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LA DISFUZIONE ERETTILE DOPO PROSTATECTOMIA RADICALE La prostatectomia radicale rappresenta un approccio terapeutico per cui è stato

dimostrato un aumento della sopravvivenza e che negli anni è emersa come uno dei trattamenti di prima linea più comunemente usati. Nonostante i vari progressi riguardo le conoscenze anatomiche e chirurgiche, la disfunzione erettile (definita come “l’incapacità di ottenere o mantenere una erezione sufficiente per consentire la penetrazione vaginale”)64 continua a rappresentare un problematico effetto collaterale, con un tasso di incidenza riportato che varia tra il 6 ed il 68%58. Questo dato così variabile (ed in generale la notevole eterogeneità che riscontriamo in letteratura) è dovuto al fatto che ogni chirurgo opera con una diversa aggressività in base alla propria esperienza ed in base ad una soggettiva scelta di radicalità chirurgica; questo implica un diverso comportamento generale riguardo al mantenimento delle strutture anatomiche deputate alla regolazione dell’erezione, al fine di ottenere un ottimale controllo oncologico.

Con l’aumento delle diagnosi nella popolazione giovane, la disfunzione erettile rappresenta un effetto collaterale di importanza sempre maggiore, con un notevole impegno della qualità della vita dei pazienti. Il suo impatto sulla vita dei pazienti operati si accresce anche con l’aumento dell’aspettativa di vita nei pazienti sottoposti a prostatectomia65 ed, inoltre, l’avvento della chirurgia robotica e la promessa di migliori risultati oncologici e funzionali per trattamenti poco invasivi hanno creato maggiori aspettative nei paziente per quanto riguarda la chirurgia del carcinoma prostatico, con un aumento dell’insoddisfazione post-operatoria (fino al 19%)66. A fronte di queste considerazioni si comprende quanto si debba porre l’attenzione sul management post operatorio del paziente e sulla preservazione di tutti quei fattori che possono influenzare la funzione erettile dopo la chirurgia.

Fisiopatologia della disfunzione erettile post prostatectomia

Alla base della disfunzione erettile riconosciamo diverse cause che possono agire separatamente o in combinazioni variabili: la DE psicogenica (primaria o secondaria), la DE vasculogenica (insufficienza arteriosa o disturbi dei meccanismi di occlusione cavernosa), DE neurogenica (a livello di stimolazione o di trasmissione), DE endocrina

ed infine DE da farmaci (tra cui gli antidepressivi, antipsicotici, beta-bloccanti non cardio-selettivi, tiazidici).

La DE post-prostatectomia è stata descritta come DE di natura neurogenica, arteriosa, venosa o come loro combinazione. Dalla corretta localizzazione dei nervi cavernosi lateralmente alla prostata da parte di Walsh67, la DE post-prostatctomia è sempre stata correlata al danno sul plesso pelvico e dei nervi cavernosi; in aggiunta al danno diretto possiamo considerare anche la neuro prassia (determinata dalla trazione, dalla compressione e dalla dia termocoagulazione -danno termico) che causa degenerazione walleriana, che a sua volta porterà a denervazione dei corpi cavernosi con conseguente perdita della attività erettile notturna, ipossia e fibrosi che in ultima analisi porta ad un difetto venoso68. Indipendentemente dallo stato dei nervi cavernosi, è stata studiata come meccanismo primario responsabile di una DE su base arteriosa anche la sezione delle arterie pudende accessorie69.

I momenti chiave della prostatectomia radicale in cui vi è rischio di causare danno sono: la dissezione dell’uretra, lo scollamento dei peduncoli laterali, lo scollamento della base della prostata e la dissezione delle vescicole seminali. La pianificazione pre-operatoria deve prendere in considerazione tutti questi fattori nel definire l’entità del risparmio neuro-vascolare da effettuare. A dimostrare che il maggior risparmio del tessuto nervoso si associa ad una migliore possibilità di recuperare l’erezione post-intervento possiamo considerare i diversi risultati che si ottengono con la tecnica nerve sparing monolaterale rispetto alla bilaterale70 e con la tecnica intrafasciale rispetto a quella extrafasciale71 (con la prima che ha dimostrato un significativo incremento negli score dei questionari che indagano la funzione sessuale rispetto alla seconda).

Altre modificazioni che si realizzano nel paziente sottoposto a prostatectomia sono rappresentate dall’alterazione della lunghezza del pene e dall’alterazione dell’orgasmo. Fraiman et al. hanno dimostrato che si determina una riduzione, sia nello stato flaccido che in quello eretto, della lunghezza e della circonferenza del pene rispettivamente dell’8 e del 9% rispetto allo stato pre-operatorio72. Secondo alcuni Autori questa riduzione è associata ad una riduzione della lunghezza dell’uretra (vista l’’asportazione della porzione prostatica durante l’intervento), mentre secondo altri si associa alla neuro prassia dei nervi cavernosi, con conseguente ipossia ed ipertono simpatico. Nello stato

flaccido, nella muscolatura liscia dei corpi cavernosi abbiamo una ridotta pO2 che stimola la produzione di citochine pro-fibrotiche (TGF-1), mentre durante l’erezione abbiamo un’ossigenazione aumentata ed una secrezione di prostanoidi che riduce la produzione di collagene73: questo dimostra come l’assenza di erezioni valide nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale per lungo tempo incrementi l’ipossia tissutale a livello cavernoso, con conseguente aumento della produzione di collagene e riduzione nelle dimensioni.

Ad impattare ulteriormente sul livello di qualità della vita avvertito dal paziente sottoposto a prostatectomia radicale è la modificazione dell’orgasmo, anche a fronte del recupero dell’erezione74. La perdita dell’orgasmo, ma anche la sua alterazione (fino alla disorgasmia, sperimentata dal 3-19% dei pazienti75) si associa ad una riduzione emozionale e fisica che rende difficile la vita di coppia. La base fisiologica della disorgasmia viene ipotizzata nella chiusura del collo della vescica che avviene contemporaneamente all’orgasmo: si determina uno spasmo dell’anastomosi vescico- uretrale che causa dolore.

Terapia della disfunzione erettile post prostatectomia

La rimozione chirurgica della prostata si associa ad un periodo di inattività temporaneo dell’innervazione che controlla la funzione erettile, determinando un difetto nell’ossigenazione del tessuto cavernoso con conseguente rischio di andare a determinare un impegno definitivo (ipossia stimola fattori pro-apoptotici e pro-fibrotici che causano alterazioni strutturali dei tessuti cavernosi). Su questa base fisiopatologica è stato pensato che tutti i trattamenti che intervengano sull’incrementare l’ossigenazione dei tessuti erettili nelle fasi immediatamente successive alla chirurgia possano aiutare ad evitare una disfunzione erettile permanente.

Per questo sono state studiati diversi presidi farmacologici ed in questo senso l’avvento degli inibitori della PDE-5 ha rappresentato una vera rivoluzione. Sulla scia di numerosi studi pre-clinici eseguiti su modelli animali che hanno dimostrato la riduzione della fibrosi dei tessuti pre-clinici e la riduzione della degenerazione nervosa, sono stati eseguiti negli anni numerosi trial clinici: Padma et al. hanno dimostrato un maggior

recupero della funzione erettile, un aumento dello score nei questionari IIEF ed un incremento delle erezioni notturne in coloro che hanno sostenuto una terapia a base di inibitori del PDE-576.

Per questo sono state redatte delle linee guida per la terapia della DE, in cui è considerata anche la forma iatrogena chirurgica77.

La prima linea di terapia è rappresentata quindi dall’assunzione orale degli inibitori della PDE-5 (PDE-5i). Questi farmaci consentono di incrementare il flusso ematico, causando rilasciamento muscolare e vasodilatazione, ed inducono l’erezione78; sono degli analoghi del cGMP ed agiscono andando a competere con il recettore dell’enzima PDE, evitando quindi il catabolismo del cGMP ed aumentandone l’effetto sul tessuto muscolare liscio. L’efficacia del PD-E5i dipende quindi dall’integrità del sistema dell’ossido nitrico sintetasi (NOS), che stimola la produzione di cGMP.

Al momento sono disponibili tre principi attivi: il sildenafil (Viagra®) che rappresenta la prima sostanza autorizzata con questa indicazione al mondo, il verdenafil (Levitra®) ed il tadalafil (Cialis®). Queste differiscono per le loro proprietà farmacocinetiche, ma da un punto di vista di efficacia non sono state evidenziate delle grosse differenze.

Il Sildenafil necessita di 30-60 minuti dalla somministrazione per determinare un effetto (un pasto particolarmente ricco di grassi può ridurre il suo assorbimento), che durerà per 12 ore. Viene somministrata a dosi di 25, 50 e 100mg; la dose di partenza raccomandata è di 50mg.

Il Tadalafil inizia ad essere efficace a 30 minuti dalla somministrazione, anche se il picco di azione si avrà a 2 ore, con una efficacia che dura fino a 36 ore. Si somministra a dosi di 10 o 20mg (10mg la dose di partenza raccomandata).

Il Verdanafil inizia la sua azione in 30 minuti (un pasto ricco di grassi impatta sul suo assorbimento) e si somministra in dosi da 5, 10 e 20mg, con la dose di partenza raccomandata in 10mg. Negli studi in vitro si è dimostrato essere dieci volte più potente del sildenafil, anche se questo non ha un riscontro nell’efficacia clinica.

La scelta del particolare principio attivo va in funzione della esperienza personale del paziente e della frequenza di rapporti (uso occasionale o regolare). Inizialmente vennero

introdotti per il trattamento on-demand, ma nel 2008 il tadalafil è stato approvato anche con un piano di assunzione giornaliero. È stato dimostrato infatti che presenti un buon profilo di tolleranza e che presenti un miglioramento importante sul profilo dell’erezione79. Quindi nelle coppie che preferiscono avere una attività sessuale spontanea piuttosto che programmata si preferisce somministrare con questa frequenza.

Gli effetti collaterali comuni sono la cefalea, il flushing, la dispepsia, la congestione nasale e la dizziness; sildenafil e vardenafil causano anomalie della visione in <2% dei pazienti80, mentre il tadalafil si associa con lombalgia nel 6% dei casi. Trial clinici hanno dimostrato che la terapia a base di PDE-5i non determina aumento del tasso di infarti81, anche se rimane comunque la controindicazione assoluta ad associarli ai nitrati per il rischio di indurre ipotensione di difficile trattamento. Una consensus conference di Autori inglesi ha raggiunto la conclusione che nei pazienti a basso rischio cardiovascolare (ipertensione controllata, una debole angina pectoris stabile, CHD trattata con bypass e stent con successo) non sono richieste indagini cardiologiche aggiuntive; nel caso di pazienti a rischio cardiovascolare intermedio (numerosi fattori di rischio, scompenso cardiaco NYHA I o II, angina pectoris moderatamente grave) richiede un ECG sotto sforzo; infine nel paziente ad alto rischi (insufficienza cardiaca, angina instabile, ipertensione non controllata) la terapia per la disfunzione erettile non dovrebbe essere continuata sino a che non si raggiunge un controllo del quadro cardiovascolare. Allo stesso modo si sconsiglia di associare a-bloccanti ai PDE-5i per l’induzione di una importante ipotensione ortostatica (effetto comunque minore nel caso della tamsulosina). Aggiustamento dei dosaggi sono richiesti nel caso di assunzione contemporanea di antimicotici (chetoconazolo, itraconazolo) ed antibiotici (eritromicina e claritromicina).

La mancata risposta al trattamento riabilitativo farmacologico può essere dovuta ad una non corretta assunzione da parte del paziente o ad una inefficacia del farmaco. In generale è stato comunque osservato che associare alla linea di trattamento farmacologico anche un percorso di counselling psico-sessuale tende ad ottimizzare la risposta.

Nel caso di insuccesso o di disturbi associati alla terapia a base di PDE-5i, la seconda linea di trattamento è rappresentata dalle iniezioni intracavernose di sostanze vaso

dilatanti. Tale tecnica venne introdotta da Mc Dougal nel 1988, che iniettò una miscela di papaverina e di fentolamina82; oggi si impiegano le prostaglandine. Alprostadil (Caverject®) è l’unica molecola approvata per il trattamento della DE e si somministra con dosaggio che varia dai 5 ai 40g; induce l’erezione in 5-15 minuti ed ha una durata di azione che varia in base alla dose. Il paziente dovrebbe essere istruito per imparare il giusto processo di iniezione. Presenta un tasso di efficacia di circa il 70%, un tasso di soddisfazione nel paziente dell’87-93% e nel partner dell’86-90%83. Tra le complicanze associate all’assunzione di Alprostadil riconosciamo il dolore penieno, un’erezione prolungata ed il priapismo; inoltre possiamo avere la formazione di noduli dei punti di iniezione e lo sviluppo di fibrosi (da prima localizzata e reversibile, quindi generalizzata; essendo effetti correlati al numero di iniezioni, si consiglia al paziente di non superare le due somministrazioni settimanali). Queste complicanze rappresentano un importante motivo di drop out per questa linea di trattamento. È possibile la somministrazione di prostaglandina E1 sotto forma di piccolo bolo semisolido per via trans-uretrale (125-1000g).

Nel caso in cui anche questa linea di trattamento non dia risultati soddisfacenti, l’ultima opzione terapeutica è rappresentata dalla chirurgia ed in particolare dall’impianto di una protesi peniena. Innanzitutto si procede con l’anamnesi e l’individuazione di fattori di rischio medici che potrebbero rappresentare delle controindicazioni all’intervento (infezioni); dopo si considera la destrezza manuale del paziente (importante nella scelta dell’impianto in un secondo momento) e si esegue uno studio doppler ecografico dopo iniezione di agenti vasodilatatori (per studiare la tumescenza, la lunghezza ed il diametro circonferenziale del pene); si valutano i fattori di rischio del paziente (in particolare il diabete e le condizioni cardiovascolari). Si esegue una profilassi antibiotica a partire da un’ora prima dell’incisione e la si prosegue nei giorni successivi all’intervento; generalmente si scelgono gli antibiotici diretti contro gli antibiotici della cute. Riconosciamo due tipologie di impianti:

- semirigidi, disponibili da diverse decadi, presentano una certa semplicità nell’essere usati, ma determinano un’erezione permanente e per questo vengono scelti in meno del 10% dei casi; hanno una notevole affidabilità meccanica e sono anche facilmente impiantabili per via sub-coronale, peno-scrotale o per

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posiziona la pompa a livello dello scroto; nel caso della protesi a tre pezzi, il reservoir è tipicamente posizionato nello spazio pre-peritoneale, subito posteriormente al muscolo retto dell’addome. Le complicanze più frequenti sono i difetti meccanici e le infezioni: queste rappresentano il 3% dei casi in generale (maggiormente presente nei pazienti a rischio come i diabetici, coloro che hanno già avuto una precedente infezione dell’impianto e coloro che hanno subito una lesione spinale) ed il maggior imputato è Staphilococcus Epidermidis. Per ridurre l’incidenza di questa complicanza (che richiede la rimozione della protesi ed una terapia antibiotica mirata) oggi abbiamo implementato l’attenzione verso la sterilità chirurgica ed abbiamo a disposizione delle protesi rivestite da materiale antibiotico o idrofilico che riduca l’aderenza antibiotica. Un paziente che giunge all’intervento con una buona indicazione e dopo che la coppia sia stata adeguatamente informata può raggiungere alti livelli di soddisfazione, tra l’80 ed il 90%84.

Fattori che influenzano il recupero della funzione erettile post‐PR

Ci sono alcuni fattori che possiamo prendere in considerazione per valutare quella che sarà la possibilità di recupero della funzione sessuale dopo la PR e li possiamo classificare come preoperativi, intra-opeartivi e post-operativi.

Il primo aspetto da considerare per prevenire la disfunzione erettile post prostatectomia è valutare con che funzione erettile il paziente arriva all’intervento, il che richiede uno studio di base che vada a considerare sia gli aspetti funzionali che quelli oncologici: le caratteristiche cliniche e patologiche infatti hanno un ruolo fondamentale nella scelta del trattamento da indicare e quindi in base allo stadio potremmo, per esempio, decidere se eseguire una prostatectomia nerve sparing o meno. Essa sarà infatti controindicata in quei pazienti che presentano un alto rischio di patologia extra-capsulare. Una volta fatta la scelta terapeutica dovremmo valutare il paziente da un punto di vista clinico: studieremo la presenza di comorbidità (in primo luogo la patologia cardiovascolare ed il diabete mellito) e l’età del paziente, che rappresentano fattori di rischio ben identificati per stabilire l’impegno sulla funzione sessuale85. Il maggior predittore di DE post-PR è rappresentato dallo status preoperatorio della funzione erettile: è stato visto, infatti, da alcuni Autori, che oltre il 48% dei pazienti che presentavano un qualsiasi grado di

impegno della capacità erettile andava incontro a disfunzione erettile post-operatoria86. Questo spiega il motivo per cui una valutazione della funzione sessuale di base dovrebbe essere un elemento da studiare nel paziente in lista per un intervento; un altro aspetto fondamentale è rappresentato dalla necessità di fornire al paziente le adeguate informazioni necessarie per permettergli di fare la scelta che reputa migliore per sé e per costruirsi delle aspettative realistiche riguardo al suo percorso post-operatorio, tenendo ben presente che è molto difficile il ritorno ai livelli di funzione erettile precedenti all’intervento. Il “counselling” preoperatorio rappresenta un momento fondamentale per il paziente, per aumentare il suo livello di qualità della vita.

Per quanto riguarda i fattori intraoperatori, le nostre attuali conoscenze dell’anatomia pelvica e prostatica sono talmente incrementate nelle ultime tre decadi da consentire lo sviluppo di particolari tecniche chirurgiche che rispondano adeguatamente al bisogno di migliorare il recupero della funzione erettile. In particolare abbiamo la tecnica chirurgica “artery sparing” e la chirurgia “nerve sparing”. L’approccio “artery sparing” si basa sul riconoscimento e sul risparmio dei rami arteriosi prostatici (in particolare i rami capsulari anteriori, si associano ad un miglior recupero in quanto risultano responsabili dell’approvvigionamento vascolare secondario arterioso87) e delle arterie pudende accessorie, che generalmente decorrono lungo l’arco tendineo fasciale della pelvi o sulla superficie antero-laterale dell’apice prostatico e la cui sezione può determinare un’insufficienza arteriosa peniena dopo la chirurgia88. L’approccio nerve sparing è stato già descritto precedentemente.

Infine, un fattore estremamente importante per la prevenzione e per il trattamento dei sintomi della DE è la terapia riabilitativa peniena. La rimozione chirurgica della prostata porta spesso ad un periodo di inattività del controllo nervoso dell’erezione, che a sua volta porta ad un deficit di ossigenazione, con il rischio di sviluppare un danno definitivo a livello dei corpi cavernosi. Per questo tutti i trattamenti che si prefiggono di preservare l’ossigenazione ottimale dei tessuti penieni nelle fasi immediatamente successive alla chirurgia hanno un ruolo nella prevenzione della disfunzione erettile permanente. I presidi terapeutici a nostra disposizione sono numerosi e presentano una notevole efficacia: come precedentemente riportato, vanno dagli inibitori della PDE-5 in prima battuta, alle iniezioni intracavernose di prostaglandine ed al vacumdevice (VEDs,

responsabile della preservazione dell’integrità muscolo-endoteliale dei tessuti penieni e di un aumento del flusso arterioso e dell’ossigenazione dei corpi cavernosi), fino alla protesi peniena. In particolare, sono stati eseguiti diversi trials clinici randomizzati per stabilire il ruolo della terapia farmacologica orale: Padma-Nathan et al. in un trial clinico randomizzato a doppio cieco del 2008 hanno studiato 76 pazienti operati con approccio ORP divisi in un gruppo trattato con sildenafil tutte le notti ed un gruppo trattato con un placebo in 36 settimane ed hanno visto un aumento significativo del tasso di recupero della funzione erettile (27% contro 4% del gruppo controllo)76; Montorsi et al. in un trial clinico randomizzato a doppio cieco del 2014 hanno stratificato una coorte di pazienti in gruppo che assumeva tadalafil ed un gruppo che assumeva placebo ed hanno osservato un aumento dell’integrità dei tessuti cavernosi89;

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