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Il nostro studio osservazionale, pur basandosi su un numero esiguo di pazienti, conferma alcune evidenze già emerse in altri lavori presenti in letteratura e permette, quindi, di fare alcune considerazioni.

UTILIZZO DELLA TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE (TAO)

Uno degli aspetti che più rapidamente balza agli occhi è il sottoutilizzo della terapia anticoagulante orale (TAO) nei pazienti che, secondo il CHA2DS2-VASc score, sono ad alto rischio tromboembolico: solo 68 dei 137 pazienti reclutati con CHA2DS2-VASc ≥2 erano in terapia al momento del ricovero, quindi circa il 50%. Questo dato è in linea con quanto osservato in studi eseguiti su larga scala, italiani88-90, 101 e non85, 87.

In particolare, il nostro dato è molto vicino a quello del recente studio italiano ATA- AF, in cui emergeva che la TAO era utilizzata solo nel 49% dei pazienti seguiti in Medicina Interna, mediamente più anziani e con maggiori comorbilità rispetto a quelli seguiti in Cardiologia, quindi più vicini come caratteristiche alla nostra casistica (i 137 pazienti avevano un’età media di quasi 84 anni).

CORRELAZIONE TRA LA VALUTAZIONE DEL MEDICO E GLI SCORE DI RISCHIO

Il nostro studio evidenzia come la valutazione da parte del medico del rischio tromboembolico ed emorragico sia scarsamente correlata con le stime ottenute usando schemi validati di stratificazione del rischio (nella fattispecie CHA2DS2-VASc e HAS- BLED scores), come già osservato in altre pubblicazioni.90, 94

Questo si può evincere innanzitutto dal fatto che, come già ricordato, solo il 50% (68/137) dei pazienti con CHA2DS2-VASc ≥2 era in profilassi con TAO: si ha, quindi, una sottostima del rischio di stroke nei pazienti con fibrillazione atriale.

E’ possibile che nel nostro studio ci sia stata una sottostima del rischio emorragico nei pazienti in TAO, dal momento che non abbiamo potuto considerare la voce “INR Labile” dell’HAS-BLED (data la mancanza di una valutazione longitudinale dei pazienti). Tuttavia, dei 69 pazienti non trattati con terapia anticoagulante orale, solamente 14 (cioè il 20%) avevano un alto rischio emorragico secondo l’HAS-BLED.

FATTORI CONSIDERATI DAL MEDICO AL MOMENTO DELLA

PRESCRIZIONE DELLA TAO

Trapela la presa in considerazione, al momento della prescrizione della TAO, di fattori diversi da quelli promossi dalle linee guida.

Nel nostro studio la prescrizione della TAO è risultata significativamente influenzata dalla strategia aritmologica adottata: in particolare, i pazienti con fibrillazione atriale gestiti (anche in virtù di comorbilità cardiache) con farmaci per il controllo della frequenza avevano una maggior probabilità di essere in TAO rispetto a chi perseguiva una strategia di controllo del ritmo o nessuna strategia aritmologica.

Dato il numero esiguo di pazienti, altri predittori noti di mancata prescrizione della TAO, quali l’età avanzata, l’alto rischio emorragico ed una fibrillazione atriale parossistica,88-90, 92, 101 non sono risultati statisticamente significativi nel nostro studio, pur presentando anche nella nostra casistica una correlazione negativa con l’atto prescrittivo (come osservato nei lavori sopracitati).

L’influenza del tipo di fibrillazione atriale o della strategia aritmologica adottata sulle scelte del medico, al momento della prescrizione della TAO, risulta essere in controtendenza rispetto a quanto raccomandato dalle recenti linee guida internazionali.1, 16

IMPIEGO DELLA TERAPIA ANTIAGGREGANTE

Dalla nostra casistica emergono due evidenze riguardanti l’impiego della terapia antiaggregante.

In primo luogo, si nota la sua scarsa efficacia nel prevenire gli eventi cerebrali ischemici acuti, soprattutto se paragonata alla TAO in range terapeutico (INR compreso tra 2.0 e 3.0): il 61.8% dei pazienti in terapia antiaggregante presentava un evento contro il 13.6% dei soggetti in TAO a range. Questo dato concorda con le molte pubblicazioni45-48, 50-54, 58, 59 che hanno mostrato una netta superiorità, specialmente nella popolazione anziana, degli antagonisti della vitamina K rispetto agli antiaggreganti nella profilassi del rischio tromboembolico.

In secondo luogo, si osserva un suo eccessivo utilizzo proprio nel paziente anziano, dato ancora una volta in controtendenza rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida1, 16. Tra i nostri pazienti con CHA2DS2-VASc ≥2, infatti, circa il 25% (34/137) era in terapia antiaggregante e nella coorte di pazienti andati incontro ad ictus ischemico o TIA tale frazione saliva al 36% (21/58). Queste osservazioni trovano un corrispettivo in letteratura.88, 90-92, 101

C’è poi un altro dato significativo: dei 18 pazienti con HAS-BLED ≥3, 14 non erano in terapia anticoagulante orale, ma ben 10 di questi 14 pazienti erano in terapia antiaggregante. Anche questa osservazione concorda con studi presenti in letteratura: l’ingente utilizzo della terapia antiaggregante in pazienti con alto HAS-BLED è legato all’erronea percezione che l’aspirina sia una sicura alternativa alla TAO, per quanto sia ormai chiaro come il rischio di sanguinamento maggiore o emorragia intracranica non sia significativamente differente con aspirina e con TAO, soprattutto nell’anziano. anticoagulanti orali.46, 47, 53, 55, 56

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO

Le più recenti linee guida europee1, 16 raccomandano una nuova filosofia nella stratificazione del rischio tromboembolico: esse sostengono, infatti, che il primo step debba essere l’identificazione dei pazienti “truly low-risk”, che non necessitano

verosimilmente di alcuna terapia antitrombotica. Per identificare i “truly low-risk”, è necessario essere più inclusivi (piuttosto che esclusivi) nei confronti dei comuni fattori di rischio per ictus, così da ottenere una valutazione onnicomprensiva del rischio di stroke.16 Questa nuova categorizzazione è stata possibile andando a considerare comuni modificatori del rischio di stroke, quali il sesso femminile, la fascia di età compresa tra 65 e 74 anni e la presenza di malattia vascolare aterosclerotica,71-73 che precedentemente erano considerati più deboli e meno validati.74 Le nuove acquisizioni hanno condotto alla promozione di uno score di rischio più complesso rispetto al CHADS2: il CHA2DS2-VASc score. L’evidenza accumulata mostra che il CHA2DS2- VASc è migliore nell’identificazione dei pazienti con fibrillazione atriale “truly low- risk” 66, 76-78

e non è inferiore al CHADS2 nell’identificazione dei pazienti che sviluppano stroke e tromboembolismo.56, 67, 79

I dati emersi dal nostro studio trovano riscontro con quelli alla base delle linee guida menzionate. Oltre ad un’età ≥75 anni e ad una storia clinica di ipertensione arteriosa (elementi già considerati nel vecchio CHADS2 score), nonostante l’esiguità del campione sono risultati significativi dal punto di vista statistico anche la presenza di malattia vascolare aterosclerotica ed il sesso femminile (fattori compresi solo nel CHA2DS2-VASc score). Si ricorda che non abbiamo potuto considerare il pregresso stroke come variabile indipendente, perché, essendo i controlli stati scelti in maniera retrospettiva in base alll’assenza nella loro storia clinica di un ictus ischemico o TIA, considerare tale variabile avrebbe condotto ad un bias e ad una sua sovrastima; tale mancanza rappresenta un limite intrinseco del disegno sperimentale dello studio.

Alcuni studi presenti in letteratura, come quello di Olesen et al.102, identificano lo scompenso cardiaco, il pregresso stroke e la malattia vascolare aterosclerotica come fattori significativamente associati ad un aumentato rischio tromboembolico nel paziente con età <65 anni.

Nel nostro studio, invece, identifichiamo alcuni fattori di rischio particolarmente rilevanti nella popolazione ultresettantacinquenne. Tra questi pazienti, il fattore che è risultato incidere maggiormente sulla predisposizione all’evento cerebrale ischemico è la vasculopatia aterosclerotica. Una storia di ipertensione arteriosa, invece, risulta un fattore di rischio significativo nella coorte di pazienti ultrasettantacinquenni senza

malattia vascolare aterosclerotica nota. Una conferma di questi risultati in studi eseguiti su larga scala permetterebbe di individuare sottopopolazioni di pazienti anziani a più alto rischio di stroke e che, quindi, beneficerebbero maggiormente dell’anticoagulazione.

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