1.4 P REVENZIONE DEL TROMBOEMBOLISMO SISTEMICO
1.4.4 La terapia anticoagulante nel paziente anziano
Tra tutti i pazienti con FA, gli anziani rappresentano un gruppo che nella quasi totalità dei casi è ad elevato rischio tromboembolico e che è quindi meritevole di terapia anticoagulante.
Non a caso, l'età, intesa come fattore di rischio trombotico, è stata col passare del tempo, sempre più enfatizzata negli scores clinici più importanti. Dapprima faceva parte del CHADS2 score, in cui si attribuisce 1 punto per l'età > 75 anni e, successivamente, nello score CHA2DS2VASC, in cui assume un peso maggiore rispetto al precedente attribuendo 1 punto per età compresa tra i 65 e i 74 anni, e 2 punti se >75 anni. (147)
Nonostante diversi studi, tra cui il BAFTA (198) e ATRIA (6), abbiamo messo in evidenza come la terapia anticoagulante orale sia molto efficace nella prevenzione degli eventi tromboembolici nell'anziano, questi restano una popolazione 'sotto trattata'.
In uno studio del 2016, Mazzone et al., indagano sull'utilizzo della terapia anticoagulante nei pazienti con FA ricoverati presso la loro UO di Geriatria durante un arco di tempo di 18 mesi. Circa la metà dei pazienti studiati erano in terapia anticoagulante orale, meno di un terzo erano in terapia antiaggregante e la restante porzione riceveva o eparina a basso peso molecolare o nessuna terapia. Il 'rate' di utilizzo della terapia anticoagulante orale nei pazienti presi in carico dallo studio conferma come l'aderenza alle linee guida internazionali non sia ancora ottimale. (232)
Questi dati sono in accordo con studi precedenti che mostrano come, di tutta la popolazione eleggibile per la terapia anticoagulante, solo il 30-60% riceva tale trattamento. (25,234,235)
In uno studio retrospettivo inglese su una coorte di 81381 pazienti di età ≥ 60 anni con una diagnosi di FA di nuova insorgenza, viene mostrato come i pazienti con età ≥ 80 anni (che rappresentano il 42% dell'intera popolazione presa in analisi), siano trattati significativamente meno con VKA rispetto ai più giovani. Nel dettaglio soltanto il 32% dei pazienti di età ≥ 80 anni ricevevano il warfarin dopo la diagnosi di FA, contro il 57% dei pazienti di età compresa tra 60-69 anni e il 55% di età tra 70-79 anni. (233)
Anche nello studio italiano REPOSI viene analizzato il concetto del 'under-treatment' nel paziente anziano. Nella coorte studiata da Proietti et al., i pazienti fibrillanti erano il 22% del totale (558 su 2535 pazienti), di età compresa tra 76 e 90 anni e con un CHA2DS2-VASc medio di 4 (il 99.3% dei fibrillanti era ad alto rischio di eventi tromboembolici). Basandosi sulle 'Linee Guida ESC 2012', soltanto il 41% dei pazienti era effettivamente trattato in modo adeguato con l'anticoagulante orale. Da questo studio si evince che quasi il 60% di pazienti italiani anziani con FA sia gestito in maniera non consona alle linee guida per quanto riguarda la terapia anticoagulante. Infatti secondo i dati dello studio, i fattori clinici più associati a questa mancanza sono primariamente l'età avanzata seguita dalla storia di scompenso cardiaco, dalla CAD e dalla l'arteriopatia periferica. (236)
Seppur i pazienti più anziani siano risultati meno trattati, nei due sottogruppi in questione (trattati e non), non risultano esserci differenze significative in termine di stato funzionale nella valutazione multidimensionale geriatrica (236).
In questo studio l'aderenza alle linee guida della terapia anticoagulante nei pazienti con FA è minore rispetto ai vari reports precedenti. (237,238)
Nello studio pilota EORP-AF (EURObservationalResearchProgramme) l'aderenza alle linee guida è del 60.6% e si associa ad un significativamente migliore outcome per quanto riguarda mortalità e tromboembolismo.(237) Questo 'gap' tra i due studi è probabilmente relativo alla diversità delle popolazioni analizzate: in quello italiano sono stati inclusi pazienti più anziani, ospedalizzati nei reparti di medicina interna e geriatria, mentre nel secondo, oltre ai pazienti ricoverati, sono stati inclusi anche pazienti ambulatoriali.(236).
A questi lavori si aggiunge lo studio BALKAN-AF che riporta come l'aumento dell'età sia inversamente proporzione alla prescrizione della terapia anticoagulante e direttamente proporzionale alla prescrizione della terapia antiaggregante. (239)
Ma quali sono le ragioni che stanno dietro a questo 'under-treatment' nel paziente geriatrico?
La decisione del medico gioca sicuramente un ruolo centrale e, in quasi la metà dei casi, la terapia con warfarin viene interrotta\non somministrata per sua scelta (249). Questa decisione spesso viene dettata dalle preoccupazioni per la sicurezza del paziente, che includono specificamente fragilità dello stesso e il suo rischio di caduta, l'alto rischio di sanguinamento, l'ospedalizzazione per emorragia (240), ma anche dall'idea del medico di una scarsa compliance per il trattamento (241). Anche il rifiuto o le preoccupazioni del paziente (o del 'caregiver') per la terapia condizionano l'aderenza al trattamento (249).
L'impressione clinica può risultare ingannevole se non supportata da una valutazione oggettiva, sopratutto nell'anziano. In questo tipo di pazienti oltre all'utilizzo degli score per la stratificazione del rischio trombotico ed emorragico dovrebbe essere sempre integrata la valutazione multidimensionale geriatrica (VMG). La VMG è un processo diagnostico multidimensionale – e quindi interdisciplinare – finalizzato alla quantificazione dei problemi medici, psicosociali e della capacità funzionale dell’individuo anziano con l’intento di giungere ad un piano globale di terapia e follow-up a breve e a lungo termine (243).
Questo strumento risulta quindi essere fondamentale per contestualizzare il paziente anziano con FA e provvedere alla sua necessità di una corretta terapia anticoagulante, indirizzando le scelte del medico sulla base di riscontri oggettivi piuttosto che sulle percezioni.
Quindi, per essere efficace, la terapia deve essere personalizzata sul paziente e combinare l'efficacia nel prevenire lo stroke, la sicurezza, la tollerabilità e una buona aderenza al regime terapeutico. A tale proposito i nuovi anticoagulanti orali rappresentano un'importante vantaggio terapeutico nel trattamento di questi pazienti perché non necessitano di un monitoraggio costante, hanno meno interazioni farmacologiche o con la dieta, un profilo farmacocinetico e dinamico più prevedibile e una riduzione del rischio di emorragie intracraniche (240,244).