Biomedical)” (che fa riferimento a quelle frasi caratterizzate da un contenuto neutrale mediante il quale il medico fornisce informazioni correlate alla terapia e ai sintomi del paziente). A questo proposito il dato più interessante è emerso dal confronto tra le tre specialità: nelle visite del cardiologo le indicazioni e le informazioni biomediche (“Counselling (Biomedical)”) relative alla malattia e alle terapie sono utilizzate in misura maggiore di quanto non avvenga nelle visite del chirurgo.

Allo stesso modo, le battute amichevoli, il chiacchierare con il medico (“Social Behaviour”) sembrano essere utilizzate maggiormente in chirurgia rispetto a quanto avviene in cardiologia

e in oncologia. Le differenze esistenti nel caso di queste due categorie sono inoltre riconducibili a tre diversi pattern comunicativi emergenti nelle tre specialità analizzate a seconda che la visita considerata sia la prima, la seconda o la visita di follow-up (emerge un’interazione, quindi, con la variabile “tempo”). Il cardiologo, ad esempio, tende a diminuire il numero di scambi comunicativi di carattere biomedico mano a mano che la relazione procede, come se fosse possibile dedicarsi agli aspetti più “sociali” della relazione solo dopo essersi assicurati che dal punto di vista biomedico stia andando tutto bene poiché il paziente sta seguendo adeguatamente la terapia. L’oncologo dedica più spazio agli scambi di tipo socioemotivo sin dal primo incontro, frutto anche di un clima emotivo che proprio in prima visita risulta molto intenso e non eludibile. All’opposto di quanto avviene in cardiologia in oncologia gli interventi biomedici aumentano gradualmente in seconda e terza visita quando gli effetti collaterali della chemioterapia ed i rimedi per contrastarli diventano importanti per il medico e per il paziente. Infine, nelle visite chirurgiche emerge un pattern ancora diverso:

gli scambi di tipo biomedico sono soprattutto presenti in prima visita, quando viene raccolta la storia medica del paziente ed è descritto l’intervento e diminuiscono drasticamente dopo per lasciar spazio agli scambi di tipo più sociale che hanno probabilmente la funzione di rassicurare il paziente circa l’intervento chirurgico e di metterlo il più possibile a proprio agio perché affronti al meglio la sala operatoria.

Per quanto riguarda il confronto tra medico e paziente l’unico dato emerso come significativo da un punto di vista statistico è la decisa prevalenza di utterance riguardanti la categoria

“Procedural Exchanges” (interventi che esprimono all’altra persona cosa sta per accadere, cosa aspettarsi durante il colloquio o l’esame obiettivo) del medico rispetto a quelle del paziente, dato che segnala, a nostro avviso, la costante assunzione di responsabilità, da parte del medico, nella guida della visita e della conversazione con il paziente.

Sintetizzando quanto emerso dalla nostra analisi possiamo dire che i risultati sono interessanti anche se in parte attesi. Per ciò che riguarda l’obiettivo principale dello studio, ovvero l’analisi dei contributi, in termini di tecniche comunicative, del medico e del paziente nel corso della visita medica. Possiamo dire che tali contributi mostrano una netta predominanza degli interventi dei medici e tra questi una prevalenza degli scambi comunicativi “orientati al compito”. I pazienti, di contro, si soffermano di più di quanto non facciano i loro medici sui temi di tipo socioemotivo. Questo genere di andamento è stato rilevato anche in altri studi, ad esempio nello studio di Paasche-Orlow e Roter (2003) in cui sono stati indagati i pattern

comunicativi di medici specialisti e di medici di base. I risultati derivanti dall’analisi di 564 videoregistrazioni hanno evidenziato che gli specialisti ricorrono più frequentemente a domande che indagano la condizione medica del paziente (riguardo alla sua storia medica, al trattamento e ai sintomi) mentre i medici di base sembrano enfatizzare maggiormente le informazioni di natura psicosociale. Un’ulteriore variabile analizzata nello studio di Paasche-Orlow e Roter è stata la “Verbal Dominance” (indice riguardante la quantità di affermazioni formulate dal medico nel corso della visita medica) rispetto alla quale gli specialisti risultano parlare molto di più rispetto ai medici di base. Un comportamento analogo a quello degli specialisti anglosassoni sembra caratterizzare anche i medici specialisti che hanno aderito al nostro studio.

Rispetto al nostro secondo obiettivo, ovvero al confronto in termini di “andamento” della comunicazione nelle tre specialità considerate, è stato possibile riconoscere specifici pattern di comunicazione nelle visite dell’oncologia medica, della cardiologia e della chirurgia così come, almeno in parte, ci aspettavamo. In oncologia il medico incontra un paziente portatore di una malattia (di cui spesso è appena venuto a conoscenza) che attiva processi regressivi e che induce a sperimentare bisogni molto simili a quelli di un bambino: bisogno di accudimento, di presenza, ma soprattutto di ascolto. In questa specialità, sicuramente più che in altre, emerge l’importanza del colloquio con il paziente che consente di comprenderne le angosce principali e come egli le rappresenta. La comunicazione tra medico e paziente, rispetto ad altre specialità, è molto più orientata verso il “personale”; questo spiegherebbe la necessità dell’oncologo di occuparsi da subito degli aspetti socioemotivi (come abbiamo avuto modo di osservare nelle visite videoregistrate) per poi incrementare gli interventi inerenti alle terapie e ai loro effetti nel corso delle visite. Nel caso dello scompenso cardiaco, come probabilmente nel caso di tutte le malattie croniche, i modelli assistenziali più efficaci hanno come caratteristiche principali la continuità dell’assistenza e l’educazione del paziente, chiamato a co-gestire la propria malattia. Al paziente con insufficienza cardiaca infatti vengono richieste molte capacità tra cui la capacità di assumere una complessa terapia farmacologica, una ferrea costanza, lo sviluppo di nuove capacità di autocontrollo e, spesso, l’attuazione di cambiamenti nello stile di vita corrispondenti a difficili rinunce. In chirurgia, infine, l’obiettivo principale del medico è quello di fornire quelle informazioni in grado di consentire al paziente di comprendere i reali rischi dell’intervento e i possibili cambiamenti nello stile di vita a cui potrà andare incontro. I risultati della ricerca mostrano, a tal proposito, che il chirurgo sembra utilizzare il primo incontro per condividere con il paziente il maggior

numero di informazioni biomediche mentre nelle visite successive aumentano i contributi relativi ad aspetti emotivi e sociali, soprattutto rassicurazioni circa l’intervento chirurgico.

Questo dato contraddice, almeno in parte, la nostra idea di partenza secondo la quale nella visita chirurgica, fortemente incentrata sull’atto tecnico costituito dall’intervento chirurgico, sarebbe stata rilevata una netta predominanza degli scambi comunicativi “orientati al compito”. Un simile effetto si è verificato solo nella prima visita, ma non nella seconda né nella visita di follow-up.

Per quanto riguarda il terzo obiettivo, ovvero analizzare il modo con cui gli incontri si susseguono uno dopo l’altro per comprendere i cambiamenti e le costanti che si verificano nella comunicazione mano a mano che la relazione tra medico e paziente procede, ci saremmo aspettati risultati più evidenti. Non si sono invece rilevate differenze statisticamente significative tra le due tipologie di scambi (socioemotivi e orientati al compito) nonostante si sia evidenziata una progressiva riduzione degli scambi “orientati al compito” ed un corrispondente aumento di quelli “socioemotivi” nel progressivo passaggio dalla prima visita al follow-up. Non sono emerse specifiche interazioni con le specialità e quindi possibili pattern di comunicazione legati al modo con cui le visite si susseguono nelle tre specialità analizzate. A questo proposito è utile ricordare che uno dei più importanti limiti dello strumento utilizzato per l’analisi dei dati del nostro studio (il RIAS) è proprio la mancanza di attenzione agli aspetti sequenziali dell’interazione e in parte i risultati dello studio potrebbero risentire proprio di questa caratteristica del RIAS. I sistemi di analisi dell’interazione elaborati più recentemente hanno tenuto conto di queste carenze, tanto che alcuni autori (Brown et al., 1995) hanno messo a punto nuovi strumenti come l’“Assessment for Communication Between Patient and Doctor” nel quale le diverse unità di analisi vengono distinte in base alle fasi salienti dell’intervista medica e alla capacità del medico di trattare gli argomenti proposti dal paziente. Nonostante queste osservazioni l’aspetto sequenziale della comunicazione tende ancora ad essere trascurato, mentre vengono privilegiati approcci basati sul conteggio della frequenza delle unità di interazione. Sarebbe viceversa importante analizzare il gli eventi relazionali e comunicativi (le visite mediche nel nostro caso) con attenzione alla loro specificità (ogni consultazione ha durata, struttura, argomenti diversi) e alla bidirezionalità (medico e paziente si influenzano reciprocamente). In accordo con tale genere di considerazioni molti studiosi (Robinson e Stivers, 2001; Duggan e Parrott, 2001; Pomerantz e Rintel, 2004) concepiscono la comunicazione come un processo in cui i soggetti creano una relazione interagendo l’uno con l’altro e contribuendo a creare il significato degli scambi e a realizzare un progetto comunicativo comune. In questa prospettiva l’oggetto privilegiato

dell’analisi diventa la dimensione processuale della comunicazione durante la visita medica, la dinamica della relazione nel momento dell’incontro tra medico e paziente, il modo in cui avvengono gli incontri tra i pazienti e i loro medici e le caratteristiche di quegli stessi incontri.

I risultati di questa analisi sono in linea con quanto riscontrato in letteratura a proposito di asimmetria nella relazione tra medico e paziente e di tipo di tecniche comunicative principalmente impiegate durante l’incontro di medico e paziente (scambi orientati al compito e socioemotivi) tuttavia ci chiediamo ancora se i pattern comunicativi caratteristici delle tre specialità che abbiamo preso in considerazione dipendano dallo stile del medico che in alcune circostanze si mostra gioviale ed estroverso con il paziente e in altre più capace di privilegiare gli aspetti “tecnici” della relazione, o se essi dipendano viceversa dagli scopi precipui della specialità e quindi dalle diverse discipline praticate dall’oncologo, dal cardiologo e dal chirurgo. Non è chiaramente evidenziabile, ancora, se sia il contesto delle singole specialità a generare alcune interazioni piuttosto che altre e se le caratteristiche personali dei pazienti (compresa la gravità e il tipo di patologia) influiscano, e in che modo, sui pattern comunicativi identificati.

Per rispondere a questi interrogativi può probabilmente risultare più utile l’analisi delle dinamiche interattive sulla base delle quali è costruita la relazione tra medico e paziente, l’analisi del modo in cui entrambi creano la loro peculiare e irripetibile relazione per osservarne e descriverne più puntualmente le forme, la struttura, le caratteristiche e anche il modo in cui, nel corso del tempo, tali forme, caratteristiche e struttura si modellano e cambiano.