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STUDIO CLINICO

DISCUSSIONE E CONCLUSION

Pur nella relativa esiguità del campione questi dati documentano come a tutt’oggi il protocollo ECS, nonostante la validazione scientifica, non sia ancora di attuazione routinaria presso il DEU dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. D’altra parte questi dati confermano come l’applicazione del protocollo ECS sia in grado di influenzare la prognosi ed anche il rischio emorragico inteso come necessità di politrasfusione nelle prime 48h. Difatti abbiamo ottenuto dati con significatività statistica sia per quanto riguarda la mortalità a 24 ore che il consumo di GRC a 48 ore. Quest’ultimo è interpretabile come un indice indiretto di mancato controllo emorragico e sviluppo conseguente di una coagulopatia da trauma. I 3 pazienti deceduti nelle prime 24 ore

esprimono bene la necessità di riconoscere precocemente il quadro emorragico, in quanto il ritardo nell’attivazione sia di una corretta terapia trasfusionale che di una chirurgia

tempestiva possono essere errori non più recuperabili.

Dal confronto dei gruppi A e B, in particolare dai punteggi SAPS2 e SOFA e dalle lesioni in sede cranica e vascolare si evince come i pazienti del gruppo A siano più gravi del gruppo B: questo potrebbe spiegare indipendentemente dalla mancata applicazione del protocollo ECS e dalla mancata esecuzione di una terapia trasfusionale TEG-guidata, l’outcome peggiore: in realtà sia il punteggio SAPS2 che il SOFA potrebbero aver artificialmente classificato i malati del gruppo A come più gravi per il fatto che vengono calcolati, per ciascuno dei parametri che li compongono, utilizzando il valore peggiore delle prime 24 ore e non il valore al momento dell’ingresso in P.S.: è quindi evidente che, in ipotesi, un paziente del gruppo A giunto in PS nelle stesse condizioni di gravità di un paziente del gruppo B, se poi non trattato secondo il protocollo ECS potrebbe essere peggiorato nelle successive ore, determinando un punteggio di gravità molto alto, mentre se fosse stato immediatamente trattato secondo il protocollo ECS e con terapia

trasfusionale TEG guidata avrebbe potuto non avere il peggioramento che poi in realtà si è manifestato.

Uno studio americano ha valutato la “compliance” nella corretta attivazione di protocolli trasfusionali nei pazienti traumatizzati dimostrando come la “compliance totale” è un indice indipendente di sopravvivenza (86,7% vs. 45,0% p< 0,001)1.

I dati ottenuti concordano, almeno parzialmente, con i dati ottenuti dallo studio di Nardi et

al.2 che avevano messo a confronto il protocollo ECS con la terapia standard eseguita

non abbiamo trovato una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la mortalità a 60 giorni né una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda il consumo a 48 ore di emoderivati, ad eccezione del consumo di GRC, nel confronto tra gruppo A e gruppo B. Tuttavia riteniamo che questo possa essere imputato all’esiguità del campione oggetto dello studio.

L’attivazione del protocollo ECS pertanto potrebbe essere in grado di migliorare la prognosi del paziente e di ridurre il sanguinamento e l’incidenza della coagulopatia da trauma. Questi risultati dimostrano però come ci sia ancora una difficoltà nella corretta attivazione del protocollo a Pisa. Pertanto questo rappresenta un dato interessante per migliorare il nostro approccio al paziente politraumatizzato, cercando di prestare maggiore attenzione ai dati clinici ma soprattutto ai dati laboratoristici. Infatti abbiamo notato che è presente una maggiore attenzione al dato clinico (PA sistolica ≤100 mmHg) e ai livelli di emoglobina (Hb) rispetto ai dati della valutazione emogas-analitica. Il personale medico attiva il protocollo ECS più difficilmente nel caso di un paziente non ipoteso e con livelli normali di Hb, anche in presenza di alterazioni marcate dei parametri dell’emogas-analisi (Lattati, BE, pH). Questo aspetto è cruciale in quanto molti studi concordano nello stabilire che i livelli di lattati siano marker più attendibili di shock emorragico rispetto ai livelli di Hb ed ematocrito (HCT), almeno in acuto3, in quanto con il sanguinamento viene perso sangue “intero” ed i meccanismi di shift di fluidi dallo spazio interstiziale richiedono tempo e possono falsificare i livelli di Hb e HCT, facendoli apparire nella norma o

comunque vicini ai valori minimi di normalità. Questa considerazione potrebbe essere utile per cercare di sensibilizzare maggiormente l’attenzione del clinico sui dati dell’emogas- analisi nel riconoscimento di un paziente con shock emorragico in modo da attivare tempestivamente il protocollo ECS.

Un altro dato che merita attenzione è quello legato all’assetto coagulativo a 48 ore dal trauma. Infatti abbiamo notato l’assenza di una differenza statisticamente significativa dei parametri coagulativi, sia di laboratorio sia valutati con TEG, nei 3 gruppi in esame. Questo potrebbe indicare come, superata la fase acuta, non vi sia una differenza, già a 48 ore, per quanto riguarda l’assetto coagulativo e questo elemento sembra essere confermato anche dall’assenza di una differenza nei 3 gruppi per quanto riguarda le complicanze tromboemboliche. Pertanto l’applicazione di un protocollo o comunque di una corretta terapia trasfusionale, sembra essere in grado di modificare la prognosi e l’aspetto coagulativo solo nelle prime 48 ore, andando poi a perdere beneficio.

Nella valutazione dell’approccio terapeutico dei 7 pazienti individuati (tabella n.2) abbiamo evidenziato come il TEG permetta di cogliere alcuni aspetti dell’assetto

coagulativo che rimangono nascosti agli esami di laboratorio standard. Tra questi troviamo alterazioni di fibrinogeno, fibrinolisi e piastrine. Ciò permette di modificare la terapia trasfusionale ed antifibrinolitica rendendola più mirata.

L’aspetto delle piastrine è probabilmente uno dei più interessanti. Gli esami di laboratorio infatti permettono di valutare soltanto l’aspetto quantitativo, ma non sono in grado di valutare l’aspetto qualitativo ovvero la loro funzionalità.

All’interno del nostro gruppo di malati (che non hanno seguito terapia TEG-guidata) abbiamo evidenziato 3 pazienti (N.3; N.5 e N.7 della tabella n.2) che avrebbero necessitato di una trasfusione piastrinica secondo i parametri del TEG ma che non è stata eseguita. Nel caso invece dei pazienti N.4 e N.6 la trasfusione piastrinica è stata eseguita in modo indipendente dalla valutazione TEG in quanto i due pazienti hanno subito un numero di trasfusioni di GRC (17 nel paziente N.4 e 6 nel paziente N.6) tale da richiedere un supporto empirico con altri emoderivati (Piastrine e PFC) in modo tale da ottenere un rapporto PFC:piastrine:GRC di almeno 1:1:2 cosi come indicato dalle linee guida europee3.

Nei 3 pazienti (N.3; N.5 e N.7), che non hanno eseguito trasfusione piastrinica, abbiamo riscontrato una sostanziale differenza tra i risultati del TEG e la conta piastrinica. Difatti i 3 pazienti non presentavano valori di conta piastrinica compatibili con la necessità di una trasfusione piastrinica (paziente N.3: 59.000/mm3; paziente N.5: 120.000/mm3; paziente N.6: 52.000/mm3), tuttavia la valutazione con il TEG indicava una riduzione della azione piastrinica nella struttura del coagulo. Questo dimostra la presenza di un quadro di disfunzione piastrinica, dimostrando come il TEG possa essere uno strumento superiore alla sola valutazione laboratoristica permettendoci di cogliere aspetti funzionali che non possono essere altrimenti valutati. Questa considerazione conferma l’idea di Kutcher et

al.4 che hanno evidenziato come la disfunzione piastrinica permanga per un periodo di circa 120 ore andando ad ipotizzare che la massiva risposta piastrinica al danno tissutale possa essere seguita da una fase “refrattaria”. Questo condurrebbe quindi alla permanenza in circolo di una quota di piastrine che sono tuttavia scarsamente funzionanti.

TEG con Kaolino del paziente n.5

Es. paziente n.5: riduzione dell’MA nel TEG con Kaolino in associazione ad un MA nel TEG con Fibrinogeno Funzionale nei limiti della norma.

Inoltre, alla luce del ruolo chiave svolto dalle piastrine nel modello “Cell-Based” della coagulazione, la disfunzione piastrinica è in grado di intaccare non solo una parte del processo emostatico, ma anche di danneggiare la generazione di trombina e quindi il processo di formazione del coagulo fibrinico stabile. Questo concorda anche con modelli sperimentali di shock emorragico su animali da laboratorio che dimostrano una cinetica “2- steps” nella TIC: una prima fase di disfunzione piastrinica seguita da una fase di

alterazione del sistema fibrinogeno/fibrina5. Pertanto siamo andati a valutare i 5 pazienti con un quadro TEG alterato, compatibile con disfunzione piastrinica, alla ricerca di possibili alterazioni nella genesi del trombo legate alla struttura fibrinica. Abbiamo riscontrato che 3 dei 5 pazienti (N.4; N.6; N.7) avrebbero richiesto una somministrazione di fibrinogeno oltre che di piastrine. Questo potrebbe indicare una relazione tra la

disfunzione piastrinica e l’attivazione trombinica e di conseguenza la formazione di una struttura stabile di fibrina. Resta però impossibile ad oggi presuppore questo collegamento diretto attraverso il TEG, in quanto sappiamo che nella patogenesi della TIC l’

iperfibrinolisi e la disfunzione del sistema fibrinogeno/fibrina giocano un ruolo centrale, indipendentemente dalla ipofunzionalità piastrinica.

Anche l’acido tranexamico acquista un ruolo chiave nella gestione della terapia TEG- guidata.Ad esempio il paziente N.1 (tabella n.2) presenta un TEG, eseguito a 24 ore dal trauma, che indica la richiesta di Acido Tranexamico. Infatti presenta una alterazione della LY30 al TEG. L’aspetto della fibrinolisi è estremamente interessante in quanto, al pari della disfunzione piastrinica, non è direttamente valutabile con i test di laboratorio

standard. Inoltre le alterazioni della fibrinolisi sono uno degli elementi più importanti della coagulopatia da trauma ed anche uno degli elementi che influisce maggiormente sulla mortalità6. Proprio nell’ottica di questo ruolo centrale delle alterazioni dell’assetto

fibrinolitico alcuni autori suggeriscono di somministrare l’antifibrinolitico solo in presenza di una LY30 superiore al 3-5%7 andando quindi a fare una terapia con Acido Tranexemico soltanto TEG-guidata. Pertanto la prospettiva futura potrebbe essere quella di

somministrare 1 g di acido tranexamico in bolo all’arrivo del paziente in Pronto Soccorso e poi decidere come e se proseguire la terapia antifibrinolitica sulla base della LY30 al TEG.

TEG con Kaolino più eparinasi del paziente n.1 con valori elevati di LY30

Abbiamo poi individuato 3 pazienti (N.4; N.6; N.7 della tabella n.2) che in base alla valutazione dell’MA e dell’MA con Fibrinogeno Funzionale al TEG avrebbero richiesto la somministrazione di fibrinogeno. I pazienti N.6 e N.7 presentavano rispettivamente 77 mg/dl e 108 mg/dl di fibrinogeno agli esami di laboratorio, mentre non abbiamo ottenuto i dati del paziente N.4 a causa di alterazioni del campione. Quindi la riduzione dell’MA e dell’MA con Fibrinogeno Funzionale è rimasta concordante con una riduzione quantitativa dei livelli circolanti di fibrinogeno, al contrario di quello che abbiamo notato con le

piastrine, in cui la richiesta di trasfusione piastrinica al TEG non era avvalorata dalla riduzione severa della conta piastrinica all’esame emocromocitometrico.

TEG con Kaolino del paziente n.4

Es.paziente n.4: riduzione dell’MA nel TEG con Kaolino associata ad una riduzione dell’MA nel TEG con Fibrinogeno Funzionale

A confronto con i tracciati TEG anormali, un tracciato TEG nei limiti di normalità di un paziente del gruppo B a 48 ore dal trauma.

TEG con Kaolino di un paziente del Gruppo B a 48 ore da ingresso in PS

In conclusione possiamo dire che:

- a tutt’oggi il protocollo ECS e la terapia trasfusionale TEG-guidata non sono parte routinaria del trattamento del politraumatizzato emorragico nella AOUP

- i pazienti trattati secondo il protocollo ECS e con terapia TEG-guidata hanno avuto un buon outcome a 24 ore, fase critica per la mortalità da shock emorragico

- l’utilizzo del protocollo ECS e una terapia TEG-guidata, nei pazienti non trattati secondo questa metodologia, avrebbe determinato un risparmio nelle trasfusioni di emocomponenti e una razionalizzazione nel loro utilizzo.

BIBLIOGRAFIA

1. Cotton BA, Dossett LA, Au BK, Nunez TC, Robertson AM, Young PP. Room for (performance) improvement: provider-related factors associated with poor outcomes in massive transfusion. The Journal of trauma. 2009; 67(5): 1004-12.

2. Nardi G, Agostini V, Rondinelli B, Russo E, Bastianini B, Bini G, et al. Trauma- induced coagulopathy: impact of the early coagulation support protocol on blood product consumption, mortality and costs. Critical care (London, England). 2015; 19: 83.

3. Rossaint R, Bouillon B, Cerny V, Coats TJ, Duranteau J, Fernandez-Mondejar E, et al. The European guideline on management of major bleeding and coagulopathy following trauma: fourth edition. Critical care (London, England). 2016; 20: 100.

4. Kutcher ME, Redick BJ, McCreery RC, Crane IM, Greenberg MD, Cachola LM, et al. Characterization of platelet dysfunction after trauma. The journal of trauma and acute care surgery. 2012; 73(1): 13-9.

5. Letson HL, Dobson GP. Differential contributions of platelets and fibrinogen to early coagulopathy in a rat model of hemorrhagic shock. Thrombosis research. 2016; 141: 58-65.

6. Schochl H, Voelckel W, Maegele M, Solomon C. Trauma-associated hyperfibrinolysis. Hamostaseologie. 2012; 32(1): 22-7.

7. Gonzalez E, Moore EE, Moore HB. Management of Trauma-Induced Coagulopathy with Thrombelastography. Critical care clinics. 2017; 33(1): 119-34.

RINGRAZIAMENTI

Alla fine di un percorso così lungo e pieno di ostacoli i ringraziamenti non possono che essere molti.

Mi sento in dovere di ringraziare per primi i miei nonni. Mi hanno “insegnato” a non arrendermi, ad essere curioso, ed anche a sbagliare, cose che sui libri non si imparano. Una parte di questo traguardo è loro. “E' di tuo nonno l'amore che hai in te, è di tuo nonno la forza di soffrire. Rendi a tuo nonno quello che è di tuo nonno” scrisse Rino Gaetano. Io oggi voglio rendere a loro quello che è loro.

Devo poi ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre sostenuto, incoraggiato e spronato. A mia madre devo un ringraziamento ulteriore per avere dedicato a me ogni attenzione.

Un ringraziamento speciale va poi a Martina, che mi è sempre stata vicina in questi anni. Grazie a lei ho vissuto felicemente la vita da universitario, grazie a lei ho sempre avuto modo di confrontarmi e di essere ascoltato quando ne avevo bisogno.

Non per ultimi devo ringraziare i miei amici. Mi hanno riportato nel mondo della

spensieratezza quando ne avevo bisogno e mi hanno permesso di staccare la spina da ogni problema.

Devo poi dire “grazie” al Dott. Paolo Malacarne e alla Dott.ssa Silvia Pini che mi hanno aiutato in questa tesi, seguendomi passo dopo passo. A loro, così come a tutti i medici e a tutti gli infermieri della Anestesia e Rianimazione del PS, devo tanto, per tutto ciò che mi hanno permesso di vedere, di capire e di fare.

A mia sorella e a mio fratello vorrei poi fare un augurio. Voglio sperare che possano crescere e trovare persone speciali, come quelle che ho qui ringraziato, in modo che possano avere tutte le carte necessarie per raggiungere i loro obiettivi.

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