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Discussione dei loci critici e dei relativi interventi dell’editore

Gori de Aretio Commentarii in Lucanum liber

1.3 Nota filologica

1.3.1 Discussione dei loci critici e dei relativi interventi dell’editore

Si discutono di seguito i luoghi che si presentano come erronei in entrambi i mss. della famiglia a e il cui scioglimento non è di immediata comprensione (si tralasciano dunque le semplici banalizzazioni, i lapsus calami e gli errori paleografici, come le ovvie integrazioni di lacuna) o comunque punti di particolare interesse. Laddove il solo ms. A presenti una lezione o un luogo erroneo ma V riporti la forma corretta, per emendare si è ricorso alla forma di uest ulti o; el aso, pe ò, i ui e t a i i ss. della fa iglia p ese ti o errore (o nel caso del solo ms. V per quanto riguarda accessus e prime dieci glosse) si è reso necessa io l i te ve to dell editore.

p. 94 r. 15 <in> tertia: si t atta dell u i o aso di o gettu a ope ingenii

ope ata dall edito e, i sie e al <in> quarta poco oltre nella medesima glossa (r. 17). L i te ve to stato eso e essa io pe h la po zio e testuale tramandata dal solo ms. V (e dunque non vi è ulteriore riscontro nella famiglia a) e nella famiglia b la proposizione è modellata diversamente (<in> tertia] dicit tertio P Pr J H tertio L; <in> quarta] dicit quarto P Pr J L H). La caduta della preposizione dipende dal fatto che simili sintagmi, mere formule di introduzione deboli dal punto di vista semantico, sono trattate in modo più corrente dal copista, che può sostituirle con semplici ordinali in forma numerica. Inoltre i passaggi di raccordo differiscono genericamente nella famiglia b.

p. 96 r. 19 Parthos: in a si legge Parthorum hostes. Tale lezione però non dà significato in alcun modo, neppure se si ipotizza un verbo esse sottinteso. Se infatti si pensasse a un periodo del tipo sed hostem adhuc habes ut dictum est

supra scilicet Parthorum hostes estis, riferito ai Romani, verrebbe meno la

concordanza con il soggetto della frase che è Roma, e dunque singolare. Come spiega e l o igi e di uesta lezio e? Pot e e fo se t atta si di u a ual he glossa marginale confluita nel testo o di u eti hetta i se ita da ual he opista Si è in ogni caso scelto di emendare con la lezione Parthos, perfettamente aderente al significato, nonché attestata dalla famiglia b.

179 p. 98 r. 5 et mollia: la lezione si presenta come erronea sia nella famiglia a che legge emollia, sia in b che legge emellia; dirimente in questo caso il ricorso alla fonte Oros., hist. IV 1, 19-21 in cui si legge et mollia. Lo stesso vale per il seguente in turres, che a legge intra res; la lezione corretta si desume, oltre che dal medesimo passo di Orosio, dalla lettura di P Pr J e H.

p. 106 r. 4 Solis: di seguito alla lezione nel ms. si legge: Ecce hec sunt nomina

equorum Solis. Si ha ragione di credere che si tratti di una glossa marginale

inglobata a testo nel solo ms.

p. 109 r. 22 conversa: il ms. riporta conversa est, mentre V conversa est et.

Perché il periodo sia corretto sintatticamente è necessario togliere est o aggiungervi et secondo la lezione di V. È più probabile tuttavia che il copista di seguito a un participio abbia inserito automaticamente un est, piuttosto che siano caduti sia est che et. Che la lezione corretta sia il solo participio è confermato da b che riporta conversa (mentre la mano di P2 aggiunge a sua

volta est).

p. 111 r. 18 ab uno lusore: si tratta dell e o e più i te essa te t a uelli

comuni a entrambe le famiglie. È infatti attestato a linio lusore in A e V, a livio

lusore in J e L, in livio lusore in P, a lusore in H e ab uno lusore in Pr. Le fonti che

narrano la vicenda del ratto delle Sabine – Livio e Orosio – non aiutano, in quanto non è presente alcun riferimento preciso al nome di un eventuale giocatore né si configurano esse come fonti dirette per la sezione di commento; il aest o deve ave du ue t atto l episodio da u ual he o pe dio a Livio o altro testo. La presenza di quel livio/linio si può spiegare allora in due modi: o si tratta di un marginale i di a te l auto e della fo te si a a del atto delle Sabine) che poi è entrato a testo e che Pr ha corretto con una lectio facilior e H ha eli i ato pe eli i a e l i o g ue za, oppu e si t atta di u e o e poligenetico generatosi in a, J, L e P (con variatio in P di a in in) per una sorta di automatismo che ha indotto i copisti a interpretare una lezione paleograficamente affine (ab uno, che H, innovativo come di consueto, ha va iato pe o to p op io o il o e dell auto e pe e elle za asso iato all episodio del atto delle “a i e. Co side a do he i A e V la lezio e stata vergata come a linio (i copisti di tali mss. in genere distinguono graficamente tra u e n) e che la b di ab può essere stata facilmente confusa con una l con occhiello (e non ad asta semplice) e il resto dei caratteri (inio/uno) presenta lo stesso identico numero di aste e potrebbe aver dunque generato confusione nei copisti, è verisimile che si tratti di un errore paleografico poligenetico. In

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alte ativa, si può ipotizza e he l e o e appa te ga già alla fo te utilizzata da Go o pe l episodio e da lì sia giu to ella ve sio e o igi ale del o e to, pe poi subire le diffrazioni di cui detto nel corso della tradizione del testo.

p. 116 r. 1 SPARSOS: di seguito al lemma in a si legge id est quando Romam

redivit sicut patet in primo libro. Si tratta con buona probabilità di una glossa

marginale entrata a testo. Il sintagma infatti non si spiega come chiosa del lemma SPARSOS, il quale si raccorda perfettamente con il seguente IGNES

RECOLLIGIT. I olt e, esso off e l i di azio e del li o di ife i e to, affatto

i utile dal o e to he il li o p i o p op io l oggetto di quella sezione di commento, per cui si sarebbe potuto trovare eventualmente un ut supra. L i di azio e del li o poi u a ota o u e t a i marginalia.

p. 121 r. 12 TUM…ti o : al lemma TUM PERCULIT la famiglia a giustappone

un id est tremuit et riguerunt capilli, que dico timoris sunt signa. Et bene

consequitur quia, assente invece in b. La chiosa risulta giustapposta per errore

d a ti ipo. I fatti, il opista di a deve aver anticipato il tremuit et riguerunt

capilli, que dico timoris sunt signa che si trova qualche riga più sotto; poi,

a o tosi dell e o e, ha posto uel et bene consequitur quia come cerniera con la parte seguente posita visione ponitur timor, senza il quale le due proposizioni non sarebbero state raccordate, e più sotto, prima del secondo tremuit et

riguerunt capilli, que dico timoris sunt signa, ovvero quello in posizione

corretta, ha posto un ut superius dictum est onde giustificare la ripetizione. Si è preferito inoltre emendare quel dico con un duo, più pertinente, facilmente corrompibile in dico dal punto di vista paleografico e presente nella famiglia b. Si è inoltre eliminato il tertio inserito prima di timor, perché non dà alcun significato.

p. 122 r. 3 <id est>: risultando necessario un elemento di raccordo tra

aliquantulum dubitavit et languit e commoratus est, si è scelto id est, adatto in

quanto svolge la funzione di glossare i due verbi precedenti. La sua caduta è facilmente spiegabile: le congiunzioni, gli avverbi, le particelle e in genere le parti deboli del discorso vengono spesso omesse o confuse dai copisti, anche perché sovente riportate in forma compendiata (nel caso presente magari con un semplice .i.. Tale fo ula pa e più ido ea ispetto all ideo della famiglia g e al vero di H.

p. 122 r. 12 Volunt: nella famiglia a si legge vel secundum alios volunt, che risulta erroneo. Il vel secundum alios infatti non dà senso né grammaticalmente dal pu to di vista del sig ifi ato; i fatti l i fo azio e he segue, ovve o la

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spiegazio e dell o igi e della upe Ta peia, non si contrappone a quanto appena affermato, ovvero che sulla rupe vi era il tempio di Giove da cui era possi ile vede e g a pa te della ittà, ostituis e u i te p etazio e alternativa di qualche altro chiosatore. Il sintagma può aver costituito un

marginale entrato a testo o forse essere stato inserito da un copista che ha

interpretato l autem che segue il volunt o valo e avve sativo alt i voglio o i ve e he , e t e i ve e se pli e e te da i te de si o e d alt a pa te, i olt e .

p. 137 r. 8 sapit: alla citazione quod nova testa capit inveterata sapit la

famiglia a fa seguire poetria. “i t atta i ve o dell i di azio e della p ese za del p ove io ell Ars versificatoria di Matteo di Vendôme (ars I 26), indicata talvolta anche come Poetria, con buona probabilità presente in un marginale inglobato a testo.

p. 146 r. 7 AXE: i mss. della famiglia a attestano aere. La variante potrebbe costituire un lemma alternativo ad AXE riportato dal codice della Pharsalia di riferimento del maestro o di qualche copista, dal momento che anche P Pr e H la registrano. Tuttavia, si è ritenuto opportuno emendare in AXE perché in base all ab extremo cardine della glossa precedente (409) si evince che la lezione

AXE doveva essere ben presente al chiosatore. Aere d altra parte è

banalizzazione di AXE facilmente producibile per fraintendimento paleografico anche per via poligenetica (né gli apparati delle edizioni critiche della Pharsalia la registrano, ma questo è relativamente indicativo).

p. 152 r. 14 obscura: t a l obscura e il regna della glossa ai vv. 453-57 il

opista di A ve ga e o ea e te la sezio e he i izia o l affirmando della glossa 409 fino al prima enim Luna della glossa , o de poi assa e l i te a parte. La confusione potrebbe essere stata ingenerata dal fatto che ell a tig afo tale sezio e si t ovava ella edesi a posizio e di u a pagi a contigua. Un errore simile si verifica alla glossa 548-52 (p. 160 r. 8), laddove il copista compie però un errore di anticipazione e di seguito alla lezione Circes verga rogavit que magicas, tratto in inganno dalla sezione che segue il Circes di qualche riga sotto, onde poi cancellarlo.

p. 165 r. 19 Lune: tale termine, benché non ponga problemi di carattere

filologico – in quanto attestato dalla famiglia a, P, J e L contro Pr che riporta

Luce e H che riporta Luca – è interessante per la tradizione stessa di Phars. I 586

e la questione del lemma tràdito dai mss. ora come LUCAE ora come LUNAE in ife i e to alla ittà atale dell a uspi e A o te. Pe la uestio e f . M.

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MANFREDINI, Aronte di Luni o di Lucca?, in «Biblioteca civica di Massa. Annuario

1972», pp. 169-75.

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