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Ottimizzazione di saggi biologici per valutare l'attività mutagena della Bleomicina

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento Di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Molecolare e Cellulare

TESI DI LAUREA

Ottimizzazione di saggi biologici per valutare

l’attività mutagena della Bleomicina

Anno accademico 2017/2018

RELATORE CANDIDATO

Prof. Stefano Landi Giulia Rosini

(2)
(3)

INDICE

RIASSUNTO ... 6

ABSTRACT ... 8

1. INTRODUZIONE ... 10

1.1 IL GENOME EDITING ... 10

1.1.2 Le Zinc finger nuclease ... 12

1.1.3 I Talen ... 12

1.1.4 Il sistema CRISPR-CAS9 ... 13

1.1.5 Vantaggi e svantaggi delle nucleasi ingegnerizzate... 14

1.1.6 Efficienza e attività off-target delle nucleasi ingegnerizzate ... 15

1.1.7 I Vettori virali ... 17

1.1.7.1.1 Esempi di uso di terapia genica basata su virus ... 19

1.1.7.1.2 Effetti non positivi dell’utilizzo dei vettori virali ... 23

1.2 Un’ ipotesi alternativa da esplorare per il gene editing ... 24

1.2.1 Gli oligonucleotidi ... 25

1.2.1.1 Gli oligonucleotidi come agenti terapeutici ... 26

1.2.1.2 Impiego di oligonucleotidi antisenso come agenti terapeutici ... 28

1.2.1.3 Gli oligonucleotidi come vettori per veicolare danni al DNA in situ ... 29

1.3 La mutagenesi ... 30

1.3.1 Le Sostanze mutagene ... 30

1.3.1.1 La bleomicina ... 31

1.3.1.1.1 Meccanismo d’azione della Bleomicina ... 33

1.3.2 Test di mutagenesi in cellule di mammifero ... 33

1.4 Risposta al danno al DNA (DDR) ... 34

1.4.1 Riparazione mediante ricombinazione omologa (HR) ... 35

1.4.2 Riparazione mediante ricombinazione non omologa (NHEJ) ... 36

1.5 SCOPO della tesi ... 37

2. MATERIALI E METODI... 38

2.1 Introduzione alle metodiche utilizzate ... 38

2.1.1 Principio di funzionamento dell’HPRT assay ... 38

2.1.1.1 Applicazioni del test ... 39

2.1.1.2 Il gene HPRT ... 39

(4)

2.1.2 Chromatin Immunoprecipitation (ChIP) ... 45

2.1.3 Survayor Assay ... 46

2.1.4 Trasfezione con vettore HR410PA-1 ... 47

2.1.4.1 Costruzione del vettore donor HR410-PA-1 ... 48

2.1.4.1.1 MCS1 e MCS2 ... 49

2.1.5 Sintesi e coniugazione oligonucleotide con bleomicina ... 49

2.2 Primo metodo: HPRT ASSAY ... 51

2.2.1. Le linee cellulari e mezzi di crescita ... 51

2.2.2. Sulforhodamine B Assay (SRB) ... 51

2.2.3.1.1 HAT medium ... 53

2.2.3.1.2 HT medium ... 53

2.2.3.2 Le semine ... 53

2.2.3.2.1 Ripropagazione delle colture cellulari ... 53

2.2.3.2.2 Semina in HAT e HT ... 54

2.2.3.2.3 Semina Basale e Trattati ... 55

2.2.3.2.4 Congelamento delle cellule ... 55

2.2.3.3 Selezione positiva con 6-tioguanina ... 56

2.2.3.3.1 Il Basale ... 56

2.2.3.3.2 Trattamento con bleomicina per HPRT assay ... 56

2.2.3.3.3 Fissaggio delle cellule ... 57

2.2.3.3.4 Conteggio delle colonie ... 57

2.3 Secondo metodo: Chromatin immunoprecipitation (ChIP) ... 58

2.3.1. Le linee cellulari ... 58

2.3.1.1 Preparazione del campione ... 58

2.3.2 Coniugazione anticorpo con dynabeads ... 58

2.3.2.1. Preparazione delle cellule ... 59

2.3.2.2. Praparazione Lysis buffer ... 59

2.3.2.3 Sonicazione ... 60

2.3.2.4 Diluizione della cromatina ... 61

2.3.3 Legame della cromatina alle beads ... 62

2.3.3.1 Lavaggio della cromatina legata ... 62

2.3.3.2 Reverse Crosslink della formaldeide ... 63

2.3.3.2.1 Preparazione dei controlli (Input control) ... 63

(5)

2.3.5. Legame e lavaggio del DNA ... 64

2.3.6 Eluizione del DNA ... 65

2.3.7. Analisi mediante realtime ... 65

2.4 Terzo metodo: Surveyor Assay ... 72

2.4.1 Estrazione del DNA da cellule ... 72

2.4.2 Reazione di amplificazione ... 73

2.4.2.1 Purificazione dei prodotti di PCR ... 75

2.4.3 DNA heteroduplex formation ... 75

2.4.4 Surveyor nuclease S digestion ... 77

2.5 Quarto metodo: La Trasfezione ... 78

2.5.1. Scelta DNA di partenza per il clonaggio di MCS1 ... 78

2.5.1.1. Purificazione da banda di gel del prodotto di PCR ... 80

2.5.1.2 Quantificazione al QBIT ... 81

2.5.1.3. Il clonaggio MCS1 ... 82

2.5.1.4 Corsa elettroforetica per valutare la grandezza del digerito ... 83

2.5.1.5 Purificazione del plasmide digerito ... 83

2.5.1.6 Quantificazione al QBit del campione digerito ... 84

2.5.1.7 Ligazione di MCS1 al plasmide linearizzato ... 84

2.5.1.8 Trasformazione in cellule competenti di E.Coli ... 84

2.5.1.9 Colony PCR ... 86

2.5.1.10 MAXI-PREP ... 88

2.5.1.11 Quantificazione al QBit ... 89

2.5.1.12 Liofilizzazione e Sequenziamento ... 89

2.5.1.13 Clonaggio MCS2 ... 89

2.5.1.14 Corsa elettroforetica per valutare la grandezza del digerito ... 91

2.5.1.15 Purificazione e quantificazione del plasmide digerito ... 91

2.5.1.16 Ligazione MCS2 al plasmide linearizzato ... 91

2.5.1.17 Liofilizzazione del campione e sequenziamento ... 92

2.5.2 La Trasfezione ... 92

2.5.2.1 Analisi al citofluorimetro ... 93

2.5.2.1.1 Preparazione dei campioni ... 93

2.5.2.1.2 Analisi al FACS ... 94

2.5.2.2 Analisi della trasfezione ... 94

(6)

3. RISULTATI ... 96

3.1 HPRT Assay ... 96

3.1.1 SRB Assay ... 96

3.1.2 HPRT Assay ... 98

3.2 Chromatin immunoprecipitation (ChIP) ... 100

3.2.1 Risultati della sonicazione dei campioni ... 100

3.2.2 I primers impiegati nello studio ... 100

3.2.3 Risultati Real Time PCR Post Chip ... 101

3.3 Il Surveyor Assay ... 102

3.4 La Trasfezione con vettore HR410PA-1 ... 104

3.4.1 Risultati PCR con Q5 High-Fidelity DNA Polymerase: i due inserti MCS1 e MCS2. ... 104

3.4.2 Risultati della digestione e del clonaggio sia di MCS1 che di MCS2 nel vettore HR410PA-1 ... 105

3.4.3 Valutazione dell’efficienza di trasfezione del vettore HR410PA-1 con Lipofectamina 3000 ... 107

3.4.4 Valutazione dell’azione della puromicina in cellule trasfettate con HRPA410-1108 4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 110

5. BIBLIOGRAFIA ... 114

(7)

RIASSUNTO

La bleomicina è un antibiotico ad azione antitumorale, prodotto dal batterio Streptomyces

verticillus. Questo farmaco è utilizzato in ambito chemioterapico per il trattamento di

Linfoma di Hodgink e non-Hodgink, cancro dei testicoli, cancro della testa e del collo, cancro alla cervice uterina, cancro ai genitali esterni e carcinomi a cellule squamose. La BLM è in grado di intercalarsi random nel doppio filamento di DNA e formare radicali liberi citotossici che causano Double Strand Break (DSB) in situ. A seguito della formazione di DSB, viene innescata una complessa cascata di eventi finalizzati al blocco del ciclo cellulare e al reclutamento di fattori di riparazione. Uno degli iniziatori del processo è la proteina chinasi ATM (Ataxia Talangiectasia Mutated) che causa, in concerto con la chinasi ATR (Ataxia Talangectasia Related) e la DNA-PKcs (DNA Dependent Protein Kinase catalytic subunit), la fosforilazione delle proteine istoniche attorno alla lesione, fra le quali, l’istone ɤH2AX. Questo viene fosforilato a livello della serina-139 in una regione, che si estende per circa 2Mb di DNA nei pressi del DSB. La lesione può essere successivamente riparata attraverso la ricombinazione non omologa (NHEJ) o la ricombinazione omologa (HR).

Nel presente progetto di tesi è stata considerata la proprietà genotossica del farmaco, in particolare, preliminarmente all’utilizzo di BLM-coniugata con un oligonucleotide per verificare se riesca ad indurre un arricchimento di lesioni sito-specifiche nel genoma mimando un Gene-editing locus specifico (simile al ruolo della sg-RNA nel CRISPR-Cas9). Oligonucleotidi a singolo filamento (20bp) sono stati disegnati complementari a sequenze dell’esone 3 del gene ipoxantina fosforibosiltransferasi (HPRT, q26.2-26.3 chrX).

L’HPRT assay, un test di mutagenesi in vitro su cellule di mammifero è stato utilizzato

per saggiare l’azione mutagena della BLM. L’impiego di una linea cellulare emizigote per il cromosoma X (HCT116 tumorali di cancro al colon retto) assicura al test il vantaggio di poter evidenziare fenotipicamente le mutazioni avvenute sul DNA in seguito al trattamento. Il farmaco, somministrato alle dosi 1µM – 1.4 µM - 2µM per 24h, ha indotto nella linea cellulare un aumento del numero di colonie di 2.14 volte per unità di dose, risultato statisticamente significativo.

La “Chromatin immunoprecipitation” (ChIP) con un anticorpo Anti-fosfoɤH2AX è stata effettuata su cellule trattate con BLM non coniugata, e il relativo controllo negativo. La successiva analisi basata su qPCR con sistema EXPRESS SYBR® GreenER ™ usando

(8)

come gene target HPRT e come geni di controllo GYG2, GSS, OGT, Erα, precedentemente testati, ci consentirà di verificare i DSBs indotti a seguito del trattamento.

Il Surveyor Nuclease Assay” è stato utilizzato per individuare le lesioni al DNA non correttamente riparate dal sistema NHEJ che causano mutazioni in/del e polimorfismi. Questa tecnica è basata sulla capacità della surveyor nucleasi di tagliare selettivamente, in prossimità dei “mismatch”, il DNA eteroduplex formatosi per “cross-annealing” della sequenza mutata con la sequenza “wild-type”. I prodotti risultanti sono analizzati successivamente mediante elettroforesi su gel di agarosio.

La trasfezione con vettore HR410PA-1, opportunamente costruito, è stata utilizzata per quantificare l’avvenuta HR nel locus HPRT in cellule coltivate e sottoposte a varie tipologie di trattamento.

In futuro, questi saggi consentiranno di capire se il locus HPRT sarà soggetto ad attività mutagena sito-specifica indotta dalla BLM quando coniugata con specifici oligonucleotidi.

(9)

ABSTRACT

Bleomycin is an antitumor antibiotic produced by the bacterium Streptomyces verticillus. This drug is used in chemotherapy for the treatment of Hodgink's and non-Hodgink's lymphoma, testicular cancer, cancer of the head and neck, cervical cancer, external genital cancer and squamous cell carcinomas.

BLM is able to randomly interlace into the double strand of DNA and form cytotoxic free radicals that cause Double Strand Break (DSB) in situ. Following the formation of DSB, a complex cascade of events aimed at blocking the cell cycle and the recruitment of repair factors is triggered. One of the initiators of the process is the protein kinase ATM (Ataxia Talangiectasia Mutated) that causes, in concert with the ATR kinase (Ataxia Talangectasia Related) and the DNA-PKcs (DNA Dependent Protein Kinase catalytic subunit), the phosphorylation of the histone proteins around the lesion, among which, the histone -ɤ-H2AX. This is phosphorylated at the serine-139 level in a region, which extends for about 2Mb of DNA near the DSB. The lesion can then be repaired through non-homologous recombination (NHEJ) or homologous recombination (HR).

In this thesis project the genotoxic property of the drug was evaluated, in particular, preliminary to the use of BLM-conjugated with an oligonucleotide to verify whether it can induce an enrichment of site-specific lesions in the genome by mimicking Gene-editing in specific locus (similar to the role of sg-RNA in CRISPR-Cas9). Single-stranded oligonucleotides (20bp) were designed to complement exon 3 sequences of the hypoxanthine phosphoribosyltransferase gene (HPRT, q26.2-26.3 chrX).

The HPRT assay, an in vitro mutagenesis test on mammalian cells was used to test the mutagenic action of BLM. The use of a hemizygous X-cell line (HCT116 colorectal cancer tumor) assures the test the advantage of being able to phenotypically highlight the mutations occurred on the DNA after treatment. The drug, administered at 1μM - 1.4 μM - 2μM for 24h, induced an increase in the number of colonies of 2.14 times per unit dose, a statistically significant result.

Chromatin immunoprecipitation (ChIP) with an anti-phospho-ɤ-H2AX antibody was performed on cells treated with unconjugated BLM, and the relative negative control. The subsequent analysis based on qPCR with the EXPRESS SYBR® GreenER ™ system using the HPRT target gene and the previously tested control genes GYG2, GSS, OGT,

(10)

The Surveyor Nuclease Assay "was used to detect DNA lesions incorrectly repaired by the NHEJ system that cause mutations in / del and polymorphisms. This technique is based on the ability of the surveyor nuclease to selectively cut, in the proximity of the "mismatches", the heteroduplex DNA formed by "cross-annealing" of the sequence mutated with the "wild-type" sequence. The resulting products are subsequently analyzed by agarose gel electrophoresis.

The transfection with HR410PA-1 vector, appropriately constructed, was used to quantify the HR in the HPRT locus in cultured cells and subjected to various types of treatment. In the future, these assays will allow us to understand whether the HPRT locus will be subject to site-specific mutagenic activity induced by BLM when conjugated with specific oligonucleotides.

(11)

1. INTRODUZIONE

1.1

IL GENOME EDITING

La modifica del DNA genomico è al centro dei progressi biologici e della medicina: la ricerca si sta concentrando sempre più su metodiche efficienti per modifiche genomiche sito-specifiche per applicazioni di terapia genica.

Quasi cinquant'anni fa, alcuni scienziati ipotizzarono che la modificazione genetica esogena del DNA potesse essere un trattamento efficace per le malattie ereditarie umane (ML. Maeder, 2016).

Lo sviluppo di vettori virali come i retrovirus e il virus adeno-associato (AAV), insieme a risultati incoraggianti in modelli preclinici di malattia, ha portato a intraprendere studi clinici nei primi anni '90. Sfortunatamente, queste prime sperimentazioni hanno evidenziato gravi tossicità correlate alla terapia, comprese risposte infiammatorie contro i vettori e tumori maligni causate principalmente dall'attivazione inserzionale di proto-oncogeni mediata da vettori. Questi risultati hanno alimentato più ricerche di base in virologia, immunologia, biologia cellulare, sviluppo di modelli e malattie bersaglio, che alla fine hanno portato a formulazioni cliniche di terapie genetiche di successo negli anni 2000. Negli Stati Uniti, le approvazioni della FDA (Food and Drug Administration) dei primi prodotti di terapia genica si sono verificate nel 2017, e riguardano cellule T ingegnerizzate (chimer antigen receptor) per trattare tumori maligni delle cellule B e anche vettori AAV per il trattamento in vivo della cecità congenita. Promettenti risultati di studi clinici in malattie neuromuscolari e emofilia probabilmente daranno ulteriori approvazioni nel prossimo futuro.

Negli ultimi anni sono state sviluppate delle tecnologie di editing basate su nucleasi capaci di riconoscere sequenze specifiche. In contrasto con i vettori virali, che possono mediare soltanto l'aggiunta del gene, questo approccio di modifica del genoma offre un taglio preciso per l'aggiunta del gene, l'ablazione e la correzione della genica e può essere eseguito su cellule ex vivo o in vivo per effettuare genoma editing in situ. Le nucleasi in questione, sono capaci di effettuare un taglio a doppio filamento (DSB) sito specifico e di indurre il “genome-editing” tramite eventi di ricombinazione omologa. Ciò è reso possibile se viene catalizzata una rottura nel genoma e viene contemporaneamente fornito un templato che contiene sequenze di omologia col sito di interesse da utilizzare per i sistemi di riparazione endogeni. Le lesioni al DNA sono tipicamente riparate attraverso uno dei due principali sistemi di riparazione cellulare: riparazione per ricombinazione

(12)

omologa (HR) che si basa sull’integrazione di un templato esogeno e successiva riparazione dell'interruzione in modo dipendente dal modello (ML. Maeder, 2016) o riparazione non omologa (NHEJ) dove si ha la ligazione diretta delle due estremità del DSB con la possibile introduzione di inserzioni o delezioni indel (L.Migliore, 2004).

Per questo, l’editing genetico DSB-indotto, è universalmente applicabile a qualsiasi tipo di cellula o organismo che impiega questi metodi per la riparazione del DNA. L'elemento critico per l'implementazione di uno di questi metodi di modifica genetica è l'introduzione precisa di un DSB nel sito target.

L'efficienza del targeting genico attraverso la HR nelle cellule di mammifero può essere stimolata di diversi ordini di grandezza introducendo un DSB nel sito di interesse permettendo così di creare dei modelli di studio di knock-in e knock-out, ovviando alla problematica della bassa frequenza di integrazione endogena (1/10⁶ - 1/10⁹ cellule) (MR.Capecchi, 1989). Invece la stimolazione di NHEJ da parte di un DSB sito-specifico è stata utilizzata per distruggere i geni bersaglio in un'ampia varietà di tipi cellulari e organismi sfruttando gli in/dels indotti per spostare il frame di lettura di un gene (ML. Maeder, 2016).

Nel campo dell'ingegneria genetica sono emerse tre grandi biotecnologie come strumenti molecolari efficienti per l'editing preciso del DNA applicabili in genomi di grandi dimensioni: la nucleasi a dita di zinco (ZFNs), la nucleasi attivatore dell’effettore della trascrizione TALE (TALEN) e il più recente, Clustered regularly interspaced short palindromic repeats (CRISPR) associate al sistema Cas (Fig. 1). Questi sistemi funzionano per poter essere ingegnerizzati in modo da fornire un fine controllo sulla modifica delle informazioni genetiche in cellule vive ed essere usate utilizzate per catalizzare: gene delection, gene insertion, gene correction (Kim S., 2014).

In tutti i casi, una nucleasi è programmata per indurre una rottura a doppio filamento in una posizione desiderata nel genoma, successivamente l'interruzione è riparata tramite HR o NHEJ a seconda della presenza o meno di DNA esogeno e della fase del ciclo cellulare oltre ad altri fattori (ML. Maeder, 2016).

(13)

Fig.1 - Nucleasi ingegnerizzate maggiormente impiegate per il genome-editing.

1.1.2 Le Zinc finger nuclease

Le proteine a dita di Zinco (ZF) sono la classe più abbondante di fattori di trascrizione e il dominio a dita di zinco Cys2-His2 è uno dei più comuni domini di legame al DNA codificati nel genoma umano. In presenza di un atomo di zinco, il dominio della zinc-finger forma una struttura ββα compatta con la porzione α-elicoidale di ogni dito che entra in contatto con 3 o 4 bp nella scanalatura maggiore di il DNA. Ripetizioni di questo dominio in una matrice di dita di zinco avvolgono il DNA per legare sequenze target estese in modo tale che una proteina a tre dita si leghi a un sito bersaglio di 9 pb (ML. Maeder, 2016).

La tecnologia della nucleasi a dita di zinco (ZFN) è stata resa possibile sostituendo il dominio di legame al DNA di FokI, un’endonucleasi di restrizione, con un dominio a dita di zinco, così da generare nucleasi chimeriche con nuove specificità di legame. Poiché la nucleasi FokI funziona come un dimero, sono necessari due ZFN che legano filamenti opposti del DNA per l'induzione di un DSB che possono essere utilizzati per modificare il genoma attraverso NHEJ o HDR (ML. Maeder, 2016).

1.1.3 I TALEN

Le nucleasi TALEN hanno una struttura simile a ZFNs in quanto sono proteine chimeriche costituite da un dominio di legame al DNA “programmabile” fuso con il dominio catalitico dell’endonucleasi FokI.

(14)

I TALEs sono stati osservati per la prima volta come delle proteine secrete dal batterio

Xanthomonas capaci di legarsi a delle sequenze nel genoma delle piante attivandone la

trascrizione. Il dominio TALE di legame al DNA è composto da ripetizioni di 33-35 aminoacidi e ogni ripetizione è in grado di riconoscere un singolo nucleotide nella sequenza di DNA target. Questa specificità è data dalla presenza di una regione ipervariabile, costituita da due aminoacidi, presente in ogni ripetizione. Proprio per questo motivo, per generare dei TALEN sequenza-specifici occorre modificare i due residui presenti nelle regioni ipervariabili e legare insieme più domini TALE. Essendo il dominio di taglio costituito da FokI, anche i TALEN devono dimerizzare per generare il DSB. In modo simile a ZFN, anche i TALEN sono capaci di indurre in modo efficiente sia NHEJ che HDR in cellule somatiche umane e in cellule staminali pluripotenti (ML. Maeder, 2016).

1.1.4 Il sistema CRISPR-CAS9

Le nucleasi CRISPR-Cas RNA-guidate derivano da un sistema immunitario adattativo che si è evoluto nei batteri per difendersi da invasori plasmidici e virali ed è basato sulla presenza di un RNA guida associato ad una nucleasi in grado di riconoscere una sequenza specifica. Decenni di lavoro sui sistemi CRISPR in varie specie microbiche hanno chiarito un meccanismo mediante il quale sequenze brevi di acidi nucleici invasori sono incorporati nei loci CRISPR.

Il sistema è costituito da due elementi principali.

- i loci CRISPR costituiti da una serie di sequenze ripetute non contigue separate da sequenze variabili della lunghezza di circa 30bp che prendono il nome di “spacer”; - i geni Cas associati che sono situati in prossimità dei loci CRISPR e che codificano per un’ampia varietà di proteine con diverse funzioni.

Osservato per la prima volta nel 1987 durante lo studio dell’enzima iap in Escherichia

coli (Ishino Y1, 1987), la sua funzione è rimasta sconosciuta fino al 2005, quando è stato

notato che le sequenze spacer possedevano un’omologia di sequenza con gli elementi di DNA di origine esterna (Mojica FJ, 2005). Il suo funzionamento può essere riassunto in tre step principali.

1) step di adattamento: “nuovi” spacers di acidi nucleici esogeni appartenenti al virus, che sta infettando la cellula, vengono digeriti dalle nucleasi batteriche e acquisiti nei locus

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2) biogenesi del crRNA: tramite la trascrizione e il processamento ad opera di una endoribonucleasi dell’array CRISPR in piccoli small interfering crRNA;

3) step di targeting: il crRNA insieme al tracrRNA guida la nucleasi Cas9 sulle sequenze complementari per effettuare il taglio degli acidi nucleici “invasori”.

Nel settore dell’ingegneria genetica è stato simulato e creato il sistema CRISPR/Cas9, composto dall’endonucleasi Cas9, la quale solitamente è un mutante D10A capace di compiere un singolo nick e favorire un meccanismo di riparazione mediante HR (Pellagatti A., 2015), unita ad un RNA-guida (sgRNA). L'unica limitazione di questo sistema deriva dalla necessità di un motivo adiacente al protospacer (PAM) 5’-NGG-3’ situato immediatamente al 3’ del sito target che è specifico per le specie di Cas9. L’endonucleasi è capace di tagliare la sequenza bersaglio mediante appaiamento di Watson e Crick della gRNA sul target. La formazione di un DNA-RNA eteroduplex in corrispondenza il sito target consente la scissione del DNA bersaglio dal complesso Cas9-RNA. Il taglio viene successivamente riparato o da un singolo filamento (ssODN), nel caso in cui si debba effettuare la correzione di un singolo nucleotide, o da un vettore Donor (HR Donor), che tramite ricombinazione omologa inserisce la sequenza giusta a livello del nick, o attraverso l’utilizzo dei “veicoli” lentivirali, i quali inseriscono nella cellula bersaglio la sequenza di interesse come vettore HR Donor (Ran F.A., 2013).

A differenza dei due sistemi nucleasi discussi sopra, le nucleasi CRISPR / Cas non richiedono l'ingegnerizzazione di nuove proteine per ciascun sito bersaglio del DNA. La relativa facilità con cui i nuovi siti possono essere bersagliati, semplicemente alterando la regione breve del gRNA che detta la specificità, rende questo sistema un metodo molto efficace per l'introduzione di DSB sito-specifici. Inoltre, poiché la proteina Cas9 non è direttamente accoppiata al gRNA, questo sistema può essere anche utilizzato per indurre DSB in più loci attraverso l'uso simultaneo di più gRNA (ML. Maeder, 2016).

1.1.5 Vantaggi e svantaggi delle nucleasi ingegnerizzate

Ognuna di queste metodiche ha i suoi potenziali vantaggi e svantaggi. Gli ZFN erano una metodica critica agli inizi dello sviluppo del genome-editing ma ZFN altamente attivi e specifici sono anche relativamente difficili da ingegnerizzare. I TALEN possono essere progettati utilizzando diversi metodi, e di solito richiedono tempistiche più lunghe per l’ingegnerizzazione. In generale, circa il 70% delle coppie di TALEN ingegnerizzate mostra un'attività d’azione ragionevole sul target e la metodica ha generalmente una maggiore specificità rispetto agli ZFN. Infine, le RNA-guided endonucleases (RGEN)

(16)

sono le più semplici da progettare e richiedono solo abilità di biologia molecolare di base con un tasso di successo del 30-66% (Hendel A., 2015). La specificità di RGEN rispetto a ZFN e TALEN è ancora sotto attiva ricerca; i saggi di confronto hanno prodotto risultati contrastanti. È chiaro, tuttavia, che si può migliorare la specificità mediante lo screening di più nucleasi per un dato locus genico, un approccio particolarmente incline alle RGEN, data la loro facilità di costruzione. È importante notare che ogni situazione è unica. Variabili come la nucleasi specifica, il sito bersaglio, il tipo di cellula, il metodo di veicolarle, tra gli altri, possono interagire tutti per determinare quale metodica sia più adatta per uno scopo particolare (Hendel A., 2015).

Una delle caratteristiche più importanti di qualsiasi tecnica di genome-editing mirato è la specificità. Lo strumento ottimale deve introdurre modifiche solo sul sito di destinazione, lasciando così il resto del genoma non modificato. Nessuna di queste metodiche è perfetta per quanto riguarda la specificità del riconoscimento del DNA, e possono verificarsi possibili rotture su altri siti del genoma. Questo effetto off-target può introdurre cambiamenti indesiderati nelle sequenze del genoma con conseguenze imprevedibili per cellule. Per questo motivo la questione della specificità è la caratteristica principale in tutte le applicazioni di genome-editing (Hendel A., 2015).

1.1.6 Efficienza e attività off-target delle nucleasi ingegnerizzate

L'efficacia di un editing genomico mirato si basa sul taglio specifico del DNA in situ mitigando, o idealmente prevenendo, danni al resto del genoma. Tuttavia, indipendentemente dalla tecnologia della nucleasi, è difficile determinare l'intero spettro dei tagli off-targets in un genoma complesso. Fino a poco tempo fa, gli studi di specificità erano per lo più limitati a priori ma recenti sviluppi di metodiche per saggi parziali e genome-wide per determinare la specificità hanno significativamente migliorato la capacità di caratterizzare la specificità della nucleasi con un grado di sensibilità che non era possibile in precedenza (Hendel A., 2015).

Queste misurazioni quantitative sono fondamentali quando si ottimizza il processo di genome-editing sito specifico o si sposta il processo in un nuovo sistema, ad esempio un nuovo tipo di cellula.

L'attività off target può essere modulata in funzione di quattro fattori, che possono essere variati sperimentalmente per ottimizzare l'esito, due dei quali, sono la concentrazione della nucleasi e la quantità di tempo in cui il genoma è esposto alla nucleasi. Alcuni studi hanno scoperto che la modifica di questi parametri può migliorare il "rapporto di

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specificità", definito come il rapporto tra attività target e off-target. Un altro fattore è il numero di siti nel genoma omologo al sito di destinazione previsto. Il fattore finale è il livello intrinseco della specificità del DNA della nucleasi. Sono state sviluppate diverse varianti di Cas9 e TALEN che offrono rapporti di specificità migliorati (anche se a volte al costo di un'attività sul bersaglio inferiore).

La manifestazione più comune dell'attività off-target è una piccola in/del dopo che un DSB è stato riparato in modo non corretto da NHEJ. La dimensione dell'in/del può dipendere sia dalla nucleasi utilizzata sia dalla durata in cui viene espressa la nucleasi. Tuttavia, l'attività off target ha anche conseguenze a “scale più grandi” e può alterare il DNA provocando delezioni di grandi dimensioni (molte kilobasi) come tratti di sequenza cromosomica, inversioni, incorporazione di tratti di sequenza (~ 100 bp) da posizioni alternative nel genoma umano (Hendel A., 2015) o traslocazioni cromosomiche grossolane.

Sono state effettuate a tal proposito modifiche al dominio di dimerizzazione FokI che hanno aumentato drasticamente la specificità di ZFN e TALEN richiedendo due eterodimeri per legare il DNA bersaglio in uno specifico orientamento e spaziatura. Varianti di Cas9 con nuovi PAM possono essere ingegnerizzate così da aumentare in modo esponenziale il numero di potenziali sequenze target cosicché la Cas9 complessata con il crRNA e il tracrRNA subisce un cambiamento conformazionale e si associa con motivi PAM in tutto il genoma interrogando la sequenza direttamente a monte per determinare la complementarità di sequenza con il gRNA (ML. Maeder, 2016).

Recentemente, mediante studi di proteomica sulla struttura della Cas-9, sono state sviluppate nuove varianti Cas9 con proprietà di specificità aumentate. Questi miglioramenti hanno alleviato le preoccupazioni iniziali sulla specificità delle nucleasi CRISPR / Cas.

Nonostante l'ampio uso delle tecnologie TALE e CRISPR-Cas9, la loro specificità e affidabilità è ancora un dibattito aperto, compreso un metodo affidabile per identificare e quantificare i siti off-target. È necessaria un'analisi più approfondita e procedure accurate essere sviluppato per garantire l'uso sicuro di queste nucleasi (Hendel A., 2015).

Un altro problema legato all’utilizzo dei sistemi basati su enzimi quali le endonucleasi è anche rappresentato dal “delivery”, cioè la capacità di raggiungere i distretti cellulari/tissutali interessati dalla potenziale terapia. Attualmente la somministrazione in

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con la somministrazione di un DNA donatore per la ricombinazione omologa è realizzabile con l’utilizzo di vettori virali. I vettori virali sono attualmente preferiti ai sistemi non virali per la maggiore efficienza del trasferimento genico (M. Franchini, 2000).

I virus sono entità biologiche altamente evolute capaci di penetrare nella cellula ospite e sfruttarne i macchinari cellulari per facilitare la propria replicazione. La maggior parte delle applicazioni di terapia genica basata su virus come vettori, sfrutta il percorso di infezione virale ma evita la successiva espressione dei geni che porterebbe alla replicazione virale e alla tossicità. Questo è possibile eliminando del tutto, o soltanto in parte, alcune regioni del genoma virale e lasciando intatte quelle sequenze (di solito le sequenze terminal repeats) che sono richieste in cis per funzioni come il packaging del vettore o l’integrazione del vettore nel genoma ospite. La cassetta di espressione scelta viene quindi clonata nel vettore virale al posto delle sequenze che sono state eliminate. I geni cancellati codificanti per proteine della replicazione o proteine del capside sono incluse in un costrutto di packaging separato per fornire le funzioni di supporto in trans. Le cellule di packaging in cui il genoma del vettore e il costrutto di packaging sono co-trasfettati, produrranno vettori virali ricombinanti. Dopo la produzione nella linea cellulare di packaging, le particelle vettoriali ricombinanti sono purificate mediante cromatografia e quantificati (Clare E. Thomas, 2003).

Ciascun vettore dovrebbe essere in grado di assicurare una efficace trasfezione della cellula target ed una duratura espressione del gene terapeutico.

Le cellule possono essere modificate da questi vettori sia ex vivo (le cellule di un organo, ad esempio il fegato, vengono prelevate dal paziente, stimolate a dividersi in colture cellulari e trasfettate dai vettori; le cellule così modificate, con il vettore incorporato nel loro DNA, vengono reimpiantate nel paziente) che in vivo (iniezione diretta del vettore trasfettante nel tessuto o nelle cellule). Una volta penetrato nel nucleo cellulare, il vettore con il gene terapeutico può integrarsi direttamente nel genoma della cellula oppure può rimanere come un'entità indipendente (episoma) (M. Franchini, 2000).

1.1.7 I Vettori virali

I vettori virali comprendono essenzialmente i retrovirus, gli adenovirus (AV) ed i virus adenoassociati (AAV).

I retrovirus rappresentano il sistema di vettori virali maggiormente studiato. I retrovirus generalmente utilizzati sono virus murini modificati in modo tale da non replicarsi una

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volta introdotti nella cellula target (la trasfezione di cellule non seguita da replicazione virale prende il nome di trasduzione). I retrovirus così modificati sono in grado di integrarsi stabilmente nel genoma della cellula ospite: il gene terapeutico viene così copiato durante la replicazione cellulare e trasferito alle cellule figlie. Questo tipo di trasfezione è in grado di assicurare una persistente espressione del gene terapeutico. La necessità di trasfettare cellule in replicazione rappresenta il principale limite dei vettori retrovirali, che per tale motivo vengono utilizzati generalmente nella terapia genica ex

vivo. Altri limiti al loro utilizzo sono rappresentati dalla capacità di trasportare solamente

geni di limitate dimensioni (con una lunghezza minore di 7 Kb) e dalla possibilità che essi causino, dal momento che si integrano nel genoma in modo random, una deregolazione di alcuni geni (proto-oncogeni, geni oncosoppressori) della cellula target. Gli adenovirus (AV) vengono modificati in modo simile ai retrovirus così da impedire la replicazione virale e inserire il gene terapeutico. Gli AV ricombinanti così prodotti sono in grado di trasfettare cellule non in divisione: essi, pertanto, possono essere anche iniettati direttamente nel circolo sanguigno del paziente (terapia in vivo). Gli AV ricombinanti non si integrano nel genoma della cellula ospite ma rimangono a livello episomiale nel nucleo cellulare. Gli AV sono vettori altamente efficienti: essi, infatti, sono in grado di trasportare geni di dimensioni maggiori (fino a una lunghezza di 8 Kb) rispetto ai vettori retrovirali. Inoltre, dal momento che sono in grado di trasfettare cellule quiescenti, essi possono trasferire un elevato numero di copie del gene terapeutico. Il principale limite all'utilizzo dei vettori adenovirali è rappresentato dal fatto che le cellule infettate producono proteine virali. Tali proteine sono immunologicamente attive e provocano risposte immunitarie umorali e cellulari che distruggono le cellule trasfettate. Per tale motivo gli adenovirus producono una elevata ma transitoria espressione del gene terapeutico che trasducono.

I vettori ricombinanti derivati dai virus adeno-associati (AAV) hanno recentemente suscitato l'interesse di molti ricercatori per la loro capacità di trasfettare cellule quiescienti o in replicazione e per la loro non patogenicità. Il limite maggiore di questi vettori è dato dalla capacità di trasportare solamente piccoli geni non più grandi di 4,7 Kb (Fig. 2).

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Fig.2 – Terapia genica in vivo e ex vivo mediante utilizzo di vettori virali.

1.1.7.1.1 Esempi di uso di terapia genica basata su virus

Recenti studi clinici di terapia genica con vettori virali hanno dimostrato l’efficacia clinica nella correzione di malattie genetiche, HIV e cancro. Le prime sperimentazioni cliniche di successo con la terapia genica sono state condotte con i vettori onco(γ-)retrovirali ma l'oncogenesi a causa di mutagenesi inserzionale è apparsa una seria complicazione. I vettori lentivirali invece sono emersi come una strategia potenzialmente più sicura (T. Liechtenstein, 2013).

I vettori virali sono stati impiegati in terapia genica per il trattamento dell’immunodeficienza grave combinata legata al cromosoma X (SCID-Xl) che è causata da difetti nel gene IL2RG, che codifica per la catena γ del recettore dell'interleuchina-2 (γc). Solitamente la carenza di γc è la forma genetica più frequente di SCID e rappresenta il 50 - 60% dei casi. In genere è caratterizzata dall’assenza di cellule T mature e linfociti natural killer (NK) a causa di un blocco completo nel loro sviluppo.

Sono stati impiegati vettori retrovirali per indurre una reversione spontanea della mutazione nel gene IL2RG in progenitori linfoidi per consentire il ripristino, almeno in parte, del compartimento delle cellule T poiché si verificava un vantaggio selettivo delle cellule trasdotte rispetto alle non trasdotte, portando a una possibile correzione dell’immunodeficienza.

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In seguito a test preclinici in vitro e in vivo in topi γc -carenti, sono stati avviati diversi studi clinici.

I costrutti γ-retrovirali erano stati ingegnerizzati in modo che la subunità comune del recettore γc delle citochine sia stata posta sotto il controllo trascrizionale della ripetizione terminale lunga (LTR). A tutti i pazienti sono state somministrate cellule CD34+ trasdotte

ex vivo in assenza di qualsiasi terapia aggiuntiva.

Sebbene sia stata dimostrata l’efficacia del trasferimento genico e siano stati ottenuti risultati positivi negli studi preclinici e nei primi trials, si è verificato lo sviluppo di leucemia legata alle cellule T e remissione post-chemioterapia nei pazienti trattati, a distanza di qualche anno dal trattamento. Il verificarsi di queste gravi complicazioni ha portato alla sospensione di queste prove e gli scienziati hanno iniziato a studiare il meccanismo con cui si era verificata questa complicazione inaspettatamente frequente. E’ stato dimostrato che i cloni leucemici portavano integrazioni retrovirali all'interno di loci oncogenici, in particolare, il gene LMO-2 era stato mutagenizzato in quattro dei cinque casi. (F. Touzot, 2014)

Questo ha “dimostrato” che il trasferimento genico mediato dal retrovirus potrebbe deregolare l'espressione del proto-oncogene a causa dell’inserzione di sequenze virali (LTR) che ne aumentano l’espressione.

Tuttavia, nessuno dei soggetti trattati con un simile approccio di terapia genica per il deficit di adenosina deaminasi (ADA), che porta a uno sviluppo aberrante dei linfociti T, B e cellule NK, ha sviluppato complicazioni leucemiche nonostante sia stata trovato un modello di integrazione retrovirale simile. Quindi, sono probabilmente coinvolti altri fattori nel processo oncogenico, ma non sono stati chiariti finora. Un secondo trial internazionale, che utilizza un vettore retrovirale auto-inattivante(SIN) più sicuro che dovrebbe ridurre il rischio di inserzione mutagenica, è in corso nel Regno Unito, negli Stati Uniti e Francia dal 2010 (F. Touzot, 2014).

La terapia genica è stata applicata anche per il trattamento della sindrome di Wiskott - Aldrich (WAS), una rara immunodeficienza legata al cromosoma X causata da mutazioni nel gene WAS che codifica per la proteina WAS (WASp), un regolatore del citoscheletro ematopoietico. La sindrome è caratterizzata da micro-trombocitopenia, disfunzione immunitaria ed eczema. L'immunodeficienza si manifesta con ricorrenti infezioni, manifestazioni autoimmuni e neoplasie linfoidi.

Inizialmente è stato condotto un trial su 10 pazienti sottoposti a terapia genica con un vettore γ retrovirale in concerto con il farmaco anticancro Busulfan. I primi risultati hanno

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mostrato l’espressione ripristinata di WASp in più linee cellulari, con un chiaro vantaggio selettivo per le cellule della linea linfoide (F. Touzot, 2014).

A partire da 6 - 9 mesi dopo la terapia genica le condizioni cliniche dei pazienti sono migliorate, con la risoluzione del sanguinamento, eczema e autoimmunità. Tuttavia, quattro casi di leucemie sono state segnalate tra i 10 pazienti trattati sottolineando ancora una volta il rischio di genotossicità legato a questo vettore γ-retrovirale (F. Touzot, 2014). La terapia genica è stata applicata anche per il trattamento della malattia granulomatosa cronica (CGD), causata da difetti nelle subunità della NADPH ossidasi fagocitica (PHOX). Mutazioni nel gene CYBB, che codifica per la subunità gp91phox, sono responsabili della forma X-linked di CGD, che rappresenta circa il 70% dei pazienti. La CGD è caratterizzata da infezioni fungine e batteriche gravi e potenzialmente letali causate da una ridotta produzione di anioni superossido e di altri intermedi reattivi all'ossigeno da parte dei neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi. Un altro aspetto della malattia è la cronicità dell’infiammazione granulomatosa che colpisce gli organi come l'intestino o il polmone, principalmente causata da un aumento della produzione di citochine pro-infiammatorie e apoptosi ritardata delle cellule infiammatorie (F. Touzot, 2014).

Nei primi studi clinici sono stati impiegati vettori retrovirali di prima generazione in concerto con farmaci anti-neoplastici. Inizialmente sono stati osservati in alcuni pazienti una correzione dell'attività di NADPH e un miglioramento clinico transitorio. Anche in questo caso la genotossicità è stata una delle principali preoccupazioni, poiché si è verificata in tre pazienti, su 5 trattati, che mostravano beneficio per più di 3 mesi, sindrome mielodisplastica (MDS). Il verificarsi di MDS è stato associato con la transattivazione dell’oncogene MDS / EVI a causa di una sovraespressione conferitagli dal vettore retrovirale. Nuovi trials clinici sono in fase di esecuzione in UK, Svizzera e Germania (F. Touzot, 2014).

Studi di terapia genica sono stati condotti anche per trattare l’emofilia A e l’emofilia B, due patologie ereditarie causate dalla carenza rispettivamente del fattore VIII (FVIII) e del fattore IX (FIX) della coagulazione. Entrambe queste malattie, essendo trasmesse come caratteri recessivi legati al cromosoma X, colpiscono solamente i maschi. Gli studi di terapia genica nell'emofilia B sono significativamente più avanzati rispetto a quelli sull'emofilia A: uno dei principali motivi è dato dalle ridotte dimensioni del FIX cDNA rispetto al FVIII cDNA (1,4 Kb vs 8,8 Kb) che lo rendono utilizzabile da tutti i principali vettori di trasferimento genico. L'unico studio condotto sino ad ora su esseri umani è

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quello cinese iniziato nel 1991: i fibroblasti vennero rimossi da due pazienti con emofilia B lieve, vennero geneticamente modificati ex vivo con un vettore retrovirale contenente il gene del FIX umano, messe in colture cellulari e successivamente reimpiantate sottocute.Durante questo periodo si osservò un incremento del FIX dal 3% al 6% in un paziente. In un esperimento successivo in vivo, un cane con emofila B grave venne trasfettato con vettori adenovirali (l'animale non veniva epatectomizzato dal momento che questi vettori sono capaci di trasfettare cellule non in replicazione). Circa il 25% delle cellule epatiche dell'animale vennero trasfettate dal vettore adenovirale contenente il FIX cDNA e questo portò ad una elevata produzione di FIX (300%). Tuttavia i livelli calarono a meno dell'1% dopo 3 settimane. Inoltre, l'esperimento non poté essere ripetuto nello stesso animale dal momento che si era verificata l'immunizzazione con produzione di anticorpi contro antigeni adenovirali espressi dal vettore. Risultati più incoraggianti (maggiore durata dei livelli terapeutici di fattore IX) sono stati ottenuti associando alla terapia adenovirale terapia immunosoppressiva con ciclosporina. Recentemente sono stati impiegati vettori derivati da virus adeno-associati che sono stati iniettati intramuscolo nei topi immunodeficienti e che hanno determinato una persistente produzione di FIX a livelli terapeutici. Sono attualmente in corso esperimenti su cani con emofilia B (F. Touzot, 2014).

Per quanto riguarda la terapia genica nell'emofilia A le dimensioni del gene del FVIII hanno rappresentato il maggiore ostacolo all'applicazione della terapia genica. Infatti, la regione codificante del gene del fattore VIII (8,8 Kb) supera la capacità di trasporto dei vettori retrovirali e adenovirali. Sostanziali progressi sono stati compiuti tagliando 3Kb dal cDNA di FVIII senza perdita della funzionalità della proteina. Esperimenti su animali con emofilia A severa utilizzando vettori adeno o retrovirali con il FVIII cDNA privato del B domain hanno portato all'espressione transitoria di livelli terapeutici di FVIII (F. Touzot, 2014).

Diversi studi hanno dimostrato la notevole capacità di vettori lentivirali per trasdurre motoneuroni sia in vitro che in vivo. Recentemente, i vettori lentivirali sono stati ampiamente usati come mezzo per eseguire strategie terapeutiche in modelli animali di malattie che colpiscono i motoneuroni come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e l’atrofia muscolare spinale (SMA). Ad esempio, quando è stato utilizzato il sistema di trasferimento genico lentivirale per trasferire il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF) ai motoneuroni in un modello SLA di topo ampiamente utilizzato (SOD1G93A), il trattamento con VEGF ha prevenuto la morte cellulare e aumentato la sopravvivenza

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dei topi trattati. La terapia genica lentivirale-mediata ha raggiunto uno dei più elevati effetti terapeutici riscontrati fino ad oggi. Lo stesso sistema vettoriale è stato utilizzato per trattare la SMA di tipo 1 in modelli di topo. Il trattamento ha ripristinato la sopravvivenza del motoneurone, ha portato alla riduzione della morte del motoneurone e all’aumento dell’aspettativa di vita rispetto ai gruppi di controllo (Azzouz, 2006).

Recentemente, sono stati riportati i primi trial clinici umani di successo per la correzione della β-talassemia e l'adrenoleucodistrofia legata all'X. In questi studi, le cellule staminali ematopoietiche sono state trasdotte ex vivo e trasferite ai pazienti (T. Liechtenstein, 2013). Inoltre, il primo trial clinico di immunoterapia di successo con vettori lentivirali è stato completato in pazienti con leucemia avanzata. Il trasferimento di cellule T che esprimono un chimeric antigen receptor (CAR) contenente il dominio co-stimolatore CD137 e la catena TCR ζ ha causato la remissione completa in due dei tre pazienti trattati. La terapia genica con vettore lentivirale ha dimostrato finora di essere più sicura rispetto a quella con vettori γ retrovirali e fattibile anche se specifica per ciascun paziente e ancora costosa. Pertanto, almeno per indurre l'immunizzazione contro le malattie infettive e il cancro, in alternativa potrebbe essere utilizzata la vaccinazione diretta con i vettori lentivirali (T. Liechtenstein, 2013).

1.1.7.1.2 Effetti non positivi dell’utilizzo dei vettori virali

Da quanto sopra espresso, si evince che l’utilizzo in vivo di virus ingegnerizzati rappresenta una procedura laboriosa e rischiosa per i pazienti stessi. La maggior parte dei trials condotti mediante l’utilizzo di vettori retrovirali ha provocato complicazioni nel paziente post-trattamento principalmente dovute alla potenziale generazione di vettori replicazione-competenti, al potenziale oncogenico attraverso la mutagenesi inserzionale e all'instabilità genetica come discusso precedentemente. Lo sviluppo di diverse generazioni di vettori lentivirali con miglioramenti nella sicurezza di trasferimento genico assicurano risultati più promettenti come prodotti terapeutici. È stato inoltre riportato che i vettori lentivirali, a differenza dei vettori -retrovirali, possiedono un potenziale oncogenico inferiore in quanto non inseriscono preferenzialmente vicino a oncogeni o geni del ciclo cellulare. Tuttavia, vi sono anche prove sperimentali che dimostrano che l'integrazione del vettore lentivirale altera la regolazione genica e porta a eventi di splicing aberranti. Pertanto, i vettori lentivirali non integrati sono stati sviluppati come un'alternativa più sicura. Una forma mutata di integrasi impedisce al genoma del vettore lentivirale di integrarsi nel genoma ospite.

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L'interesse della terapia genica attualmente è per lo più orientato sui vettori virali, quali gli adenovirus ed i virus adeno-associati. Tuttavia, devono comunque essere superati alcuni ostacoli: i virus adeno-associati possono trasportare solo geni di limitate dimensioni (fino a 4,7Kb) e, pertanto, il loro utilizzo è attualmente limitato. Viceversa, gli adenovirus non possono essere somministrati ripetutamente nello stesso soggetto, a causa della risposta immunitaria alle proteine virali. Inoltre, gli esperimenti effettuati fino ad oggi si sono avvalsi di modelli animali: resta, pertanto, da chiarire fino a che punto essi sono validi nell'uomo, considerando che la maggior parte degli esseri umani è immunizzata nei confronti dei virus adenovirali ed adeno-associati.

1.2 Un’ ipotesi alternativa da esplorare per il gene editing

Nel nostro laboratorio abbiamo intrapreso uno studio circa la possibilità di indurre gene-editing mediante lesioni sito-specifiche prodotte da sostanze mutagene. Secondo questo approccio, molto esplorativo, un mutageno potrebbe essere veicolato in uno specifico sito del genoma e lì indurre una lesione (quale, per esempio, un addotto alle basi azotate o una rottura del DNA). Quando la lesione consiste in un inter-strand crosslink o in una rottura a doppia elica la cellula reagisce attivando la riparazione mediante NHEJ, che ripristina la continuità del DNA dopo aver eroso i margini della rottura. In alternativa la riparazione avviene mediante ricombinazione omologa che sfrutta, come templato, un DNA donatore con sequenza omologa (che potrebbe anche consistere in un DNA esogeno somministrato da un operatore). Il NHEJ è un meccanismo per lo più “error-prone” e le cellule subiscono una alterazione della sequenza originaria. Meccanismi di tipo “error-prone” scaturiscono anche quando il nucleotide excision repair (NER) o il Base excision repair (BER) non possono agire, per esempio nel caso in cui vi siano lesioni multiple (addotti al DNA o siti abasici) su entrambi i filamenti nessuno dei quali risulta più essere un adeguato templato per il ripristino della sequenza originale. In questa situazione la cellula in replicazione, per sopravvivere, è costretta a passare attraverso una fase di “translesion synthesis” (TLS) che consiste nel superare lo stallo della forca replicativa incorporando basi non complementari al templato. Un esempio di questo meccanismo si osserva dopo irradiazione con luce UV che causa alta frequenza di dimeri di ciclobutano e pirimidina (CPD). Quindi la TLS fornisce un contributo molto importante alla procedura dei bypass dei CPD su entrambi i filamenti ma causa accumulo di mutazioni puntiformi (Jung-Hoon Yoon, 2009). Un altro esempio di TLS riguarda la cosiddetta “A-rule”. Nel genoma i siti

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abasici (siano essi siti apurinici o apirimidici (AP)) sono continuamente generati in seguito a stress ossidativo per idrolisi spontanea del legame N-glicosidico tra il desossiribosio e la base azotata. Il tasso di depurinazione spontaneo è stato stimato in 10000/Cell/die. I siti AP sono prodotti anche come intermedi durante la riparazione per BER delle basi ossidate e alchilate. Se lasciati non riparati, rappresentano lesioni premutageniche che sono impedimenti alla sintesi del DNA. Quando le DNA polimerasi incontrano un sito AP al fine di superare lo stallo della forca replicativa generalmente tendono a inserire un dAMP. Questo inserimento preferenziale di A prende il nome di “A-Rule” ed è principalmente dovuto al coinvolgimento di una famiglia di DNA polimerasi (DNA polimerasi X) come la DNA polimerasi β (William A. Beard, 2009). È quindi ipotizzabile che se si riuscisse a indurre la giusta tipologia di lesione sul DNA nel locus appropriato potremmo ottenere un gene-editing sito-specifico causato dal tentativo di riparazione effettuato dalle cellule stesse.

Questo approccio è molto futuribile e non privo di innumerevoli ostacoli ma avrebbe il vantaggio di essere totalmente farmacologico e sfrutterebbe i sistemi “naturali” di riparazione del DNA.

Il principale ostacolo consiste nel capire come apportare una lesione sito-specifica minimizzando gli off-targets. Un approccio potrebbe essere quello di coniugare un mutageno con una “sonda”, cioè un oligonucleotide (solitamente di 15-20bp di lunghezza complementare tramite appaiamento di Watson-Crick a un ssDNA target) (Daniela Castanotto, 2014) in grado di veicolare in maniera specifica la sostanza che, una volta in loco, agirebbe danneggiando il DNA.

Approcci simili sono stati considerati da circa un decennio e gran parte del lavoro sulla modifica chimica degli oligonucleotidi è stato diretto ad aumentare la stabilità nell'ambiente biologico, migliorare l’efficacia e ridurre gli effetti off- target. Più precisamente è stata considerata la chimica alla base della coniugazione degli oligonucleotidi con molecole specifiche per migliorare il delivery intracellulare o la farmacocinetica e la biodistribuzione in vivo.

1.2.1 Gli oligonucleotidi

Gli oligonucleotidi nudi e non modificati, sia a singolo che a doppio filamento, non entrano efficientemente nelle cellule intatte per semplice diffusione, a causa della natura idrofobica del doppio strato lipidico della membrana e la carica superficiale negativa delle cellule ma solitamente sfruttano uno dei diversi pathways endocitotici. L'assunzione

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iniziale di un oligonucleotide è seguita dal traffico intracellulare in una varietà di compartimenti vescicolari endomembrana di cui fanno parte gli endosomi precoci, gli endosomi tardivi, lisosomi e il complesso del Golgi. E’ un processo estremamente dinamico regolato da un insieme di proteine e lipidi che controllano le dimensioni, il contenuto e la destinazione finale del contenuto delle vescicole. Siamo attualmente a conoscenza di più percorsi per l'endocitosi ma l’assorbimento attraverso canali rivestiti di clatrina è il percorso archetipico e meglio studiato e sono state identificate molte proteine accessorie coinvolte in questa via di trasporto, per esempio, la proteina adattatrice AP-2.

Ciò crea complessità ma offre anche un’opportunità alla farmacologia degli oligonucleotidi. Ad esempio, utilizzando leganti che indirizzano l’oligonucleotide antisenso o il siRNA verso specifici recettori della superficie cellulare, si può influenzare la via iniziale di internalizzazione. Questo potrebbe avere importanti implicazioni per la successiva distribuzione intracellulare e per ottenere il massimo effetto farmacologico dell'oligonucleotide (Liang, 2002).

1.2.1.1 Gli oligonucleotidi come agenti terapeutici

L’utilizzo di oligonucleotidi come sostanze ad azione “terapeutica” è stato già ipotizzato negli anni 90 del secolo scorso.

I farmaci a base di oligonucleotidi sono attualmente in fase di sviluppo in molteplici applicazioni e in ogni caso questi farmaci consentono il riconoscimento specifico di un bersaglio cellulare che può essere DNA, RNA o una proteina. Gli oligonucleotidi si distinguono da altre classi di agenti farmaceutici per il meccanismo di azione e le proprietà fisico-chimiche o farmaceutiche. Queste caratteristiche distintive offrono l'opportunità di ricercare un ampio spettro di agenti terapeutici per bersagli molecolari che non sono raggiungibili da altre classi di agenti, ad esempio piccole molecole e anticorpi, che prediligono prevalentemente le proteine

Anche se gli oligonucleotidi nudi sono stati utilizzati in molti studi in vivo e clinici, è ampiamente appurato che sono assolutamente necessari dei sistemi di delivery appropriati per lo sviluppo di terapie cliniche efficaci. Forse gli studi più ampi sono stati fatti sulla coniugazione oligonucleotide. Nella maggior parte dei casi i coniugati peptide-oligonucleotide sono formati mediante coniugazione in soluzione del peptide all'oligonucleotide seguito da purificazione mediante cromatografia. Sono stati utilizzati

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vari legami per effettuare la coniugazione tra cui quello ammidico, tioeterico, esterico e ponti disolfuro (R.L.Juliano, 2016).

Anche l'aggiunta di porzioni lipofile ad oligonucleotidi antisenso e in particolare a siRNA si è dimostrata un potente approccio per la modifica delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche degli oligonucleotidi. In particolare la coniugazione con il colesterolo promuove l'interazione dell'oligonucleotide con l'albumina e le lipoproteine sieriche e successivamente promuove l'assorbimento nei tessuti principalmente attraverso i recettori delle lipoproteine epatiche.

Anche i coniugati con la vitamina E sono stati usati in un contesto simile. In generale i semplici gruppi lipofili possono essere incorporati tramite sintesi in fase solida utilizzando l'appropriati fosforammiditi, alcuni dei quali sono disponibili in commercio (R.L.Juliano, 2016).

La coniugazione di oligonucleotidi con parti di carboidrati può in fornire un approccio efficiente per il targeting delle proteine, come la lectina, che sono comuni a molti tipi di cellule. Metodiche simili sono state applicate per la preparazione di diversi tipi di oligonucleotidi glicoconiugati che comprendono anche ramificazioni oligosaccaridiche piuttosto complicate (R.L.Juliano, 2016).

Alcuni studi in corso, prendono in considerazione gli aptameri oligonucleotidici che possono legare in modo specifico biomarcatori su cellule tumorali e possono essere facilmente modificati chimicamente con diverse molecole funzionali per la medicina personalizzata. Per il trattamento di cellule di leucemia mieloide acuta (AML), è stato sviluppato un aptamero del DNA a singolo filamento specifico per il biomarker CD117, che è altamente espresso sulle cellule AML. L'allineamento di sequenza ha rivelato che l'aptamero conteneva una regione nel core ricca di G con una struttura G-quadruplex funzionale ben conservata. Saggi funzionali hanno dimostrato che questo aptamero sintetico era in grado di precipitare in modo specifico le proteine CD117 dai lisati cellulari, legare selettivamente le colture primarie di cellule AML coltivate e di pazienti con elevata affinità (Kd <5 nM), ed è stato specificamente interiorizzato nelle cellule che esprimono il CD117. Per il trattamento AML specifico, sono stati fabbricati coniugati farmaco-aptamero mediante sintesi chimica dell’aptamero con metotrexato (MTX), un farmaco molto utilizzato nei trattamenti chemioterapici per AML. I coniugati formati Aptamero-MTX hanno inibito specificamente la crescita delle cellule AML, l'apoptosi delle cellule innescata e l'arresto del ciclo cellulare indotto nella fase G1. È importante sottolineare che Aptamero-MTX ha avuto scarso effetto sulle cellule CD117-negative

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nelle stesse condizioni di trattamento. Inoltre, l'esposizione di campioni di midollo del paziente all’Aptamero-MTX ha provocato un'inibizione selettiva della crescita delle cellule AML primarie e non ha evidenziato tossicità di background nelle cellule normali all'interno degli stessi campioni.

Questi risultati indicano il potenziale valore clinico del complesso Aptamero-MTX per una terapia AML mirata con effetti collaterali minimi o nulli nei pazienti, e aprono anche una via alla sintesi chimica di nuove bioterapie mirate (Zhao N, 2015).

Per quanto riguarda gli acidi nucleici, la formazione di coniugati o di chimere di antisenso o siRNA con porzioni di acidi nucleici è molto interessante. Un approccio è stato quello di creare chimere di siRNA con aptameri che hanno come target specifici, recettori cellulari di superficie.

1.2.1.2 Impiego di oligonucleotidi antisenso come agenti terapeutici

L’utilizzo di oligonucleotidi come agenti terapeutici è già in ampia sperimentazione e nella maggior parte dei casi vengono utilizzati gli oligonucleotidi antisenso che legano e successivamente silenziano specifici mRNA target (Daniela Castanotto, 2014).

I primi esperimenti su oligonucletidi antisenso (Daniela Castanotto, 2014) sono stati rapidamente seguiti da studi riportando una strategia con oligonucleotidi antisenso progettata per bloccare l’espressione genica nelle cellule (R.L. Juliano X. M., 2014). L’interesse nel campo è dilagato drammaticamente con l'introduzione di sintetizzatori di DNA negli anni '80. Nel 1998, Fomiversen, un oligo antisenso per il trattamento della retinite da citomegalovirus (Isis, Carlsbad, California, USA), che potrebbe causare cecità nei pazienti affetti da HIV / AIDS, è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il mercato (Daniela Castanotto, 2014). Tuttavia, il farmaco fu in definitiva ritirato per i suoi effetti collaterali. Mipomersen, un agente antisenso specifico per l'apolipoproteina B ha recentemente ricevuto l'approvazione della FDA per il trattamento della ipercolesterolemia familiare anche se l’agenzia europea per i medicinali (EMA) ha rifiutato l'approvazione citando problemi di sicurezza. Evers et al. hanno indirizzato la terapia con oligonucleotidi per il trattamento delle malattie del sistema nervoso centrale come l'Alzheimer, SLA, disturbi poli Q e atrofia muscolare spinale. Invece Kole e Levin hanno trattato la Distrofia muscolare di Duchenne (R.L.Juliano, 2016).

Attualmente, ci sono circa 90 studi clinici in corso sul cancro che valutano il trattamento con oligonucleotidi antisenso, somministrati con o senza chemioterapia citotossica. La maggior parte di queste prove sono di fase I / II e hanno dimostrato sicurezza e

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tollerabilità. Tuttavia, solo pochi oligo-antisenso sono stati valutati in studi clinici sul cancro di fase III. Custirsen è un oligo antisenso indirizzato alla clusterina, una proteina implicata nella sopravvivenza delle cellule del cancro alla prostata e nella resistenza ai farmaci. Sviluppato dall’industria farmaceutica Isis in collaborazione con Teva /Oncogenex (Bothell, Washington, USA), questo oligo anticluster a RNA ha prodotto risultati promettenti in uno studio di fase II nel carcinoma prostatico resistente alla castrazione (CRPC) in combinazione con altri farmaci. Tuttavia, in nessun trial di fase III è stato dimostrato alcun aumento significativo della sopravvivenza complessiva (OS) nei pazienti CRPC.

Allo stesso modo, gli oligonucleotidi Affinitak e Lucanix (NovaRx, San Diego, California, USA) hanno raggiunto gli studi di fase III, ma studi in corso non sono riusciti a dimostrare un miglioramento della sopravvivenza complessiva in pazienti con un tipo di carcinoma polmonare, anche se Lucanix ne ha dimostrato alcuni benefici clinici in un sottogruppo di pazienti in prova (Daniela Castanotto, 2014). Così, ad oggi, nonostante gli sforzi e le numerose prove cliniche, non abbiamo ancora un singolo farmaco oligo-antisenso che sia stato approvato per il trattamento del cancro.

Se l’utilizzo degli oligonucleotidi come agenti terapeutici è già in sperimentazione, quello come vettori per veicolare sostanze è invece in una fase molto iniziale.

1.2.1.3 Gli oligonucleotidi come vettori per veicolare danni al DNA in situ

L’induzione di un danno sito-specifico sul DNA grazie alla coniugazione di oligonucleotidi con molecole che inducono un danno al DNA sito-specifico grazie al legame dell’oligonucleotide sulla sequenza di DNA target, è un approccio ancora in fasi preliminari di sperimentazione.

I farmaci che esprimono gli effetti fisiologici legando il DNA a doppio filamento sono spesso efficaci agenti antitumorali e antimicrobici, ma la loro citotossicità generale può limitarne l'uso. I recenti studi per la progettazione di farmaci diretti al DNA si sono concentrati sul targeting di sequenze di DNA specifiche nella speranza di raggiungere una maggiore discriminazione ed efficacia. La discriminazione di singoli geni o sequenze di controllo è un idea che è stata approcciata soltanto mediante l’uso di oligonucleotidi come elementi di riconoscimento (Lee C.S., 2017).

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Le limitazioni alle terapie oligonucleotidiche sollecitano gli continui sforzi per progettare i coniugati o agenti "non naturali" che raggiungono un'elevata affinità del DNA specifica per sequenza con minima complessità strutturale e sintetica (Liang, 2002).

I principali teorici vantaggi quindi derivanti da un futuribile approccio terapeutico basato sulla mutagenesi-sito specifica consisterebbero (i) nel non dover impiegare virus ingegnerizzati e (ii) nell’utilizzo di chemioterapie in maniera molto simile a quanto già ampiamente sperimentato nel campo oncologico. Questo approccio è ancora molto poco esplorato e molta ricerca deve ancora essere effettuata al fine di ottenere utili informazioni per comprenderne la fattibilità.

1.3 La mutagenesi

1.3.1. Le Sostanze mutagene

Era il 1940 quando Auberbach e Robson dimostrarono la potenzialità di alcune molecole di possedere la capacità di indurre alterazioni deleterie sul DNA umano (Auerbach C., 1946). Queste mutazioni possono avvenire sia sulla linea germinale ed essere quindi responsabili dell’insorgenza di malattie ereditabili, sia sulla linea somatica e provocare un danno nella salute del singolo individuo.

Questo fenomeno può essere una conseguenza dovuta all’esposizione ambientale di diversi agenti mutageni (Magomed K., 1995) o all’impiego in ambito clinico di molecole potenzialmente dannose per l’intero organismo.

Gli agenti genotossici inducono soprattutto due tipi di danno al DNA: la rottura dell’elica e il danneggiamento delle basi azotate. Rotture del DNA a singolo (SSB) e doppio filamento (DSB) sono le classiche lesioni indotte dalle radiazioni ionizzanti o da agenti radiomimetici come la bleomicina. Le radiazioni non ionizzanti, come i raggi UV, danno origine a fotoprodotti come dimeri di timina, che distorgono la molecola di DNA. Gli agenti chimici inducono mutazioni sia reagendo chimicamente col DNA (mutageni diretti) sia indirettamente (mutageni indiretti) attraverso processi chimici o enzimatici come la formazione di legami crociati (L.Migliore, 2004).

Comprendere le interazioni di piccole molecole con il DNA non solo permette di capire l’eventuale potenziale genotossico e studiare l’eventuale funzione genica alterata (L.Migliore, 2004) ma è anche molto importante nella progettazione di agenti antitumorali più potenti e selettivi.

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La genotossiticità di vari agenti chimici può essere valutata mediante numerosi test in

vitro o in vivo che identificano i danni del DNA su un gene o sul cromosoma. I test in vitro sono adatti per valutare la genotossicità primaria, mentre un approccio in vivo può

fornire informazioni sulla genotossicità secondaria come lo stress ossidativo o attivazione delle vie infiammatorie (Hasan Turkez, 2017).

Gli attuali metodi usati nei test di tossicità genetica in vitro possono essere elencate come test di aberrazione cromosomica, test del micronucleo (MN), saggio della cometa, test di scambio di cromatidi fratelli (SCE) e il test di Ames che ancora oggi resta il gold standard dei test di mutagenesi (Hasan Turkez, 2017).

Essenziale per il fine del test è che i cambiamenti genetici causati dall’esposizione alla sostanza test, si riflettano in un cambiamento fenotipico rilevabile, come cambiamenti metabolici o la sopravvivenza/morte del sistema cellulare in uso (Hasan Turkez, 2017). Le limitazioni delle attuali procedure dei test di genotossicità includono falsi risultati positivi che influenzano l'affidabilità dei metodi. Inoltre non è possibile mimare a pieno le condizioni delle cellule in vivo e risulta anche difficoltoso confrontare i modelli sperimentali in vivo usati negli studi di genotossicità con il sistema umano, oltre alla difficoltà nella classificazione di agenti cancerogeni genotossici e non genotossici in accordo con il loro meccanismo patogenetico specifico (Hasan Turkez, 2017).

I risultati non daranno, quindi, informazioni dirette sulla potenza mutagenica e cancerogena della sostanza nell’uomo.

1.3.1.1 La bleomicina

La bleomicina (BLM) è un antibiotico glicopeptidico isolato da Streptomyces verticillus (Vincent Murray, 2016) usato clinicamente in concerto con altri farmaci per il trattamento di varie tipologie di cancro come il linfoma di Hodgkin, il carcinoma a cellule squamose e il cancro ai testicoli.

La BLM utilizzata clinicamente indicata come bleonoxano, sintetizzata dai laboratori di Bristol, è una miscela composta da BLM A2 (70%) e da BLM B2 (30%) (Fig. 3) che sono antibiotici glicolipidici che differiscono per i gruppi R (J. Stubbe, 2017).

Si ritiene che l’attività della BLM come agente antitumorale sia dovuta al taglio del DNA, attraverso la formazione di SSB e DSB in situ (Vincent Murray, 2016).

La molecola di BLM è composta da quattro domini: un dominio legante il metallo, una regione di linker, una porzione carboidrato e una coda di bitiazolo. Il dominio di legame metallico comprende ligandi che formano legami complessi con i metalli di transizione.

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