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L’apparato critico

1.1 I criteri editoriali 1 I criteri grafic

1.1.3 L’apparato critico

Pe ua to igua da l’allesti e to dell’appa ato iti o, si s elto di organizzarlo in quattro fasce: la prima relativa alle fonti, le altre che rendono conto di errori e varianti della tradizione (la seconda dedicata al ms. oggetto dell’edizio e, la te za a V che appartiene alla medesima famiglia a, la quarta alla famiglia b). Nella fascia delle fonti sono indicati i passi in cui è presente una itazio e di ui Go o o dà al u a i di azio e espli ita igua do l’auto e o l’ope a i tal aso la itazio e viene indicata tra caporali e la fonte viene inserita direttamente a testo tra parentesi tonde; ad es. Iuxta illud Terentianum dictum: «omnia sapientem decet prius experiri quam arma» (Ter., Eun. 789). Il luogo è definito in apparato dalla prima e ultima parola di cui è composto,

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preceduto dal numero dei versi che occupa in grassetto, racchiuso da una pa e tesi uad a e seguito dall’i di azio e della elativa fo te, i di ata da o e dell’auto e e ope a a eviati se o do l’uso del Thesaurus Linguae

Latinae e dal passo in questione. Nel caso in cui le fonti siano le tre opere di

consultazione (Uguccione, Isidoro e Papia), i cui testi spesso sono estremamente similari gli uni agli altri, non è sempre possibile definire con certezza da quale di esse il maestro abbia attinto; in questi casi, in cui scegliere u a fo te a s apito di u ’alt a sa e e a it a io, si i di a o le dive se fo ti possibili, indicando per prima quella più pregnante e poi via via le successive. Non si opera distinzione tra passi riportati ad litteram e citazioni che vengono modificate e rielaborate dal maestro. Non si indicano in apparato, ma si rimandano al capitolo di introduzione relativo alle fonti, quelle indicazioni di passi che, senza costituire una citazione precisa, presentano con il testo di Goro u a e ta affi ità e pot e e o ave app ese tato u ’e o o u pu to di pa te za pe la sua o pilazio e ad es. l’affe azio e «i ullo e i defi e e potius est divinum quam humanum» che ha tutto il sapore di una sententia o un proverbio popolare e in alcuni codici è persino sottolineato, come di norma per le citazioni, non trova riscontro in una fonte ben precisa, ma molto ricorda la frase proverbiale «errare humanum est, perseverare autem diabolicum», che è stata appunto indicata in apparato come possibile base di partenza per la genesi del passo).

Le alt e fas e dell’appa ato iti o i ve e egist a o gli e o i del s. e le varianti o gli errori degli altri codici. Nello specifico, la seconda fascia è dedicata agli errori del ms.; la terza a errori e varianti di V, codice di riferimento per la correzione di A, poiché appartenente alla medesima famiglia; la quarta è invece dedicata alla famiglia b, e in particolare è preposta a illustrare le divergenze più significative rispetto alla famiglia a (le microvarianti sono raccolte in apposita appendice), onde fornire al lettore un quadro immediato della diversa fisionomia delle due tradizioni, nonché quelle varianti a cui si è fatto riferimento per la ricostruzione del testo in caso di lacuna o errore presente sia in A che in V: i tali asi i fatti, e h l’edizio e igua di u testo della fa iglia a e sia evidente che le due famiglie riportano due distinte versioni del testo, è parso più idoneo ricorrere a lezioni (quelle di b) ben attestate dalla tradizione di codici che appartengono sì ad un altro ramo, ma che comunque riportano una forma testuale che in molte sezioni è pienamente coincidente con quella di a, piuttosto che congetturare ope ingenii sulla base del solo intuito, senza tener conto della lettera tràdita. Nelle fasce dedicate ad A e V si è trascurato di segnalare quei lapsus calami che con ogni evidenza sono sfuggiti alla penna del

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copista per essere poi immediatamente corretti dallo stesso, i quali dunque non possono aver lasciato tracce nella tradizione, e che per la loro propria banalità potrebbero essersi generati altrove per via poligenetica, oltre a tutta quella congerie di variazioni nei marcatori propri del genere esegetico e ad alto tasso di variabilità quali sciendum est quod (variamente diffratto in sciendum,

sciendum quod, sciendum est), scilicet, id est ecc., nonché gli indicatori che nella

suddivisione dei paragrafi segnalano il lemma con cui inizia una data sezione (ad es. secunda ibi può diffrarsi in ibi secunda, secundo, secundo ibi, ibi

secundo), ovvero quelle parti del testo che spesso si interscambiano, ma le cui

variazioni non hanno alcun rilievo stilistico, essendo queste mere formule di aggancio tra lemma e glossa, né significato ai fini della costruzione dello stemma, essendo imputabili più che altro alla penna del copista, facilmente tratto in inganno dalle abbreviature o poco interessato alla fedeltà della lettera. Pe ua to o e e l’allesti e to di tali fas e d’appa ato, si s elta la fo a negativa per quelle relative ad A e a V; trattandosi infatti di fasce dedicate a singoli testimoni è facilmente intuibile che le lezioni dei codici non indicati coincidono con quelle riportate a testo. La fascia dedicata a b invece è a sé stante, in quanto riporta solo ed esclusivamente quelle lezioni che sono di un qualche interesse per le ragioni sopra illustrate. Si è stabilito inoltre di indicare il lemma o la porzione interessata come indicato per la fascia delle fonti (nel aso i te essi più di t e pa ole, ve go o i di ate solo la p i a e l’ultima intervallate da puntini di sospensione), a cui seguono le varianti e la sigla del manoscritto di appartenenza in neretto. Come si è detto, la seconda fascia spetta ad A, la terza a V, la quarta a b in cui i codici compaiono nel seguente ordine: P (il più a ti o dell’alt o g uppo , P st etta e te o esso a P , J ed L (che appartengono al medesimo sottogruppo g), e infine H, rispettato se non nei casi in cui convenga per maggior chiarezza anteporre un codice agli altri. Nel caso in cui si tratti di errore di A o V, al lemma corretto e riportato a testo fa seguito la lezione erronea e la sigla del codice, indicato con ms. laddove esso è utilizzato o e ase pe il testo ovve o V pe l’accessus e le glosse ai primi undici versi, di cui A è lacunoso, e lo stesso A pe il esto dell’edizio e ; el aso di correzione del copista, si indica la prima versione di segmento testuale seguita dalla sigla del manoscritto e quindi la versione che la sostituisce seguita dalla sigla del manoscritto con apice 1 (il quale indica che la correzione è stata app o tata dalla edesi a a o ; pe ua to igua da l’o issio e, i di ata dalla sigla om. a cui segue la sigla del codice tranne nel caso del ms. utilizzato a testo, pe ui suffi ie te l’uso delle pa e tesi u i ate senza ulteriori rimandi in apparato. Si è fatto inoltre uso delle sigle del. per delevit e iter. per iteravit.

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