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La Fibrillazione Atriale in pazienti geriatrici ricoverati per patologia acuta: studio prospettico di sopravvivenza

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

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CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

La Fibrillazione Atriale in pazienti geriatrici ricoverati per

patologia acuta: studio prospettico di sopravvivenza

RELATORE

Chiar.mo Prof. Fabio Monzani

__________________________________

CANDIDATO

Sig. Guido Trinci

_____________________________

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Sommario

RIASSUNTO ... 5 1.0 INTRODUZIONE ...10 1.1LA FIBRILLAZIONE ATRIALE ... 10 1.1.1 Definizione: ... 10 1.1.2 Epidemiologia ... 10

1.1.3 Caratteristiche del paziente con FA ... 13

1.1.4 Condizioni cardiovascolari ed altre patologie associate alla fibrillazione atriale ... 15

1.1.5 Classificazione ... 17

1.1.6 Fisiopatologia ... 19

1.1.7 Correlazioni cliniche ... 22

1.1.8 Diagnosi ... 25

1.1.9 Storia naturale, e mortalità nel paziente anziano ... 25

1.2LE PRINCIPALI COMPLICANZE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE ... 27

1.2.1 Ictus ... 27

1.2.2 Demenza ... 30

1.3STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO ED EMORRAGICO ... 33

1.3.1 Stratificazione del rischio Tromboembolico ... 33

1.3.2 Stratificazione del rischio emorragico ... 35

1.4PREVENZIONE DEL TROMBOEMBOLISMO SISTEMICO ... 39

1.4.1 Introduzione al sistema della coagulazione ... 39

1.4.2 La terapia antiaggregante ... 39

1.4.3 La terapia anticoagulante orale (TAO) ... 40

1.4.4 La terapia anticoagulante nel paziente anziano ... 49

2.0 SCOPO DELLO STUDIO ...53

3.0 MATERIALI E METODI ...54

3.1DISEGNO DELLO STUDIO ... 54

3.2ANALISI STATISTICA ... 55

4.0 RISULTATI ...56

4.1CARATTERISTICHE DELLA POPOLAZIONE IN STUDIO ... 56

4.2TERAPIA DOMICILIARE DELLA FA ... 58

4.3RISCHIO TROMBOEMBOLICO E EMORRAGICO ... 59

(4)

4.5POPOLAZIONE CON FA ... 61

4.7ANALISI MULTIVARIATA ... 66

5.0 DISCUSSIONE ...68

6.0 CONCLUSIONI ...73

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RIASSUNTO

La fibrillazione atriale (FA) è la tachiaritmia sopraventricolare più frequente nella pratica clinica ed è associata ad una prognosi negativa, specialmente nel paziente anziano. La prevalenza della FA

nella popolazione generale varia dallo 0,5% al 3,4% e aumenta con l'età passando dal 4% nei

soggetti tra i 60 e i 70 anni al 15% circa in quelli al di sopra di 80 anni. Nelle ultime due decadi si è

assistito ad un aumento della prevalenza, probabilmente da attribuirsi alla maggiore attenzione posta nei confronti di questa malattia oltre che all'invecchiamento della popolazione.

La FA è spesso associata ad alterazioni strutturali del cuore e ad altre condizioni croniche concomitanti. I meccanismi alla base dell'innesco e del mantenimento di quest'aritmia sono molteplici, complessi e non completatemene chiariti. Il rimodellamento della struttura atriale e della funzionalità dei canali ionici sono l'epifenomeno di fattori eterogenei, esogeni ed endogeni, che gravano sulla funzionalità e sulla struttura cardiaca. Nel contempo, anche per episodi brevi di FA, queste alterazioni stimolano l’espressione di fattori pro-trombotici sulla superficie endoteliale,

l'attivazione piastrinica e delle cellule infiammatorie.

La FA si associa a importanti comorbidità, ad una qualità di vita peggiore e ad un aumento della mortalità rispetto alla popolazione generale. La complicanza più temibile è lo stroke tromboembolico, la cui prevalenza nei pazienti fibrillanti è 5 volte superiore rispetto alla popolazione generale ed è un importante causa di mortalità e di disabilità. Si calcola che siano attribuibili alla FA circa il 15%-20% di tutti gli stroke. Negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda il paziente geriatrico, è stata messa in evidenza una correlazione statisticamente significativa tra FA e demenza (sia degenerativa che vascolare), indipendentemente dallo stroke clinicamente evidente. Si ipotizza che alla base di questa associazione vi siano microembolizzazioni che provocherebbero infarti cerebrali silenti o uno stato di ipoperfusione transitoria del sistema nervoso centrale. Questi eventi, in concomitanza di altri processi neuropatologici comuni nell'anziano diminuirebbero la 'riserva cognitiva' portando alla demenza. Questa associazione è plausibile anche perché sia la FA che la demenza condividono fattori di rischio sottostanti e alcuni meccanismi fisiopatologici comuni come l'infiammazione cronica. In questo scenario, la terapia anticoagulante orale si è dimostrata estremamente efficace sia nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi tromboembolici, sia nella riduzione della mortalità associati alla FA. Dall'altra parte questa terapia aumenta il rischio di emorragie tra le quali la più preoccupante è quella intracranica. A livello clinico, è stato necessario quindi sviluppare strumenti per la stratificazione del rischio tromboembolico, da una parte, ed emorragico dall'altra. I due scores più

utilizzati nella pratica clinica per queste finalità sono il CHA2DS2VASc e HAS-BLED. Il warfarin

è stato il farmaco principale nella terapia anticoagulante orale prima dell’avvento dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), ma resta tutt’oggi un importante e diffuso presidio medico. Sebbene abbia delle limitazioni legate alle sue caratteristiche intrinseche (ampia variabilità dose-risposta, farmacodinamica età dipendente, interazioni farmacologiche e dietetiche, ampie fluttuazioni dell'INR, necessità di monitoraggio costante), il vantaggio nella prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti con FA è netto e migliore sia della terapia antiaggregante, sia della DAPT (dual antiplatelet therapy). Negli ultimi anni sono stati messi in commercio nuovi farmaci anticoagulanti orali (NAO). Rispetto al warfarin sono molecole con una farmacocinetica e una bio-disponibilità prevedibili, che permettono l'utilizzo di dosi fisse con un effetto anticoagulante costante che non necessita di monitoraggio routinario. Si sono inoltre dimostrate non inferiori, e talvolta superiori al warfarin in termini di prevenzione dello stroke tromboembolico con un minor rischio di emorragie intracraniche. Sebbene la terapia anticoagulante abbia dato prova della sua validità, soprattutto nei pazienti anziani e in quelli ad alto rischio di eventi tromboebolici, le evidenze degli ultimi anni hanno posto il problema del paziente anziano 'sotto trattato' rispetto a quello che le linee guida suggeriscono. Infatti nella realtà di oggi esiste una correlazione di proporzionalità inversa tra l'età e l'impiego della terapia anticoagulante a prescindere dal grado di

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disabilità (misurato in termini di valutazione multidimensionale geriatrica, VMG). Le cause di questo problema sono radicate nel preconcetto che l'anziano sia, in ogni caso, un paziente fragile ad elevato rischio sia di cadute che di emorragie e che spesso, non sia aderente alla terapia. La valutazione di questi pazienti è complessa e l'introduzione di un piano terapeutico anticoagulante non può basarsi soltanto sull'impressione clinica o sull'età, ma deve avvalersi di strumenti razionali ed oggettivi da affiancare alla stratificazione del rischio emorragico e tromboembolico. La VMG è lo strumento adatto a questo scopo, permettendo di personalizzare sul singolo paziente un adeguato programma terapeutico.

Obiettivi dello studio:

Lo scopo di questo studio è quello di determinare la prevalenza della FA e dei suoi sottotipi in una popolazione di pazienti geriatrici ricoverati per patologia medica acuta; confrontare le caratteristiche di questa popolazione rispetto a quella in ritmo sinusale (RS); valutare l’outcome clinico in termini di sopravvivenza a breve e medio termine e determinare i fattori che hanno avuto un maggior peso sulla mortalità; valutare la prevalenza dell’adeguatezza prescrittiva, in termini di terapia anticoagulante, nei pazienti con FA anamnestica al momento dell’ingresso in reparto.

Materiali e metodi:

Questo è uno studio osservazionale prospettico in cui sono stati arruolati tutti i pazienti con età ≥ 65 anni ricoverati consecutivamente per patologia medica acuta presso la U.O. Geriatria Universitaria della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana da settembre 2014 a agosto 2016. Per ciascun paziente sono stati raccolti i dati demografici (età e sesso), i dati clinico-anamnestici, con particolare attenzione alla terapia domiciliare in termini di terapia anticoagulante orale, eparina a basso peso molecolare e/o terapia antiaggregante. Inoltre è stata eseguita la valutazione multidimensionale geriatrica (VMG) che ha preso in considerazione: la dipendenza attraverso l'indice delle attività quotidiane di Katz (ADL) e quello delle attività strumentali della vita quotidiana (IADL) di Lawton, lo stato cognitivo attraverso lo Short Portable Mental Status Questionaire (SPMSQ), gli indici di comorbidità e di severità attraverso il Cumulative Ilness Rating Scale (CIRS-C e CIRS-S).

La variabile ADL è stata categorizzata per valori compresi tra 0-2, 3-4 e 5-6; la variabile IADL è stata categorizzata per valori compresi tra 0-3, 4-6 e 7-8; per quanto riguarda la funzione cognitiva, la variabile SPMSQ è stata categorizzata per valori compresi tra 0-2, 3-5, e ≥6. Infine, il punteggio CIRS, non essendo distribuito normalmente è stato suddiviso in quartili. I dati così ottenuti sono stati inseriti nel database classificando i pazienti in due gruppi: quelli in ritmo sinusale e quelli con fibrillazione atriale. Quest'ultimi sono stati ulteriormente suddivisi in due sottogruppi: quelli con FA anamnestica e quelli con FA di nuova insorgenza (FA incidente), nei quali la FA è stata riscontrata per la prima volta all'ammissione in ospedale e/o durante la degenza. Nei pazienti fibrillanti è stata eseguita la stratificazione del rischio tromboembolico ed emorragico attraverso il CHA2DS2VASC score e l’HAS-BLED rispettivamente. Infine è stata ricercata la mortalità attraverso l'utilizzo del programma Gestione Sanitaria Territoriale (GST) nel corso del follow-up.

Risultati:

Nel presente studio sono stati consecutivamente arruolati 3529 pazienti, ricoverati con età ≥ 65 nella Unità Operativa di Geriatria Universitaria dell'AOUP, per patologia medica acuta. In particolare l'età media della popolazione globale è risultata 83,7±7,7 anni, con una maggior prevalenza del sesso femmine (femmine 55,5%, p<0.05). La prevalenza della FA in tutta la popolazione dello studio è stata del 33,74% . La FA risultava presente già all’anamnesi nell’84,5% dei casi, mentre è risultata di nuova insorgenza nel 15,7% dei casi e, nel 6,8% rappresentava il motivo del ricovero. La tipologia maggiormente rappresentata è stata quella permanente (66,1% dei

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casi); la forma parossista è stata rilevata invece solo nel 33,9% dei casi (p<0.05). I pazienti con FA, rispetto alla popolazione in ritmo sinusale, sono risultati più anziani (età media di 85,4±6.5 anni vs 82,8±8,2; p<0,05) e con carico maggiore di comorbidità (CIRS medio comorbidità 5,7±1,7 vs 4,8±1,8; CIRS medio severità 2.3±0,4 vs 2,1±0,4; p<0,05 per entrambi). La degenza media nei pazienti con FA si è mostrata superiore a quella dei pazienti in ritmo sinusale (6±2.6 nei pazienti con FA contro 5,6±2,6 nei pazienti in ritmo sinusale, p<0,05). I due gruppi di pazienti sono invece risultati sovrapponibili per quel che riguarda l’autonomia funzionale e lo stato cognitivo, delineando una popolazione con compromissione di grado moderato/severo. In particolare, la media delle attività quotidiane ADL risultava essere 2,8±2,4 (p>0,05) nei pazienti con ritmo sinusale e di 2,7±2,4 (p>0,05) in quelli con FA, mentre le IADL che sono risultate rispettivamente 2,6±2,8 e 2,4±2,7 (p>0.05). Infine, entrambe le popolazioni presentavano un grado di decadimento cognitivo moderato con una media al test SPMSQ di 4,7±3,7 per i pazienti in ritmo sinusale e di 4,6±3,5 in quelli con FA (p>0.05). Nella sotto-popolazione con FA anamnestica abbiamo calcolato la percentuale di pazienti che, al momento dell’ingresso, erano in terapia anticoagulante (warfarin e/o NAO e/o EBPM a dosaggio anticoagulante). Questa è risultata essere presente soltanto nel 50,5% dei pazienti. Nella sottopopolazione con FA è stata effettuata la stratificazione del rischio tromboembolico secondo il CHA2DS2VASC score, che ha mostrato come quasi la metà dei pazienti (49,4%) abbia un punteggio tra 4 e 5 (rispettivamente 25,2% e 24,2% mediana 5, media 4,8). È’ stato inoltre stratificato il rischio emorragico secondo lo score HAS-BLED: nel 40,2% della popolazione fibrillante è risultato essere 2 (mediana 2, media 2,1). La sopravvivenza nei pazienti in ritmo sinusale è risultata superiore a quella dei pazienti con FA (p<0.05), rispettivamente con una mediana di sopravvivenza di 24.3 mesi (C.I. 95%, 23.17-25.37) e 22.7 mesi (CI 95%, 21.12-24.24). I pazienti con un primo episodio di FA (FA incidente), risultano avere una mortalità minore rispetto ai pazienti con FA anamnestica (p<0.01). Sono state poi confrontate le caratteristiche di queste due sotto-popolazioni in termini di età, sesso, ADL, IADL, CIRS-S, CIRS-C, SPMSQ e durata media della degenza. Dall’analisi di confronto è emersa una differenza significativa per le IADL (FA incidente 2,6 ± 2,8 vs FA anamnestica 2,3 ± 2,6 p<0.05), per il CIRS-C (FA incidente 5,51 ± 2 vs FA anamnestica 5,76 ± 1,7 p<0.05) e per il sesso che è risultato essere femminile nel 69% dei pazienti con FA incidente contro il 56% nella FA anamnestica. Nei pazienti con FA gli scores di comorbidità e di severità (CIRS-C, CIRS-S) sono stati divisi in quartili e, per ognuno, è stata confrontata la mortalità. Questa è risultata correlata sia al grado di comorbidità che soprattutto al grado di gravità; in particolare all’aumentare della comorbidità e\o della gravità, la sopravvivenza si riduce significativamente (p<0.01). Inoltre, nella popolazione con FA, la compromissione sia nelle ADL che nelle IADL è risultata significativamente correlata con la mortalità (p<0.01). La variabile ADL è stata suddivisa per valori compresi tra 0-2, 3-4 e 5-6; mentre la variabile IADL è stata categorizzata per valori tra 0-3, 4-6 e 7-8. In entrami i casi la mortalità aumenta progressivamente man mano che ci spostiamo verso gradi di disabilità maggiori. Anche la funzione cognitiva (SPMSQ suddiviso in intervalli tra 0-2, 3-5 e ≥ 6) è stata associata ad un incremento di mortalità già a partire da un grado di demenza lieve(p<0.01). Per valutare quali fossero i fattori più importanti, in termini di correlazione, associati alla mortalità nei pazienti con FA, è stata eseguita un’analisi multivariata. I fattori inseriti sono stati: età, sesso, CIRS(quartili), ADL, IADL, SPMSQ La mortalità nella popolazione analizzata è risultata correlata con l’aumentare dell’età, del CIRS, e del grado di compromissione della funzione cognitiva (SPMSQ). Invece un punteggio ADL≥ 5 risulta protettivo.

Discussione e conclusione:

La presenza di FA è stata riscontrata in circa un paziente su tre ricoverato per patologia acuta e nella maggior parte di questa coorte (84,5%), era già nota all’anamnesi. La FA è risultata essere di nuova insorgenza nel restante 15,5% di cui, nel 6,7% dei casi, è stata il motivo del ricovero. La forma maggiormente presente di FA è stata quella permanente, presente in circa due terzi dei casi. La nostra osservazione si basa su una coorte con un grado moderato\severo di comorbidità e di severità

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(CIRS-S, CIRS-C), con una compromissione significativa delle funzioni intellettive misurate tramite il SPMSQ e una ridotta funzionalità nelle ADL e nelle IADL. Analizzando le caratteristiche dei pazienti con FA rispetto a quelle in ritmo sinusale emergono significative differenze per vari parametri clinici come messo in evidenza anche in altri studi. Infatti, in questo caso, la popolazione con FA è risultata più vecchia di quella in ritmo sinusale con una prevalenza maggiore del sesso femminile. I pazienti con FA hanno un indice di comorbidità e severità (CIRS-C e CIRS-S) maggiori rispetto a quelli in ritmo sinusale, dimostrando come questa coorte sia più complessa. Questo dato è in linea a quanto già riportato dallo studio ISAF, confermando la percezione comune che la popolazione con FA, oltre ad aumentare di numero nel tempo si associa ad un carico crescente di comorbidità e complessità. A questo si affianca un altro elemento emerso nel nostro studio che riguarda i giorni di degenza. Infatti i pazienti con FA restano ricoverati in ospedale, in media, un tempo superiore a quello dei pazienti in ritmo sinusale. È interessante notare che non siano emerse invece differenze significative nelle due popolazioni per quanto riguarda le attività residue di vita quotidiana ADL, IADL e la funzione cognitiva, suggerendo che, in generale, la popolazione anziana ricoverata per patologia acuta presenti un alto grado di compromissione della autonomia di vita. Per quantificare la prevalenza dei pazienti che beneficerebbero della terapia anticoagulante ma che ancora non sono in trattamento al momento del ricovero abbiamo, dapprima stratificato il rischio tromboembolico e quello emorragico nella coorte con FA, e successivamente è stata indagata la tipologia di terapia effettuata a domicilio. Secondo il CHA2DS2VASC score, tutta la popolazione analizzata aveva un punteggio maggiore di 1 e quasi la metà dei pazienti (49,4%%) ha presentato un valore tra 4 e 5, mentre secondo lo score HAS-BLED il 40,2% della popolazione ha mostrato punteggio di 2. Nonostante il significativo rischio tromboembolico di questa popolazione, la terapia anticoagulante era effettuata in poco più della metà dei pazienti con FA. Si è così messo in evidenza che un gran numero di anziani che potrebbero beneficare di questa terapia, non sia ancora in trattamento o stia seguendo una terapia con efficacia inferiore rispetto a quella dell’anticoagulante orale. Questi dati oltre a confermare che l’aderenza alle linee guida in termini di terapia anticoagulante negli anziani con FA sia ancora molto lontana dall’essere ottimale, ha anche evidenziato la tendenza di un over-use della terapia antiaggregante. Nella nostra analisi ci siamo limitati a considerare la prevalenza assoluta della terapia anticoagulante e non abbiamo stratificato la popolazione per classi di rischio, considerando che il campione in analisi ha almeno un CHA2DS2VASC di 1 e che quindi, in conformità con le linee guida attuali, beneficerebbe della terapia anticoagulante. La mortalità intraospedaliera globale è stata del 6,6% e, a distanza di 21 mesi (range 17.3-24.7), ha interessato poco meno della metà della popolazione (44.4%). È interessante notare come in entrambi le coorti (FA e RS) la mortalità nel periodo successivo alla dimissione (entro i 5 mesi circa), sia estremamente significativa interessando già quasi un quarto della popolazione inclusa nel follow-up. Questo dato mostra come l’evento acuto che ne ha causato il ricovero abbia probabilmente gravato in maniera drammatica sulla sopravvivenza di questi pazienti. Emerge inoltre che nella popolazione con FA la mortalità (per qualsiasi causa) è maggiore di quella dei pazienti in ritmo sinusale. Il dato ottenuto è coerente con quanto già emerso in altri studi presenti in letteratura, in cui risulta evidente come i pazienti fibrillanti siano soggetti ad una prognosi peggiore. Abbiamo poi confrontato la mortalità nella popolazione con FA incidente rispetto a quella con FA anamnestica. In questo caso la corte con minore sopravvivenza è quella con FA già nota in anamnesi. Alla luce di questo dato abbiamo confrontato le caratteristiche demografiche, cliniche e funzionali di queste due sotto-popolazioni. Le differenze significative sono risultate essere quelle nelle attività residue della vita quotidiana IADL, maggiormente compromesse nei pazienti con FA anamnestica e nel grado di comorbidità (CIRS-C), risultato maggiore sempre in quest’ultima coorte. Possiamo ipotizzare che oltre alle piccole differenze in termini si disabilità e comorbidità, la presenza di FA in anamnesi, associata al documentato under-treatment, possa avere un effetto prognostico negativo significativo. Approfondendo l’analisi sui fattori maggiormente implicati nell’incremento della mortalità nei pazienti fibrillanti, in generale, abbiamo effettuato un’analisi univariata considerando come variabili il CIRS-S e il CIRS-C (divisi in quartili), gli score ADL (categorizzata per valori compresi tra 0-2, 3-4 e 5-6) e IADL (categorizzata per valori

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compresi tra 0-3, 4-6 e 7-8) e lo score SPMSQ (categorizzato per valori compresi tra 0-2, 3-5, e ≥6). I risultati ottenuti sono emblematici di come all’aumentare della compromissione funzionale, cognitiva o delle complessità dei pazienti ci sia un corrispettivo aumento della mortalità, già evidente nel breve termine, come visto precedentemente. Infine nell’analisi multivariata abbiamo selezionato oltre all’età e al sesso, soltanto i fattori prognostici che riguardano lo stato funzionale del soggetto ovvero ADL, IADL, SPSMQ e gli score di comorbidità e di severità (CIRS). I fattori predittivi di mortalità sono risultati essere CIRS, ADL, IADL, SPSMQ e l’età. In particolare i pazienti a maggior rischio di morte sono quelli più anziani, con un maggiore grado di complessità, con ridotte capacità funzionali per le attività residue della vita quotidiana ADL. E’ interessante notare come per qualsiasi grado di demenza (SPQSM ≥ 3) vi sia un aumento della mortalità.

In conclusione, il nostro studio ha messo in evidenza che la mortalità nel periodo successivo alla dimissione (entro i 5 mesi circa), sia estremamente significativa interessando già quasi un quarto della popolazione in studio. Questo dato mostra come l’evento acuto che ne ha causato il ricovero abbia probabilmente gravato in maniera drammatica sulla sopravvivenza di questi pazienti. La FA ha una grande prevalenza nella popolazione anziana e si associa ad un maggior grado di complessità clinica che ne condiziona l’outcome. Nella popolazione in studio circa un terzo dei pazienti ha manifestato un’anamnesi positiva per la FA sia di tipo anamnestico che incidente. In circa la metà di soggetti con FA è stata riscontrata inappropriatezza prescrittiva nonostante il rischio trombo embolico elevato. I pazienti con FA presentano una prognosi quoad vitam peggiore a breve e medio termine rispetto ad una popolazione analoga (anziani ricoverati per patologia acuta) in ritmo sinusale. Inoltre, la popolazione con FA risulta più complessa rispetto a quella in ritmo sinusale. Infine la presenza di FA da tempo, le caratteristiche funzionali, cognitive e la complessità dei pazienti con FA sono fattori significativamente correlati con la mortalità. In generale questi dati suggerisco la necessità di intraprendere una terapia adeguata al fine di ridurre il rischio trombo-embolico in questa popolazione e migliorare conseguentemente la prognosi.

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1.0 INTRODUZIONE

1.1 La Fibrillazione atriale

1.1.1 Definizione:

La fibrillazione atriale è una tachiaritmia sopra-ventricolare caratterizzata da una rapida e disordinata attivazione elettrica degli atri e di conseguenza da un'inefficace contrazione atriale. (1) La risposta ventricolare varierà, sia in senso tachicardico che in senso bradicardico, in funzione delle caratteristiche del nodo atrioventricolare, delle altre vie di conduzione, dall’entità di attivazione del tono vagale e simpatico, dalla presenza o meno di circuiti di conduzione accessori e dall’effetto di eventuali farmaci concomitanti. (3)

Si verificherà quindi un controllo non ottimale del ritmo ventricolare, la perdita del sincronismo e della coordinazione atriale-ventricolare, la variabilità battito-battito del riempimento ventricolare e un'alterazione dell'attività del sistema nervoso simpatico (4,5).

La Società Europea di Cardiologia definisce le caratteristiche diagnostiche del tracciato elettrocardiografico della fibrillazione atriale:

 Intervalli R-R 'assolutamente' irregolari, in cui non si riconosce nessun pattern specifico (per questo prende a volte il nome di “arhytmia absoluta”);

 assenza dell’onda P, sebbene in alcune derivazioni (spesso in V1) si possa osservare un’attività elettrica atriale apparentemente regolare;

 La lunghezza del ciclo atriale, ovvero l'intervallo tra due attivazioni atriali (se visibile) è generalmente variabile e <200 ms (>300 bpm). (2)

1.1.2 Epidemiologia

La fibrillazione atriale è l'aritmia cardiaca più frequente. Lo studio Framingham ha messo in evidenza che circa un quarto dei soggetti (25%), di età superiore a 40 anni, senza distinzione di

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sesso, svilupperà la fibrillazione atriale nel corso della vita. (11)

I più importanti studi epidemiologici sulla fibrillazione atriale condotto nei paesi industrializzati e pubblicati tra la fine del 20th secolo e i primi anni del 21st stimano che la prevalenza della FA interessa lo 0.5% e l’1% della popolazione generale. (6,7)

Tuttavia, nell'ultima decade, è opinione comune che la prevalenza della FA sia aumentata considerevolmente come percepito dal numero di ospedalizzazioni, accessi al pronto soccorso e visite ambulatoriali per questa patologia. (7,8,9)

Questa sensazione è stata confermata da studi più recenti che mostrano come la FA nella popolazione generale adulta europea sia più che raddoppiata rispetto a quella di appena dieci anni prima, variando dal 1.9% in Italia, Islanda e Inghilterra al 2.3% in Germania fino al 2.9% in Svezia (figura 1) (10).

Figura 1: Prevalenza della FA in alcuni paese europei.

Si stima che negli Stati Uniti la prevalenza della fibrillazione atriale aumenti dello 0.3% per anno nella popolazione sopra i 65 anni fruitori del servizio Medicare, con una crescita assoluta del 4.5% (dal 4.1% all'8.6%) nel periodo compreso tra 1993-2007. (12,13,14,15,16,17).

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 il miglioramento delle terapie per patologia croniche cardiache e non;  l’invecchiamento della popolazione;

 la maggiore attenzione nel sospettare e diagnosticare la FA (18).

Nonostante questo incremento e la maggiore attenzione che si pone alla patologia, la sua reale prevalenza è ancora sottostimata perché, come è stato ben dimostrato, una discreta porzione dei casi (10%-25%) è asintomatico (18,19).

Molto probabilmente se la FA fosse ricercata attraverso un'attività rigorosa di screening, la sua prevalenza sarebbe riconosciuta al di sopra del 3% come stimato negli USA nel 2015(6,19).

La prevalenza della FA nei paesi in via di sviluppo è dello 0.6% per gli uomini e dello 0.4% per le donne. Nonostante questi valori siano significativamente minori rispetto a quelli dei paesi industrializzati, la FA resta comunque un potenziale problema per il sistema sanitario di queste nazioni. (20)

La prevalenza della FA varia a seconda del sesso e dell'età. Nei soggetti al di sotto dei 49 anni la FA è presente nel 0,12%-0,16%, in quelli tra i 60-70 anni nel 3,7%-4,2% ed infine in quelli sopra gli 80 anni nel 10%-17%. Inoltre è più frequente nei maschi con una ratio maschio: femmina di approssimativamente 1,2:1. Nonostante questo, la maggior parte dei pazienti affetti da FA è di sesso femminile, essendo le donne più longeve rispetto agli uomini. (12,13,14,15,16,17,20,21).

Minori informazioni sono invece disponibili sull'incidenza della FA. Lo studio Framingham del 1982 è stato uno dei primi lavori che ha investigato circa questo aspetto riportando un’incidenza globale della FA cronica, nei pazienti tra i 32 anni e i 65 sottoposti a controlli elettrocardiografici semestrali, del 2 per 1000 (22).

Soltanto pochi studi hanno successivamente analizzato questo problema, mostrando però risultati non facilmente comparabili tra loro a causa della mancanza di omogeneità nelle caratteristiche della popolazione presa in analisi; infatti nei vari studi condotti, sono stati scelti differenti limiti di età, diversi di tipi di FA analizzati (i.e. soltanto permanente o tutti insieme), differenti 'reservoir' di pazienti oppure diversi criteri di diagnostici.

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In ogni caso, da questi studi sembra che tra i beneficiari del Medicare USA al di sopra dei 65 anni, l'incidenza della FA non cambi sostanzialmente dal 1993 (27.3 per 1000 persone/anno ) al 2007 (28,3 per 1000 persone/anno ), e che sia comunque rimasta più elevata nei maschi (34 per 1000 persone/anno nei maschi contro 25 per 1000 persone/anno nelle donne), e più alta nella popolazione anziana (18,8 per 1000 persone/anno tra i 70-74 anni contro 53,9 per 1000 persone/anno in quelli tra 84-89 anni) (15).

Un altro studio USA condotto nella contea di Olmested su soggetti di età superiore a 18 anni ha riportato dati simili. L'incidenza della FA è aumentata solo lievemente dal 1980 (3,04 per 1000 persone/anno) al 2000 (3,68 per 1000 persone/anno) (23).

Gli studi condotti in Europa nell'ultima decade riportano un’incidenza della FA di 0,23 per 1000 persone/anno in Islanda, 0,41 per 1000 persone/anno in Germania e 0,9 per 1000 persone/anno in Scozia. (7,13,16).

Inoltre anche in Europa l'incidenza aumenta con l'età e cambia col sesso, anche se in maniera minore rispetto alla popolazione USA. Soggetti al di sopra dei 65 anni, scozzesi, tedeschi e statunitensi mostrano un’incidenza della FA di 4.7, 4.1 e 28.3 per 1000 persone/anno rispettivamente. più precisamente i soggetti tra i 65-74 anni mostrano un’incidenza del 3.2, 10.8 e 15.5 per 1000 persone/anno; e quelli tra i 75-84 anni mostrano un’incidenza del 6.2, 16.8, 33.5 per 1000 persone/anno. Questa marcata differenza può essere spiegata dal metodo usato per definire il primo episodio di FA: sulla base di dati amministrativi (classificazione incerta del tipo di FA sulla base dei codici di diagnosi derivanti dall’ International Classification Diseases, difficoltà

nell’identificare il primo episodio di FA) o sulla base di una storia documentata come in Scozia e Germania. (7,13,15)

1.1.3 Caratteristiche del paziente con FA

Studi osservazionali effettuati sulla popolazione generale o in pazienti ospedalizzati per FA, mostrano come la forma 'permanente' sia la quella più frequentemente diagnosticata. Si riscontra nel 40%-50% dei pazienti, seguita dalla forma parossistica e persistente (tra il 20% e il 30%

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ognuna) (10,24,25) Figura 2. Studi come 'ALFA' (Etude en Activité Libérale de la Fibrillation Auriculaire) (20) e 'ATRIUM' (OutpAtienT RegIstry Upon Morbidity of atrial fibrillation) (24) condotti rispettivamente in Francia e Germania, mostrano come la storia della FA sia lunga e gravata da recidive frequenti. Il tempo che intercorre tra il primo episodio di FA e la successiva valutazione del paziente per tale condizione è stato rispettivamente 47 ± 63 mesi e di 61 ± 66 mesi. Lo studio italiano ISAF (Italian Survey of Atrial Fibrillation management) ha mostrato che la storia di FA insorta da meno di un anno è presente soltanto nel 13% dei pazienti, con un 30% in cui ciò si è verificato dopo 5-10 anni ed in un 18% dopo 10 anni. In un 20% circa dei pazienti sono stati riscontrati almeno due episodi di FA nell'anno precedente di osservazione e, se si considerano gli ultimi 5 anni, questi superano il 70% (14,24,25,26).

La FA si accompagna spesso a sintomi di varia gravità, che possono anche essere refrattari alle terapie farmacologiche. Nonostante un adeguato trattamento le palpitazioni sono presenti nel 42%-55% dei pazienti, l'astenia nel 15%-49%, la dispnea nel 24%-49% e l'angina nel 10%-20%. In un restante 12%25% dei pazienti la FA è del tutto asintomatica. (14,24,25,26) I pazienti con FA permanente presentano più frequentemente dispnea o astenia e affaticamento, mentre quelli con FA parossistica presentano più spesso palpitazioni (24,26,27).

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Figura 2 Frequenza di tutti i tipi di FA (10)

Abbreviazioni: ATRIUM, OutpAtienT RegIstry Upon Morbidity of atrial fibrillation; ISAF, Italian

Survey of Atrial Fibrillation management; Euro Heart S, Euro Heart Survey; AFNET, Central Registry of the German Competence Network on Atrial Fibrillation; ATA-AF, AntiThrombotic Agents in Atrial Fibrillation; pts, patients; Parox, paroxysmal; Pers, persistent; Perm, permanent

L'alto tasso di recidive, di sintomi disabilitanti e sequele cliniche (stroke, scompenso cardiaco, introduzione di terapie antiaritmiche, complicanze farmaco correlate e le procedure interventistiche), contribuiscono enormemente all'utilizzo delle risorse del sistema sanitario.

In Italia la FA è causa del 1,5% degli accessi in pronto soccorso; in Germania il numero medio di ricoveri con una diagnosi AF è 0,24 per anno e il numero medio di visite ambulatoriali è 5,62 all'anno; in Scozia il tasso di consulti ambulatoriali per la FA è di 8 per 1000 persone/anno, spaziando tra 0,2 in soggetti con meno di 45 anni, fino a 62 per 1000 pazienti/anno in quelli tra i 74 e gli 85 anni. (7,8,13,14).

1.1.4 Condizioni cardiovascolari ed altre patologie associate alla fibrillazione atriale

Molte patologie cardiache e condizioni concomitanti aumentano il rischio di sviluppare la FA e le sue complicanze. La loro conoscenza e il loro trattamento è fondamentale per una migliore gestione del paziente (49). Esiste comunque una porzione di pazienti in cui, per il momento, non si riesce ad

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identificare nessun fattore di rischio (Lone Atrial Fibrillation). Questa percentuale varia tra il 5% e il 12% a seconda dei vari studi effettuati (i più recenti sono AFNET, Euro Heart Survey, REALISE) (32).

 L’età avanzata (35) aumenta il rischio di sviluppare FA, verosimilmente in seguito alla perdita e all’isolamento età-dipendenti di miocardio atriale e ai disturbi di conduzione associati;

 Ipertensione (35,47): è condizione concomitante più frequentemente associata alla FA con circa il 69% di prevalenza;

 Scompenso cardiaco (35): classe NYHA II-IV, presente nel 30% dei pazienti, esso può svilupparsi come conseguenza della FA (es. tachicardiomiopatia o scompenso nella FA di recente insorgenza), ma può anche esserne la causa per effetto di aumentate pressioni atriali e di un sovraccarico di volume, disfunzione valvolare secondaria o stimolazione neuro-ormonale cronica;

 tachicardiomiopatia deve essere sospettata in presenza di disfunzione VS accompagnata da un’elevata frequenza ventricolare in assenza di segni di cardiopatia strutturale. Viene confermata qualora si verifichi una normalizzazione o un miglioramento della funzione VS dopo adeguato controllo della frequenza o ripristino del ritmo sinusale;

 Valvulopatie (36,47): presenti nel 36% dei pazienti di cui solo il 3% è di origine reumatica. La FA secondaria ad ingrandimento atriale sinistro costituisce una manifestazione precoce di stenosi o insufficienza mitralica. Nel caso di patologia valvolare aortica, la FA si sviluppa in uno stadio più tardivo. Contrariamente a quanto avveniva nel passato, la FA da malattia reumatica è oggi relativamente rara in Europa;

 Cardiomiopatie (47): presenti nel 10% dei casi;

 difetti del setto interatriale (2) sono risultati associati alla FA nel 10-15% dei casi;  Altri difetti cardiaci congeniti (2) ;

(17)

 Disfunzione tiroidea (37,38) Recenti indagini hanno documentato che l’iper o l’ipotiroidismo sono relativamente poco frequenti nella popolazione con FA (47) ma la disfunzione tiroidea subclinica può contribuire all’insorgenza di FA;

 Obesità (35,39,47): Il 20% dei fibrillanti ha un BMI maggiore di 27.5 kg/m2;

 Diaberte mellito (35): presente in oltre del 20% dei pazienti, contribuisce al danno del miocardio atriale;

 BPCO (40) presente in circa il 10%-13% dei pazienti, rappresenta verosimilmente più un marker di rischio cardiovascolare in generale che un fattore predisponente specifico per lo sviluppo di FA;

 OSAS (41) specie se in presenza di concomitante ipertensione, diabete mellito o cardiopatia strutturale, può costituire un fattore fisiopatologico per l’insorgenza di FA in seguito all’aumento delle pressioni e dimensioni atriali e per le modificazioni del tono autonomico.  CKD (42): presente in un 15% dei pazienti con FA;

 Fumo (43,47): Aumenta il rischio di FA con l'aumento del numero di sigarette al giorno;  Alcool (44) ;

 Esercizio fisico vigoroso (45) ;

Nei pazienti con FA parossistica, le ospedalizzazioni sono maggiormente imputabili alla necessità di effettuare terapie farmacologiche antiaritmiche e all'effetto intrinseco pro-aritmogeno di queste. (12,3%) (27,28). Un terzo dei pazienti presenta inoltre almeno tre comorbidità; Un quarto e un quinto dei pazienti non presentano, rispettivamente, nessuna cardiopatia o comorbidità.

La ' Lone FA' definita sulla base dei criteri ESC, è presente in una minoranza dei casi (2%-12%) (7,14,21,29,30,25,26). I pazienti con FA parossistica sono più giovani e hanno meno frequentemente cardiopatie ed altre comorbidità rispetto a quelli con FA permanente (21,24,29,30).

1.1.5 Classificazione

Basandosi sulla presentazione, durata e cessazione spontanea degli un episodio di FA, la Società Europea di Cardiologia ha distinto 5 tipologie di FA:

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 FA di prima diagnosi: non è stata diagnosticata prima, indipendentemente della durata dell'aritmia o dalla presenza e dalla gravità dei sintomi FA-correlati;

 FA parossistica: termina spontaneamente, nella maggior parte dei casi in 48 ore. In altri casi l'episodio puo protrarsi fino ai 7 giorni, episodi cardiovertiti entro questo limite sono da consideratesi dovrebbero essere considerati parossistici;

 FA persistente: qualsiasi episodio che dura più di 7 giorni, anche quelli terminati con cardioversione.

 FA persistente di lunga durata: aritmie continue, con durata superiore ad un anno in cui viene adottata una strategia di controllo del ritmo

 FA permanente: condizione accettata dal medico e dal paziente in cui non è più possibile eseguire nessun tipo di cardioversione né controllo del ritmo. Nel caso in cui quest'ultimo venga intrapreso, l 'aritmia sarà riclassificata a FA persistente di lunga durata.

Nota: la distinzione tra FA parossistica e permanente è spesso scorretta senza la possibilità di utilizzare un monitoraggio elettrocardiografico a lungo termine. (49)

Per completezza citiamo altri due tipi di FA non incluse nella classificazione delle ESC 2016:  FA silente: si tratta di un’aritmia che può manifestarsi clinicamente con una delle

complicanze della FA come lo stroke o la tachicardiomiopatia, oppure riscontrata accidentalmente durante un ECG (31);

 Lone Atrial fibrillation: termine coniato nei primi anni 50 per descrivere un tipo di FA non imputabile a nessun fattore di rischio, viene detta anche idiopatica. Con il miglioramento delle capacità diagnostiche e il perfezionamento della strumentazione e delle conoscenze relative a questa patologia e alle patologie cardiache, la prevalenza della Lone Atrial Fibrillation si è ridotto in modo cospicuo nel tempo. Inoltre questo termine non è dirimente nella scelta terapeutica e nella gestione del paziente, perciò ad oggi, se ne sconsiglia l’utilizzo (32).

(19)

1.1.6 Fisiopatologia

1.1.6.1 Introduzione al sistema di conduzione del cuore

Il normale ritmo cardiaco, detto ritmo sinusale, è regolato dall'attività pacemaker del nodo del seno atriale. Questa struttura si trova nell'atrio destro in prossimità dello sbocco della vena cava superiore ed è in grado di dare origine, tramite la sua depolarizzazione e ripolarizzazione ritmica, a impulsi elettrici con una frequenza che normalmente sta tra i 60 e i 100 battiti al minuto.

L'impulso si diffonde al tessuto miocardico aspecifico dell'atrio di destra e tramite il fascio di Bechmann in direzione dell'atrio di sinistra, determinando quindi la contrazione di queste strutture. Nel contempo l'impulso raggiunge il nodo atrio-ventricolare e da qui si diffonde ai ventricoli tramite il fascio di His e le sue due diramazioni, la branca destra e la branca sinistra. Le due branche si diramano formando le fibre del Purkinje che permettono di condurre in maniera efficace, uniforme e sincrona il potenziale d'azione ai ventricoli generando così la sistole ventricolare.

In caso di fibrillazione atriale si perde il caratteristico ritmo sinusale in favore di un'attività elettrica atriale ectopica e caotica che coinvolge tutto il tessuto atriale con una frequenza al di sopra dei 300 battiti per minuto che risultano infine in una vera e propria asistolia atriale.

1.1.6.2 Meccanismi generali

La genesi della FA non è ancora del tutto nota a causa la sua complessità. In generale la FA si verifica quando sussistono alterazioni strutturali e/o elettrofisiologie a carico del tessuto atriale che generano e/o propagano potenziali d'azione. Queste anormalità sono causate da diversi meccanismi fisiopatologici. La FA è dunque il fenotipo comune per differenti percorsi e meccanismi non ancora del tutto chiari.

1.1.6.3 Rimodellamento della struttura atriale e della funzionalità dei canali ionici

Qualsiasi alterazione della struttura dell'atrio aumenta potenzialmente la suscettibilità per l'innesco della FA. Fattori stressogeni esterni come per esempio patologie cardiache, l'ipertensione, il diabete, l'invecchiamento ma anche la FA stessa, inducono un lento ma progressivo rimodellamento strutturale dell'atrio. L'attivazione dei fibroblasti, l'aumento della deposizione di collagene e la

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fibrosi sono le caratteristiche di questo processo (52,53,54). Inoltre, l'infiltrazione di grasso, l'infiammazione, l'ipertrofia dei miotici, la necrosi e la deposizione di amiloide sono stati trovati in pazienti con FA e, in molti casi, queste alterazioni strutturali sono presenti già prima dell'inizio dell'aritmia (55,56,57,58).

Il rimodellamento strutturale porta ad una dissociazione tra i fasci muscolari e alla disomogeneità della conduzione locale favorendo l'innesco e il mantenimento della FA.

L'aumento sia acuto che cronico delle pressioni di riempimento e del volume atriale contribuisce all’accorciamento del periodo refrattario relativo e all'attivazione dei canali ionici 'strech-sensitive' contribuendo alla dispersione disomogenea del fronte d'onda e favorendo l'innesco di multiple micro-correnti rientranti, quindi la FA (66).

Dopo la comparsa della FA, continua la serie di modificazioni elettrofisiologiche, funzionali e ultrastrutturali a carico dell'atrio. In particolare, nell'uomo, già nei primi giorni dall'insorgenza dell'aritmia, è stato documentato un accorciamento del periodo refrattario relativo in parte parte dovuto ad una down-regulation dei canali del calcio di tipo L ed una up-regulation dei canali del potassio 'inward rectifier’(49,64,65). E' inoltre presente un anomalo rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico che può innescare potenziali d'azioni spontanei in grado di generare FA.(49)

Il cambiamento sia strutturale che funzionale nel miocardio atriale e la stasi di sangue, specialmente nell'atrio sinistro, generano uno stato pro-trombotico. Per di più, anche episodi brevi di FA portano ad un danno del miocardio e all'espressione di fattori pro-trombotici sulla superficie endoteliale, all'attivazione piastrinica e delle cellule infiammatorie. Questa sistematica attivazione in senso coagulativo può parzialmente spiegare perché anche brevi episodi di FA possano essere un rischio a lungo termine di stroke (52,59,60,61,62,63).

1.1.6.4 Meccanismi elettrofisiologici

L’attivazione e il perpetuarsi di una tachiaritmia necessitano sia di un fattore di innesco che di un substrato per il suo mantenimento. Questi meccanismi non sono reciprocamente esclusivi ma possono coesistere in tempi diversi (2). Fino alla fine degli anni 80 la teoria più accreditata era

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quella delle 'onde multiple' secondo la quale la FA è il risultato di circuiti indipendenti che si propagano in modo del tutto caotico in entrambi gli atrii. Questi fronti d'onda interagiscono costantemente tra loro, ora frammentandosi e dando origine ad ulteriori onde d'attivazione, ora bloccandosi, diventando così numericamente inferiori. Un’altra teoria è quella dei 'meccanismi focali' in grado di generare e perpetuare la FA. Un piccolo numero di circuiti rientrati ad alta energia, di solito presenti in atrio sinistro, è in grado di prevalere sull'attività sinusale atriale innescando un ritmo disorganizzato e caotico. Il mantenimento della FA è favorito da un rallentamento della conduzione elettrica, dalla riduzione del periodo refrattario e dall'aumento della massa atriale (2,68,69).

La teoria più recente, che spiega le basi sottostanti alla terapia ablativa trans-catetere, si concentra sull'idea di un focus o pochi foci elettrici in grado di 'scaricare' rapidamente potenziali d'azione generando un’attività elettrica irregolare attraverso gli atri e quindi portando ad una conduzione fibrillante. Questi possono avere origine in varie strutture anatomiche cardiache: più frequentemente si localizzano in prossimità delle vene polmonari ma si trovano anche in altre aree come il setto inter-ventricolare, la parete degli atrii, il seno coronario e allo sbocco della vena cava superiore. Le proprietà elettrofisiologiche delle vene polmonari sono peculiari e possono più facilmente indurre e perpetuare tachiaritmie atriali. Le fibre muscolari in esse contenute sono caratterizzate da un periodo refrattario molto breve e da brusche variazioni della distribuzione spaziale. Nei pazienti con FA parossistica l’ablazione dei siti a frequenza dominante elevata, generalmente localizzati a livello della giunzione tra le vene polmonari e l’atrio sinistro, determina un progressivo prolungamento della lunghezza dei cicli e la conversione a ritmo sinusale, mentre nei pazienti con FA persistente i siti ad alta frequenza dominante sono sparsi dappertutto nell’atrio, rendendo più difficile la procedura di ablazione e la conversione a ritmo sinusale (2,70,73).

Un ulteriore fattore che gioca in sinergia con quelli precedentemente elencati è il sistema nervo autonomo cardiaco. Studi sperimentali su animali hanno dimostrato come sia l'aumento del tono simpatico che di quello parasimpatico contribuiscono all'innesco e al mantenimento della FA. In

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ogni caso pare che il sistema parasimpatico sia quello più coinvolto nell'innesco dell'aritmia, mentre l'ortosimpatico sia un fattore di mantenimento e di modulazione (70,78).

L'aumento del tono vagale stimola l'attività del sistema parasimpatico che innerva l'atrio. Queste fibre possono essere stimolate da alcune condizioni patologiche come lo scompenso cardiaco congestizio e l'insufficienza mitralica, condizioni notoriamente implicate nell'aumento delle pressioni di riempimento dell'atrio sinistro con conseguente stiramento parietale. Come già detto in precedenza questi fattori fungono da 'enhancment' per l'attività elettrica focale delle vene polmonari, diminuiscono la durata del periodo refrattario dell'atrio e predispongono alla genesi di impulsi anomali che possono innescare una FA (68,69,72).

1.1.6.5 Fattori genetici

I fattori genetici sono spesso associati ad insorgenza precoce di malattia (46) e molti dei casi passati di 'lone atrial fibrillation' sono stati poi riclassificati in questa categoria (32). Sono state identificate anche forme familiari di FA di cui ancora si conosce poco riguardo i geni implicati (33)

Si associano ad aritmie sopra-ventricolari, tra cui la FA, numerose patologie cardiache ereditarie come la sindrome del QT breve o lungo, la sindrome di Brugada, cardiomiopatia ipertrofica, forma familiare di pre-eccitazione ventricolare, ipertrofia ventricolare sinistra associata a mutazioni del gene PRKAG, forme familiari associate a mutazione del gene SCN5A che determina la perdita di funzione del canale cardiaco del sodio o mutazioni che inducono un aumento di funzione del canale del potassio ed altre a carico del gene che codifica per il peptide natriuretico atriale. Altri loci genetici mutati che si associano a FA sono quelli dei geni PITX2 e ZFHX3. (2,48,67,50,51).

1.1.7 Correlazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche della FA dipendono dalle alterazioni nella conduzione atrio-ventricolare, dai cambiamenti emodinamici e dall'aumento del rischio tromboembolico. Nei pazienti fibrillanti con un sistema di conduzione normale, in assenza di vie di accessorie o coinvolgimento del sistema His-Purkinje), il nodo atrio-ventricolare svolge la funzione di filtro che impedisce frequenze ventricolari eccessive. Sono proprio la refrattarietà intrinseca del nodo atrio-ventricolare e la

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conduzione occulta i principali meccanismi che limitano la trasmissione della conduzione atrio-ventricolare. Gli impulsi elettrici che giungono al nodo atrioventricolare, anche se non vengono trasmessi ai ventricoli, possono alterare la refrattarietà del nodo atrioventricolare rallentando o bloccando i successivi battiti atriali. Le fluttuazioni del tono simpatico o parasimpatico si traducono in una variabilità della frequenza ventricolare nelle ore diurne o durante attività fisica (2).

I principali fattori che determinano alterazioni emodinamiche comprendono la perdita della contrazione atriale sinistra sincrona, elevate frequenze ventricolari, irregolarità della risposta ventricolare ed una diminuzione del flusso ematico miocardico nonché alterazioni alterazioni a lungo termine come la cardiomiopatia atriale o ventricolare. La perdita acuta della funzione contrattile dell'atrio sinistro che consegue alla FA determina una riduzione della gittata cardiaca dal 5% al 15%, e si accentua ancora di più nei pazienti con ridotta compliance ventricolare in cui la sistole atriale contribuisce in modo significativo al riempimento ventricolare. Inoltre, nel caso di elevate frequenze ventricolari, si riduce il tempo di diastole con ulteriore riduzione della portata cardiaca e della perfusione miocardica (per riduzione del flusso coronarico dovuto ad una ridotta diastole). Valori persistentemente elevati di frequenza ventricolare al di sopra dei 120-130 battiti/min possono causare tachicardiomiopatia ventricolare (74).

Il rischio tromboembolico nel paziente fibrillante sottende a vari meccanismi fisiopatologici. Le anomalie del flusso sanguigno sono evidenziate dalla stasi atriale, da una ridotta velocità di flusso, soprattutto in auricola sinistra. Inoltre, come discusso precedentemente, si verificano alterazioni endocardiche: dilatazione, alterazioni endoteliali e infiltrazione edematosa/fibrosa della matrice extracellulare. Infine l’alterazione della componente ematica è ampiamente descritta in letteratura e comprende l'attivazione emostatica e piastrinica nonché le anomalie infiammatorie e l'alterata produzione dei fattori di crescita. Nel 90% dei casi la sede più comune di formazione di trombi è proprio l'auricola sinistra (75).

1.1.7.1 Sintomatologia

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Sperimentano una varietà di sintomi tra i quali: letargia, palpitazioni, dispnea, senso di oppressione toracico, difficoltà a dormire, ansia, ridotta tolleranza allo sforzo e facile affaticabilità, vertigini, sincope (76,77,78,79,80).

In alcuni casi la prima manifestazione della FA può essere un evento tromboembolico acuto. Il miglioramento della qualità di vita è stato dimostrato sia con la terapia farmacologica che con terapie interventiste (81,82,83,84,85), ma mancano ancora dati esaustivi su quale trattamento sia più efficace (76,86).

Per quanto riguarda la valutazione dei sintomi, EHRA ha suggerito una tabella per descriverne la gravita. Nel 2014 è stata proposta una modifica suddividendo la classe 2 in 2a e 2b. Quest'ultima identifica i pazienti nei quali un controllo del ritmo può portare effettivo beneficio, fornendo quindi uno strumento migliore per la scelta terapeutica. (Tabella 1) (49)

Tabella 1: Scala dei sintomi EHRA modificata

EHRA score Modificata Sintomi Descrizone

1 Nessuno FA asintomatica

2a Lievi Attività quotidiana non compromessa dai sintomi

relativi alla FA

2b Moderati Attività quotidiana non compromessa dai sintomi

relativi alla FA, ma il paziente è turbato dai sintomi

3 Gravi L'attività quotidiana è compromessa dai sintomi

relativi alla FA

4 Disabilitanti Interruzione della normale attività quotidiana

Note:2a e 2b possono essere differenziati dalla valutazione di quali pazienti sono funzionalmente

(25)

Mentre in un 25%-40% dei pazienti con FA si riscontrano minimi sintomi o addirittura nessuno, in un 15%-30% le manifestazioni sono gravi e disabilitanti. La scala EHRA dovrebbe essere utilizzata per guidare il trattamento orientandosi sulla gravità dei sintomi (49).

1.1.8 Diagnosi

Un ritmo irregolare deve far sempre sospettare la presenza di FA, ma per formulare la diagnosi è necessario eseguire un ECG. Qualsiasi aritmia che presenti le tipiche caratteristiche ECG di una FA e che sia di durata sufficientemente lunga da consentire la registrazione di un ECG a 12 derivazioni o di un tracciato di almeno 30s deve essere classificata come FA (94,95).

La gestione iniziale del paziente con FA sospetta o certa deve basarsi su un’approfondita anamnesi, un'attenta valutazione clinica che deve comprendere la determinazione dello score EHRA, la stima del rischio di ictus e la ricerca di condizioni predisponenti o delle complicanze. L' ECG a 12 derivazioni deve mirare inoltre a identificare segni di cardiopatia strutturale (es. infarto miocardico acuto o pregresso, ipertrofia VS, blocco di branca o pre-eccitazione ventricolare, segni di cardiomiopatia, ischemia) (2).

In alcuni casi di FA parossistica si può ricorrere ad un controllo elettrocardiografico Holter delle 24 ore o di 7 giorni. (178).

Gli esami di laboratorio da richiedere sono l'emocromo completo, la funzionalità tiroidea, creatinina sierica, proteinuria, misurazione della pressione arteriosa, test per il diabete (glicemia a digiuno come primo esame) e il profilo lipidico. Le indagini strumentali comprendono l'ecocardiografia sia trans-esofagea che trans-toracica e l'RX torace. L'ecografia trans-toracica può mettere in evidenza alterazioni strutturali cardiache e del flusso ematico. L'eco trans-esofagea è l'esame d'elezione per l'identificazione di trombi all'interno dell'atrio sinistro, specialmente in auricola, e da informazioni sull'eventuale riduzione del flusso ematico a questo livello. L'RX torace può fornire informazione sull'ingrandimento dell'aia cardiaca e sulla congestione del circolo polmonare (2,96,108).

1.1.9 Storia naturale, e mortalità nel paziente anziano

(26)

prolungati. Con il passare degli anni, molti pazienti sviluppano forme sostenute di FA, mentre solo una minoranza di pazienti senza condizioni predisponenti continuano a manifestare FA parossistica per decenni (2-3%dei pazienti affetti da FA) (87). La distribuzione delle recidive di FA parossistica non è casuale ma a cluster (95). In ciascun paziente, il carico della FA può variare in modo considerevole nel corso dei mesi se non degli anni. (95) I casi di FA asintomatica sono piuttosto frequenti persino nei pazienti sintomatici, a prescindere dalla presentazione iniziale, sia essa di natura persistente o parossistica. Questo aspetto ha delle rilevanti implicazioni per ciò che attiene alla decisione di continuare o interrompere terapie volte a prevenire le complicanze correlate alla FA (2).

Tutto ciò che è stato trattato fin'ora è ancora più vero nel paziente anziano, infatti la FA è una fonte significativa di morbilità e mortalità poiché si associa ad un aumento di incidenza di stroke cardioembolico (97-100) e cardiomiopatie. Anche la qualità della vita è fortemente compromessa dalla presenza dei sintomi discussi nel paragrafo precedente e dalle comorbidità spesso multiple nei pazienti anziani (89). La FA si è dimostrato un fattore indipendente per lo sviluppo di deterioramento cognitivo e di demenza (23,88), ed è fortemente associato a morte prematura (70). A tal proposito lo studio di Framingham dimostra come i soggetti con FA abbiano una riduzione marcata della sopravvivenza rispetto a quelli liberi da malattia. Lo studio prende in considerazione una coorte di pazienti di età compresa tra i 55 e i 94 anni calcolando una Odds Ratio per la mortalità nei fibrillanti di 1.5 per i maschi e di 1.9 per le donne. La FA è quindi da considerarsi un fattore indipendente per la mortalità (90).

A conferma di questo lo studio di Copenaghen mostra come la probabilità di morte nei fibrillanti sia maggiore, da 1.3 a 2.2 volte negli uomini e dalle 2 alle 4 volte nelle donne rispetto alla popolazione generale (91).

Infine lo studio AFFRIM ha riportato una mortalità a 5 anni dei pazienti di età > 65 anni con FA di circa il 4.5% per anno (92) di cui il 50% per un evento cardiovascolare (soprattutto ictus o compenso cardiaco) (93).

(27)

1.2 Le principali complicanze della fibrillazione atriale

1.2.1 Ictus

L' Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’ictus come l'improvvisa comparsa di segni e sintomi riferibili ad un deficit delle funzioni cerebrali (focali o globali), di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibile ad altra causa apparente se non a mancanza di irrorazione del sangue in alcune parti del cervello.

Lo stroke rappresenta la seconda causa di morte mondiale e la terza nella maggior parte dei paesi occidentali ed è la prima causa in assoluto di disabilità nell’adulto (100).

Esistono due tipi di ictus, quello ischemico e quello emorragico. Il primo è quello più frequente contando circa il 67-81% di tutti i casi, mentre l'emorragia intracerebrale e subaracnoidea si presentano rispettivamente il 7-20% e 1-7% delle volte. In 2-15% dei casi di stroke non è possibile stabilirne la natura (101).

È ormai assodato che la FA sia uno dei fattori di rischio maggiore per l’ictus ischemico, aumentando il rischio di ben 5 volte rispetto ai non fibrillanti;(97,98,99) tale rischio aumenta con l'aumentare dell'età passando dal 4.6% nei pazienti tra i 50 e i 59 anni fino al 20.2% in quelli tra gli 80-89 anni (102).

I meccanismi patogenetici alla base dello stroke nella FA sono diversi e in accordo con la triade di Virchow, ed includono la stasi di sangue in atrio sinistro, la disfunzione o il danno endoteliale (correlate ad alterazioni strutturali come per esempio la stenosi mitralica) e l'alterazione della coagulazione e della fibrinolisi (in senso pro-coagulante per attivazione anomala dei fattori piastrinici) (75).

Sono molte le revisioni sistematiche che hanno esaminato i fattori di rischio per lo stoke correlato a FA (103,104).

(28)

indipendenti sono:

 Anamnesi positiva per stroke o attacco ischemico transitorio  Aumento dell'età

 Ipertensione  Diabete mellito

In questo studio non sono risultati essere fattori predittivi indipendenti né lo scompenso cardiaco né la coronaropatia, così come il sesso femminile non è risultato associato in modo significativo allo stroke.

Altre revisioni sistematiche che hanno incluso ampi studi osservazionali di coorte hanno invece messo in evidenza come la patologia vascolare ed il sesso femminile rappresentino dei fattori di rischio per lo stroke correlato alla FA (105).

In una meta-analisi di 17 importanti studi è stato riscontrato un aumento del rischio di stroke nel sesso femminile di 1.31 volte (95% CI, 1.18-1.46), e tale rischio prevaleva rispetto al maschio anche nelle popolazioni in terapia anticoagulante (103).

Un'altra revisione sistematica identifica anche la patologia aterosclerotica come fattore di rischio per lo stroke nei pazienti fibrillanti. L'arteriopatia periferica è risultata aumentare significativamente il rischio di stroke di circa 1.3-2.5 volte, così come la presenza di placche sull'aorta discendente e l'anamnesi positiva a pregresso infarto miocardico si sono dimostrate essere fattori di rischio indipendenti per lo stroke nei pazienti con FA (107,108).

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato come nell'anziano con FA l'incidenza dello stroke sia esponenzialmente aumentata (109,110).

Uno di questi lavori, condotto su 3064 pazienti con stroke tra il 1985 e il 2006, ha evidenziato come l'incidenza della FA aumenti in proporzione all'età passando da 28 casi su 100000 persone/anno negli uomini tra i 50 e i 60 anni ai 216/100000 persone/anno in quelli al di sopra di 80. Inoltre le donne in età avanzata risultano più colpite degli uomini e la percentuale di eventi cardioembolici sul totale degli stroke ischemici è risultata essere del 18.7% (110).

(29)

Nella coorte tra gli 80 e gli 89 anni gli stroke associabili ad eventi cardioembolici indotti dalla FA arrivano fino al 23.5% (109).

Infine viene mostrato come i pazienti con stroke associato a FA siano più vecchi rispetto a quelli con stroke ischemico da altre cause (80.6 vs 79.6 anni) (109).

Nello studio 'Adelaide Stroke Incidence Study' ben il 42% degli stroke ischemici era di natura cardioembolica. La popolazione presa in analisi in questo caso era più anziana di quella dei precedenti: questi dati confermano da un lato la stretta correlazione tra FA e stroke e dall'altra come questa aumenti con l’età (111).

Lo studio di registro European Community Stroke Project (112), condotto in 7 paese della Comunità Economica Europea (CEE), ha arruolato 4462 pazienti con un primo episodio di ictus ischemico. Confrontando le caratteristiche pre-stroke di questa coorte, i pazienti con FA risultano essere più vecchi (77.3±9.6 vs 70.6±12.9), più spesso di sesso femminile (57.9% vs 48.5%) e con anamnesi positiva per infarto miocardico (14.1% vs 10.2%). La FA è stata riscontrata in poco meno del 20% dei pazienti totali. Le condizioni cliniche dei pazienti fibrillanti al momento di massima compromissione erano più gravi rispetto agli altri. In particolare nei pazienti con FA hanno sviluppato più spesso Delirium (39% vs 27%), coma (12,3% vs 7,6%), paralisi (51.4% vs 36,6%), afasia (41.8% vs 30.3%), disartria (35% vs 32.2%), disfagia (40.3 vs 23.6%) ed incontinenza urinaria (54.6 vs 38.7%). In accordo con questi dati, lo stroke cardioembolico, rispetto a quello ischemico, ha comportato una maggiore mortalità, sia in fase acuta (19% vs 12,7%, p< 0.001), a 28 giorni (19,1% vs 12%), a 3 mesi (32.8 vs. 19.9%, p < 0.001) e a lungo termine (2 anni: 57 vs 31%, p <0.001) (112,110) e un aumento di rischio di disabilità e dipendenza nelle attività di base della vita quotidiana (ADL) e di conseguenza una maggiore necessità di istituzionalizzazione in residenza sanitaria assistenziale (112).

Nei pazienti con FA il circolo anteriore cerebrale e quello parietale sono stati più frequentemente interessati rispetto ai non fibrillanti e si caratterizzano più spesso dalla presenza di lesioni multiple, più ampie e spesso bilaterali (112,113).

(30)

Anche gli stroke di natura indeterminata (stroke criptogenetico) hanno un’incidenza progressivamente crescente in relazione all'aumentare dell'età, tanto da costituire, nella popolazione al di sopra dei 75 anni, la seconda causa di stroke dopo quella cardioembolica (111).

Utilizzando un dispositivo impiantabile (Reveal) con un algoritmo dedicato al riconoscimento della FA è stato possibile investigare i pazienti con stroke apparentemente criptogenetico. Lo studio ha mostrato come il 25% degli eventi ischemici era correlabile con una potenziale causa tromboembolica, per il riscontro di episodi di FA precedentemente non diagnosticati con i metodi standard. In media il primo riscontro di FA è stato dopo circa 48 ore dall'impianto del dispositivo in un range di 154 giorni. La durata media della prima aritmia è stata di circa 6 minuti e la sua presenza era significativamente associata al punteggio CHADS2, al numero globale di aritmie sopraventricolari, alle dimensioni dell'atrio sinistro e alla presenza di blocco interatriale (114). In uno studio più recente, condotto su 464 pazienti al di sotto di 60 anni con diabete mellito di tipo II, si è effettuato un monitoraggio ripetuto con ECG-holter di 48h e un successivo follow up a 37 mesi. La prima scoperta rilevante è che i pazienti con diabete mellito di tipo 2 e più giovani di 60 anni senza FA hanno comunque una significativa incidenza di brevi episodi di FA subclinica.

La seconda scoperta è stata che la presenza di questi brevi episodi di aritmia si associa ad un aumento del rischio di infarti cerebrali silenti rilevabili alla RMN e, allo stesso modo, la durata dell'aritmia si correla anche al numero e all'estensione delle lesioni ischemiche. Alla fine del periodo di follow-up il 17.3% dei pazienti con FA subclinica ha sviluppato stroke, contro il 5.9% del gruppo senza aritmie rilevate dall' ECG-holter, confermando ulteriormente la correlazione tra FA e stroke (115).

1.2.2 Demenza

La demenza ha profondi effetti sull'autonomia personale, sui costi sanitari (117) e sulla complessità della gestione del paziente. Sia la FA che il declino cognitivo sono strettamente associati con l'invecchiamento. Come supportato da recenti studi la FA è un fattore di rischio per la demenza incidente indipendentemente dal verificarsi o meno di uno stroke clinicamente manifesto

(31)

(116,118,119).

Lo studio di Rotterdam, analizzando una coorte di 6584 pazienti tra i 55 e i 106 anni, ha messo in evidenza una forte correlazione tra la FA e il decadimento cognitivo. In questa associazione non vengono considerati i pazienti che hanno avuto uno stroke. Nei pazienti fibrillanti la prevalenza della demenza era del 13% e quella del 'mild cognitive impairment' era del 6% contro il 2.1% dei non fibrillanti. L'Odds Ratio, corretta per età e sesso nei pazienti fibrillanti era di 2.3 [95% CI, 1.4 to 3.7] e 1.7 [95% CI, 1.2 to 2.5] per la demenza e il 'mild cognitive impairment’ rispettivamente (120).

In un altro studio effettuato in Minnesota su 3484 pazienti (età 73 ± 14, 52% maschi), la prevalenza della demenza nel gruppo dei non fibrillanti di età compresa tra 80 e 84 anni, è di 28.1 per 1000 persone/anno nei maschi e del 24.7 per 1000 persone/anno nelle donne contro quella dei fibrillanti del 58,3 per 1000 persone/anno nei maschi e 55,8 per 1000 persone/anno nelle donne (121).

Qualche anno dopo il 'Cardiovascular Health Study', condotto su 5888 al di sopra dei 65 anni con anamnesi negativa per stroke, si è posto come obiettivo quello di dimostrare come la il declino cognitivo proceda più rapidamente nei pazienti fibrillanti rispetto alla popolazione libera dal'aritmia. Durante un follow up medio di 7 anni, si è visto come il declino cognitivo proceda più velocemente dopo il primo episodio di FA rispetto a prima che questa venga identificata. Il punteggio del Mini Mental State Examination modificato si riduceva progressivamente, come atteso all'aumentare dell'età, ma nei pazienti con FA, a partire dai 75 anni, accelerava rispetto a quanto previsto (116). Questi risultati sono in linea con un altro studio che ha analizzato una popolazione di 3045 con caratteristiche sovrapponibili a quello precedente (anamnesi negativa per stroke, età superiore a 65 anni), ottenendo come risultato che l'incidenza della demenza passa da 25.1 in assenza di FA a 47.9 casi per 1000 persona/anno in presenza di FA (123).

Oltre allo stroke cardioembolico come causa di demenza, esistano altri meccanismi patologici in grado di sostenere il declino cognitivo nei pazienti con FA. Un primo elemento da analizzare è l'aumento del rischio degli infarti cerebrali silenti come epifenomeno di microembolizzazioni

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