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1.4 P REVENZIONE DEL TROMBOEMBOLISMO SISTEMICO

1.4.3 La terapia anticoagulante orale (TAO)

La prevenzione dello stroke e degli eventi tromboembolici nei pazienti con FA viene svolta dalla TAO. Attualmente esistono varie tipologie di farmaci con diverse farmaco-cinetiche e farmaco- dinamiche che adempiono a questa funzione, in particolare i farmaci in questione sono gli antagonisti della vitamina K (VKA) e i nuovi anticoagulanti orali (NAO), di recente introduzione (177).

1.4.3.1 Antagonisti della vitamina K (VKA)

La terapia con inibitori della vitamina K come il warfarin è altamente efficace nel ridurre la mortalità e la morbilità correlate ad eventi tromboembolici nei pazienti con FA (177).

Nonostante questo, mantenere un'aderenza alla terapia, soprattutto a lungo termine resta una sfida importante. Infatti, molti fattori tra i quali la necessità di un frequente monitoraggio dell’INR, il range terapeutico stretto, l'interazione con molti farmaci e con la dieta, possono contribuire al fallimento o all'interruzione della terapia (185).

Gli antagonisti della vitamina K, comunemente utilizzati, derivano dalla 4-idrossi-cumarina e includono: warfarin, fenprocumone e acenocumarolo (186).

Questi farmaci sono indicati nella profilassi del tromboembolismo venoso e nel trattamento della trombosi venosa profonda, dell'embolia polmonare e della fibrillazione atriale, dell’infarto

miocardico, dell’ictus tromboembolico e della sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (188).

Il meccanismo di azione di questi farmaci consiste nell'inibizione della Vitamina K epossido reduttasi, enzima che ha la funzione di catalizzare una reazione NADH dipendente che ossida la vitamina K. Questa funge poi da cofattore per la γ-carbossilazione di molti fattori della coagulazione (pro-trombina, fattore VII, IX, X e proteina C e S) rendendoli maturi. I fattori sono quindi bloccati ad uno stadio immaturo e sono biologicamente inattivi.

La latenza dell'effetto anticoagulante dipende dall'emivita dei fattori della coagulazione preformati che è di 6, 24, 54, e 60 ore per i fattori VII, IX. X e II rispettivamente (188).

Non tutti i soggetti rispondono allo stesso modo ai VKA, poiché il gene che codifica per la vitamina K-epossido reduttasi ha dei polimorfismi (189).

Per queste ragioni le dosi giornaliere di farmaco per ottenere un grado di anticoagulazione efficace ed atteso sono diverse da paziente a paziente. Per monitorare il range terapeutico si utilizza l'Interantional Normalized Ratio o INR che ci dà informazioni su sul grado di coagulabilità del sangue, in particolare sulla via estrinseca. L'intervallo ideale deve essere mantenuto nel range di 2.0 e 3.0 in quanto è proprio qui che otteniamo un livello di scoagulazione ottimale nella profilassi tromboembolica della FA (49).

Piccole variazioni in un senso o nell'altro comportano aumenti esponenziali del rischio trombotico ed emorragico, rispettivamente (190).

Il rischio di sanguinamento è maggiore nei primi 90 giorni di terapia, nei pazienti con età > 65 anni ed aumenta all'aumentare di questa e nel caso di un INR mal controllato (INR>3).

Le emorragie si dividono in maggiori e minori, tra le prime ci sono quelle intracraniche, retroperitoneale, sanguinamenti intraoculari, l'ematoma muscolare spontaneo associato a sindrome compartimentale, emorragie che necessitano di intervento chirurgico o manovre invasive e qualsiasi sanguinamento attivo da un orifizio che determini una riduzione della pressione arteriosa sistolica sotto i 90 mmHg, oliguria e riduzione dell’emoglobina di 2 punto (200-203).

potenziano l'effetto ricordiamo fenilbutazone, silfinpirazone, metronidazolo, fluconazolo, amiodarone, cefalosporine di terza generazione. Mentre tra quelli che ne diminuiscono l'effetto ci sono i barbiturici e la rifampicina, colestiramina, vitamina K, spironolattone (188).

Oltre a queste interazioni con i farmaci, anche la dieta gioca un ruolo importante nella farmacocinetica e nella farmacodinamica del warfarin, influenzandone le concentrazioni ematiche e la funzionalità. Alcuni vegetali, detti a foglia verde (spinaci, lattuga ecc.) per il loro elevato contenuto di vitamina K possono contrastare l'effetto anticoagulante del farmaco. In generale questi alimenti non sono sconsigliati nella dieta, ma se ne raccomanda un uso costante nel tempo al fine di trovare il giusto range terapeutico con quel tipo di regime alimentare (191).

1.4.3.2 I nuovi Anticoagulanti Orali (NAO)

La difficile gestione della terapia con VKA (ampia variabilità dose-risposta, farmacodinamica età dipendente, interazioni farmacologiche e dietetiche, ampie fluttuazioni dell'INR) e la conseguente non ottimale anticoagulazione porta a frequenti interruzioni di terapica e ad un sottoutilizzo che ne vanificano il potenziale beneficio (25,185,192,194).

Per queste ragioni la ricerca farmaceutica ha messo a punto e perfezionato dei nuovi farmaci anticoagulanti orali che bloccano selettivamente la trombina (dabigatran) o il fattore Xa (Rivoroxaban, Apixaban e Edoxaban) (204,205,206,207).

I loro punti di forza sono una farmacocinetica e una bio-disponibilità prevedibili, che permettono l'utilizzo di dosi fisse con un effetto anticoagulante costante che non necessità di monitoraggio routinario. In Italia la prescrizione del dabigatran, rivaroxaban e apixaban è stata autorizzata dall'AIFA a partire da metà 2013 ed è soggetta a monitoraggio.

Dabigatran, rivaroxaban, apixaban possono essere prescritti nella prevenzione dell'ictus e della trombo-embolia sistema in pazienti adulti con FA non valvolare con uno o più fattori di rischio (insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, età maggiore o uguale a 75 anni, diabete mellito, pregresso ictus o attacco ischemico transitorio). Sono inoltre indicati per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti adulti sottoposti a chirurgia sostitutiva elettiva totale

dell'anca o del ginocchio.

Rivaroxaban è indicato per il trattamento della trombosi venosa profonda e prevenzione della trombosi venosa recidivante e dell'embolia polmonare.

Edoxaban è indicato inoltre per la prevenzione dell'ictus e dell'embolia sistemica nei pazienti adulti con FA non valvolare e per il trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e dell'embolia polmonare e prevenzione delle recidive di TVP ed EP negli adulti.

La prescrizione di questi farmaci è una valida alternativa alla terapia con VKA, l'Aifa consiglia il seguente piano terapeutico:

Dabigatran: almeno uno dei seguenti criteri:

 CHA2DS2-VASC maggiore o uguale 1 e HAS-BLED maggiore 3;  tempo trascorso in range negli ultimi 6 mesi inferiore al 70%;  difficoltà oggettive ad eseguire i controlli INR.

Rivaroxaban: almeno uno dei seguenti criteri:

 CHA2DS2-VASC maggiore o uguale 3 e HAS-BLED maggiore 3;  tempo trascorso in range negli ultimi 6 mesi inferiore al 60%;  difficoltà oggettive ad eseguire i controlli INR.

Apixaban: almeno uno dei seguenti criteri:

 CHA2DS2-VASC maggiore o uguale 1 e HAS-BLED maggiore 3;

 tempo trascorso in range negli ultimi 6 mesi inferiore al 70%;  difficoltà oggettive ad eseguire i controlli INR.

Gli inibitori orali della trombina messi in commercio sono rappresentati dallo ximelagatran, successivamente ritirato per epatotossicità, dal Dabigatran e l'AZD-0837, molecola promettente nella terapia della FA non valvolare, attualmente in studio, ha dimostrato la non inferiorità rispetto al warfarin nella prevenzione dello stroke con un ridotto rischio emorragico. (208)

dabigatran, un potente e competitivo inibitore della trombina. Raggiunge il picco di concentrazione plasmatica in 2-3 ore, ha una biodisponibilità del 6.5% e la sua emivita è di 12-17h. L'80% della dose è escreta dal rene e la posologia giornaliera consta di due dosi.

Nello studio di fase III RE-LY, che ha incluso 18113 pazienti con FA non valvolare, sono state indagate sia l'efficacia che la sicurezza di questo farmaco nella prevenzione dell'ictus tromboembolico rispetto al warfarin. In questo trial di non-inferiorità, i pazienti sono stati randomizzati in modo da ricevere in aperto il warfarin (INR 2.0-3.0) o in doppio cieco due dosi giornaliere di dabigatran (110mg bid o 150 mg bid) e seguiti in un follow-up di due anni. Entrambe le dosi di dabigatran non sono inferiori al warfarin per quanto riguarda la prevenzione dello stroke e del tromboembolismo. Inoltre la dose da 150mg bid si è dimostrata migliore rispetto al warfarin per quanto riguarda il rischio di stroke e tromboembolismo, con un’incidenza minore del 35%. La dose di 110 mg bid si è dimostrata superiore rispetto al warfarin per quanto riguarda i sanguinamenti maggiori e non inferiore nella prevenzione del tromboembolismo.

Per quanto riguarda il rischio emorragico, alla dose di 150mg bid si nota un aumento dei sanguinamenti gastrointestinali rispetto al warfarin, ma non in altre sedi più preoccupanti come quella intracranica in cui risultano inferiori. Alla dose di 110mg bid i sanguinamenti hanno mostrato un'incidenza inferiore rispetto al warfarin in tutti i distretti (209,210).

Gli studi effettuati nel post-marketing hanno confermato i dati dello studio RE-LY, attestando la superiorità del dabigatran 150mg bid rispetto al warfarin nella prevenzione dello stroke cardioembolico ed embolismo sistemico (1.7 vs 1.1 per 100 pazienti anno) e la riduzione complessiva della mortalità (3.6 vs 4.1 per 100 pazienti anno). I sanguinamenti maggiori sono simili in entrambi i casi (3.3 vs 3.6 per 100 pazienti anno) e tra questi, solo quelli gastrointestinali si sono mostrati, ancora una volta, maggiori nel dabigatran (1,6 vs 1,1 per 100 pazienti anno) a differenza di quelli intracranici risultati marcatamente ridotti nel NAO a qualsiasi dosaggio (212,213).

Il dosaggio giornaliero del dabigatran approvato in Italia è di 150mg bid nei soggetti di età inferiore a 80 anni e con clearence della creatinina (ClCr) >50 ml/min. Un dosaggio inferiore, di 110 mg bid

è sempre raccomandato negli anziani di età > 80 anni e nei soggetti in terapia verapamil, mentre è da valutare in base al rischio trombotico ed emorragico nei pazienti di eta compresa tra 75 e 80 anni, con una clearence della creatinina (ClCr) tra 30 e 50ml/min o che presentino gastrite, esofagite, malattia da reflusso gastro esofageo e in pazienti ad alto rischio emorragico.

Il dabigatran presenta alcune interazione farmacocinetiche, in particolare, con quei farmaci che inducono o inibiscono la glicoproteina P intestinale, proteina del sistema multi-drug-resistence, che ne possono alterare le concentrazioni plasmatiche e di conseguenza l'effetto terapeutico.

I Farmaci induttori sono rifampicina, carbamazepina e fenitoina; gli inibitori sono verapamil, dronedarone, chinidina, ketoconazolo, claritromicina, ciclosporina e tacrolimus.

In ogni caso, successivamente al RE-LY sono uscite delle sotto-analisi sul dabigatran i cui risultati sono piuttosto rassicuranti dimostrandone una solida e consistente efficacia e sicurezza in varie classi di pazieti: nei soggetti con pregresso evento trombo-embolico, nei soggetti con differente rischio trombo-embolico, nei pazienti naive alla terapia con VKA ed in base alla qualità dell'anticoagulazione espressa dal time therapeutic range (TTR) (214,215,216,217).

Gli inibitori orali diretti del fattore Xa utilizzati nella terapia della FA non valvolare sono rivoroxaban, apixaban, ed edoxaban, mentre per il betrixaban sono stati comunicati recentemente i risultati dello studio di fase II.

Rivoroxaban ha una biodisponibilità che oscilla tra l'80% e il 100% per i dosaggi più alti (da

assumere previa assunzione di cibo), ha un'emivita di 5-12 ore con un picco plasmatico raggiunto in 2-3 ore dall'assunzione. Ha un metabolismo misto: i 2/3 sono metabolizzati dal fegato e 1/3 è eliminato immodificato tramite escrezione renale. È substrato della glicoproteina-P e viene metabolizzato dal CP3A4 .

Il suo vantaggio è quello dalla mono somministrazione giornaliera in quanto la sua farmacocinetica permette, anche alla 24a ora, una concentrazione tale da inibire comunque il fattore Xa, sia libero che legato al complesso protrombinico.

14264 pazienti ad alto rischio trombo-embolico (il 90% dei pazienti aveva un CHADS2 score ≥ 3). Il farmaco è stato utilizzato al dosaggio di 20 mg/die o di 15mg/die nei casi di insufficienza renale di grado moderato con ClCr compresa tra i 30 e i 49 ml/min ed è stato testato in doppio cieco e in double-dummy nei confronti del warfarin (INR 2.0-3.0). Nell'analisi on-treatment, l'end point primario (stroke o embolismo sistemico) si è manifestato nel 1.7 per 100 pazienti/anno nel gruppo in terapia col rivaroxaban e nel 2.2 per 100 pazienti/anno in quello del warfarin con un’incidenza simile di emorragie maggiori seppur con minore frequenza per quanto riguarda quelle intracraniche e quelle fatali nel gruppo del rivaroxaban. Nell’analisi intention-to-treat, invece, l'end point primario si è manifestato nel 2.1 per 100 pazienti/anno nel gruppo in terapia col rivaroxaban e nel 2.4 per 100 pazienti/anno in quello del warfarin, senza differenze nell'incidenza delle emorragie sebbene quelle intracraniche o fatali presentino un’incidenza minore nel rivaroxaban con un 0.2% e 0.5% anno rispettivamente, contro lo 0.5% e 0.7% anno nel warfarin (218).

In un successivo studio viene sottolineato come il rivaroxaban alla dose di 15mg/die sia più efficace e sicuro rispetto al warfarin nei pazienti con insufficienza renale di grado moderato (CrCl compresa tra 30 e 49 ml/min), soprattutto per quanto riguarda l'incidenza delle emorragie fatali (0.28% anno contro 0.74% anno) (219).

Infatti il dosaggio approvato per la profilassi del tromboembolismo nella FA non valvolare è di 20mg/die nei pazienti con una ClCr > 50ml/min e di 15mg/die in quelli con ClCr tra 30 e 49ml/min. Le analisi dei vari sottogruppi dello studio ROCKET AF hanno riportato gli stessi risultati di sicurezza e di efficacia, soprattutto in termini di riduzione delle emorragie intracraniche, in differenti categorie di pazienti. Sono stati analizzati i pazienti in prevenzione secondaria post TIA o stroke (220), i pazienti con scompenso cardiaco e ad elevato rischio cardiovascolare (221) e infine quelli che sono passati al rivaroxaban dal VKA (assunto per almeno 6 settimane) o che non assumevano nessuna terapia anticoagulante (222).

Alcuni farmaci possono modificare le caratteristiche farmacocinetiche del rivaroxaban a causa della loro contemporanea azione sul CYP3A4 e sulla glicoproteina P, come substrati o come inibitori.

Quindi questi farmaci possono aumentare le concentrazioni plasmatiche dell'anticoagulante in misura clinicamente rilevante (in media 2,6 volte), portando ad un aumento del rischio emorragico, per questa ragione ne è sconsigliato l'uso concomitante.

Uno studio condotto su questo tipo di interazione ha concluso che questa è significativa soltanto con i farmaci che sono contemporaneamente forti inibitori sia del CYP3A4 che della glicoproteina P (223). I principi attivi in questione sono antimicotici azolici per via sistemica quali ketoconazolo, itraconazolo, voriconazolo e posaconazolo) o inibitori delle proteasi del HIV (ad es. ritonavir).

Apixaban è un inibitore diretto del fattore X attivato, viene rapidamente assorbito nel tratto

gastrointestinale e la concentrazione plasmatica massima viene raggiunta dopo 3-4 ore dall'assunzione. La biodisponibilità è del 50% e l'emivita è di circa 12 ore. È eliminato prevalentemente per via fecale. È substrato della glicoproteina-P e del CP3A4 e per questo è soggetto alle stesse interazioni farmacocinetiche del rivaroxaban. Viene somministrato due volte al giorno.

Nello studio a doppio cieco AVERROES, sono stati selezioni 5599 pazienti con FA non valvolare che avevano un aumentato rischio di stroke e nei quali la terapia con VKA era inadatta per varie ragioni, tra cui perchè non si era riusciti a tenere in range l'INR o perchè il paziente si era rifiutato di seguire quel tipo di terapia. Lo studio si propone di valutare l'efficacia dell'apixaban a dose di 5mg bid rispetto all'aspirina a vari dosaggi (81-324mg) nella riduzione degli eventi tromboembolici. Tuttavia venne sospeso prematuramente perché l'evidenza della superiorità dell'apixaban rispetto all'aspirina era palese, con una riduzione del rischio di stroke o di embolia sistemica del 55% (1.6% per anno dell'apixaban contro 3.7% per anno dell'aspirina). D'altra parte entrambe le terapie mostravano lo stesso tasso di emorragie maggiori, in particolare per quelle intracraniche. (224) Successivamente, nello studio di fase III ARISTOTLE, condotto in doppio cieco e in double dummy, viene confrontato l'apixaban alla dose di 5mg bid con il warfarin (INR 2.0-3.0) in una coorte di 18201 pazienti con FA non valvolare e con almeno un fattore di rischio per l'ictus ischemico. Inoltre in un subset di pazienti è stata ridotta la dose di apixaban a 2.5 mg bid se

presentavano due o più dei seguenti criteri: età ≥ 80, peso corporeo ≤ 60 e una creatinina ≥ 1.5mg/dL.

L'outcome primario (stroke o tromboembolismo sistemico) si è verificato con un’incidenza del 1.60% annuo in quelli in terapia con warfarin e dell'1.27% annuo nei pazienti che assumevano l'apixaban, risultando superiore.

L'apixaban è anche risultato più sicuro del warfarin come documentato dall'end point di sicurezza mostrando una riduzione statisticamente significativa dei sanguinamenti maggiori (2.13% anno contro 3.09% annuo) ed in particolare di quelli intracranici (0.33% annuo contro 0.80% annuo) (225).

Si conferma come il rivaroxaban e il dabigatran, un farmaco efficace e sicuro anche nei pazienti in prevenzione secondaria post stroke o TIA (226), in quelli a vari gradi di rischio tromboembolico o di emorragia (227), in quelli naïve/experienced alla terapia con VKA (228) e indipendentemente dal time therapeutic range(TTR) (229).

Edoxaban è un inibitore diretto, altamente selettivo e reversibile del fattore Xa. I suoi effetti

farmacodinamici hanno un'insorgenza rapida (1-2 ore) poiché viene velocemente assorbito, con un picco plasmatico entro le 2 ore e la sua biodisponibilità è del 62%. Viene metabolizzato dalla CYP3A4 e trasportato dalla glicoproteina P. Ha un'eliminazione mista, per il 50% renale e il resto per via biliare\intestinale.

È stato approvato nel 2015 in Europa e disponibile in Italia da settembre 2016.

Nello studio di fase III ENGAGE AF-TIMI 48, edoxaban viene confrontato con il warfarin (INR 2.0-3.0) in doppio cieco e in double-dummy in due posologie 30 mg/die e 60 mg/die.

Sono stati selezionati 21105 pazienti con FA non valvolare e seguiti per un follow-up medio di 2,8 anni. Durante il periodo di trattamento, stroke o eventi tromboembolici sistemici si sono manifestati nell 1.5% per anno nel gruppo del warfarin, nell'1.18% e nell'1.61% per anno nel gruppo ad alta dose e bassa dose di edoxaban, rispettivamente.

sistemico) è stato dell'1.80% nel gruppo del warfarin, dell'1.57% e del 2.04% nei gruppi ad alta e bassa dose di edoxaban, rispettivamente.

Edoxaban, in entrambe le posologie si è dimostrato non inferiore rispetto al warfarin nell'endpoint primario e, quando somministrato ad alte dosi si è dimostrato superiore. Il tasso di stroke ischemici è simile sia nell'alta dose di edoxaban che nel warfarin ma è più elevato quando dato a basse dosi. L'incidenza di stroke emorragico e il tasso di mortalità per eventi cardiovascolari è significativamente ridotto in entrambi le posologie dell'edoxaban rispetto al warfarin (0.85% dei pazienti per anno nel warfarin contro 0.39% e 0.26% pazienti per anno nei gruppi ad alta e bassa dose di edoxaban, rispettivamente) (230).

In questo studio, nei pazienti con compromissione della funzione renale (ClCr tra 30 e 50 ml/min) o peso inferiore a 60kg o trattati con inibitori della glicoproteina P, il dosaggio dell'edoxaban è stato ridotto a 30mg (230).

La riduzione della posologia è raccomandata soltanto quando il farmaco viene assunto in concomitanza con potenti inibitori della glicoproteina P come ciclosporina, dronedarone, eritromicina o ketoconazolo ma non per quinidina, verapamil e amiodarone (231).

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