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In questo lavoro di tesi è stato valutato il profilo di metilazione del gene MTHFR in placche aterosclerotiche ed in leucociti di sangue periferico di pazienti sottoposti ad endoarteriectomia carotidea. I livelli di metilazione dei leucociti di sangue periferico dei pazienti sono stati poi confrontati con quelli di un gruppo di soggetti sani appaiati per età e genere. Inoltre, abbiamo valutato se fattori di rischio cardiovascolari genetici e ambientali potessero influenzarne i livelli di metilazione.

Il gene MTHFR codifica per un enzima che, anche se non implicato direttamente nella patogenesi del processo aterosclerotico, è essenziale per la biodisponibilità di donatori di gruppi metilici e quindi per la metilazione del DNA.

La regione del gene MTHFR da noi analizzata è situata a livelli del primo esone e contiene un’isola CpG la cui metilazione correla con i livelli di espressione genica (Vaissière et al. 2009).

Dal confronto dei livelli di metilazione di MTHFR tessuti aterosclerotici e leucociti di sangue periferico, abbiamo osservato che il primo esone del gene MTHFR nei tessuti aterosclerotici erano più bassi rispetto a quelli dei leucociti di sangue periferico (P-value<0.001).

È stato trovato che i livelli di metilazione di MTHFR dei leucociti dei pazienti erano significativamente più bassi (P-value=0.02) rispetto al gruppo dei controlli,mentre la concentrazione ematica di hcy era significativamente più alta (P-value=0.008). È stato inoltre osservato che l’età ha un effetto statisticamente significativo sui livelli ematici di hcy (P-value=0.0001). Valutando l’influenza dei fattori di rischio cardiovascolari sui livelli di metilazione abbiamo riscontrato che il polimorfismo MTHFR C677T influenza, seppur in maniera non significativa, i livelli ematici di hcy e la metilazione di MTHFR in leucociti di sangue periferico. Individui con genotipo MTHFR 677TT mostrano tendenzialmente dei livelli di omocisteina più alti (P-value=0.21) e una metilazione più bassa rispetto ad individui eterozigoti 677CT e wild-type 677CC (P-value=0.26).

Per quanto riguarda l’omocisteinemia abbiamo osservato che livelli di hcy >15 µmol/L correlano con più bassi livelli di metilazione di MTHFR in tessuti aterosclerotici (P-value=0.05). La stessa tendenza è stata trovata in leucociti di sangue periferico (P-value=0.11).

Stratificando la nostra popolazione in base al genere abbiamo osservato che nella popolazione generale i maschi avevano dei livelli di metilazione significativamente più bassi (P-value=0.0001), mentre nel gruppo dei pazienti nessuna differenza di metilazione è stata riscontrata tra maschi e femmine (P-value=0.70).

Abbiamo osservato inoltre che l’abitudine al fumo, valutata da sola o in combinazione con i livelli ematici di omocisteina, influenza significativamente i livelli di metilazione di

MTHFR in leucociti di sangue periferico. In particolare i fumatori hanno dei livelli di

metilazione più alti rispetto ai non fumatori (P-value<0.05) e una differenza statisticamente significativa è stata trovata tra individui fumatori con hcy <15 µmol/L e non fumatori con hcy >15 µmol/L (P-value=0.008).

Recenti evidenze mostrano che i meccanismi epigenetici giocano un ruolo essenziale nel processo aterosclerotico (Turunen et al. 2009) infatti, la relazione tra epigenetica, in particolare metilazione del DNA, e malattie cardiovascolari è ben documentata in letteratura (Lund e Zaina 2011; Migliore e Andreassi 2012; Webster et al 2013).

In lesioni aterosclerotiche umane sono stati riscontrati alterati livelli di metilazione in promotori di geni coinvolti nella patogenesi dell’aterosclerosi (Turunen et al. 2009). Questi studi dimostrano la complessa natura della regolazione epigenetica nel contesto di queste malattie. In letteratura è stato riportato che un’ipometilazione globale del DNA è tipica delle lesioni aterosclerotiche umane in stadio avanzato (Lund e Zaina 2011). Ma è stata anche messa in evidenza l’ipermetilazione di promotori di geni come eNOS, SOD3, ERα e ERβ (Turunen et al. 2009; Lund e Zaina 2011). La metilazione del gene ERα risulta più alta nelle placche aterosclerotiche coronariche rispetto all’aorta prossimale non interessata dalla lesione aterosclerotica (Post et al. 1999). Anche il promotore del gene ERβ mostra alti livelli di metilazione in lesioni aterosclerotiche dell’aorta ascendente, dell’arteria carotide comune e dell’arteria femorale se confrontati con aree vasali non caratterizzate dalla lesione aterosclerotica (Kim et al. 2007).

Diversi lavori hanno suggerito il ruolo del gene MTHFR sia nel processo di cancerogenesi che nella malattie vascolari (Botto et al. 2003; Andreassi et al.2003; Piyathilake et al. 2000; Heijmans et al. 2003).

Dai nostri dati risulta che il tessuto aterosclerotico aveva mediamente un più basso livello di metilazione del gene MTHFR (17.6% 8.1) rispetto ai leucociti di sangue periferico (30.4% 5.2) (P-value<0.001).

È stato dimostrato che cambiamenti nella metilazione del DNA potrebbero contribuire alle complicazioni vascolari ed essere associati ad alti livelli ematici di omocisteina (Glier et al. 2013).

Mazza et al. riportano che pazienti con danno vascolare carotideo hanno un’incrementata concentrazione di omocisteina e che questa rappresenta un fattore di rischio indipendente della malattia stessa. Anche se non sono presenti eventi cerebrovascolari, i pazienti con iperomocisteinemia presi in esame hanno una condizione subclinica di danno vascolare caratterizzato da un ispessimento della parete carotidea che è stato valutato con l’esame ultrasonografico, indice del fatto che comunque è presente un’alterazione vasale (Mazza et al. 2013).

Anche De Koning et al. affermano che il 40% dei pazienti a cui è stata diagnosticata una CAD prematura presentano una condizione di Hhcy (De Koning et al. 2003).

Nel nostro studio il gruppo dei pazienti con problemi vascolari presentavano mediamente un’iperomocisteinemia moderata (16.9 μmol/L 7.9) e i livelli di omocisteina erano significativamente più alti rispetto ai controlli (14.3 μmol/L 7.8) (P-value=0.008). Dai dati presenti in letteratura e da quello che abbiamo osservato nel nostro studio risulta evidente una forte associazione tra l’omocisteina plasmatica e lo sviluppo di malattie vascolari. Molti studi in vivo condotti su varie specie, scimmie

(Lentz et al. 1996), ratti (Quéré et al. 1997; Ungvari et al. 1999), topi (Dayal et al. 2001; Eberhardt et al. 2000; Lentz et al. 2000) ed esseri umani (Bellamy et al. 1998; Chambers et al. 1998-1999, Kanani et al. 1999; McDowell e Lang 2000; Raghuveer et al. 2001; Usui et al. 1999) hanno indicato che la disfunzione endoteliale, evento chiave dell’aterosclerosi e delle malattie vascolari, rappresenta una conseguenza dell’iperomocisteinemia. Inoltre, l’iperomocisteinemia sembra aumentare la proliferazione delle cellule muscolari lisce, l’aggregazione piastrinica e agire sulla cascata della coagulazione e della fibrinolisi. Tutti questi eventi sono correlati alla formazione e alla progressione di una lesione vascolare. Comunque, i meccanismi attraverso cui l’omocisteina causa disfunzione endoteliale, aterosclerosi e malattie vascolari in generale, non sono ancora del tutto chiari. Per questo negli ultimi anni

l’attenzione si sta focalizzando sui meccanismi epigenetici nel contesto dell’iperomocisteinemia e del processo aterosclerotico.

In funzione della suddetta considerazione abbiamo valutato se la differenza dei livelli di omocisteina presenti tra il gruppo dei pazienti e il gruppo dei controlli potesse riflettersi sui livelli di metilazione del gene MTHFR.

Abbiamo osservato infatti che più bassi livelli di metilazione in leucociti di sangue periferico caratterizzavano il gruppo dei pazienti (30.4% 5.2), che avevano più alti livelli di hcy, rispetto al gruppo dei controlli (34,9% 12.3) (P-value=0.02).

Un possibile meccanismo che potrebbe giustificare ciò è dato dal fatto che l’accumulo di hcy intracellulare porta all’accumulo di SAH che compete con il donatore del gruppo metilico (SAM) per il sito catalitico delle DNMT, enzimi implicati nella metilazione del DNA. Il risultato di questa competizione è una perdita di tipo passivo delle metilazione del DNA.

Per capire se la metilazione dei leucociti di sangue periferico dei pazienti correla con la metilazione di MTHFR dei tessuti aterosclerotici e quindi possa essere utilizzata come possibile marcatore epigenetico periferico, abbiamo confrontato i livelli di metilazione dei leucociti con quelli dei tessuti aterosclerotici, ma la correlazione, pur mostrando una lieve tendenza, non era statisticamente significativa (P-value=0.20).

Le variazioni epigenetiche sono meccanismi plastici che variano a seconda di stimoli endogeni ed esogeni (Ingrosso e Perna 2009) e i fattori di rischio potrebbero rappresentare importati stimoli che influenzano questi meccanismi.

I fattori di rischio convenzionali delle CVD, ipercolesterolemia, ipertensione, fumo e diabete, giustificano solo il 50% di tutti i casi di CVD. Recentemente è stato anche dimostrato che cause di natura infettiva e immunologica sembrano contribuire ad aumentare il rischio per queste malattie (Mulestein 2011; Sessa et al.2014). E che l’iperomocisteinemia, che interessa il 5-7% della popolazione generale, è un importante fattore di rischio per l’aterosclerosi (De Koning et al. 2003).

L’iperomocisteinemia può essere il risultato di fattori nutrizionali, come la carenza di folati, fattori genetici che alterano l’attività di enzimi coinvolti nella via metabolica dei folati come MTHFR, e fattori di altra natura, come età, genere maschile, insufficienza renale cronica, disfunzione epatica, ipotiroidismo (Refsum et al. 2004a/2004b).

In accordo con quanto detto, nella popolazione generale oggetto del nostro studio abbiamo osservato una relazione significativa tra i livelli di omocisteina e il progredire dell’età (P-value=0.0001) che potrebbe essere spiegato da un declino della funzionalità renale o da un ridotto apporto vitaminico (Castro et al. 2006).

Molti autori, come Castro et al., Kluijtmans e Whitehead, Husemoen et al. e Szabo riportano che varianti polimorfiche del gene MTHFR possono contribuire ad aumentare la suscettibilità alle CVD attraverso un’alterazione del metabolismo dell’omocisteina e dei processi di metilazione del DNA (Castro et al. 2003; Kluijtmans e Whitehead 2001; Husemoen et al. 2014; Szabo 2012).

Nazki et al. riportano che un comune polimorfismo MTHFR C677T comporta una sostituzione amminoacidica della valina in alanina, responsabile di una variante enzimata con attività ridotta che compromette la biodisponibilità del donatore del gruppo metilico necessario per la conversione dell’hcy in metionina.

Husemoen et al. aggiungono che soggetti con genotipo 677TT hanno più alti livelli di omocisteina circolante, quindi con un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.

Abbiamo quindi correlato la concentrazione ematica di omocisteina con i tre genotipi di MTHFR C677T (wild-type CC, eterozigote CT e mutato TT).

Individui con genotipo mutato 677TT mostravano tendenzialmente dei livelli ematici di hcy maggiori rispetto agli altri due genotipi (P-value=0.21).

Infatti dai nostri risultati è possibile dedurre che il polimorfismo MTHFR C677T sembra influenzare i livelli di metilazione di MTHFR probabilmente in seguito all’alterazione dei livelli di omocisteina plasmatica. Individui infatti con variante enzimatica meno funzionante mostravano tendenzialmente dei livelli di omocisteina più alti ma al tempo stesso livelli di metilazione più bassi.

Castro et al. hanno dimostrato inoltre che l’iperomocisteinemia ha un ruolo sulla metilazione del DNA. Come riportato già precedentemente l’accumulo di s- adenosilomocisteina (SAH) può conseguentemente comportare un’aberrante

metilazione del DNA. È stato trovato in particolare che livelli di omocisteina >75 µmol/L correlavano con l’aterosclerosi e con l’ipometilazione del DNA fino ad una

riduzione del 35% dello stato di metilazione del DNA in leucociti periferici (Castro et al. 2003).

Al fine di valutare se i livelli di omocisteina correlano con la metilazione di MTHFR, abbiamo stratificato i pazienti in funzione della sua concentrazione plasmatica utilizzando come cut-off il valore di 15 µmol/L.

Individui che avevano una concentrazione di omocisteina >15 µmol/L presentavano in tessuti aterosclerotici una metilazione del gene MTHFR più bassa (15.42%±5.5) rispetto agli individui con una concentrazione di omocisteina <15 µmol/L (19.77%±10.3) (P-value=0.05).

Nei leucociti di sangue periferico, pur non essendoci una differenza statisticamente significativa (P-value=0.11), abbiamo riscontrato lo stesso andamento osservato nel tessuto aterosclerotico: pazienti con una concentrazione di omocisteina più alta tendono ad avere una più bassa metilazione del gene MTHFR (29.3%± 5.2) rispetto a quelli con concentrazione di omocisteina <15 µmol/L (31.5%± 5.1).

Mentre in letteratura è stata riportata una riduzione dei livelli di metilazione per valori di omocisteina >75 µmol/L, i nostri risultati riportano un abbassamento dei livelli di metilazione del gene MTHFR già a un’omocisteinemia media pari a 23,7 µmol/L.

Da questi dati è possibile dedurre che l’ipometilazione di MTHFR in leucociti di sangue periferico e nel tessuto aterosclerotico sembra quindi correlare con la malattia aterosclerotica carotidea conseguente ad alti livelli di hcy.

Al fine di capire se anche il genere potesse avere un’influenza sulla metilazione di

MTHFR abbiamo stratificato la popolazione in maschi e femmine. Considerando la

popolazione generale, i maschi avevano dei livelli di metilazione di MTHFR significativamente più bassi rispetto alle femmine (P-value<0.0001). Tale differenza non è stata riscontrata nel gruppo dei pazienti (P-value= 0.70).

Questo potrebbe essere dovuto ad un’alterazione dei livelli di metilazione che ricorrono nel corso della malattia o probabilmente per il basso numero di soggetti inclusi nell’analisi.

Tuttavia, una recante meta-analisi ha riportato tra maschi e femmine differenze significative di metilazione in siti CpG dimostrando l’esistenza di profili di metilazione sesso-specifici (McCarthy et al. 2014).

È stato ipotizzato che la regolazione epigenetica dei geni possa essere influenzata dagli ormoni sessuali rendendo così maschi e femmine diversamente suscettibili ad una determinata malattia.

Infatti per quanto riguarda le CVD, gli uomini sembrano essere maggiormente suscettibili rispetto alle donne in pre-menopausa grazie al ruolo protettivo degli estrogeni (Guarner-Lans et al. 2011).

Tra i fattori di rischio modificabili per le CVD abbiamo preso in considerazione l’abitudine al fumo di sigaretta e i suoi effetti sul processo di metilazione nella nostra popolazione.

Talikka et al. hanno evidenziato l’influenza del fumo di sigaretta su malattie come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), cancro al polmone e CVD. Sembra che il fumo oltre ad apportare cambiamenti irreversibili al DNA può causare modifiche epigenetiche reversibili tra cui metilazione al DNA e modifiche nello stato della cromatina. In particolare è stato osservato uno stato di ipermetilazione in alcuni promotori di fumatori, stato che persiste per anni anche dopo che la persona smette di fumare. In generale, i fumatori hanno una più alta media di metilazione rispetto agli ex-fumatori, a supporto dell’idea che l’ipermetilazione è un processo reversibile (Talikka et al. 2012).

Pochi studi hanno finora associato il fumo a cambiamenti nei patterns di metilazione dei promotori di specifici geni nel sangue periferico e nei bronchi. Peluso et al. hanno mostrato che il promotore del gene HIC1 dei fumatori era significativamente ipermetilato rispetto a quello dei non fumatori, mentre i livelli di metilazione di altri promotori come TP53, CDKN2A, IL-6 ed elementi ripetuti come Alu e LINE-1, non lo erano.

Questo dimostra che il fumo di sigaretta influenza i processi di metilazione e a tal fine abbiamo suddiviso i nostri pazienti in fumatori, ex fumatori e non fumatori e abbiamo valutato come l’abitutdine al fumo, da sola o in combinazione con i livelli di omocisteina, influenzi la metilazione del gene preso in esame.

Dai nostri dati è evidente che il fumo sembra aumentare i livelli di metilazione del gene

MTHFR in leucociti di sangue periferico. Esiste una differenza statisticamente

significativa tra i livelli di metilazione dei fumatori (32.6%± 4.3) e quelli dei non fumatori (28.8%± 5.3) (P-value<0.05).

Infine abbiamo analizzato come la combinazione dei due fattori di rischio, abitudine al fumo e livelli ematici di hcy, potesse influenzare il processo epigenetico di metilazione.

I fumatori con concentrazione di hcy <15 µmol/L avevano una percentuale di metilazione più alta rispetto ai non fumatori con concentrazione di hcy >15 µmol/L (P-value=0.008).

Dai dati di questo studio possiamo concludere che i fattori di rischio cardiovascolari quali Hhcy, abitudine al fumo, polimorfismo MTHFR C677T probabilmente tramite l’alterazione dei livelli emetico di hcy, e il genere influenzano i livelli di metilazione del gene MTHFR.

L’ipometilazione di MTHFR sia a livello dei leucociti di sangue periferico che dei tessuti aterosclerotici sembra correlare con la malattia vascolare carotidea.

Da un lato l’ipometilazione di MTHFR se associata ad un aumento dell’espressione genica, potrebbe rappresentare un meccanismo compensatorio che favorirebbe la conversione dell’hcy a metionina e lo smaltimento dell’hcy stessa; dall’altro, l’ipometilazione potrebbe anche semplicemente risultare da una minor disponibilità di SAM, principale donatore di gruppi metilici per la metilazione del DNA a causa della mancata conversione dell’hcy in metionina.

Anche se la correlazione tra metilazione dei leucociti e tessuto aterosclerotico non risulta statisticamente significativa per poter considerare la metilazione di MTHFR un possibile marcatore epigenetico periferico della patologia vascolare carotidea, può risultare interessante approfondire questo tipo di analisi ricorrendo ad una casistica più ampia.

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