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La reazione a catena della polimerasi con polimorfismi per il sito di restrizione (Polymerase Chain Reaction - Restriction Fragment Length Polymorphism, PCR-RFLP) viene utilizzata per la genotipizzazione di un polimorfismo.

Il primo passo è quello di amplificare una regione del DNA tramite una reazione a catena della polimerizzazione (Polymerase Chain Reaction, PCR) classica seguita dalla digestione con un enzima di restrizione appropriato. A seconda del polimorfismo il sito di restrizione può essere accessibile o no all’enzima portando alla formazione di frammenti di restrizione diversi tra loro. Essi possono essere visualizzati tramite successiva corsa elettroforetica in gel di agarosio al 3% e visualizzazione ai raggi UV. La PCR è una metodica di biologia molecolare sviluppata nel 1983 da Gary Mullis che consente di amplificare frammenti di acidi nucleici conoscendo solamente le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali (Saiki et al. 1985).

Ciò che ha permesso lo sviluppo di questa metodica è stato l’utilizzo di una DNA polimerasi termo stabile, la Taq polimerasi. Essa è stata isolata dall’archeobatterio termofilo Thermophilus aquaticus, che vive nelle sorgenti termali con temperature molto alte, vicine quasi al punto di ebollizione dell’acqua.

Di conseguenza, tutti gli enzimi di questo organismo si sono evoluti per resistere ad alte temperature, alle quali tutte le proteine della maggior parte degli altri organismi si denaturerebbero immediatamente e irreversibilmente. A parte questa caratteristica distintiva, la Taq polimerasi è una normale DNA polimerasi in grado di sintetizzare un nuovo filamento di DNA complementare ad uno stampo a singolo filamento. Come tutte le DNA polimerasi, necessita della presenza di inneschi (primers) che fiancheggiano la sequenza da amplificare e da cui far partire la sintesi del nuovo filamento di DNA. Questo rappresenta un limite di tale metodica poiché per il disegno dei primers si deve conoscere almeno in parte la sequenza che si vuole amplificare. Tuttavia tale polimerasi non è particolarmente efficace; infatti sebbene possegga una elevata processività (ha una elevata tendenza a rimanere associata allo stampo permettendo cosi l’incorporazione di parecchi nucleotidi), essa manca di una attività di

correttore di bozze (proofreading activity) e quindi non è in grado di correggere le basi erroneamente incorporate.

Schema di un ciclo di PCR

La soluzione di reazione è costituita da:

 segmento di DNA che si desidera amplificare;

 desossiribonucleotidi trifosfati (dNTPs), che verranno incorporati durante la formazione dei nuovi filamenti;

 primers;

 DNA polimerasi termo-resistente, non è necessario che provenga dallo stesso organismo di cui si deve replicare il DNA;

 Buffer, per mantenere il pH della reazione stabile e per garantire un ambiente adatto alla reazione;

 ioni magnesio, per il corretto funzionamento della DNA polimerasi, per l’ibridazione dei primers e per aumentare la temperatura di denaturazione;

 acqua.

Per prima cosa, il DNA a doppio filamento deve essere denaturato. La temperatura usata in genere è di 94°C. Viene poi abbassata fino a raggiungere la temperatura ottimale alla quale i due primers si appaiono ai filamenti di DNA ad essi complementari (temperatura di annealing). Questa è l’unica temperatura della reazione di PCR che può essere ampiamente modificata per ottenere la massima efficienza di appaiamento dei primers e il minimo legame ad altre sequenze non specifiche. Se la temperatura di annealing è troppo bassa i primers si legheranno anche ad altre posizioni del DNA determinando l’amplificazione di sequenze aspecifiche; se la temperatura è troppo alta i primers possono non essere in grado di legarsi al sito corretto provocando assenza di prodotto. La temperatura richiesta dipenderà dalla sequenza e dalla lunghezza dei primers. La fase di annealing è rapida e dura circa un minuto. La temperatura viene quindi innalzata fino a 72°C, temperatura considerata normalmente ottimale per la fase di estensione. La Taq polimerasi in questa fase determinerà, a partire dai primers,

la sintesi dei filamenti di DNA complementari al filamento che funge da stampo. La polimerizzazione procederà finché non viene interrotta con l’innalzamento della temperatura, che determina l’inizio del ciclo successivo di amplificazione. Il ciclo descritto viene ripetuto generalmente per circa 20-30 volte. In genere non si superano i 50 cicli in quanto ad un certo punto la quota di DNA ottenuto raggiunge un plateau. Ciò avviene, ad esempio, per carenza degli oligonucleotidi usati come inneschi o per diminuzione dei dNTPs. Bisogna inoltre considerare che si deve evitare di amplificare eventuale materiale genomico contaminante.

Si è visto che una quantità di DNA genomico di 100 ng è sufficiente per la reazione di PCR. È necessario, comunque, poter valutare la quantità di DNA ottenuta durante il processo di estrazione, tramite una lettura spettrofotometrica a 260 nm. Effettuando, inoltre, una lettura ad una lunghezza d'onda di 280 nm (picco d'assorbanza delle proteine, principale contaminante degli estratti) si può ottenere il rapporto tra le rispettive assorbanze a 260 e 280 nm e quindi una stima della purezza del DNA ottenuto.

Per valutare la sensibilità e la specificità della metodica, ovvero per evidenziare la presenza di falsi positivi o falsi negativi, si utilizzano dei controlli positivi e controlli negativi. Il primo consiste in un campione in cui è presente la sequenza bersaglio, mentre il controllo negativo, nel quale manca tale sequenza, serve per evidenziare eventuali contaminazioni. La scelta dei primers costituisce un aspetto essenziale per la buona riuscita della PCR. Essi devono ibridare in maniera specifica ed efficiente con la sequenza d’interesse; la loro lunghezza deve essere compresa tra le 20 e le 30 paia di basi e devono essere specifici per la sequenza d’interesse in modo da non portare alla produzione di falsi positivi. È fondamentale definire il corretto orientamento dei primers. I due primers utilizzati per la PCR sono definiti reverse e forward, a seconda che siano complementari al filamento 5'→3' o a quello inverso 3'→5. Grazie alle banche dati e alle pubblicazioni scientifiche stanno diventando sempre più disponibili le sequenze di DNA o di RNA necessarie per poter disegnare i primers da utilizzare nelle PCR. Una volta ottenuta la sequenza d'interesse bisogna controllare che nel resto del genoma non vi siano sequenze omologhe che possano portare alla produzione di falsi positivi. Inoltre, devono avere un contenuto in CG non superiore al 50%, e non contenere strutture complementari che possano portare alla formazione di hairpin o

dimeri di primer; è desiderabile che i due primer posseggano una simile temperatura di annealing e per questo motivo dovranno essere simili in lunghezza e sequenza nucleotidica.

Dal momento che i polimorfismi di sequenza sono tratti del DNA i cui alleli differiscono per variazioni della sequenza a livello di un singolo nucleotide, la sostituzione nucleotidica può introdurre o eliminare un sito di riconoscimento per una specifica nucleasi di restrizione. Quindi, digerendo con uno specifico enzima la sequenza di DNA amplificata mediante PCR che include il sito polimorfico, si determineranno frammenti di lunghezze diverse, i cosiddetti polimorfismi per il sito di restrizione (RFLP). Le endonucleasi di restrizione sono enzimi di origine batterica utilizzati per tagliare (digerire) le molecola di DNA a doppia elica in corrispondenza di specifiche sequenze di basi, dette sequenze di riconoscimento o siti di restrizione. In genere si tratta di sequenze palindrome, ovvero sequenze nucleotidiche a simmetria binaria che se lette in direzione 5→3’ presentano la stessa sequenza di basi sia su un’elica che sull’altra. In biologia molecolare gli enzimi di restrizione sono d’importanza fondamentale. Una volta ottenuto il prodotto di nostro interesse mediante PCR, si procede con la digestione enzimatica. Il polimorfismo può inserire o eliminare un sito di restrizione all’interno dell’amplificato, comportando la formazione di frammenti di lunghezza e peso molecolare specifici con possibilità di discriminazione dei vari genotipi mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio.

1.5.2 Methylation Sensitive High Resolution Melting (MS-HRM)

La tecnica ad alta risoluzione metilazione sensibile (High-Resolution Melting Analysis o HRM) è una metodica sensibile e specifica per il rilevamento della metilazione all’interno di promotori ed isole CpG dopo trattamento con sodio bisolfito. Il sodio bisolfito converte le citosine non metilate in uracile, mentre le citosine metilate sono protette da questa modificazione (Clark et al. 1994). Questo trattamento permette di conservare l’informazione epigenetica presente nel DNA dopo amplificazione; durante i cicli di PCR le 5-metilcitosine (5-mC) vengono sostituite dalle citosine mentre le citosine non metilate (ora trasformate in uracile) vengono sostituite in timine.

La metodica quindi prevede che dopo trattamento con bisolfito il frammento di DNA di interesse venga amplificato tramite PCR utilizzando primers che non contengono dinucleotidi CpG (Frommer et al. 1992; Clark et al. 1994), successivamente la temperatura di denaturazione del frammento di DNA amplificato risulterà essere strettamente dipendente dalla sua sequenza nucleotidica.

La metodica presenta numerose applicazioni come la ricerca di mutazioni, la genotipizzazione di Single Nucleotide Polymorphisms (SNPs), la ricerca della perdita di eterozigosità, l’analisi di metilazione del DNA e la caratterizzazione degli aplotipi. L’aggiunta di fluorofori (EvaGreen) che si legano specificamente alla doppia elica del DNA senza compromettere la PCR, fa sì che si possano seguire ed analizzare le proprietà di melting di un prodotto di PCR subito dopo l’amplificazione (Wittwer et al. 1997). All’aumentare della temperatura si osserva un decremento della fluorescenza che riflette la denaturazione del DNA.

Per poter misurare il decremento della fluorescenza si deve arrivare alla temperatura di Melting (Tm) ovvero la temperatura per la quale il 50% del DNA si trova in forma denaturata. Ogni differente amplificato avrà quindi una diversa temperatura ed un diverso profilo a seconda del numero di coppie CG nel doppio filamento (Wojdacz et al. 2008). Difatti la sequenza metilata conterrà una quantità più alta di coppie CG ed avrà quindi una Tm più alta rispetto alla sequenza corrispondente non metilata che avrà invece una più alta presenza di coppie AT.

Le proprietà di melting dei prodotti di PCR sono analizzate innalzando lentamente e continuamente la temperatura ed acquisendo in contemporanea la fluorescenza (Figura 6).

Figura 6: curva di melting. La curva mostra una diminuzione della fluorescenza con l’aumentare della temperatura via via che il fluoroforo è rilasciato dal DNA a doppia elica.. Tm (temperatura di melting)

indica la temperatura alla quale il 50% del DNA si trova in forma denaturata.

Per l’applicazione di questa metodica un passaggio fondamentale è rappresentato dal disegno dei primers. In certi casi si può verificare un’amplificazione asimmetrica dei segmenti dovuta alla tendenza del frammento non metilato di amplificarsi più velocemente creando così una sovrastima dei livelli di metilazione (Wojdacz et al. 2008). Questo può essere risolto introducendo almeno un’unità CpG nei primers. Importanti sono però le caratteristiche di base dei primers: le temperature di annealing sia del forward che del reverse non devono discostarsi di oltre 1°C e la lunghezza del segmento da amplificare non deve essere più grande di 200 bp (Wojdacz et al. 2008).

Il primo passaggio prevede un aumento della temperatura fino a 95°C, favorendo la denaturazione della doppia elica del DNA. Seguono circa 60 cicli di tre step: 5-30s a 95°C, 5-30s alla specifica temperatura di annealing dei primers e 5-45s a 72°C.

In seguito alla PCR si esegue l’acquisizione in high resolution melting. Si porta la temperatura a 95°C per circa 1 minuto in modo da denaturare tutto il DNA amplificato, successivamente la temperatura viene abbassata a 50-70°C per permettere ai prodotti di PCR di ibridare. A questo punto viene incrementata la temperatura per

l’acquisizione del melting; inizialmente è preferibile impostare un incremento da 70°C a 95°C; il range di temperatura potrà poi essere aggiustato per migliorare l’acquisizione dei dati (Wojdacz et al. 2008).

I dati HRM acquisiti verranno analizzati successivamente da uno specifico software. Sono stati sviluppati infatti algoritmi in grado di analizzare i dati ottenuti con la high resolution melting che permettono di normalizzare le differenze in fluorescenza dei diversi campioni. Le curve di melting che si vengono ad ottenere stimano la proporzione delle sequenze metilate e non metilate e il grado di metilazione sconosciuto di un campione può essere dedotto dal confronto con un profilo di metilazione noto (Figura 7).

I risultati verranno poi interpolati e questa operazione ci permette di valutare precisamente la percentuale di metilazione dei campioni presi in esame.

Figura 7: curve di melting di DNA standard con percentuale di metilazione nota (0%, 12.5%, 25%, 50%, 75% e 100%) e di campioni con profilo di metilazione sconosciuto. La percentuale di metilazione dei

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