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Utilizzo del tromboelastogramma nella valutazione della pratica trasfusionale del politrauma a Pisa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE

NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in

Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

UTILIZZO DEL TROMBOELASTOGRAMMA NELLA

VALUTAZIONE DELLA PRATICA TRASFUSIONALE DEL

POLITRAUMA A PISA

Candidato: Relatore:

Alberto Marabotti Dott. Paolo Malacarne

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INDICE

1) INTRODUZIONE pagina 2 2) COAGULAZIONE pagina 5 - Modello “Cell Based” della Coagulazione pagina 6

- Regolazione della coagulazione pagina 10 - Fibrinolisi pagina pagina 11

3) COAGULOPATIA DA TRAUMA pagina 14 - Storia della Coagulopatia da Trauma pagina 14 - Patogenesi della Coagulopatia da Trauma pagina 15 • Proteina C attivata pagina 16 • Fibrinolisi pagina 17 • Alterazioni dell’endotelio pagina 19 • Microparticelle pagina 21 • Trombocitopenia relativa pagina 21 • Disfunzione piastrinica pagina 21 - Iatrogenic Coagulopathy pagina 24

4) LA TERAPIA STANDARD DELLA COAGULOPATIA DA TRAUMA pagina 28 - Diagnosi e Monitoraggio del sanguinamento pagina 28 - Damage Control Resuscitation pagina 29 - Supporto Coagulativo Empirico pagina 31 - Damage Control Surgery pagina 33 - Supporto Coagulativo “Goal Directed” pagina 33 - Protocollo Early Coagulation Support pagina 35

5) IL TROMBOELASTOGRAMMA pagina 39 6) TERAPIA TEG GUIDATA DELLA COAGULOPATIA DA TRAUMA pagina 44

- Il nostro approccio TEG-guidato per la gestione

della terapia trasfusionale pagina 45

7) STUDIO CLINICO pagina 48 - Pazienti e Metodi pagina 48 - Analisi Statistica pagina 50 - Risultati pagina 51

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INTRODUZIONE

Il trauma grave (con un punteggio Injury Severity Score > 15) rappresenta una causa frequente di morte per la quale si stimano 5,8 milioni di decessi ogni anno1. Secondo i dati della Injury Chart Book della WHO il trauma è al 3° posto come causa di morte dopo malattie cardiovascolari e tumori, rappresentando l’8,3% di tutti i decessi in Europa. Il trauma è inoltre la prima causa di morte nei soggetti di età inferiore ai 40 anni di età rappresentando una condizione ad alto impatto sociale per le sequele, soprattutto quelle neurologiche.

I decessi legati al trauma sembrano avere una chiara distribuzione temporale: un primo picco di mortalità (50%) al momento dell’incidente dovuto a lesione irreversibile di un organo vitale, un secondo picco (30%) entro le 4 ore dal trauma dovuto prevalentemente a shock emorragico o ritardo nei soccorsi e infine la restante quota di decessi sono distribuiti oltre la 4° ora. Tuttavia questo modello “trimodale” è estremamente semplificato visto che la distribuzione temporale risulta strettamente dipendente dal tipo di trauma (penetrante o chiuso) e dalla localizzazione delle lesioni2.

Rimane però evidente come, al di là dell’andamento temporale della mortalità, la maggior parte degli studi concordi nello stabilire che una percentuale elevata dei decessi sia

attribuibile a cause potenzialmente evitabili . Tra queste cause potenzialmente trattabili troviamo al primo posto la Coagulopatia da Trauma (TIC)3. Questo rende quindi la terapia della TIC una delle sfide più stimolanti nella gestione dei pazienti traumatizzati. Proprio in quest’ottica si inserisce l’idea di impostare una terapia guidata da strumenti “Point of Care” che permettano una valutazione in tempo reale dell’assetto coagulativo. Tra questi troviamo il Tromboelastogramma (TEG)4.

La terapia TEG-guidata permette di fare un monitoraggio rapido della coagulazione e garantisce un approccio realmente “goal-directed”. Questo porta con sé due notevoli vantaggi. In primo luogo permette di scegliere nel modo più opportuno e rapido la terapia trasfusionale da attuare, permettendoci anche di vedere alterazioni non valutabili con i normali test di laboratorio (ad esempio disfunzione piastrinica e fibrinolisi). In secondo luogo permette di limitare al minimo l’utilizzo di emoderivati, evitando quindi gli effetti

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avversi da eccesso di trasfusioni (ad esempio una Transfusion Related Acute Lung Injury) o effetti avversi legati a trasfusioni improprie3.

Uno studio clinico randomizzato ha dimostrato che l’uso del TEG per guidare un protocollo di trasfusioni massive in pazienti traumatici, comparato con un protocollo di trasfusioni massive guidato dai test di laboratorio standard (INR, aPTT, conta piastrinica, livelli di fibrinogeno) si associa ad una significativa riduzione della mortalità (19% nel gruppo TEG contro il 36% del gruppo standard)5.

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BIBLIOGRAFIA

1. Rossaint R, Bouillon B, Cerny V, Coats TJ, Duranteau J, Fernandez-Mondejar E, et al. The European guideline on management of major bleeding and coagulopathy following trauma: fourth edition. Critical care (London, England). 2016; 20: 100. 2. Demetriades D, Kimbrell B, Salim A, Velmahos G, Rhee P, Preston C, et al. Trauma deaths in a mature urban trauma system: is "trimodal" distribution a valid concept? Journal of the American College of Surgeons. 2005; 201(3): 343-8.

3. Cohen MJ, Christie SA. Coagulopathy of Trauma. Critical care clinics. 2017;

33(1): 101-18.

4. Walsh M, Fritz S, Hake D, Son M, Greve S, Jbara M, et al. Targeted

Thromboelastographic (TEG) Blood Component and Pharmacologic Hemostatic Therapy in Traumatic and Acquired Coagulopathy. Current drug targets. 2016; 17(8): 954-70.

5. Gonzalez E, Moore EE, Moore HB, Chapman MP, Chin TL, Ghasabyan A, et al. Goal-directed Hemostatic Resuscitation of Trauma-induced Coagulopathy: A

Pragmatic Randomized Clinical Trial Comparing a Viscoelastic Assay to Conventional Coagulation Assays. Annals of surgery. 2016; 263(6): 1051-9.

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COAGULAZIONE

Figura 1: modello a cascata della coagulazione. Adapted from: Ferguson et al. Eur Heart J 1998; Suppl 19:8

Il primo modello della coagulazione venne proposto negli anni ’601. Si tratta di un modello a “cascata” composto da una serie di reazioni proteolitiche organizzate in serie, nelle quali l’attivazione di un fattore induce l’attivazione del fattore (F) successivo (figura 1). La tappa finale di questa cascata coagulativa è la formazione di un grande quantitativo di trombina in grado di formare un coagulo di fibrina. La cascata coagulativa ha una forma ad

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“estrinseca” che convergono nella via comune con la formazione del complesso

“protrombinasico” FXa/FVa. La via intrinseca inizia con il fattore XII, la via estrinseca con il complesso FVIIa/Fattore Tissutale (TF). Quest’ultima è chiamata estrinseca in quanto il TF non è, al contrario degli altri fattori, presente nel sangue, ma è espresso dalle cellule esterne ai vasi sanguigni. Il processo coagulativo richiede inoltre Calcio e

Fosfolipidi, elementi fondamentali per garantire l’attività dei fattori della coagulazione. Tuttavia questo modello “protein-centered” ha iniziato a presentare alcune lacune. E’ evidente che si presenta come un modello ridondante, in cui due vie indipendenti portano alla formazione dello stesso prodotto intermedio, cioè il FXa.

Questa perplessità deriva anche dalla clinica: pazienti con deficit del fattore VIII o del fattore IX (emofilia A o B) sono soggetti con un’importante tendenza emorragica

nonostante una funzionalità perfettamente conservata della via “estrinseca”. Al contrario il deficit del FXII non è associato a significative emorragie2. Queste evidenze confermano come le due vie non siano in realtà funzionalmente uguali, aprendo la strada ad una nuova visione del processo coagulativo.

Proprio dalla ricerca di un nuovo modello della coagulazione è nato il “Cell-Mediated Hemostasis” cioè una visione dell’assetto coagulativo nella quale si dà un ruolo centrale alle cellule, principalmente endotelio e piastrine.

Il ruolo chiave delle cellule sarebbe soprattutto legato alla regolazione della bilancia emostatica.

Il nuovo modello “Cell-Mediated Hemostasis” (figura 2) prevede tre diverse fasi:

1) “Initiation Phase”: inizio della coagulazione su cellule esprimenti il Fattore

Tissutale (TF-bearing cells)

Il processo inizia con l’esposizione di cellule che esprimono il TF sulla propria superficie. Il fattore tissutale è un cofattore che lega e potenzia l’attività della proteasi FVIIa. Il fattore tissutale è normalmente espresso solo dalle cellule che circondano dall’esterno i vasi. Pertanto il TF non è normalmente esposto dalle cellule endoteliali e le cellule circolanti nel sangue.

Una volta legato al TF il FVII si attiva rapidamente sia per auto-attivazione sia grazie a basse concentrazioni circolanti di FX e FIX.

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Il complesso FVIIa/TF porta alla formazione di FXa che interagendo con il

cofattore FVa genera il complesso protrombinasico in grado di generare una prima piccola quota di trombina. Il fattore Va deriva in gran parte dalla liberazione dai granuli delle piastrine che vanno ad aderire al sito in cui si è generata una lesione endoteliale. Questo FVa ha caratteristiche diverse dalla forma “normale”. Difatti viene processato dalle piastrine e reso già attivo e resistente all’inattivazione da parte della proteina C3.

Quindi dalla collaborazione tra le cellule esprimenti il TF e le piastrine “first responder”, che per prime si attivano nel sito di lesione endoteliale, si genera quella piccola quota di trombina che sarà fondamentale per la Fase di Amplificazione. I Fattori Xa e IXa hanno però capacità diverse di attivare i processi coagulativi. Infatti il FXa ha un’azione limitata a livello delle cellule esprimenti il TF in quanto viene rapidamente inattivato dal TFPI (Tissue Factor Pathway Inhibitor) e dalla Antitrombina. Al contrario il FIX non viene inibito dal TFPI ed è inibito solo molto lentamente dalla Antitrombina. Per questo motivo il FIXa può raggiungere la superficie di piastrine attivate e legarsi a specifici recettori partecipando alla formazione della trombina nella “Propagation Phase”.

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1Figura 2: tratta da Hoffman M. Cell-Mediated Hemostasis. In: Gonzalez E, Moore HB, Moore EE,

editors.

“Trauma Induced Coagulopathy

2) “Amplification Phase”

Le piastrine si legano al sito di lesione grazie al legame con il collagene della matrice extracellulare. Le piastrine legate si attivano e rilasciano ADP favorendo l’attivazione di altre piastrine.

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La Trombina (FIIa) è un potente attivatore piastrinico legandosi al GpIb e al recettore PAR-14. Queste piastrine vengono quindi definite COAT ( COllagen And Trombin stimulated). Le piastrine attivate forniscono la superficie per l’attivazione dei Fattori V, VIII e XI da parte della Trombina andando così ad amplificare la Fase iniziale. Il GpIb serve non solo come recettore per la Trombina, ma anche come struttura che lega il FXI e il complesso FVIII-Fattore di Von Willebrand, facilitandone l’attivazione da parte della Trombina.

Pertanto la piccola quota di Trombina generatasi nella “Initiation Phase” non è sufficiente per generare un’efficace emostasi, tuttavia è in grado di innescare un’importante amplificazione della fase coagulativa grazie all’attivazione

piastrinica e alla conseguente massiva attivazione dei fattori della coagulazione.

3) “Propagation Phase”

Le piastrine attivate legano i fattori Va e VIIIa sulla propria superficie5. In questo modo il FIXa prodotto nella fase inziale si lega al FVIIIa esposto sulle piastrine generando il compelsso FIXa/FVIIIa che attiva il Fattore X. A sua volta il FXa si lega al FVa epresso dalle piastrine generando così il complesso protrombinasico in grado di determinare un’importante generazione di Trombina (FIIa) necessaria per stabilizzare definitivamente il coagulo. Questa stabilizzazione è resa possibile per l’effetto del FIIa a diversi livelli:

- Attivazione del FXIII che determina formazione di crosslinks tra i monomeri di fibrina

- Attivazione del TAFI (Thrombin-Activable Fibrinolysis Inhibitor) che riduce l’attivazione della Plasmina nelle vicinanze del trombo

- Incorporazione dello stesso FIIa all’interno del trombo stesso in modo da poter riattivare la risposta coagulante in caso di distruzione del coagulo.

La trombina generata va a catalizzare la rottura dei legami Arginina-Glicina del fibrinogeno portando alla formazione della fibrina che a sua volta verrà stabilizzata dall’azione del FXIII in grado di formare dei crosslinks tra i suoi monomeri.

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la produzione di un primo quantitativo di Trombina, insufficiente a determinare l’emostasi, ma utile per la progressione della cascata coagulativa. La trombina così prodotta, infatti, attiva massivamente altre piastrine che catalizzano la produzione di grandi quantità di trombina (nelle fasi di amplificazione e di propagazione), sufficienti allo sviluppo ed alla stabilizzazione del coagulo.

REGOLAZIONE DELLA COAGULAZIONE

Limitare e localizzare il processo coagulativo è un elemento chiave per evitare che un processo fisiologico si trasformi in una condizione patologica. Nella regolazione della coagulazione giocano un ruolo centrale 4 elementi:

1) Recettori cellulari: esistono recettori specifici soprattutto sulle piastrine e sulle cellule endoteliali in grado di limitare l’attivazione della trombina alla superficie delle piastrine attivate.

2) Antitrombina III: rientra nella famiglia degli inibitori della serin proteasi. E’in

grado di inattivare non solo la trombina ma anche il FXa, il FIXa, il FXIa, il FXIIa ed il complesso TF-FVIIa. La sua azione inibitoria è potenziata dalla presenza di molecole “heparin-like”. Svolge un ruolo chiave nella regolazione coagulativa tant’è che la sua deficienza si associa ad un alto rischio trombotico, mentre la delezione omozigote del suo gene è sempre letale6.

3) TFPI (Tissue Factor Pathway Inhibitor): è un inibitore diretto del FXa ed il

complesso TFPI/FXa è in grado di inibire anche il complesso FVIIa/TF. Pertanto il sistema del TFPI agisce con un meccanismo a feedback negativo: il complesso FVIIa/TF attiva il FX, a sua volta il complesso TFPI/FXa inibisce il FVIIa/TF

4) Sistema Proteina C/Proteina S: la maggior parte delle cellule endoteliali esprime il

recettore per la Proteina C e la trombomodulina. La trombina che si allontana dal sito di lesione vascolare si lega alla trombomodulina. Parallelamente la proteina C plasmatica si lega al proprio recettore sulle cellule endoteliali venendo

successivamente attivata dal complesso Trombina/Trombomodulina. La Proteina C attivata, insieme alla Proteina S, è cosi in grado di clivare ed inattivare il FVa ed il FVIIIa.

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FIBRINOLISI

La fibrinolisi è il processo che provvede alla degradazione del coagulo. Anche per la fibrinolisi, processo sostanzialmente inverso a quello coagulativo, abbiamo un delicato sistema di controllo della sua attivazione.

Il principale protagonista della fibrinolisi è il plasminogeno che si attiva in plasmina, una serin proteasi “trypsin-like” in grado di degradare sia il fibrinogeno che la fibrina. Dalla degradazione del fibrinogeno e della fibrina derivano dei frammenti che prendono il nome di prodotti di degradazione della fibrina (FDP). Un particolare tipo di frammento è il D-dimero che consiste di 2 frammenti D associati che deriva dalla degradazione della fibrina quando però sono stati creati dei crosslinks da parte del FXIIIa.

Il plasminogeno per essere attivato necessita di attivatori che in condizioni basali sono in equilibrio con gli inibitori della sua attivazione. I principali attivatori del plasminogeno sono:

1) tPA (Attivatore tissutale del Plasminogeno): è prodotto principalmente dalle cellule endoteliali. Circola soprattutto in associazione al suo principale inibitore: il PAI-1 (Inibitore dell’Attivatore del Plasminogeno). I suoi livelli possono aumentare in risposta all’istamina, alla stimolazione β-adrenergica o alla bradichinina7. Il tPA è un debole attivatore del plasminogeno in assenza di fibrina che agisce come cofattore.

2) uPA (Attivatore urokinasico del Plasminogeno): è sintetizzato soprattutto da cellule fibroblastiche ma anche da monociti, macrofagi e cellule epiteliali. Non richiede la fibrina come cofattore

Anche la fibrinolisi richiede un sistema di controllo che provveda ad inibire la generazione di plasmina. I principali inibitori sono:

1) PAI-1: principale inibitore del tPA e del uPA. Fa parte della famiglia degli inibitori della serin proteasi. Viene sintetizzato da molti tipi cellulari diversi tra cui cellule endoteliali ed epatociti7.

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3) TAFI (Trombin-Activable Fibrinolysis Inhibitor):viene attivato principalmente dal

complesso Trombina/Trombomodulina creando quindi un ponte tra il sistema della coagulazione e quello della fibrinolisi.

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BIBLIOGRAFIA

1. Hoffman M. Cell-Mediated Hemostasis. In: Gonzalez E, Moore HB, Moore EE, editors. Trauma Induced Coagulopathy. Cham: Springer International Publishing; 2016. p. 3-14.

2. Schmaier AH. The elusive physiologic role of Factor XII. The Journal of clinical investigation. 2008; 118(9): 3006-9.

3. Gould WR, Silveira JR, Tracy PB. Unique in vivo modifications of coagulation factor V produce a physically and functionally distinct platelet-derived cofactor: characterization of purified platelet-derived factor V/Va. The Journal of biological chemistry. 2004; 279(4): 2383-93.

4. Dormann D, Clemetson KJ, Kehrel BE. The GPIb thrombin-binding site is essential for thrombin-induced platelet procoagulant activity. Blood. 2000; 96(7): 2469-78.

5. Monroe DM, Roberts HR, Hoffman M. Platelet procoagulant complex assembly in a tissue factor-initiated system. British journal of haematology. 1994; 88(2): 364-71. 6. Bock SC. Thrombin-Antithrombin System. In: Gonzalez E, Moore HB, Moore EE, editors. Trauma Induced Coagulopathy. Cham: Springer International Publishing; 2016. p. 15-29.

7. Mutch NJ, Booth NA. Plasmin-Antiplasmin System. In: Gonzalez E, Moore HB, Moore EE, editors. Trauma Induced Coagulopathy. Cham: Springer International Publishing; 2016. p. 31-51.

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COAGULOPATIA DA TRAUMA

La coagulopatia da trauma o Trauma Induced Coagulopathy (TIC) è una complicanza che si sviluppa nel 25% circa dei pazienti in seguito a traumi1. E’ al secondo posto tra le cause di morte del paziente politraumatizzato, al primo posto vi troviamo le lesioni cerebrali. Inoltre è da ritenersi come la principale causa potenzialmente reversibile di morte visto che almeno ¼ dei decessi potrebbe essere evitato con una terapia adeguata.

Brohi et al in uno studio condotto su più di 1000 pazienti hanno dimostrato che nei

soggetti con TIC si ha un aumento della mortalità di circa 4 volte rispetto ai pazienti che non hanno sviluppato coagulopatia (46.0% vs. 10.9%, p < 0.001)2.

La TIC determina un aumento del numero di trasfusioni di emoderivati richieste durante la degenza, un incremento del rischio di sviluppare insufficienza multi organo rispetto ai pazienti con simili eventi traumatici, ma che non sviluppano coagulopatia3, 4.

Storia della Coagulopatia da Trauma

La comprensione della coagulopatia da trauma è drammaticamente cambiata a partire dagli inizi del 2000. Difatti la coagulopatia sviluppata in questi pazienti era considerata come un insieme di tre diversi fattori:

1)Perdita dei Fattori della Coagulazione: in parte per la perdita emorragica, in parte per il consumo.

2)Emodiluizione: dovuta alle trasfusioni di sangue e all’infusione di liquidi. 3)Disfunzione dei fattori: legata all’Acidosi ed alla Ipotermia.

Ipotermia, Acidosi e Coagulopatia costituiscono quell’entità che viene definita come “Triade letale del Trauma”

Nel 2003 due studi pubblicati, indipendentemente l’uno dall’altro, sul Journal of Trauma dimostrarono alterazioni del Tempo di Protrombina (PT) e del Tempo di Tromboplastina Parziale Attivata (aPTT) nei pazienti traumatizzati prima di un significativo reintegro volemico2, 5.

Pertanto si è reso concettualmente necessario dividere la coagulopatia legata al trauma in 2 diverse componenti che si sommano tra loro:

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1)TIC “vera”: legata all’attivazione di diverse vie patogenetiche

2)“Iatrogenic coagulopathy”: legata a acidosi, ipotermia ed emodiluizione

Patogenesi della Coagulopatia da Trauma

La TIC è una condizione di ipocoagulabilità endogena che si instaura in presenza di un danno tissutale associato ad uno stato di ipoperfusione. Quindi un paziente

politraumatizzato che giunge in Pronto Soccorso con segni clinici (PA sistolica <90mmHg) e laboratoristici di ipoperfusione (aumento dei Lattati e riduzione del pH in assenza di riferito arresto cardiocircolatorio) è da considerarsi coagulopatico.

L’ipoperfusione sistemica è in grado di determinare 2 effetti (figura 1):

1) Incremento dei livelli circolanti di Proteina C Attivata

2) Incremento delle concentrazioni plasmatiche di Catecolamine

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Proteina C Attivata

L’ipoperfusione ed il danno tissutale legati al trauma determinano un aumento dei livelli cicrolanti di Trombomodulina determinando formazione di complessi

Trombina/Trombomodulina che, oltre a ridurre la disponibilità di Trombina per la formazione del coagulo, stimolano l’attivazione della proteina C6 (figura 2).

Figura 2: ruolo della Proteina C attivata nella patogenesi della TIC

La Proteina C Attivata lega i fattori V e VIII attivati (2 cofattori non enzimatici della coagulazione) determinando un’importante riduzione della velocità di attivazione della cascata coagulativa.

La Proteina C Attivata riduce inoltre i livelli di PAI-1 (Inibitore-1 dell’attivatore del Plasminogeno) con effetto finale di potenziamento dell’attività fibrinolitica7.

Quindi livelli elevati di Proteina C Attivata riducono da un lato l’efficacia e la velocità nella formazione del trombo, dall’altro potenziano la sua degradazione.

Bassi livelli di Proteina C (dovuti ad alti livelli della sua forma attivata) ed alti livelli circolanti del complesso Trombomodulina/Trombina sono correlati ad una peggiore prognosi. Questi pazienti presentano tipicamente unallungamento del PT, aPTT ed una marcata iperfibrinolisi (livelli di PAI-1 marcatamente ridotti).

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- Fibrinolisi

Le alterazioni della fibrinolisi sono diretta conseguenza dell’aumento dei livelli di Proteina C Attivata che inibisce il PAI-1, potenziando così l’azione fibrinolitica. L’iperfibrinolisi severa si associa ad un incremento della mortalità8, 9.

Il fibrinogeno è una sostanza chiave nella formazione del trombo ed i suoi livelli ridotti correlano con un aumento della mortalità, tant’è che pazienti con TIC che ricevono una supplementazione di Fibrinogeno hanno prognosi migliore 10.

Quando avviene una emorragia il sistema coagulativo si autoregola con l’obiettivo di mantenere stabile il coagulo. Alte concentrazioni di Trombina possono attivare il TAFI ( Trombin-activated fibrinolysis inhibitor) ed il PAI-1 che inbiscono l’attivazione della Plasmina. Tuttavia il danno endoteliale favorisce l’unione tra la Trombina e la

glicoproteina transmembrana Trombomodulina stimolando l’attivazione della Proteina C che induce inattivazione del PAI-1.

L’iperfibrinolisi è ad oggi uno degli aspetti più studiati della TIC e sui quali si cerca di intervenire maggiormente dal punto di vista terapeutico.

Lo studio CRASH-2, condotto in doppio cieco su più di 20.000 adulti a rischio di sanguinamento significativo post trauma, ha dimostrato una riduzione di mortalità per tutte le cause nel gruppo di pazienti che ricevevano acido tranexamico rispetto ai pazienti nel gruppo Placebo11.

Tuttavia recentemente si è dimostrata la possibilità che esistano diversi pattern di risposta fibrinolitica nella TIC. Uno studio12 condotto su 180 pazienti valutati con TEG ha

dimostrato la presenza di 3 possibili “risposte” fibrinolitiche nella TIC:

- Iperfibrinolisi (18% dei pazienti) —> LY30 > 3% - Fibrinolisi fisiologica (18%) —> 0,8% < LY30 < 3% - “Shutdown” della fibrinolisi (64%) —> LY30 < 0,8%

*LY30 è la % di lisi del coagulo 30 minuti dopo il raggiungimento dell’MA (Maximal Aplitude), ovvero 30 minuti dopo il raggiungimento del punto di massima forza e ampiezza del coagulo.

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Lo studio ha inoltre mostrato un andamento ad “U” della mortalità con un Nadir nel gruppo con risposta fisiologica e percentuali di mortalità marcatamente più elevate nei gruppi con con iperfibrinolisi o “shutdown” fibrinolitico (figura 3).

Figura 3: Mortalità in rapporto al fenotipo fibrinolitico. Tratto da 12:

Moore HB, Moore EE, Gonzalez E, et al. Hyperfibrinolysis, physiologic fibrinolysis, and fibrinolysis shutdown: The spectrum of postinjury fibrinolysis and relevance to antifibrinolytic therapy. The journal of trauma and acute care surgery. 2014;77(6):811-817.

Inoltre si è dimostrata anche una diversificazione delle principali cause di morte nei diversi gruppi: il gruppo di pazienti che sviluppa Iperfibrinolisi è ad alto rischio di mortalità precoce per sanguinamento, il gruppo ipofibrinolitico presenta un rischio più elevato di mortalità tardiva per insufficienza multi organo (figura 4). Nello studio il 90% dei pazienti deceduti per insufficienza multi organo rientravano nel gruppo ipofibrinolitico.

Si tratta tuttavia di un piccolo studio che ancora non può trarre conclusioni sull’assetto fibrinolitico nella CDT e che non mina assolutamente i dati dello studio CRASH-2, ma pone luce sull’interessante variabilità di risposta nei soggetti in seguito a eventi traumatici. Inoltre lo studio ha presentato alcuni bias soprattutto legati alla tempistica di esecuzione del TEG potendo quindi creare delle incongruenze legate non solo al periodo intercorso tra il trauma e la valutazione, ma anche diversità legate al reintegro volemico che sarà

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maggiore all’aumentare del tempo intercorso tra il trauma e la valutazione tromboelastografica.

Figura 4: cause di morte in rapporto al fenotipo fibrinolitico12. tratto da: Moore HB, Moore EE, Gonzalez E, et al. Hyperfibrinolysis, physiologic fibrinolysis, and fibrinolysis shutdown: The spectrum of postinjury fibrinolysis and relevance to antifibrinolytic therapy. The journal of trauma and acute care surgery. 2014;77(6):811-817.

Legenda:

TBI: Trauma Cranico

Organ Failure: Insufficienza d’organo Hemorrahage: emorragia

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Alterazioni dell’Endotelio

Il glicocalice endoteliale rappresenta una ampia e importante struttura nel sistema emostatico contenendo un grosso quantitativo di sostanze heparin-like. La degradazione del glicocalice endoteliale può così indurre un processo di “autoeparinizzazione” endogena nei pazienti critici13. Gran parte della degradazione del glicocalice endoteliale sembra da attribuirsi all’eccessiva stimolazione catecolaminergica.

Difatti normalmente, in risposta ad un evento traumatico, si ha un’importante attivazione del Sistema Nervoso Simpatico che determina una ridistribuzione del circolo,

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mobilizzazione piastrinica ed attivazione dell’endotelio con rilascio di fattori pro coagulanti e pro fibrinolitici.

Tuttavia l’eccessiva risposta simpatica determina livelli particolarmente elevati di catecolamine circolanti che sono in grado di determinare danno endoteliale fino alla necrosi cellulare14.

I Syndecani sono una famiglia composta da 4 membri (Syndecan 1-4). Syndecan-1 (figura 5) è un proteoglicano eparin-solfato transmembranario con un dominio extracellulare ed uno citoplamatico.

I glicosaminoglicani ed i proteoglicani del glicocalice endoteliale hanno un ruolo

importante nel gestire l’adesione leucocitaria e piatrinica all’endotelio, regolano la risposta infiammatoria locale e gli eparin-solfati regolano il sistema cogulativo.

Il plasma proveniente da pazienti severamente traumatizzati presenta un aumento dei livelli circolanti di Syndecan-1. Alti livelli circolanti di Syndecan-1 sono risultati essere associati ad un incremento della Proteina C Attivata, ad un allungamento dell’aPTT e ad un

incremento dei livelli di adrenalina, suggerendo che l’ipoperfusione tissutale e la stimolazione catecolaminergica post trauma siano i responsabili della degradazione del glicocalice endoteliale15.

Figura 5: Syndecan-1, tratta da “Stepp MA, Pal-Ghosh S, Tadvalkar G, Pajoohesh-Ganji A. Syndecan-1 and Its Expanding List of Contacts. Advances in Wound Care. 2015;4(4):235-249 16

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Microparticelle

Le microparticelle sono vescicole di diametro compreso tra 5 e 100 micrometri rilasciate dalle membrane cellulari nel torrente circolatorio. Presentano caratteristiche specifiche a seconda della cellula di origine.

Uno studio ha dimostrato livelli elevati di microparticelle derivate da Endotelio,

Eritrociti e Leucociti nel plasma di pazienti traumatizzati rispetto ai controlli, mentre si sono evidenziati livelli ridotti di microparticelle derivate da piastrine17.

Il potenziale trombogenico delle Microparticelle è legato all’espressione della fosfaditilserina Annessina V18.

Curry et al. hanno dimostrato livelli significativamente più elevati di microparticelle

procoagulanti (Annessina V+) e di microparticelle derivate dagli eritrociti nel plasma di soggetti con TIC. Inoltre i 9 soggetti dello studio non sopravvissuti hanno presentato una riduzione delle microparticelle derivate dalle piastrine rispetto ai 41 sopravvissuti. Infine lo studio ha evidenziato la presenza di un numero totale di microparticelle procoagulanti quasi doppio nel plasma dei pazienti rispetto a quello dei volontari sani (401 vs 241 Microparticelle procoagulanti/ microlitro)

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Trombocitopenia relativa

E’ stato dimostrato che livelli relativamente ridotti nella conta piastrinica all’ingresso in ospedale sono associati ad un incremento di mortalità per tutte le cause e anche ad un incremento dell’uso di emocomponenti durante la degenza del paziente19.

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Disfunzione piastrinica

Diversi studi hanno dimostrato che pazienti severamente traumatizzati mostrano un’alterata funzionalità piastrinica in risposta alla stimolazione con ADP e acido arachidonico rispetto a volontari sani20.

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piastrinica all’arrivo. Lo studio ha evidenziato che nei pazienti traumatizzati la media di inibizione della funzionalità piastrinica in risposta all’ADP era dell’86.1% contro il 4.2% dei volontari sani (figura 6). Questa riduzione della funzionalità piastrinica è direttamente proporzionale alla gravità del trauma. Inoltre hanno evidenziato una correlazione tra la richiesta di emotrasfusioni nelle prime sei ore e il grado di disfunzione piastrinica.

Figura 6: Tracciati tromboelastografici: in alto risposta piastrinica normale, in basso disfunzione

piastrinica. Tratto da: Wohlauer MV, Moore EE, Thomas S, Sauaia A, Evans E, Harr J, et al. Early

platelet dysfunction: an unrecognized role in the acute coagulopathy of trauma. Journal of the American College of Surgeons. 2012; 214(5): 739-4621

La disfunzione piastrinica, anche se poco compresa dal punto di vista della patogenesi, risulta essere estremamente importante dal punto di vista della gestione terapeutica come dimostrato in numerosi studi condotti negli ultimi 10 anni. Difatti fino agli inizi del 2000 le linee guida per la gestione delle trasfusioni massive raccomandavano un rapporto plasma: GRC (Globuli Rossi Concentrati) intorno ad 1:3, mentre il rapporto corretto piastrine:GRC non era conosciuto.

Già nel 2008 uno studio22, prendendo come spunto i risultati di studi condotti in ambito militare, valutò la sopravvivenza nei pazienti al variare del rapporto plasma:piastrine:GRC dimostrando un aumento della sopravvivenza a 30 giorni nei pazienti trasfusi con rapporto plasma:GRC >1:2 e rapporto piastrine:GRC >1:2 rispetto ai pazienti trattati con rapporti inferiori a 1:2.

Infine nel 2013 lo studio “The Prospective, Observational, Multicenter, Major Trauma Transfusion (PROMMTT)”23 condotto su oltre 1200 pazienti dimostrò che rapporti più elevati di plasma e piastrine nella gestione delle trasfusioni nelle prime 24 ore correlava

(24)

con una riduzione della mortalità a 24 ore, tuttavia nei sopravvissuti a 24 ore, l’uso di alti rapporti plasma:piastrine:GRC non correlava con una variazione della mortalità a 30 giorni.

Quindi, brevemente, la TIC è una condizione che risulta essere determinata da diversi elementi che si sommano tra di loro:

-

aumento dei livelli di Proteina C attivata e conseguente stimolo iperfibrinolitico per inibizione del PAI-1

-

alterazioni del glicocalice endoteliale, probabilmente in risposta all’eccessiva stimolazione catecolaminergica

-

microparticelle a potenziale trombogenico

(25)

IATROGENIC COAGULOPATHY

Ipotermia ed acidosi sono 2 fattori in grado di determinare da soli alterazioni importanti dello stato coagulativo. A questi solitamente si aggiunge l’emodiluizione in gran parte conseguenza dell’abbondante reintegro volemico che contribuisce alla diluizione dei fattori della coagulazione.

- IPOTERMIA: la riduzione di 1°C della temperatura corporea dai valori standard

comporta una riduzione del 5% nella velocità delle reazioni biochimiche della cascata coagulativa.

Alla temperatura di 30°C nel 75% circa dei pazienti si ha il blocco delle interazioni tra il fattore di Von Willebrand e la Glicoproteina piastrinica Ib24. Quindi l’ipotermia da un lato “rallenta” la cascata coagulativa, dall’altro riduce l’adesione e l’aggregabilità piastrinica.

-

ACIDOSI: come per l’ipotermia, la riduzione del pH si associa ad una riduzione della

velocità e dell’efficacia delle reazioni biochimiche. A pH 7,20 l’attività dei fattori della coagulazione si riduce al 50%. L’acidosi è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di emorragie potenzialmente letali nei pazienti che richiedono trasfusioni massive.25

-

EMODILUIZIONE: gran parte dell’emodiluizione è frutto della terapia medica. Difatti

la perdita ematica viene rimpiazzata utilizzando cristalloidi e/o colloidi. Già nel 1985 uno studio dimostrò una correlazione tra l’allungamento del PT (tempo di Protrombina) ed il volume di cristalliodi infusi.26

Per quanto riguarda i colloidi oltre al problema legato all’emodiluizione, numerosi studi hanno dimostrato che sono in grado di alterare il processo di formazione del coagulo stesso. Per questo, già da diversi anni, le linee guida hanno rimosso i colloidi come tipologia di fluidi da utilizzare nella riespansione volemica del paziente traumatizzato.27

(26)

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(29)

LA TERAPIA STANDARD DELLA COAGULOPATIA DA TRAUMA

Il protocollo per il trattamento delle emorragie traumatiche e della coagulopatia da trauma (TIC) segue le raccomandazioni delle linee guida Europee1.

Le linee guida consistono in una serie di raccomandazioni per la gestione del paziente dalle prime fasi della rianimazione alle fasi che seguono la stabilizzazione del paziente.

- DIAGNOSI E MONITORAGGIO DEL SANGUINAMENTO: è molto importante avere subito una idea del volume ematico perso e della dinamica del trauma. Il volume ematico perso può essere classificato usando le 4 classi di emorragia proposte dall’ATLS dell’American College of Surgeons (figura 1).

Figura 1: Classificazione dell’emorragia secondo ATLS

Nel monitoraggio del sanguinamento si utilizzano 3 tipologie di esami:

esami di laboratorio standard (INR, aPTT, livelli di Fibrinogeno ed emocromo), test viscoelastici point of care (se disponibili), esame di emogas analisi.

Tra questi esami giocano un ruolo centrale i livelli di emoglobina (Hb) e di lattati. Tuttavia, se livelli molto bassi di Hb sono un indicatore molto affidabile di

sanguinamento severo, lo stesso non può dirsi per livelli normali. Pertanto il principale marker di shock emorragico, soprattutto nella valutazione iniziale, deve essere il livello dei lattati che assume anche un importante ruolo prognostico2. All’interno del monitoraggio e della diagnosi della fonte del sanguinamento si inseriscono anche le tecniche di imaging che devono essere immediatamente disponibili all’arrivo del paziente. Tra queste l’ecografia FAST e le radiografie di

(30)

torace e bacino eseguite direttamente in shock room, insieme alla TC con mezzo di contrasto. Tuttavia la diagnosi ecografica di versamento toracico, intra-addominale o retroperitoneale associata ad instabilità emodinamica richiede un intervento terapeutico immediato ed urgente, senza ulteriori conferme radiologiche (es. TC con mezzo di contrasto). Questo sta alla base del concetto di Damage Control Resuscitation.

- DAMAGE CONTROL RESUSCITATION:il concetto di Damage Control Resuscitation (DCR) consiste nell’attuare manovre di rianimazione sul paziente critico con l’obiettivo di ottenere un quadro clinico che permetta una correzione rapida della fonte di sanguinamento e la stabilizzazione evitando di entrare nel pericoloso circolo vizioso della “triade letale”.

La DCR presenta due aspetti cardine (figura 2): - “Permissive Hypotension” - “Haemostatic Resuscitation”

Damage

Control

Resuscitation

Damage

Control

Surgery

Permissive Hypotension Haemostatic Resuscitation

(31)

“Permissive Hypotension”: Si raccomanda di mantenere i livelli di Pressione

arteriosa sistolica tra gli 80-90 mmHg fino a quando non si proceda al controllo definitivo della fonte di sanguinamento. Questa strategia permette così di limitare il sanguinamento garantendo comunque una buona perfusione tissutale. Tuttavia il concetto di ipotensione permissiva non trova un razionale nei pazienti con trauma cranico nei quali è consigliato mantenere una pressione arteriosa media > 80 mmHg.

“Haemostatic Resuscitation”: prevede una strategia di reintegrazione volemica

restrittiva associata all’uso precoce di sangue ed emocomponenti nella

rianimazione primaria. Una somministrazione aggressiva di fluidi nelle fasi iniziali della rianimazione correla strettamente con lo sviluppo di coagulopatia; l’incidenza della coagulopatia aumenta all’aumentare dei fluidi somministrati. Maegele et al.3 in uno studio retrospettivo utilizzando i dati del German Trauma Registry hanno dimostrato che la coagulopatia si presenta in più del 40% dei pazienti che ricevono più di 2000 ml di fluidi ed in più del 70% dei pazienti che ricevono più di 4000 ml. L’utilizzo di vasopressori ed inotropi deve essere limitato rispettivamente a forme di ipotensione non responsive alla terapia volemica, di disfunzione miocardica ed al transitorio controllo dell’ipotensione durante la messa in atto della terapia

trasfusionale in attesa del suo effetto. La DCR prevede l’utilizzo di sangue ed emoderivati precocemente nella rianimazione volemica del paziente in shock emorragico, eventualmente l’utilizzo di soluzioni di cristalloidi isotonici per la reintegrazione volemica nelle fasi iniziali della rianimazione. Si dovrebbero utilizzare boli di cristalloidi isotonici da 250 a 500 ml fino al raggiungimento del target pressorio, poi sospendere l’infusione.

L’utilizzo di volumi eccessivi di soluzione fisiologia (0,9% di NaCl) dovrebbe essere evitato in quanto aumenta il rischio di acidosi metabolica e di danno renale acuto. Le soluzioni ipotoniche, come il Ringer Lattato, devono essere utilizzate con cautela soprattutto quando si sospetti un trauma cranico. Difatti in caso di trauma cranico soluzioni ipotoniche peggiorano il danno cerebrale.

Già da diversi anni le linee guida hanno bandito i colloidi. Infatti numerosi studi hanno evidenziato come i colloidi presentino la capacità di alterare l’attivazione coagulativa e la funzione piastrinica.

L’emoglobina dovrebbe essere mantenuta tra 7-9 g/dl utilizzando quindi dei parametri trasfusionali non restrittivi. La riduzione degli eritrociti, oltre a ridurre la

(32)

capacità di trasporto dell’ossigeno, sembra avere anche un ruolo nell’emostasi, influenzando la risposta piastrinica.

Accanto alla restrizione volemica in termini di cristalloidi, atta ad evitare l’emodiluizione, un altro elemento cardine della rianimazione primaria è la correzione della temperatura corporea verso un quadro di normotermia. Difatti l’ipotermia è in grado di indurre anche da sola alterazioni importanti dell’assetto coagulativo.

In definitiva il concetto di “Haemostatic Resuscitation” consiste in una

rianimazione con restrizione volemica ed in un supporto coagulativo empirico con precoce somministrazione di sangue ed emoderivati.

- SUPPORTO COAGULATIVO EMPIRICO

La valutazione dello stato coagulativo del paziente deve essere iniziato il più precocemente possibile dopo l’ammissione in ospedale sia con i normali test di laboratorio che, possibilmente, con tecniche viscoelastiche come il

Tromboelastogramma (TEG).

Nelle fasi iniziali della rianimazione, cioè fino a che non sono disponibili i risultati degli esami sulla coagulazione, è necessario impostare una terapia empirica di

supporto coagulativo. Questa può prevedere diversi protocolli, ad esempio il

protocollo Early Coagulation Support (ECS) di Nardi et al.4 (vd.dopo). Tuttavia, indipendentemente dai protocolli, le linee guida consigliano sempre:

1) Somministrazione di Acido Tranexamico con dose di carico di 1g in 10 minuti seguita da una infusione di 1g in 8 ore. Questa forte raccomandazione (Grado 1A) deriva principalmente dai risultati dello studio CRASH-2 condotto in doppio cieco su più di 20.000 adulti a rischio di sanguinamento significativo post trauma che ha dimostrato una riduzione di mortalità per tutte le cause nel gruppo di pazienti che ricevevano acido tranexamico rispetto ai pazienti nel gruppo Placebo.5 Tuttavia la somministrazione non dovrebbe essere effettuata oltre le 3 ore dal trauma poiché si è evidenziato un aumento dell’1,3% della mortalità.6

(33)

2) Due strategie “trasfusionali”:

- Trasfusione di plasma fresco congelato (FFP) con un rapporto FFP-RBC (Red Blood Cells) di almeno 1:2 nei pazienti con emorragie massive. L’approccio alle trasfusioni massive è drasticamente cambiato negli ultimi 10 anni alla luce dei risultati condotti su studi in ambito militare durante la guerra in Iraq che dimostrarono un beneficio nell’uso di protocolli di trasfusione massiva con rapporti FFP-RBC-Piastrine di 1:1:1. Alla luce di questi studi ne sono stati condotti diversi in ambito civile. Tra questi lo studio PROMMT “The

Prospective, Observational, Multicenter, Major Trauma Transfusion study”7, condotto su oltre 1200 pazienti, dimostra che rapporti più elevati di plasma e piastrine nella gestione delle trasfusioni nelle prime 24 ore correla con una riduzione della mortalità a 24 ore, tuttavia nei sopravvissuti a 24 ore, l’uso di alti rapporti plasma:piastrine:RBC non correla con una variazione della mortalità a 30 giorni.

Le linee guida europee tuttavia consigliano un rapporto di almeno 1:1:2 (FFP-Piastrine- RBC) alla luce dei risultati dello studio PROPPR8 “The Pragmatic, Randomized Optimal Platelet and Plasma Ratios study” del 2015 che non ha

dimostrato nessun beneficio sulla sopravvivenza a 24 ore e a 30 giorni tra pazienti trattati con rapporto 1:1:1 (FFP:Piastrine:RBC) rispetto ai soggetti trattati con rapporto 1:1:2.

- Utilizzo di concentrati di Fibrinogeno o crioprecipitato: Il fibrinogeno difatti è il principale fattore che si riduce nella coagulopatia da trauma. Schlimp et al.9 hanno dimostrato che livelli di fibrinogeno inferiore ad 1,5 g/l si riscontrano nel 73% di pazienti con Hb inferiore a 10 g/dl e nel 63% dei pazienti con Base Excess inferiore a -6 (dovuto presumibilmente all’aumento dei lattati). Inoltre la deplezione di fibrinogeno correla con un peggioramento prognostico, mentre la sua supplementazione migliora la sopravvivenza. Dal momento che 1 litro di plasma fornisce 2 g di fibrinogeno, è stato proposto da diversi protocolli di sostituire la trasfusione di plasma con 2 g di fibrinogeno per mimare il rapporto 1:1 con RBC. Inoltre la riduzione del volume trasfuso empiricamente sembra avere importanza nel ridurre le complicanze associate, come ad esempio la TRALI (Transfusion-Related Acute Lung Injury).

Altro aspetto interessante è legato al fatto che volumi importanti di plasma contribuiscono all’emodiluizione iatrogena determinando così la richiesta di

(34)

ulteriori trasfusioni di emazie concentrate; questa criticità viene meno con una terapia “fibrinogen-based”.

- DAMAGE CONTROL SURGERY:l’idea di una damage control surgery (DCS) ha preso piede agli inizi degli anni ’80. L’idea è quella di intervenire precocemente su un paziente instabile con un intervento chirurgico che non sia definitivo, ma che sia in grado di arrestare la fonte del sanguinamento in modo da garantire un

ripristino delle funzioni vitali. Stone et al.10 nel 1983 furono tra i primi a descrivere le tre fasi della DCS addominale:

1) Laparotomia abbreviata con lo scopo di controllare la fonte di sanguinamento seguita da un packing addominale e da una chiusura addominale temporanea. 2) Stabilizzazione in Unità di Terapia Intensiva: in questa fase si dovrà procedere

anche alla valutazione del paziente con tutte le tecniche di imaging necessarie 3) Nuova esplorazione chirurgica dell’addome con correzione definitiva delle

lesioni

La DCS può essere non solo addominale ma anche toracica o neurochirurgica. In un paziente instabile, oltre alla positività ad un esame di imaging (es Eco FAST positiva), esistono altri criteri per l’attivazione di un protocollo di DCS:

- pH< 7,2 - T.Corporea <34°C

- Fallimento delle prime manovre rianimatorie1, 11

- SUPPORTO COAGULATIVO “GOAL-DIRECTED”:dopo un iniziale

approccio non standardizzato, che presenta notevoli variazioni da luogo a luogo, si applica una terapia goal-directed che corregge i difetti coagulativi sulla base dei test di laboratorio o dei risultati di valutazioni viscoelastiche.

1) FFP: la somministrazione di plasma dovrebbe essere raccomandata per

(35)

test viscoelastici.

2) Fibrinogeno e crioprecipitato: è raccomandata la somministrazione di 3-4 g di

fibrinogeno in caso di riduzione dei livelli al di sotto di 1,5-2 g/l o in caso di segni di deficit alla valutazione viscoelastica. Il fibrinogeno è un fattore fondamentale per la corretta formazione del trombo, inoltre è un fattore per il quale non esiste una riserva extra-plasmatica. Ad esempio la quota di fibrinogeno in un uomo di 80 Kg è di circa 10 g, quindi una importante deplezione dei suoi livelli comporta un

importante deficit non rimpiazzabile utilizzando riserve. Lo studio MATTERsII12, condotto in ambito militare, ha dimostrato che la somministrazione di

crioprecipitato aggiunge beneficio alla sopravvivenza dei pazienti che ricevono empiricamente Acido Tranexamico.

3) Piastrine: è raccomandata la trasfusione di concentrati piastrinici per mantenere

la conta piastrinica sopra a 50x109/l e sopra a 100x109/l in caso di persistente sanguinamento o trauma cranico. Tuttavia, nonostante le crescenti evidenze sulla disfunzione piastrinica nella TIC, non ci sono ancora indicazioni a trasfusioni indipendentemente dalla conta piastrinica.

Vi è però evidenza che trasfusioni empiriche con rapporti 1:1:1

(FFP:piastrine:RBC) siano prognosticamente vantaggiose rispetto a rapporti inferiori, confermando il ruolo cruciale delle piastrine e della loro disfunzione anche nelle fasi iniziali della TIC.7

(36)

Figura 3: Schema di trattamento secondo le linee guida europee1

PROTOCOLLO EARLY COAGULATION SUPPORT (ECS)

Il protocollo ECS è stato proposto da Nardi et al. come schema terapeutico nel 2015 sulla base di uno studio condotto inizialmente su due Trauma Center di I livello: l’ospedale Bufalini di Cesena ed il San Camillo di Roma.

Il protocollo ECS (figura 4) è stato confrontato con il trattamento standard utilizzato in questi ospedali prima del 2013 dimostrando una riduzione della mortalità in ospedale nel gruppo ECS rispetto al gruppo standard (13,5% contro il 20%). Inoltre il protocollo ECS ha evidenziato una riduzione dei consumi di sangue ed emocomponenti del 48%.

Il protocollo ECS è attivato in caso di sanguinamento incontrollato (emorragia evidente e/o ECO FAST positiva per versamento) in associazione ad uno o più dei seguenti criteri:

- Pressione Arteriosa Sistolica < 100mmHg - Base Excess < -6

Treatment for the Bleeding Trauma Patient

Damage Control Surgery Damage Control Resuscitation Initial management of Bleeding and Coagulopathy

(37)

- Emoglobina (Hb) < 9 g/dl - INR > 1,5

Il protocollo ECS prevede: somministrazione di Acido Tranexamico (1 g in bolo più 1 g in 8 ore) entro 3 ore dal trauma, 2 g di Fibrinogeno insieme alle prime sacche di sangue 0 negativo presenti nell’emoteca del dipartimento di Emergenza-Urgenza. Successivamente dovrebbe iniziare una valutazione con test point of care (POC) per guidare le successive fasi di supporto coagulativo. Il plasma non viene somministrato nella fase precoce della rianimazione poiché non immediatamente disponibile, in quanto tra la richiesta al centro trasfusionale, lo scongelamento e la somministrazione sono necessari tra i 60 ed i 90 minuti. L’attivazione del

protocollo ECS prevede anche la richiesta urgente di 4 sacche di sangue specifico e 1500 ml di FFP.

Il trattamento standard prima del 2013 prevedeva: somministrazione di Acido Tranexamico (1g in bolo più 1 g in 8 ore), plasma il prima possibile con l’utilizzo di alti rapporti FFP:RBC, di almeno 1:2. In associazione a questo concentrati piastrinici somministrati con l’obiettivo di mantenere la conta piastrinica al di sopra di 100x 109 /l. Successivamente veniva iniziato un monitoraggio coagulativo sulla base di test di laboratorio senza utilizzare test viscoelastici.

Figura 4: differenze tra protocollo ECS e protocollo standard nello studio di Nardi et al.4 Tratto da: Nardi

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(38)

Il protocollo ECS viene anche adottato anche dal dipartimento di Emergenza-Urgenza dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, sebbene non sia ancora un protocollo aziendale (figura 5).

(39)

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(40)

IL TROMBOELASTOGRAMMA

Il tromboelastogramma (TEG) è stato utilizzato per la prima volta in Germania nel 1948 da Hartert1. Non si tratta quindi di una invenzione recente ma di uno strumento utilizzato già da molti anni. Nell’ambito del trauma è stato utilizzato per la gestione della terapia trasfusionale già durante la guerra in Vietnam.

La tromboelastografia offre notevoli vantaggi rispetto ai test di laboratorio standard: - Test eseguibile “vicino al paziente”

- Rapidità della risposta (entro 30 minuti abbiamo quasi tutte le informazioni) - Permette di valutare parametri non altrimenti esplorabili: ad esempio alterazioni

funzionali e non quantitative di piastrine o del sistema fibrinolitico

Tuttavia il TEG non può essere considerato come test alternativo ai test di laboratorio standard: INR, aPTT, conta piastrinica, dosaggio del fibrinogeno.

Funzionamento: una piccola quantità di sangue (0,36ml) viene posta in una cuvetta

(figura1) preriscaldata alla temperatura di 37°C. Questa coppetta oscilla di 4,45 gradi in entrambe le direzioni ogni 10 secondi. All’interno della cuvetta si trova sospeso uno “spillo” collegato al trasduttore di torsione che riporta i dati sullo schermo. Man mano che il coagulo si forma lo spillo incontra una resistenza crescente al movimento; questo

determina le variazioni di oscillazione che sono riportate sullo schermo dalla macchina e che forniscono informazioni sull’evoluzione del trombo.

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Parametri misurati (figura 2)2:

- Tempo R: è il Tempo di Reazione, ovvero il tempo impiegato dal sangue per iniziare la formazione del trombo e muovere lo spillo di almeno 2 mm sull’asse delle “y”

- Tempo K: è il tempo necessario affinché lo spillo si muova di 20 mm sull’asse delle “y”

- Angolo α: determinato da una retta passante per R e K

- MA (Ampiezza Massima): massima altezza verticale (su asse “y”) della curva - LY30: % di lisi del coagulo nei 30 minuti dopo il raggiungimento dell’MA - CI: calcolato tramite formula matematica determinata dalla casa produttrice dello

strumento che integra i parametri sopraesposti fornendo una sintesi della condizione coagulativa del paziente: normo, iper o ipocoagulabilità.

Il parametro R correla con la “initiation phase” della coagulazione e dipende strettamente dalla disponibilità dei fattori della coagulazione. E’ un parametro che presenta analogie con l’INR e l’aPTT.

Il parametro K e l’angolo α denotano la velocità alla quale si rafforza il trombo e fornisce un’idea della capacità della trombina di trasformare il fibrinogeno in fibrina.

Il parametro MA rappresenta invece la massima forza del coagulo, risultato dell’interazione massimale tra piastrine e fibrina.

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Figura 2: Esempio di curva tromboelastografica e relativi parametri. Tratto da: Walsh M, Fritz S, Hake D, Son M, Greve S, Jbara M, et al. Targeted Thromboelastographic (TEG) Blood Component and

Pharmacologic Hemostatic Therapy in Traumatic and Acquired Coagulopathy. Current drug targets. 2016; 17(8): 954-70 2

Il TEG può essere effettuato utilizzando vari attivatori/inibitori inseriti nelle cuvette che permettono di ottenere informazioni diverse. Ad esempio nel nostro studio abbiamo utilizzato 3 diversi tipi di valutazioni tromboelastografiche:

- TEG con Kaolino che agisce da attivatore della coagulazione

- TEG con Kaolino più eparinasi, in modo da inattivare l’effetto dell’eparina nei pazienti sottoposti a trattamento anticoagulante

- TEG “Fibrinogeno Funzionale”: Kaolino + inibitore della GpIIb/IIIa. Si utilizza per testare la forza del coagulo andando ad inibire l’azione delle piastrine, di modo che si abbia una valutazione netta e isolata dell’azione del fibrinogeno.

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Figura 3: esempi di curve tromboelastografiche normali e patologiche. Tratto daWhiting D, DiNardo JA. TEG and ROTEM: technology and clinical applications. American journal of hematology. 2014; 89(2): 228-32. 3

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BIBLIOGRAFIA

1. Hartert H. [Coagulopathies and thrombelastography]. Thrombosis et diathesis haemorrhagica. 1962; 6(Suppl 2): 31-5.

2. Walsh M, Fritz S, Hake D, Son M, Greve S, Jbara M, et al. Targeted

Thromboelastographic (TEG) Blood Component and Pharmacologic Hemostatic Therapy in Traumatic and Acquired Coagulopathy. Current drug targets. 2016; 17(8): 954-70. 3. Whiting D, DiNardo JA. TEG and ROTEM: technology and clinical applications. American journal of hematology. 2014; 89(2): 228-32.

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TERAPIA TEG-GUIDATA DELLA COAGULOPATIA DA TRAUMA

La principale applicazione del TEG nella TIC consiste nel guidare l’approccio

trasfusionale. Difatti uno dei primi studi sulla gestione trasfusionale TEG guidata è stato quello di Tapia et al.1 nel 2013. Tapia e colleghi hanno messo a confronto la strategia

trasfusionale TEG-guidata con una coorte di pazienti trattati con un protocollo

trasfusionale con rapporto fisso FFP:piastrine:RBC di 1:1:1. I pazienti presi in esame sono stati tutti trasfusi con almeno 6 unità di RBC nelle prime 24 ore dall’arrivo in ospedale. Lo studio ha dimostrato che i pazienti con trauma penetrante trattati con un protocollo

trasfusionale massivo (MTP) TEG-guidato hanno una riduzione della mortalità rispetto al gruppo di controllo. In modo analogo Gonzalez et al.2 hanno arruolato 111 pazienti con

traumi penetranti in uno studio randomizzato valutando i benefici di un MTP TEG-guidato rispetto ad un protocollo trasfusionale massivo guidato dai test di laboratorio standard. Lo studio ha dimostrato una riduzione significativa della mortalità nel primo gruppo rispetto al gruppo di controllo (19% del gruppo TEG vs 36% del gruppo standard); inoltre il gruppo che ha sostenuto un protocollo trasfusionale TEG-guidato ha presentato una riduzione dei giorni di degenza in Terapia Intensiva e dei giorni di ventilazione meccanica invasiva. Lo studio ha dimostrato anche un aumento significativo delle unità di plasma, piastrine e crioprecipitato trasfusi nel gruppo standard rispetto al gruppo TEG-guidato; questo conferma come il TEG permetta un più appropriato uso di emoderivati.

L’aspetto interessante è la capacità del TEG di caratterizzare i diversi fenotipi della TIC. Infatti la TIC è formata da un insieme complesso di alterazioni che non si presentano sempre con le stesse modalità, andando così a definire diversi fenotipi. Il TEG permette quindi una personalizzazione della terapia. Diversi studi hanno infatti dimostrato la possibilità di identificare veri e propri fenotipi diversi nei pazienti con TIC. Sia Kutcher e

colleghi3 che Chin et al.4 hanno evidenziato 2 principali fenotipi di TIC: il primo legato principalmente alla deplezione di fattori, piastrine e fibrinogeno; il secondo legato all’iperfibrinolisi. Il TEG è l’unico strumento che permette di fare una valutazione real-time dell’assetto coagulativo, scegliendo quindi la terapia più adatta caso per caso.

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Figura 1: Protocollo per Trasfusioni Massive TEG-guidato del “Rocky Mountain Regional Trauma Center” Denver, Colorado. Tratto da: Gonzalez E, Moore EE, Moore HB, Chapman MP, Silliman CC, Banerjee A. Trauma-Induced Coagulopathy: An Institution's 35 Year Perspective on Practice and Research. Scandinavian journal of surgery : SJS : official organ for the Finnish Surgical Society and the Scandinavian Surgical Society. 2014; 103(2): 89-1035

Un altro aspetto interessante della terapia TEG-guidata risulta essere la gestione della terapia antifibrinolitica. Difatti l’iperfibrinolisi è il principale fattore che influenza la mortalità emorragica nel paziente traumatizzato. Uno studio ha però dimostrato come nel 63% dei pazienti si presenti uno “spegnimento” della fibrinolisi6, invece di una

iperfibrinolisi, rendendo evidente come in questo gruppo di pazienti sia inopportuna la somministrazione di Acido Tranexamico. Proprio in quest’ottica potrebbe inserirsi un approccio specifico TEG-guidato alla gestione della terapia antifibrinolitica. Il gruppo di ricerca di Gonzalez e Moore suggerisce di somministrare l’antifibrinolitico solo in presenza di una LY30 superiore al 3-5%7.

Il nostro approccio TEG-guidato per la gestione della terapia trasfusionale

Il nostro approccio TEG-guidato si inserisce all’interno del protocollo Early Coagulation Support (ECS) proposto da Nardi et al.8.

Il protocollo ECS prevede: somministrazione di Acido Tranexamico (1 g in bolo più 1 g in 8 ore), 2 g di Fibrinogeno insieme alle prime sacche di sangue. Successivamente può iniziare una valutazione con test viscoelastici per guidare le successive fasi di supporto

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Pertanto nel nostro protocollo la somministrazione di Fibrinogeno e di Acido Tranexamico avvengono empiricamente. Poi, entro 60 minuti dalla somministrazione di fibrinogeno, dovrebbe essere effettuata una valutazione tromboelastografica per poter andare avanti con una terapia “goal-directed”.

Trattamento TEG-guidato (figura 2):

1) Allungamento della R: somministrazione di Plasma Fresco Congelato (FFP) 2) MA < 48 mm e MA valutato con “Fibrinogeno Funzionale” <14 mm:

somministrazione di Fibrinogeno o Crioprecipitato

3) MA<48 mm e MA valutato con “Fibrinogeno Funzionale” > 14 mm: somministrazione di concentrato piastrinico

4) LY30 > 5-7,5%: somministrazione Acido Tranexamico*

*questa raccomandazione è ancora dibattuta

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