Gli idrocarburi petroliferi (PHCs) rappresentano la risorsa energetica maggiormente utilizzata dalle popolazioni mondiali. Nel 2012 infatti, secondo la US Energy Information Administration (EIA), il consumo di petrolio è stato di 88.9 barili al giorno, dato in calo nel 2013. L’uso di carburanti e svasamenti accidentali rendono i PHCs uno tra i principali inquinanti ambientali che determinano un rischio per salute (Andreoni & Gianfreda, 2007). I PHCs sono composti da strutture con biodegradabilità differente. Il 50% dei prodotti petroliferi raffinati come il gasolio è composto da idrocarburi paraffinici quali alcani lineari o ciclici e iso - alcani. Il gasolio è stato scelto infatti come miscela idrocarburica modello della contaminazione dei sedimenti in esame.
Il progetto Bio ResNova, nella quale si inserisce il presente lavoro di tesi, ha lo scopo di risanare, mediante biotecnologie innovative, i sedimenti di dragaggio del Canale dei Navicelli caratterizzati da una contaminazione storica da PHCs di origine antropica. Il dragaggio dei sedimenti porterà all’effettivo ripristino del Canale dei Navicelli, tuttavia l’operazione comporterà la gestione di circa 30.000 tonnellate di sedimenti dragati l’anno che necessita di un approccio sostenibile ed efficace per una loro decontaminazione ed eventuale recupero.
Le tecnologie di risanamento biologico o bioremediation, sono strategie che sfruttano le capacità degradative della flora microbica autoctona o alloctona alla matrice in trattamento. Risultano essere una scelta vantaggiosa, sia in termini di successo di decontaminazione da idrocarburi petroliferi sia in termini di impatto ambientale e di costi contenuti (Okoh, 2006). Il presente lavoro di tesi è finalizzato alla selezione e caratterizzazione di una flora batterica autoctona alla matrice in trattamento in grado di ossidare gli idrocarburi petroliferi come possibile applicazione in metodi di risanamento biologico, quali la bioaugmentation, come mezzi per il risanamento di sedimenti di dragaggio caratterizzati da alti livelli di idrocarburi petroliferi.
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Il primo approccio necessario è stato quello di isolare un consorzio batterico autoctono in grado di utilizzare il gasolio come unica fonte di carbonio. Nel consorzio batterico sono stati identificati nove morfotipi denominati Con 1, Con 2, Con 3, M1, M2, NM1, NM2, G1 e G2, cresciuti nelle medesime condizioni colturali del consorzio microbico, dei quali è stata valutata la capacità degradativa nei confronti del gasolio al termine di 6 giorni di trattamento. L’analisi della crescita batterica dei diversi morfotipi in coltura axenica in presenza di gasolio e del consorzio risulta lenta. Due dei nove morfotipi, Con 3 ed NM 2, non risultano in grado di crescere nelle suddette condizioni colturali, mentre il gasolio come unica fonte di carbonio in mezzo minimo manifesta un effetto batteriostatico sul morfotipo M 2.
L’uso di tecniche analitiche quali la Gas Cromatografia accoppiata alla Spettrometria di Massa (GC – MS) ha permesso di valutare le capacità del consorzio microbico e dei nove morfotipi in coltura axenica di degradare il gasolio. Il consorzio batterico isolato dal sedimento è in grado di degradare, dopo sei giorni di incubazione in Basal Salt Medium addizionato di gasolio all’1% v/v come unica fonte di carbonio, il 90,43% degli alcani lineari totali presenti nel gasolio e il 95% degli alcani non lineari con C>12. Le percentuali di degradazione di ogni singolo alcano lineare del gasolio variano dall’83,83% al 98,54% evidenziando una spiccata capacità degradativa del consorzio sia degli alcani a basso peso molecolare che a peso molecolare più elevato. La capacità degradativa del totale degli n – alcani da parte del consorzio è stata valutata anche in una condizione colturale differente da quella sopra citata. Il mezzo di coltura Basal Salt Medium è stato addizionato sia di gasolio all’1% v/v che di latte in polvere bovino al 2% p/v, in modo tale da valutare le capacità degradativa del consorzio quando incubato con substrato di crescita come il latte in polvere, utilizzato per la lattazione di animali da allevamento. Di fatto, il suddetto substrato, costituisce una fonte di carbonio a costo sostenibile, utilizzata su scala reale in impianti a fanghi attivi o comunque processi biologici in cui la crescita dei microrganismi responsabili del processo è un parametro essenziale nel raggiungimento dell’obiettivo. Nelle suddette condizioni di crescita, il consorzio degrada il 49,33% degli n–alcani, percentuale in calo rispetto al consorzio cresciuto in terreno minimo con gasolio come unica fonte di carbonio. La riduzione delle capacità degradative del consorzio batterico, quando incubato con latte al 2% p/v, può essere giustificata da un effetto di inibizione da catabolita. Specie
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batteriche che hanno generalmente un metabolismo versatile, possiedono sistemi di regolazione che assicurano una gerarchica di assimilazione delle singole fonti di carbonio, favorendo l'uso di alcuni composti rispetto ad altri substrati. Questo processo è definito repressione da catabolita (Rojo, 2009). Gli idrocarburi tipicamente non rappresentano i substrati di crescita preferiti dai batteri. E’ stata infatti osservata l’inibizione dell’'espressione di geni alcano – degradanti a carico di diverse fonti di carbonio alternative agli alcani stessi. La suddetta inibizione da catabolita è stata osservata in generi batterici diversi quali Pseudomonas, Acinetobater e Burkholderia (Rojo, 2009).
I meccanismi molecolari che regolano il processo non sono ancora del tutto chiari e variano in generi batterici diversi (Hernández-Arranz et al., 2013). Tuttavia in generale si può affermare che i batteri, utilizzano come substrato di crescita fonti di carbonio più semplici come gli zuccheri ed una volta terminati i suddetti veicolano il metabolismo verso fonti di carbonio più recalcitranti come gli alcani. Nel caso descritto nel presente lavoro si osserva quindi una probabile inibizione da catabolita, tuttavia il consorzio conserva la capacità di degradare gli alcani lineari, sebbene con un’efficienza minore, anche in presenza di una fonte di carbonio alternativa agli idrocarburi. E’ ragionevole pensare che la suddetta capacità, nel contesto della presente sperimentazione permetta al consorzio, in condizioni di campo, ovvero in presenza di fonti diverse e biodisponibili di carbonio, di mantenere inalterata la capacità di ossidare idrocarburi contaminanti. D’altra parte risulta di interesse la capacità del consorzio di utilizzare come fonte alternativa di carbonio per la crescita, una fonte a basso costo come il latte da lattazione animali, compatibile con i protocolli di gestione impianti di operatori la cui attività è dedicata al trattamento dei rifiuti. L’analisi in GC – MS ha quindi permesso di distinguere i diversi morfotipi in base alle diverse capacità metaboliche nei confronti dei PHCs, permettendo di selezionare i candidati batterici processivi sia nei confronti degli alcani lineari che di strutture idrocarburiche ad alto peso molecolare eventualmente maggiormente recalcitranti alle biodegradazioni.
E’ stato quindi individuato un Consorzio microbico Minimo, in termini di numero di candidati batterici a copertura di attività ossidative sia nei confronti degli alcani lineari
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anche ad alto peso molecolare, che nei confronti di strutture idrocarburiche più recalcitranti quali iso – alcani, strutture nafteniche e naftaleniche. Sono stati infatti individuati come possibili candidati del Consorzio Minimo i morfotipi Con 1, G 2 ed NM 1: Con 1 in quanto capace di degradare alcani lineari a basso e medio peso molecolare, G 2 perché particolarmente capace di degradare alcani lineari a catena mediamente lunga, i quali normalmente vanno a costituire la frazione idrocarburica più abbondante in una matrice contaminata da PHCs; Il morfotipo NM 1 in quanto, contrariamente agli altri due, mostra una significativa capacità di ossidare la componente non lineare della frazione idrocarburica, congiuntamente ad una buona capacità di ossidazione degli alcani ad alto peso molecolare.
La scelta di allestire un Consorzio Minimo, inteso come numero di candidati batterici, ricade principalmente nel vantaggio di lavorare con un numero limitato di candidati batterici, i quali possiedono le capacità metaboliche migliori per le funzioni di interesse, rendendo però le analisi per il controllo dei processi di bioaugmentation sostenibili in termini procedurali e di validazione protocolli.
In letteratura la bioaugmentation di consorzi microbici, anziché di singoli ceppi, è descritta come approccio con alta possibilità di successo in interventi su matrici ambientali contaminate (Tyagi et al., 2011). Il motivo è intrinseco ad una migliore plasticità metabolica di un consorzio rispetto all’uso di un singolo ceppo (Rahman et
al., 2002). Il consorzio batterico quando utilizzato per strategie di risanamento
biologico quali la bioaugmentation infatti offre molti vantaggi rispetto all’uso di singoli ceppi, quali ad esempio la capacità dei ceppi formanti il consorzio di integrare capacità metaboliche diverse che in sinergia possono condurre alla mineralizzazione del contaminante o ad una risposta più efficiente in termini di trasformazione del contaminante primario e dei suoi intermedi catabolici. D’altra parte l’attività metabolica dei ceppi microbici di interesse può entrare in sinergia con le capacità metaboliche di altri ceppi microbici autoctoni apparentemente non coinvolti nei processi degradativi, che possono comunque contribuire alla trasformazione e/o alla mineralizzazione degli intermedi catabolici dei primi (Richard et al., 1999). In letteratura sono presenti casi di successo per processi di bioaugmentation utilizzando consorzi microbici autoctoni. In Payne et al. del 2011, i risultati dimostrano che il processo di bioaugmentation con batteri degradanti i Poli-Cloro Bifenili (PCB)
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determina una diminuzione della concentrazione degli inquinanti in esame in matrici quali sedimenti, rispetto al controllo non sottoposto a bioaugmentation. Lo studio supporta la possibilità di utilizzare la bioaugmentation in situ come alternativa a metodi di trattamento più invasivi e costosi per il risanamento di sedimenti contaminati.
L’individuazione del Consorzio Minimo non può che implicare una classificazione tassonomica dei candidati batterici eventualmente seguita dall’individuazione dei geni strutturali responsabili dell’attività degradativa di interesse, che consenta il riconoscimento di ogni singolo batterio che costituisce il Consorzio Minimo in modo univoco, ai fini del monitoraggio dei processi degradativi favoriti dalla
bioaugmentation. Lo studio tassonomico degli isolati batterici ha indicato una
distribuzione dei nove morfotipi in due generi batterici quali Pseudomonas sp. e
Stenotrophomonas sp., come evidenziato dai risultati dell’analisi ARDRA (Amplified
Ribosomal DNA Restriction Analysis) che ha permesso di individuare due ribotipi o OTU (Operational Taxonomic Unit) distinti appartenenti ai generi sopra citati. Il genere di interesse Pseudomonas sp. comprende bastoncelli, Gram negativi, aerobi obbligati, non fermentanti, mobili con uno o più flagelli polari, ubiquitari, caratterizzati da una particolare pigmentazione giallo - verde (fluoresceina). Il genere Psuedomonas è stato isolato in diverse matrici ambientali inclusi i sedimenti ed è largamente utilizzato in campo agricolo in quanto capace di produrre composti antifungini. Nel campo delle
bioremediation, Pseudomonas ha trovato applicazione per l’ossidazione degli
idrocarburi alifatici (Aislabie & Atlas, 1988). In uno studio condotto da Sathiya (2008) ceppi di Pseudomonas isolati da matrice ambientale quale suolo, caratterizzato da
contaminazione storica da oli pesanti, sono stati utilizzati per prove di
bioaugmentation (Sathiya moorthi et al., 2008). Tribelli et al. nel 2012, usano il genere Pseudomonas per la degradazione del gasolio, in particolare per la frazione
idrocarburica costituita da alcani a catena di carbonio superiore a C14 ed iso – alcani come il fitano e il pristano, recalcitranti alle biodegradazioni. I morfotipi batterici isolati dal sedimento in esame nel presente lavoro di tesi, appartenenti al genere
Pseudomonas, sono in grado di degradare sia la frazione idrocarburica lineare a basso
peso molecolare da C12 a C20, come accade per il morfotipo G1, sia la frazione idrocarburica lineare a medio ed alto peso molecolare da C21 a C35, come dimostrato
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per il morfotipo NM 1. Inoltre, i morfotipi batterici NM 1 e G 1 del genere
Pseudomonas, sono capaci di ossidare fino al 50% della concentrazione della frazione
idrocarburica del gasolio riconducibile agli iso – alcani.
Il genere Stenotrophomonas è attualmente studiato per le sue potenziali applicazioni nei processi di bioremediation in quanto caratterizzato da capacità ossidative nei confronti di diversi contaminanti recalcitranti (Di Gregorio et al., 2014; Dungan et al., 2003; Song et al., 2002). Hassanshahian et al. nel 2013 descrivono le capacità del genere batterico, isolato da sedimenti contaminati da idrocarburi, di degradare alcano a medio peso molecolare, con catena di atomi di carbonio più corta degli alcani degradati dai morfotipi isolati nel presente lavoro di tesi. E’ interessante notare che nel presente lavoro di tesi, il genere Stenotrophomonas risulta in grado di degradare la frazione idrocarburica del gasolio sia a basso peso molecolare che a peso molecolare intermedio, così come la frazione idrocarburica al di sotto dell’area dei picchi dei singoli alcani lineari costituita da iso – alcani, nafteni e aromatici. Di fatto entrambe i generi batterici Stenotrophomonas e Pseudomonas sono stati quindi descritti come responsabili dell’ossidazione delle frazioni idrocarburiche di riferimento.
Meyer at al. 2012 descrivono un consorzio microbico in grado di degradare gli esteri metilici di acidi grassi derivanti da blend tra gasolio e biodisel da trazione. Al consorzio appartengono sia il genere Pseudomonas che Stenotrophomonas. In accordo con i dati suddetti, è interessante notare che nel presente lavoro di tesi entrambe i generi batterici si sono rivelati capaci di degradare il metilestere del C18.
Sebbene i due generi microbici siano descritti come associati a contaminazione da oli pesanti e o gasoli, non esiste uno studio dettagliato della tassonomia dei microrganismi associati alla funzione di interesse. In altre parole l’identificazione dei microrganismi coinvolti in processi di interesse non è andata oltre al genere microbico. I dati ottenuti nel presente lavoro di tesi indicano una eterogeneità metabolica degli isolati batterici che suggerisce una necessaria identificazione e caratterizzazione degli isolati stessi a livello di ceppo. Infatti il sequenziamento (dati in elaborazione) e comunque l’analisi del profilo di DGGE, della regione ipervariabile V3 del gene 16 S rDNA, indica che in ambito ai due generi microbici i morfotipi si distribuiscono su due specie batteriche.
Di fatto, nonostante i nove morfotipi siano riconducibili ai soli due generi batterici ed in ambito ad essi ad una sola specie batterica, presentano capacità metaboliche
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significativamente diverse se si considera la capacità di trasformare sia gli alcani lineari che le strutture idrocarburiche riconducibili alla frazione recalcitrante degli alcani non lineari. E’ pertanto ragionevole pensare che possano esistere differenze intraspecie, alle quali consegue l’appartenenza dei morfotipi a ceppi diversi. Una più corretta tipizzazione suggerisce l’adozione di tecniche applicate al genoma dei singoli morfotipi, piuttosto che al solo gene che codifica per il 16 S rDNA.
D’altra parte in approcci metodologici riconducibili alla bioaugmentation è necessario individuare un marcatore molecolare che consenta di riconoscere univocamente ogni ceppo utilizzato, permettendone di monitorare l’andamento di crescita e degradativo a livello del Consorzio Minimo inoculato nella matrice in trattamento.
Nel caso della presente sperimentazione i morfotipi Con 1 e G 2 mostrano un pattern comune di migrazione in DGGE riconducibile al genere Stenotrophomonas. Pertanto la regione ipervariabile V3 del gene 16 s rDNA non risulta utile allo scopo, rendendo oltremodo necessario individuare un marcatore molecolare alternativo eventualmente disegnato sui geni che codificano per gli enzimi responsabili del processo ossidativo. I nove morfotipi isolati sono stati sottoposti ad analisi di tipo molecolare, mediante approcci PCR dependent per l’identificazione di geni coinvolti nei pathway di ossidazione della frazione idrocarburica di interesse. In particolare sono stati utilizzati primer degenerati disegnati per il gene che codifica per una alcano monoossigenasi AlkB (Jurelevicius et al., 2012; Perez-de-Mora et al., 2011). L'importanza dell’alcano monoossigenasi AlkB nei processi di biorisanamento di matrici contaminate da idrocarburi giustifica l'interesse della comunità scientifica nella distribuzione del gene
alkB in ambienti diversi (Jurelevicius et al., 2012; Perez-de-Mora et al., 2011). Il gene alkB è largamente presente nelle popolazioni microbiche che popolano matrici
ambientali diverse. Tuttavia l’abbondanza dei geni alkB in zone contaminate e non contaminate sembra essere simile, come confermato dagli studi di Perez de Mora del 2011 e Powell (Perez-de-Mora et al., 2011; Powell SM, 2010). Ciò è dovuto al fatto che gli idrocarburi fanno parte di quelle specie chimiche ubiquitarie nell’ambiente in correlazione alla loro produzione da parte di organismi viventi quali microrganismi, piante e animali (Perez-de-Mora et al., 2011). Tuttavia nel caso di contaminazioni da idrocarburi di origine petrolifera si osserva un incremento dei microrganismi Gram
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negativi rispetto ai microrganismi Gram positivi (Perez-de-Mora et al., 2011) che indica uno shift dell’ecologia microbica verso generi batterici descritti come capaci di degradare alcani ad alto peso molecolare riferibili a contaminazione da idrocarburi (Perez-de-Mora et al., 2011).
Tuttavia alcuni autori segnalano la presenza di specie batteriche Gram positive in grado di degradare gli idrocarburi del gasolio. Nello studio di Perez-de-Mora, infatti sono stati isolati batteri Gram positivi in grado di degradare alcani a basso peso molecolare e alcani allo stato gassoso, a differenza della maggior parte dei batteri alcano – degradatori Gram negativi che risultano essere principalmente coinvolti nella degradazione di una frazione idrocarburica a più alto peso molecolare. Paisse et al. 2011, affermano che la presenza di alkB non è rilevante ai fini della caratterizzazione di matrici ambientali contaminate da oli pesanti e dell’adattamento dell’ecologia microbica alla presenza di prodotti petroliferi.
Il presente lavoro di tesi mostra che l'uso di coppie di primer per l'amplificazione per PCR del gene alkB in batteri alcano - degradanti estratti dalla matrice ambientale in studio, non risulta efficiente nel fishing dei batteri capaci di degradare alcani.
Prodotti di amplificazione relativi all’alkB si ottengono solo per i morfotipi NM 1, NM 2 , M2 e G1. Di fatto, i primer, sono in grado di amplificare solo il 44% dei morfotipi isolati. Inoltre, i morfotipi alkB positivi sono riconducibili ad un singolo genere batterico, Pseudomonas sp.. Allo stesso genere microbico appartiene però anche il morfotipo Con 2 che, dalle analisi molecolari, risulta non essere amplificato dai primer utilizzati per alkB.
E’ quindi ragionevole pensare che, nelle more della fallibilità dei primer utilizzati e della possibilità di disegnare primer degenerati diversi, il gene che codifica per l’alcano idrossilasi (alkB) possa comunque non essere l’unico gene coinvolto nel processo di trasformazione degli idrocarburi di interesse nella matrice in studio e che alkB non sia necessariamente rilevante per monitorare i processi di bioremediation nella matrice in studio (Paisse S. et al., 2011).
Risulta quindi importante individuare geni eventualmente coinvolti nella degradazione degli alcani quali almA, una alcano idrossilasi a lunga catena, e/o geni che codificano per una alcano idrossilasi citocromo P450. E’ stato osservato che l’espressione dei geni
alkB può essere accompagnata da una concomitante espressione di geni che
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D’altra parte la presenza di geni diversi che codificano per enzimi funzionali al processo di interesse può fornire sequenze nucleotidiche per disegnare marcatori molecolari specifici per monitorare l’attività dei diversi candidati batterici in bioaugmentation. Saranno quindi effettuate analisi di fishing PCR per gli enzimi sopra citati (almA e citocromo P450) peraltro responsabili della degradazione degli alcani ad alto peso molecolare, capacità mostrata dal morfotipo NM 1 riconducibile al genere
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