• Non ci sono risultati.

In questa tesi di dottorato sono stati sviluppati metodi analitici innovativi per la determinazione di OTA in matrici (fegato, rene, muscolo) provenienti da suidi. Queste specie sono state utilizzate come bioindicatori in quanto s’inseriscono a tutti gli effetti come anello di congiunzione fra le quote di contaminanti presenti nel suolo e negli alimenti di cui si cibano e l’uomo che include nella propria dieta prodotti da essi derivati.

In chimica analitica la fase di estrazione è la fase più critica poiché è influenzata dalla matrice, in questo caso, di origine animale. Le più comuni procedure di estrazione per la determinazione di OTA dalle matrici di origine animale prevedono l’utilizzo di cloroformio, seguite da passaggi di purificazione con colonne di immunoaffinità oppure estrazioni di tipo liquido/liquido (Valenta 1998: Curtui et al. 2001; Monaci et al. 2004). In generale, queste tecniche richiedono un largo utilizzo di solventi organici anche di tipo clorurato. La tecnica di digestione enzimatica sviluppata in questa tesi, prevede un ridotto utilizzo di solventi organici, se comparata alle altre tecniche sopracitate. E’ risultata semplice da applicare e ha mostrato risultati molto buoni in termini di recupero e limiti di quantificazione. La metodica presa a riferimento prevede un’estrazione liquido/liquido, una successiva acidificazione e una purificazione tramite una retro-estrazione. Questa tecnica necessita di circa 8 ore di tempo per l’analisi di 8 campioni in parallelo e inoltre, prevede l’utilizzo di circa 25 ml di etilacetato per ciascun campione e anche un omogenizzazione del campione in 5 ml di acido forte (H3PO4 1 M). Visti questi svantaggi, è nata la necessità di sviluppare una nuova tecnica innovativa che prevedesse l’utilizzo di minori quantità di solvente organico e una diminuzione sensibile del tempo di analisi. L’OTA è un acido debole (pKa 4.4 e 7.3 per il carbossile e il gruppo idrossilico) e può essere estratta da una fase acquosa in un solvente meno polare solo a pH <7, poichè in condizioni neutre e alcaline è presente nella forma dissociata. Nella maggior parte degli studi, l'OTA è stata estratta da tessuti animali con cloroformio dopo l'acidificazione con

una soluzione di acido cloridrico o fosforico (Curtui et al. 2001). L’OTA è stata determinata nei reni mediante estrazione enzimatica in due vecchie metodiche utilizzando subtilisina o papaina prima dell'estrazione (Hunt et al. 1979; Scheuer et al. 1984). Più recentemente, è stato proposto un metodo basato su un’estrazione enzimatica con pancreatina prima della purificazione attraverso colonne di immunoaffinità per l'OTA nei campioni di prosciutto (Pietri et al. 2011). Lo studio ha avuto lo scopo di ridurre il numero di singole fasi di trattamento del campione, pur rilevando l'OTA nei tessuti di sudi a bassi livelli di concentrazione. E’ stata scelta la pancreatina come enzima proteolitico perché è attivo nel mezzo neutro (pH 6 - 8). D'altra parte, gli enzimi come la pepsina che sono attivi nel mezzo acido (pH 1,5 - 2,5) non sono adatti per l'OTA, perché la tossina viene distrutta molto rapidamente a causa dell'idrolisi del legame ammidico. La pancreatina è un ottimo enzima per poter effettuare questi tipi di digestione, poiché idrolizza le proteine e permette all’OTA (in forma ionizzata) di essere facilmente estratta nella fase acquosa. Dopo 1 ora di incubazione, il campione era completamente digerito e idrolizzato (eccetto il tessuto connettivo ed adiposo) e questo risultato è stato ottenuto probabilmente perché la pancreatina dopo 1 ora è maggiormente attiva, rispetto alle 2-3 ore di incubazione in cui possono verificarsi problemi di stabilità enzimatica, che si sono ripercossi sulla quantità di matrice omogenata completamente e di conseguenza sul recupero dell’analita. La fase finale di purificazione del campione è stata eseguita utilizzando 5 ml di etlacetato ed evitando la retroestrazione acida poiché le matrici biologiche dopo digestione sono già quasi completamente dissolte e anche la fase lipidica che è causa dell’uso della retroestrazione non è più presente. I risultati ottenuti con la presente metodica hanno permesso una riduzione dei volumi di solventi utilizzati e dei tempi di analisi dei campioni, poiché il volume totale di etilacetato utilizzato in questa metodica sono 5 ml per ogni campione, anziché 25 ml come nella metodica di riferimento; il tempo di analisi per la processazione di 8 campioni è di 3 ore mentre con la metodica liquido/liquido era di 8 ore.

La fase di purificazione del campione è stata anche eseguita utilizzando delle colonne a stampo molecolare selettive per l’OTA. La tecnica dell’“impronta molecolare” è un approccio sintetico interessante per la creazione di siti che mimano ligandi di molecole in cui si ha alta affinità e selettività verso un particolare composto chiamato modello (Turner et al, 2006). Questa tecnica utilizza tali molecole modello per costruire i loro siti di riconoscimento attraverso l’interazione con gruppi funzionali complementari costituiti da appropriati monomeri. I complessi risultanti sono poi copolimerizzati con un eccesso di cross-linkers (o agenti reticolanti) in presenza di un radicale libero come iniziatore. Dopo la polimerizzazione la molecola modello viene rimossa mediante opportuno solvente. La formazione di queste specifiche cavità stericamente e chimicamente complementari all’analita di interesse, determina l’elevato grado di selettività dei MIPs. Il passaggio con le MISPE nella presente tesi è successivo alla digestione, e la messa a punto di questa purificazione è partita dall’analizzare un protocollo di estrazione /purificazione dell’OTA dal vino. Il protocollo di passaggio attraverso le colonne è stato ottimizzato per le matrici di interesse al fine di ottenere i migliori valori di recupero %. I tempi di analisi dei campioni si sono ulteriormente ridotti grazie all’utilizzo dell’estrattore multiplo dei campioni. Infine i valori dei limiti di quantificazione si sono ridotti anche rispetto al metodo di digestione enzimatica essendo comparabili a quelli che si ottengono con le analisi HPLC accoppiata alla spettrometria di massa (Huang et al., 2014; Milićević et al., 2009; Losito et al. 2004).

Entrambe le metodiche sviluppate sono state validate in base ai criteri dell'UE per i metodi di conferma dei contaminanti ed hanno dimostrato di essere adatte per una determinazione quantitativa accurata dell'OTA nei diversi tessuti di suidi.

La metodica HPLC accoppiata alla digestione enzimatica sviluppata nella presente tesi è stata applicata in uno studio di campo in campioni di muscolo, fegato e rene di cinghiali raccolti nella provincia di Pisa. Tradizionalmente in Toscana, come in altre regioni, le carni di cinghiale sono utilizzate per la produzione di prodotti di nicchia, in particolare coppa e salame. Tali prodotti potrebbero contribuire all'assunzione di OTA da parte dell’uomo. Il monitoraggio della qualità della carne destinata alla trasformazione è necessario per ridurre la possibilità di trasferimento dell’OTA nell’alimentazione umana. Il rene ha mostrato di essere l’organo di maggiore accumulo seguito dell’OTA seguito da fegato e infine dal muscolo. In 16 dei campioni di tessuto esaminati in questo studio (10 rene, 6 fegato), le concentrazioni di OTA sono risultate superiori al limite violativo di 1 µg/kg stabilito dalla Circolare n. 10 del Ministero della Sanità del 9 giugno 1999. Nessuno dei campioni di muscolo superava il limite. Il presente studio conferma che la contaminazione dei prodotti a base di carne suina rappresenta una potenziale fonte emergente di esposizione ad OTA per l’uomo. Non sono state osservate differenze significative nei livelli di OTA nel muscolo, fegato e rene in base al sesso dei soggetti analizzati o all’anno di raccolta del campione, mentre è stata osservata una differenza significativa tra i soggetti giovani e gli adulti. Inoltre è stata osservata una correlazione statisticamente significativa negativa tra il peso dei cinghiali e le concentrazioni di OTA nel rene. Con l'aumento del peso corporeo, la concentrazione di OTA nel tessuto è risultata inferiore e gli animali con un peso corporeo >50 kg possono essere considerati come contaminati in tracce dall’ OTA nei reni. Questo risultato è in accordo ad uno studio sulla contaminazione da OTA nei cinghiali in Polonia (Grajewski et al. 2012).

La minor concentrazione di OTA negli esemplari di cinghiali adulti, potrebbe essere dovuta al fatto che migrano in cerca di cibo, con conseguente ingestione di cibi più diversificati e inoltre, stazionano per minor tempo in ogni area di alimentazione. D’altro canto, la maggior concentrazione di OTA nei giovani cinghiali, potrebbe essere dovuta al

fatto che sono affamati, e consumano grandi quantità di cibo, che li rende soggetti ad un'esposizione più rapida ed intensa della micotossina. Questi risultati sono diversi da studi di contaminazione da metalli pesanti nei tessuti di cinghiale che hanno mostrato una correlazione lineare positiva tra il contenuto di OTA e il peso dell'animale (Larsen et al., 2002, Rudy, 2010). Questo risultato potrebbe essere spiegato dal diverso metabolismo dell'OTA rispetto ai composti inorganici come il piombo.

La correlazione tra il contenuto di OTA nel muscolo e nei reni è stata positiva e alta, indicando un aumento proporzionale positivo di OTA tra i due tessuti. Il livello più elevato di OTA nel rene, è probabilmente dovuto all'alta affinità di OTA per questo tessuto e al basso tasso di escrezione. La sua biodisponibilità in specie monogastriche, è alta; essa si accumula nel sangue e negli organi edibili, soprattutto nei reni (Ringot et al., 2006).

Inoltre, tradizionalmente in diverse regioni italiane, vengono utilizzate carni di selvaggina per produrre prodotti di nicchia, in particolare coppa e salame. In questi prodotti, il tempo di stagionatura potrebbe influire sulla concentrazione di OTA, e risultare più elevata a causa della perdita di acqua nella fase di disidratazione. Ad esempio, Markov e collaboratori (2013), hanno riportato la contaminazione di OTA nella salsiccia fermentata di cinghiale in un range di concentrazioni tra 2,70 e 3,07 µg/kg, suggerendo l'arricchimento dei livelli di OTA nei prodotti di carne fermentati.

Studi recenti hanno indicato la presenza di OTA nei tessuti di suini sub-cronicamente trattati (Perši et al., 2014; Pleadin et al., 2016). L'OTA è stata trovata anche nei tessuti di suini contaminati naturalmente (Matrella et al., 2006). I livelli di OTA nei tessuti riportati nel presente studio, sono vicini ai livelli dei tessuti dei suini contaminati naturalmente e inferiori ai suini trattati sub-cronicamente. Nonostante il fatto che i livelli di OTA stabiliti nella carne di selvaggina all'interno di questo studio, non sembrano essere pericolosi per la salute umana. L’OTA può entrare ed accumularsi nel corpo umano attraverso il consumo di carne e, nonostante la carne di selvaggina non sia generalmente consumata in grandi

quantità, è necessario definire i limiti residuali per i vari tipi di carne di selvatici e prodotti derivati da tali carni.

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