La TVC rappresenta circa lo 0.5-1% di tutti gli stroke, dovuta alla coagulazione del sangue in un seno venoso o nelle vene corticali. Questo è il primo studio italiano in cui viene presentato uno screening dettagliato per i fattori di rischio. Un articolo molto brillante ha recentemente valutato il rischio di ricorrenza a lungo termine di TVC in una casistica italiana [91]. Tuttavia l’endpoint degli autori era valutare la ricorrenza di TVC o di altre manifestazioni tromboemboliche e pochi dati sui fattori di rischio sono presentati nel loro lavoro. Inoltre nell’ISCVT sono stati coinvolti centri italiani ma è impossibile filtrare i dati italiani da questa coorte.
L’età media d’esordio della nostra popolazione (44.6±18.5 anni con range 21-82) è in linea con l’ISCVT con solo il 30.2% della coorte sopra i 50 anni e il sesso femminile più rappresentato negli under 50 (76,67% degli under 50 versus 30.7% degli over 50): questo ha anche implicazioni sui diversi fattori di rischio da screenare nel sesso femminile, essendo sotto i 50 anni la terapia contraccettiva orale il più importante (anche se in associazione ad altri fattori) mentre sopra i 50 anni la TVC sottende una neoplasia nota od occulta (tab. 3).
Sia fattori di rischio congeniti che acquisiti contribuiscono alla genesi delle TVC nel nostro studio, confermando i dati presenti in letteratura [68, 92, 93, 94]. Cause predisponenti alla TVC sono stati identificate in circa l’80% dei casi, spesso in combinazione.
Trombofilie congenite, terapia con contraccettivi orali e fumo di sigaretta sono i più comuni. La più alta frequenza di trombofilie nella nostra coorte (così come nella coorte di Martinelli) e di distiroidismi in confronto all’ISCVT potrebbe essere il risultato di un esteso screening dei disordini della coagulazione sia congeniti che acquisiti ricercati anche quando altri fattori di rischio erano già stati identificati. Quindi molteplici sono i fattori di rischio che possono contribuire all’eziopatogenesi delle TVC. L’identificazione di un fattore di rischio non dovrebbe scoraggiare la ricerca di ulteriori cause.
Il 74.1% delle donne era in terapia con contraccettivi orali e nella maggior parte dei casi portatore anche di uno stato trombofilico o fumatrice. Uno studio italiano del 1998 ha confrontato l’incidenza di numerosi fattori di rischio, inclusi i contraccettivi orali, tra 40 donne con TVC, 80 donne con trombosi venosa profonda e 120 donne di controllo [95]. Quasi tutte le donne con TVC (96%) usavano contraccettivi orali con un OR di 22.1. L’OR per donne con la mutazione G20210A del gene della protrombina era di 149.3 confrontato con quelle senza nessuno dei due fattori di rischio. Risulta quindi evidente (anche utilizzando un approccio metanalitico [96]) che l’uso di contraccettivi orali è associato ad un rischio aumentato di TVC tanto che la grande maggioranza delle giovani donne non in gravidanza con TVC assume contraccettivi orali e che il rischio di TVC è ancora più grande in donne con uno stato trombofilico ereditario.
Tra le trombofilie congenite, la più frequente era la mutazione C667T del gene MTHFR (18.6%) seguita dal deficit di proteina C (6.9%) e dal deficit di proteina S (4.6%). Combinando 2 casistiche di TVC, emerge un OR per TVC di 11.1 per il deificit di proteina C (95% CI 1.87-66.05) e un OR di 12.5 per il deficit di proteina S (95% CI 1.45-107.29) [97, 98].
Nonostante un’estesa ricerca, non sono stati identificati pazienti con resistenza alla proteina C attivata che è principalmente causata dalla mutazione del fattore V Leiden, e pazienti con sindrome da anticorpi anti fosfolipidi (che è uno stato trombofilico acquisito). Una recente metanalisi di 13 studi, che includeva 469 TVC e 3023 controlli, riportava un OR per TVC di 3.38 (95% CI 2.27- 5.05) per il fattore V Leiden, che è simile alla sua associazione con il tromboembolismo venoso in generale[98]. Per la sindrome da anticorpi anti fosfolipidi è’ stata dimostrata in uno studio [95] una più alta prevalenza di anticorpi anti fosfolipidi in pazienti con TVC (9 di 121) rispetto a soggetti di controllo (0 di 242). In un altro studio indiano con 31 pazienti con TVC [99], gli anticorpi anticardiolipina erano stati trovati nel 22.6% delle TVC contro il 3.2% dei soggetti di controllo. Risultato analogo è stato trovato nello studio ISCVT (5.9%) [68].
Altra trombofilia congenita molto comune (2% della popolazione caucasica) è la mutazione del gene G20210A della protrombina che causa un modesto aumento dei livelli ematici di protrombina [100]. Una metanalisi di 9 studi, che include 360 pazienti con TVC e 2688 controlli, riporta un OR per TVC di 9.27 (95% CI 5.85-14.67) per questa mutazione, più forte rispetto alla sua associazione con il tromboembolismo venoso in generale[101].
L’iperomocisteinemia, identificata nel 9.3% dei casi, è un fattore di rischio per trombosi venosa profonda e stroke ma non è stata chiaramente associata con un incrementato rischio di TVC. Ricercatori di Milano descrivono 121 casi di prima TVC e 242 soggetti di controllo, riportando l’iperomocisteinemia in 33 pazienti (27%) e in 20 soggetti di controllo (8%; OR 4.2 95% CI 2.3- 7.6) [102]. L’iperomocisteinemia può essere causata dalla mutazioni C677T e A1298C del gene della MetilenTetraHydroFolatoReduttasi (MTHFR), soprattutto in soggetti omozigoti o eterozigoti composti. Un gruppo italiano ha descritto una forte e significativa associazione tra la mutazione G20210A della protrombina (30% versus 2.5% nei pazienti vs controlli, OR 16.2) e l’iperomocisteinemia (43.3% versus 10% OR 6.9). [103]
Tra i fattori di rischio acquisito, l’11.1% delle donne era in gravidanza o puerperio, comuni cause transitorie di stato protrombotico. Circa il 2% degli stroke associati alla gravidanza sono TVC [104]. La frequenza stimata della TVC nel puerperio è di circa 12 casi per 100.000 parti, un valore leggermente minore rispetto all’incidenza dello stroke arterioso puerperale [105]. La maggior parte delle TVC in gravidanza si realizza nel corso del terzo trimestre. Durante la gravidanza e per le 6-8 settimane dopo il parto, le donne sono sottoposte ad un aumentato rischio di eventi venosi tromboembolici a causa delle numerose modificazioni protrombotiche nella cascata della coagulazione che si attuano per proteggere la donna da emorragie peripartum. L’ipercoagulabilità inoltre peggiora subito dopo il parto come risultato della deplezione di volume e del trauma tissutale. Altri fattori di rischio per la gravida sono l’età avanzata, l’ipertensione, le infezioni, l’eccessivo vomito in gravidanza e recentemente descritta in uno studio caso controllo
l’iperomocisteinemia (OR 10.8 CI 4.0-29.4) [105]. Durante il puerperio, fattori di rischio addizionali sono le infezioni e il parto operativo (ventosa, forcipe e taglio cesareo).
Circa la relazione causale tra neoplasie e TVC (l’11.6% delle TVC della nostra casistica erano attribuibili ad uno stato protrombotico paraneoplastico vs il 7.4% dell’ISCVT) è stato ipotizzato che le TVC siano più frequenti nei pazienti neoplastici, particolarmente in quelli con neoplasie ematologiche, tuttavia non esistono studi caso controllo. I meccanismi potenziali per un’associazione tra cancro e TVC includono diretta compressione tumorale sulle strutture venose, chemioterapia, invasione diretta dei seni venosi, stato di ipercoagulabilità associato al cancro dovuto al rilascio da parte delle cellule tumorali di sostanze protrombotiche e alla modificazione del profilo di funzionalità di endotelio e piastrine [106]. Lo stato protrombotico paraneoplastico è già noto dal 1865 quando Armand Trousseau descrisse il “segno delle tromboflebiti migranti” associato ad adenocarcinoma del pancreas.
I processi infettivi in strutture parameningee hanno causato TVC nel 16.3% dei nostri pazienti e in genere sono importanti cause di TVC soprattutto in età pediatrica: l’ISCVT segnala soltanto l’8.2% di TVC dovute a tali processi infettivi, mentre secondo una recente casistica pediatrica degli USA con 70 pazienti [107] una recente infezione in tali siti era rilevabile nel 40% dei casi.
Confrontando la nostra casistica con l’ISCVT, risultano significativamente più rappresentati i distiroidismi, frutto di un esteso screening (16,3% vs 1,7%). In genere l’ipertiroidismo non comporta un grave stato trombofilico, ma comporta una lieve ipercoagulabilità (attraverso l’aumento del fattore di von Willebrand, VIII, IX, X e fibrinogeno) e riduzione dell’attività fibrinolitica mediata dell’aumento del PAI-1 [108]. L’ipotiroidismo, anche in fase subclinica, comporta una modesta riduzione dell’attività fibrinolitica mediata dall’aumento del PAI-1 e dell’alfa2-amtiplasmina e un’aumento della coagulabilità mediata dall’aumento del fattore VIII ed iperomocisteinemia: in genere questi reperti si normalizzano instaurando una corretta terapia ormonale sostitutiva [109]. Sia iper che ipotiroidismo causano TVC in azione sinergica con altri
fattori, in genere mai come unici fattori causali. Altro possibile fattore causale nei distiroidismi è la compressione di un voluminoso gozzo sulla vena giugulare interna con stasi ematica.
La presentazione clinica è altamente variabile nella nostra coorte: i reperti clinici più comuni nel nostro studio sono la cefalea, il vomito, segni focali, epilessia ed alterazioni dello stato di coscienza. Questi dati sono simili a quelli riportati nella maggior parte degli studi [68, 92, 93]. Tra i segni focali, i più frequenti sono stati emiparesi, afasia ed emianopsia, in genere legati allo sviluppo di lesioni corticali visibili alla TC (edema, ischemia, emorragia).
Per quanto riguarda l’epilessia come manifestazione di TVC, crisi erano presenti nel 25.7% dei nostri pazienti durante la degenza ospedaliera, con percentuali in letteratura che si aggirano intorno al 37% degli adulti (25.7), nel 48% dei bambini e nel 71% dei neonati con TVC [85, 86]. Nessun trial clinico ha indagato il timing ottimale o la più opportuna scelta farmacologica. È controverso se iniziare una terapia antiepilettica precoce o se aspettare il manifestarsi della prima crisi. Visto che l’epilessia aumenta il rischio di danno anossico, la terapia antiepilettica dopo una singola crisi è ragionevole [110]. In assenza di crisi epilettiche, gli effetti collaterali della terapia antiepilettica potrebbero superare i benefici così che essa potrebbe essere dannosa più che utile [111]. Possiamo classificarle in crisi precoci e in crisi tardive (che insorgono 2 settimane dopo la diagnosi di TVC). Nell’ISCVT, l’11% sviluppava crisi tardive, la maggior parte con esordio comunque nel primo anno dopo la TVC. Fattori di rischio per crisi tardive sono paresi, l’aver sviluppato crisi precoci, lesioni emorragiche valutate alla TC all’esordio del quadro clinico.
Pochi studi hanno riportato le caratteristiche delle crisi epilettiche precoci. In una casistica portoghese con 91 pazienti [112], si riportava che il 32% si presentava già con epilessia mentre il 2% sviluppava crisi durante l’ospedalizzazione; soltanto il 9.5% sviluppava crisi più tardive che comunque non sono predittori di prognosi ad un anno di TVC.
Crisi epilettiche precoci erano 3.7 volte più probabili in quei pazienti che si presentavano con lesioni parenchimali visibili al neuroimaging e 7.8 più frequenti in pazienti con deficit sensoriali. Nell’ISCVT il 39% si presentava con crisi epilettiche mentre il 6.9% sviluppava crisi entro due
settimane dalla diagnosi di TVC [68]. Tra i pazienti con epilessia all’esordio, soltanto una lesione sopratentoriale visibile all’imaging correlava col manifestarsi della crisi ed ulteriormente tra i pazienti con una lesione sopratentoriale senza crisi all’esordio, l’uso di farmaci antiepilettici era associato con un rischio di crisi epilettiche nelle prime due settimane più basso del 70%, anche se non statisticamente significativo. Sulla base di questi dati gli autori suggeriscono l’utilizzo di terapia antiepilettica in pazienti con lesioni sopratentoriali che si presentano con crisi all’esordio. Visto che la presentazione clinica può essere molto variabile, il neuroimaging è cruciale nella diagnosi di TVC. Nella nostra coorte, la TC encefalo era diagnostica per TVC nel 69.8% dei casi all’ammissione mentre era negativa nel 30.2%, similmente all’ISCVT.
Nella maggior parte dei casi si osservava il coinvolgimento di più strutture venose; il seno più frequentemente coinvolto è risultato il seno trasverso (67.4%). L’emorragia sub aracnoidea è stata la condizione più frequentemente osservata come complicanza di TVC, seguita dall’infarto venoso e dall’emorragia cerebrale.
La misurazione quantitativa del D-dimero nel nostro studio è risultata alterata nell’81.3%, normale nel 18.7%, quindi un D-dimero normale non esclude la diagnosi di TVC. In genere la normalità del D-dimero correla con una limitata estensione della trombosi (ad esempio trombosi parcellare di una vena corticale con limitato coinvolgimento dei seni) e con presentazione clinica con cefalea isolata. Un certo numero di piccoli studi (con alcune limitazioni metodologiche) ha dimostrato l’alta sensibilità del D-dimero nell’identificare pazienti con TVC ed un potenziale ruolo nell’escluderne la diagnosi, nonostante questa conclusione non è stata universale [72, 113]. Come nel caso della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, la specificità del D-dimero è bassa a causa delle numerose cause di elevazione del suo valore. In uno studio prospettico multicentrico ben disegnato con 343 pazienti ammessi al pronto soccorso con un sospetto clinico di TVC [114], valori positivi di D-dimero (definiti come valori superiori a 500 µg/L) sono stati trovati in 34/35 confermate TVC e in 27/308 pazienti senza TVC. Questi dati permettono di definire una sensibilità del 97.1%, una specificità del 91.2%, un valore predittivo positivo del 55.6% e un valore predittivo
negativo del 99.6%, che supporta il ruolo utile del D-dimero nell’escludere la diagnosi di TVC. Un altro studio con 73 confermate TVC ha identificato 7 pazienti (10%) con normale D-dimero [115]. 5 dei 7 pazienti con D-dimero negativo presentavano soltanto cefalea isolata: ciò suggerisce che questo sottogruppo di pazienti era particolarmente a rischio di un falso risultato negativo ai valori di D-dimero. In contrasto dei 57 pazienti con TVC confermata che si presentavano con soltanto sintomi di ipertensione endocranica o con segni neurologici focali, soltanto 2 (3.5%) avevano valori negativi di D-dimero.
Alcuni fattori potrebbero spiegare le conclusioni discrepanti appena menzionate. In prima istanza, i valori di D-dimero diminuiscono progressivamente dall’esordio dei sintomi: ciò suggerisce che i pazienti con un esordio cronico o subacuto di TVC hanno una probabilità maggiore di avere valori falsamente negativi di D-dimero [114]. Inoltre, l’estensione anatomica del trombo potrebbe correlare con i valori di D-dimero, e ciò suggerisce che i pazienti con un piccolo trombo hanno maggiore probabilità di avere un D-dimero falsamente negativo [114]. Infine sul mercato sono disponibili diversi test per il dosaggio del D-dimero con sensibilità e specificità diversi.
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, la terapia anticoagulante si è dimostrata sicura e di provata efficacia. La base razionale per la terapia anticoagulante è di prevenire la crescita del trombo, favorire la ricanalizzazione del seno e di prevenire la trombosi venosa profonda considerando che molti dei pazienti sono portatori di uno stato trombofilico e/o allettati.
Nessuna nuova emorragia si è verificata durante la terapia, né tantomeno si è aggravata un’emorragia già evidenziabile alla prima TC.
In passato la terapia anticoagulante orale era però considerata controversa soprattutto se al neuroimaging fossero stati evidenti segni di sanguinamento intracranico, ma successivamente due trials hanno confrontato sia l’eparina non frazionata che l’EBPM con il placebo. Entrambi i trial sono stati interrotti per la superiorità del trattamento rispetto al placebo.
Messi insieme, questi due trials includevano 79 pazienti. Un trial confrontava al placebo l’eparina non frazionata (Unfractioned heparin, UFH) con aggiustamento della dose fino a raggiungere un
aPTT 2 volte superiore al valore basale pretrattamento [83]. In questo trial si usava un bolo di eparina di 3000 U seguito da un infusione venosa continua. L’outcome primario era la severità della TVC valutata a tre mesi considerando cefalea, epilessia, deficit neurologici focali e sensorio. L’outcome secondario era l’emorragia cerebrale. Il trial fu interrotto precocemente dopo 20 dei 60 pianificati pazienti per manifesta superiorità della terapia con UFH rispetto al placebo. Tra i 10 pazienti del gruppo UFH, 8 recuperarono completamente e 2 residuavano moderati deficit a 3 mesi. Tra i 10 pazienti del gruppo placebo, 1 recuperò completamente, 6 presentavano deficit moderati, e 3 morirono. 2 dei pazienti trattati con placebo e nessuno dei pazienti trattati con UFH svilupparono un emorragia cerebrale. Un paziente nel gruppo placebo sviluppò anche un embolia polmonare non completamente confermata dal punto di vista diagnostico.
L’altro trial di 59 pazienti confrontava al placebo per tre settimane la nadroparina sottocute dosata in base al peso corporeo (180 Unità anti-fattore X pro Kg di peso corporeo in due dosi quotidiane) seguita da anticoagulanti orali per tre mesi (senza controllo placebo) in quelli randomizzati a nadroparina [84]. Lo studio era in cieco nelle prime 3 settimane, in aperto in seguito. Gli outcomes primari erano uno scores per le attività di vita quotidiana, l’Oxford Stroke Handicap Score e la morte. Endpoint secondari erano l’emorragia cerebrale ed ogni altro sanguinamento maggiore. A 3 mesi, il 13% dei pazienti del gruppo nadroparina avevano un outcome negativo in confronto al 21 % dei pazienti del gruppo placebo. Non si verificò una emorragia cerebrale sintomatica in nessuno dei due gruppi, si verificò un emorragia non fatale nel gruppo nadroparina ed un embolia polmonare fatale non confermata da dati radiologici in un paziente del gruppo placebo. Sei pazienti nel gruppo di trattamento (12%) ed 8 nel gruppo di controllo (28%) ebbero un pieno recupero.
Una metanalisi di questi due trials [116] rivelava un rischio relativo di morte o di dipendenza nella vita quotidiana statisticamente non significativo per la terapia anticoagulante con una differenza di rischio in favore della terapia anticoagulante del -13%. Un terzo trial ha randomizzato 57 donne con TVC puerperale confermata alla TC senza evidenza di emorragia cerebrale [117]. Il trattamento era eparina sottocutanea ad una dose di 5000 UI ogni sei ore con dose regolata a raggiungere un aPTT
1.5 volte il valore basale per 30 giorni dopo la diagnosi. Tre pazienti nel gruppo di controllo morirono o presentavano una grave paresi al follow up contro nessuno dei pazienti del gruppo eparina.
Nella particolare situazione di una TVC che si presenta con emorragia cerebrale, anche in assenza di una terapia anticoagulante, l’emorragia è associata ad un outcome avverso. Volendo sottolineare questo aspetto, nel trial con la nadroparina tutte e 6 le morti si sono realizzate nel gruppo dei pazienti con evidenza pre trattamento di emorragia alla TC [84]. Nessuna delle morti era attribuibile ad una nuova emorragia o all’ingrandimento di una precedente. Così l’emorragia cerebrale era fortemente associata al tasso di mortalità ma non a sanguinamenti cerebrali durante il trattamento. Anzi la terapia anticoagulante, favorendo la ricanalizzazione del vaso e l’out flow venoso, riduce la pressione venulare e capillare diminuendo il rischio di ulteriori emorragie.
Nella particolare situazione di un paziente con una controindicazione maggiore alla terapia anticoagulante (come un recente sanguinamento maggiore), i clinici devono attentamente bilanciare rischi e benefici della terapia anticoagulante sulla base del quadro clinico. In questa situazione, come per le trombosi venosa in generale, la consulenza di un esperto in terapia anticoagulante potrebbe essere utile, e se possibile andrebbe preferenzialmente preferita una terapia anticoagulante a basso dosaggio (o dosaggio profilattico) rispetto a nessuna terapia fino al momento in cui una terapia anticoagulante ad alta intensità non sarà considerata sicura.
Nell’ISCVT quasi tutti i pazienti erano trattati con anticoagulanti e il tasso di mortalità era dell’8.3% a 16 mesi; il 79% dei pazienti presentavano un recupero completo (mRS 0-1), il 10.4% presentavano una disabilità moderata (mRS 2-3) e il 2.3% restava gravemente disabilitata (mRS 4- 5) [68]. Pochi studi hanno un numero sufficiente di pazienti non trattati con anticoagulanti per adeguatamente definire il ruolo della terapia anticoagulante in funzione dell’outcome. Dati da studi osservazionali suggeriscono un rischio di emorragia cerebrale post terapia anticoagulante per TVC da 0 al 5.9%.
Quindi in sintesi, dati limitati da trial randomizzati combinati con dati da studi osservazionali sull’outcome e sulle complicanze emorragiche della terapia anticoagulante, supportano un ruolo importante della terapia anticoagulante anche in presenza di un emorragia cerebrale pretrattamento. Se si pratica terapia anticoagulante, non ci sono dati che supportano differenze nell’outcome con l’uso di UFH o di eparina a basso peso molecolare (EBPM). Tuttavia, nel contesto della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, una metanalisi sistematica di 22 studi mostra un minor rischio di emorragie maggiori (1.2% vs 2.1%), complicanze trombotiche (3.6% vs 5.4%) e morte (4.5% vs 6.0%) con l’EBPM [118].
Per la terapia delle TVC in gravidanza, risulta corretto evitare il warfarin per il rischio di embriopatia e di sanguinamenti fetali, quindi si raccomanda l’utilizzo di EBPM [119]. Si raccomanda di continuare il trattamento per il resto della durata della gravidanza e per le sei settimane dopo il parto, per un totale di almeno sei mesi.
Sei studi hanno investigato l’outcome e le complicazioni della gravidanza in donne con una pregressa TVC, per un totale di 855 donne in osservazione per un totale di 101 gravidanze in 83 donne [68, 120-123]. Questo studio a concluso che il rischio per questa gravidanze era tutto sommato basso: infatti, l’88% delle gravidanze terminava con il parto, il restante 12% terminava prematuramente per aborto volontario o spontaneo. In questo studio si verificò soltanto una TVC e 2 trombosi venose profonde (TVP). Tuttavia si notò un elevato tasso di aborti. Sulla base di queste evidenze, la TVC non è una controindicazione per successive gravidanze, bisogna però considerare che gravidanze e puerperio sono fattori di rischio protrombotico e che dovrebbe essere raccomandata la profilassi con EBPM per la durata della gravidanza e del puerperio.
Nonostante la maggior parte dei pazienti guariscano con la terapia anticoagulante, dal 9 al 13% dei pazienti hanno uno scarso outcome clinico nonostante la terapia anticoagulante. La terapia anticoagulante può non dissolvere un esteso e grande trombo, e la condizione potrebbe peggiorare nonostante la terapia [124, 125]. Incompleta ricanalizzazione o persistente trombosi possono
spiegare questo fenomeno. I tassi di ricanalizzazione completa o totale oscillano tra il 47% e il 100% con la sola terapia anticoagulante [68].
È probabile che l’effetto emorragico dell’eparina sia stato controbilanciato dalla riduzione dei sanguinamenti dovuti alla riduzione della pressione nel sistema venoso (legata alla dissoluzione del trombo) e quindi alla probabilità di rottura dei vasi.