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Il presente studio osservazionale prospettico è stato condotto su un’ampia popolazione di età avanzata. La presenza di FA è stata riscontrata in circa un paziente su tre ricoverato per patologia acuta e nella maggior parte di questa coorte (84,5%), era già nota all’anamnesi. La FA è risultata essere di nuova insorgenza nel restante 15,5% di cui, nel 6,7% dei casi, è stata il motivo del ricovero.

Nella nostra casistica la forma maggiormente presente di FA è stata quella permanente, presente in circa due terzi dei casi (14). Questi dati, se si confrontano con la prevalenza della FA per tutte le età riportata in letteratura, che è di circa 0,5-3,4%(13), documenta che i soggetti anziani e grandi anziani sono a maggior rischio di sviluppare la FA (14). Inoltre, dalla letteratura emerge chiaramente che la prevalenza di FA è andata progressivamente aumentando negli ultimi 20 anni, soprattutto nell’anziano ultra 65enne (4,10,13,15). Questo dato è probabilmente da attribuirsi alla maggiore attenzione posta nei confronti di questa malattia e all'invecchiamento della popolazione

stessa oltre che per il miglioramento delle cure per le patologie croniche(18). La rilevanza clinica

di questa patologia deriva dalla forte associazione tra la FA e il rischio tromboembolico, oltre che all’aumento della mortalità in questi pazienti (per tutte le cause, cardiovascolare e non) (90,248).

La nostra osservazione si basa su una coorte con un grado moderato\severo di comorbidità e di severità (CIRS-S, CIRS-C), con una compromissione significativa delle funzioni intellettive misurate tramite il SPMSQ e una ridotta funzionalità nelle ADL e nelle IADL.

Analizzando le caratteristiche dei pazienti con FA rispetto a quelle in ritmo sinusale emergono significative differenze per vari parametri clinici come messo in evidenza anche in altri studi (10,26,7). Infatti, in questo caso, la popolazione con FA è risultata più vecchia di quella in ritmo sinusale con una prevalenza maggiore del sesso femminile (30). Quest’ultimo dato deve essere interpretato alla luce del fatto che, nonostante la prevalenza della FA sia maggiore nei maschi in assoluto (10), in questo caso, il sesso femminile presenta un numero maggiore di FA probabilmente

a causa dell’età media del gruppo con FA, maggiore di circa 3 anni, rispetto ai non fibrillanti (7,30). Questo elemento è in accordo con i dati generali demografici dell’invecchiamento, che documentano una maggior prevalenza di donne con età superiore agli 80 anni rispetto ai maschi (251). I pazienti con FA hanno un indice di comorbidità e severità (CIRS-C e CIRS-S) maggiori rispetto a quelli in ritmo sinusale, dimostrando come questa coorte sia più complessa e con un profilo clinico più scadente. Questo dato è in linea a quanto già riportato dallo studio ISAF, confermando la percezione comune che la popolazione con FA, oltre ad aumentare di numero nel tempo si associa ad un carico crescente di comorbidità e complessità (14). A questo si affianca un altro elemento emerso nel nostro studio che riguarda i giorni di degenza. Infatti i pazienti con FA restano ricoverati in ospedale, in media, un tempo superiore a quello dei pazienti in ritmo sinusale. È interessante notare che non siano emerse invece differenze significative nelle due popolazioni per quanto riguarda le attività residue di vita quotidiana ADL, IADL e la funzione cognitiva, suggerendo che, in generale, la popolazione anziana ricoverata per patologia acuta presenti un alto grado di compromissione della autonomia di vita.

Per quantificare la prevalenza dei pazienti che beneficerebbero della terapia anticoagulante ma che ancora non sono in trattamento al momento del ricovero abbiamo, dapprima stratificato il rischio tromboembolico e quello emorragico nella coorte con FA, e successivamente è stata indagata la tipologia di terapia effettuata a domicilio. Secondo il CHA2DS2VASC score, tutta la popolazione analizzata aveva un punteggio maggiore di 1 e quasi la metà dei pazienti (49,4%%) ha presentato un valore tra 4 e 5 (rispettivamente 25,2% e 24,2%) mentre secondo lo score HAS-BLED il 40,2% della popolazione ha mostrato punteggio di 2. Nonostante il significativo rischio tromboembolico di questa popolazione, la terapia anticoagulante (warfarin e/o NAO e/o EBPM a dosaggio terapeutico) era effettuata in poco più della metà dei pazienti con FA. Si è così messo in evidenza che un gran numero di anziani che potrebbero beneficare di questa terapia, non sia ancora in trattamento o stia seguendo una terapia con efficacia inferiore rispetto a quella dell’anticoagulante orale. Infatti la terapia antiaggregante o la DAPT (dual antiplatelet therapy es: aspirina + clopidogrel), come

ampiamente dimostrato in letteratura (198,228) non hanno un effetto paragonabile né al warfarin, né tanto meno ai NAO in termini di prevenzione tromboembolica e sopravvivenza, ed inoltre sono gravate da un rischio consistente di emorragie intracraniche, influendo verosimilmente sulla mortalità e sulle comorbidità dei pazienti con FA che ne fanno uso. In altri lavori è stata valutata la prevalenza l’appropriatezza prescrittiva nei pazienti con FA (234). Ad esempio, con lo studio EORP-AF (237) e lo studio REPOSI (236) è stato stimato il range di ‘under-treatment, nella popolazione anziana, compreso tra il 30% e il 70%. Da ricordare anche lo studio condotto da Mazzone et al. (232), che riflette molto bene la realtà geriatrica in quanto ha arruolato pazienti anziani ospedalizzati in reparti di medicina interna e geriatria per patologie acute. Oltre a confermare che l’aderenza alle linee guida in termini di terapia anticoagulante negli anziani con FA sia ancora molto lontana dall’essere ottimale, ha anche evidenziato la tendenza di un over-use della terapia antiaggregante e con EBPM, soprattutto nei pazienti con un maggior grado di compromissione dello stato funzionale (232). Nella nostra analisi ci siamo limitati a considerare la prevalenza assoluta della terapia anticoagulante e non abbiamo stratificato la popolazione per classi di rischio. Sebbene questo possa essere un limite, ha comunque una validità considerando che il campione in analisi ha almeno un CHA2DS2VASC di 1 e che quindi, in conformità con le linee guida attuali, beneficerebbe della terapia anticoagulante.

Durante il follow-up sono stati inclusi in totale 3309 pazienti. La mortalità intra-ospedaliera globale è stata del 6,6% e, a distanza di 21 mesi (range 17.3-24.7), ha interessato poco meno della metà della popolazione, (44.4%). È interessante notare come in entrambi le coorti (FA e RS) la mortalità nel periodo successivo alla dimissione (entro i 5 mesi circa), sia estremamente significativa interessando già quasi un quarto della popolazione in studio. Questo dato mostra come l’evento acuto che ne ha causato il ricovero abbia probabilmente gravato in maniera drammatica sulla sopravvivenza di questi pazienti.

Dalla nostra analisi emerge inoltre che nella popolazione con FA la mortalità (per qualsiasi causa) è maggiore di quella dei pazienti in ritmo sinusale. Il dato ottenuto è coerente con quanto già emerso

in altri studi presenti in letteratura, in cui risulta evidente come i pazienti fibrillanti siano soggetti ad una prognosi peggiore specialmente se gravati da maggiore complessità clinica (28,90). Abbiamo poi confrontato la mortalità nella popolazione con FA incidente rispetto a quella con FA anamnestica. In questo caso la corte con minore sopravvivenza è quella con FA già nota in anamnesi. Alla luce di questo dato abbiamo confrontato le caratteristiche demografiche, cliniche e funzionali di queste due sotto-popolazioni. Le differenze significative sono risultate essere quelle nelle attività residue della vita quotidiana IADL, maggiormente compromesse nei pazienti con FA anamnestica e nel grado di comorbidità (CIRS-C), risultato maggiore sempre in quest’ultima coorte. Possiamo ipotizzare che oltre alle piccole differenze in termini si disabilità e comorbidità, la presenza di FA in anamnesi, associata al documentato under-treatment, possa avere un effetto prognostico negativo significativo.

Approfondendo l’analisi sui fattori maggiormente implicati nell’incremento della mortalità nei pazienti fibrillanti, in generale, abbiamo effettuato un’analisi univariata considerando come variabili il CIRS-S e il CIRS-C (divisi in quartili), gli score ADL (categorizzata per valori compresi tra 0-2, 3-4 e 5-6) e IADL (categorizzata per valori compresi tra 0-3, 4-6 e 7-8) e lo score SPMSQ (categorizzato per valori compresi tra 0-2, 3-5, e ≥6). I risultati ottenuti sono emblematici di come all’aumentare della compromissione funzionale, cognitiva o delle complessità dei pazienti ci sia un corrispettivo aumento della mortalità, già evidente nel breve termine, come visto precedentemente. Infine nell’analisi multivariata abbiamo selezionato oltre all’età e al sesso, soltanto i fattori prognostici che riguardano lo stato funzionale del soggetto ovvero ADL, IADL, SPSMQ e gli score di comorbidità e di severità (CIRS). I fattori predittivi di mortalità sono risultati essere CIRS, ADL, IADL, SPSMQ e l’età. In particolare i pazienti a maggior rischio di morte sono quelli più anziani, con un maggiore grado di complessità, con ridotte capacità funzionali per le attività residue della vita quotidiana ADL. Infine è interessante notare come per qualsiasi grado di demenza (SPQSM ≥ 3) vi sia un corrispettivo aumento della mortalità.

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