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Il genome-editing sta acquisendo sempre più importanza nel campo della biologia e della medicina come possibile terapia per il trattamento di malattie su basi genetiche. Le principali tecnologie di editing genomico oggi in uso sono basate sull’utilizzo di endonucleasi ovvero enzimi capaci riconoscere e effettuare un taglio in situ sul DNA. A seguito del danno si ha successiva riparazione per HR se viene fornito un templato omologo o attraverso NHEJ che si effettua attraverso ligazione diretta delle due estremità rotte.

La principali nucleasi utilizzate sono le ZNF, i TALEN e il sistema CRISPR associato alle nucleasi Cas. Tutte si basano su una specificità di taglio effettuato da una nucleasi opportunamente modificata. Una delle problematiche principali di questi sistemi è il delivery, cioè la capacità di raggiungere facilmente i distretti cellulari interessati dalla possibile terapia, specialmente se visto in un ‘ottica futuribile in vivo. Ad oggi i vettori virali sono i sistemi più utilizzati per cercare di ovviare a questa problematica. I vettori virali sono virus opportunamente modificati in modo da perdere le proprietà patogene ed infettanti ma conservando la capacità di penetrare nella cellula ospite. I vettori virali più utilizzati sono i retrovirus, gli adenovirus e i vettori adenoassociati. I trials clinici fino ad oggi condotti che prevedono l’utilizzo di vettori virali per lo più si fermano alla fase I e II (pochi approdano o superano la fase III) poiché si riscontrano per la maggior parte dei casi effetti non positivi durante o post-trattamento quali la potenziale generazione di vettori replicazione-competenti e un potenziale oncogenico dovuto alla possibile mutagenesi inserzionale e instabilità genetica(T.Liechtenstein et al. 2013). Per cercare di ovviare a queste problematiche e apportare una lesione più specifica possibile, nel nostro laboratorio abbiamo intrapreso uno studio per indurre lesioni locus-specifiche sul genoma utilizzando agenti mutageni veicolati specificatamente in situ.

Abbiamo scelto di utilizzare la bleomicina, nota sostanza genotossica, per la sua futuribile facilità di coniugazione con oligonucleotidi. La bleomicina è un farmaco utilizzato in ambito chemioterapico per il trattamento di Linfoma di Hodgink e non-Hodgink, cancro dei testicoli, cancro della testa e del collo e induce lesioni al DNA a doppio filamento. In primo luogo si è resa necessaria la messa a punto di sistemi che permettano di discriminare l’attività mutagenica aspecifica della BLM rispetto ad una attività locus- specifica. Abbiamo così scelto di valutare il locus HPRT perché è da anni disponibile un protocollo che permette una misurazione abbastanza precisa della frequenza di mutazione

indotta. Il gene ipoxantina fosforibosiltransferasi (HPRT, q26.2-26.3 chrX) codifica per l’omonimo enzima appartenente alla famiglia delle fosforibosiltransferasi (PRTase). L’enzima è coinvolto nella via metabolica di recupero (savage pathway) delle purine catalizzando la conversione delle basi guanina e ipoxantina preformate in acidi guanilinici e inosinici in presenza di fosforibosil pirofosfato. Il locus HPRT è stato cosí osservato sotto diversi punti di vista. Mediante HPRT-assay si valuta l’induzione di mutazioni inattivanti, mediante surveyor assay si valuta l’avvenuta attivitá riparativa per NHEJ e con la trasfezione del vettore HR410PA-1 si valuta la potenziale attività riparativa mediante HR. Infine con la CHIP è possibile valutare l’avvenuta fosforilazione dell’istone H2A locus-specifica e paragonarla ad altri loci di riferimento.

Le dosi di BLM utilizzate (1µM – 1.4µM – 2µM) per il saggio HPRT-assay sono state precedentemente testate per il nostro scopo mediante SRB e non si sono rivelate citotossiche. Infatti i risultati ottenuti dalla SRB non mostrano una diminuzione significativa della densità di popolazione al crescere della dose. L’HPRT assay ha mostrato che, a seguito del trattamento con il farmaco aumentano i mutanti resistenti a 6- TG. La BLM quindi è capace di indurre mutazioni nel genoma delle cellule esposte ai trattamenti con dosi crescenti poiché il numero di mutanti cresce all’aumentare della dose: vi è un aumento del numero di mutanti dell’ordine di 2.13 volte per unità di dose.

Questo test non dà informazioni in merito a una possibile specificità d’azione del farmaco ma indica soltanto che la BLM causa danni random nel genoma e che il gene HPRT risulta comunque fra i geni colpiti dall’azione del farmaco. Il test è stato validato e pronto ad essere utilizzato per futuri esperimenti con BLM-coniugata. Ci aspettiamo che l’utilizzo equimolare di una BLM-coniugata con sonda specifica per il locus HPRT produca un notevole incremento dei mutanti resistenti alla 6-TG. Ulteriori risultati derivano dai saggi successivi quali Chromatin immonuprecipitation, Surveyor assay e trasfezione con vettore HRP410PA-1.

Il test della immunoprecipitazione ha indicato che l’utilizzo dell’anticorpo contro l’istone fosfo-H2AX permette un arricchimento di DNA rispetto ad un anticorpo di controllo negativo (IgG Rabbit). Questo indicherebbe che il test funziona. Al tempo stesso non abbiamo osservato differenze significative tra i cicli di uscita della RealtTime PCR ottenuti dopo trattamento con BLM o con il solo controllo. Dato che il gene HPRT è comunque colpito dall’azione del farmaco (secondo il test HPRT-assay), si è portati a concludere che nelle condizioni attuali il test non è sufficientemente sensibile. Riteniamo pertanto di deve migliorare il saggio, per esempio aumentando il dosaggio di BLM e

osservando la fosforilazione in tempi molto più ristretti rispetto a quanto effettuato. Nel migliorare il protocollo sarà necessario aggiungere anche un controllo positivo costituito da un gRNA e dal sistema CRISPR/Cas9. La teorica rottura a doppia elica indotta dalla nucleasi in maniera locus-specifica infatti dovrebbe tradursi in una aumentata immunoprecipitazione mediante ab anti fosfo-ɤ-H2AX del locus HPRT rispetto agli altri loci.

Il surveyor assay ha indicato che in seguito a trattamento con BLM si ha induzione del sistema di riparazione per ricombinazione non omologa (NHEJ) nel locus HPRT analizzato. Il test fornisce una indicazione qualitativa e non quantitativa del risultato ma permetterà comunque di studiare gli effetti della BLM coniugata qualora essi siano tangibili. Il test sarà condotto paragonando le bande ottenute dopo trattamento con dosi equimolari di BLM normale e coniugata. Il test sarà anche arricchito con l’investigazione degli altri loci di riferimento, che teoricamente, non dovrebbero subire differenze dopo trattamento con i due tipi di BLM.

Riguardo al test di integrazione del vettore HR410PA-1, occorre prima di tutto precisare che la riparazione per ricombinazione omologa è normalmente poco attiva nelle cellule adulte. Una rottura a doppio filamento è preferenzialmente riparata mediante NHEJ. Comunque, è possibile che questo sistema di riparazione venga attivato se presente un DNA omologo ai lati del sito di taglio. Con questo test volevamo valutare se l’induzione random di rotture a doppio filamento e la contemporanea somministrazione (per trasfezione) di un DNA omologo aumentasse una integrazione locus-specifica. L’integrazione potrebbe avvenire perché casualmente alcune rotture indotte da BLM hanno interessato il locus HPRT. Questo evento sarebbe comunque molto improbabile e quindi non ci aspettavamo di osservare particolari incrementi di vettore integrato nel locus HPRT. In alternativa, si potrebbe immaginare una attivazione massiva e aspecifica della HR in seguito a trattamento con BLM e quindi una integrazione locus-specifica anche in assenza di una specifica rottura del DNA nel locus HPRT. Entrambe queste possibilitá sono comunque improbabili (la seconda è altamente speculativa e non ha supporto in letteratura scientifica) e infatti il test è risultato ampiamente negativo: dopo 12 giorni di coltura nessuna cellula ha integrato il vettore dopo il trattamento con BLM. Questo test ora sará sviluppato con l’introduzione di un controllo positivo, rappresentato dal sistema CRISPR/Cas9 + gRNA in cui ci aspettiamo un netto incremento di integrazione del vettore. In futuro, ci aspettiamo di poter misurare aumenti di integrazioni del vettore in maniera locus-specifica dopo trattamento con BLM-coniugata.

L’utilizzo di mutageni coniugati con sonde potrebbe in futuro permettere di ottenere lesioni mutageniche locus-specifiche e facilitare alcune procedure di gene-editing. Se paragonato con i sistemi attuali che utilizzano vettori (virali o non virali) per trasportare apparati enzimatici di gene-editing, l’approccio farmacologico da noi ipotizzato potrebbe migliorare il delivery in vivo. Ovviamente il percorso è molto difficile in quanto non ci sono studi in proposito. Siamo anche altresì consapevoli che l’utilizzo di mutageni coniugati con sonde potrebbe però risultare in una ridotta specificità, anche se occorre evidenziare che effetti “off-targets” sono stati comunque riportati per le metodiche attualmente in uso.

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