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Valutazione degli aspetti andrologici nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale nerve sparing per adenocarcinoma prostatico

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Academic year: 2021

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INDICE

RIASSUNTO ANALITICO ... 3  ANATOMIA PROSTATICA ... 5  Forma, dimensione e rapporti ... 5  Vascolarizzazione ... 9  Innervazione ... 10  FISIOLOGIA DELL’EREZIONE ... 12  ADENOCARCINOMA PROSTATICO ... 16  Epidemiologia ... 16  Anatomia patologica ... 17  Diagnosi clinica ... 18  Classificazione e Sistema di Stadiazione ... 23  Il trattamento della malattia ... 28  LA PROSTATECTOMIA RADICALE ... 36  Prostatectomia radicale retro pubica ... 36  Prostatectomia radicale laparoscopica ... 39  Prostatectomia radicale laparoscopica robot‐assistita ... 41  Tecnica nerve sparing ... 47  Complicanze della prostatectomia radicale ... 49  Risultati funzionali dopo la PR: confronto tra le tecniche chirurgiche ... 51  LA DISFUZIONE ERETTILE DOPO PROSTATECTOMIA RADICALE ... 54  Fisiopatologia della disfunzione erettile post prostatectomia ... 54  Terapia della disfunzione erettile post prostatectomia ... 56  Fattori che influenzano il recupero della funzione erettile post‐PR ... 61  SCOPO DELLA TESI ... 64  MATERIALE E METODI ... 65  Arruolamento dei pazienti ... 65  Questionari ... 66  IEFF‐5 ... 66  EHS ... 68  RISULTATI ... 69 

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Casistica ... 69  Caratteristiche pre‐operatorie dei pazienti operati ... 69  Caratteristiche patologiche dei pazienti operati ... 70  Caratteristiche sessuali pre‐opertorie dei pazienti ... 71  Schema di trattamento ... 71  Recupero dell’attività sessuale post‐operatoria ... 72  Andamento nel tempo degli score IIEF ed EHS ... 74  Effetti avversi (AEs) del trattamento con PDE‐5i ... 75  DISCUSSIONE ... 76  CONCLUSIONI ... 79  BIBLIOGRAFIA ... 81   

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RIASSUNTO ANALITICO

L’adenocarcinoma prostatico rappresenta uno dei tumori più frequenti nei paesi Occidentali. Grazie alle migliori capacità diagnostiche, nel corso degli anni è aumentato il numero di neoplasie clinicamente localizzate ed in una popolazione di pazienti più giovane, per cui il trattamento gold standard è la prostatectomia radicale (PR). Questa non è scevra da effetti collaterali, tra cui la disfunzione erettile (DE). Per ridurre l’incidenza di DE post-PR sono stati introdotti nuovi trattamenti (dalla chirurgia “open” con accesso retro pubico, alla chirurgia laparoscopica e quindi all’approccio robot-assistito) e nuove modalità di intervento, come la tecnica Nerve Sparing (NS). Negli anni la prostatectomia radicale nerve sparing (NSRP) ha dato risultati non omogenei per quanto riguarda il recupero della funzione sessuale dopo l’intervento e per questo ha assunto un ruolo centrale la terapia riabilitativa farmacologica a base di inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE-5i). Gli studi clinici, però, non hanno dato risultati univoci e non c’è unanimità circa le modalità di somministrazione della terapia orale (dosaggio, frequenza e tempistica di assunzione del farmaco). L’obiettivo di questo studio è di valutare gli effetti a lungo termine del trattamento orale a base di inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE-5) nei pazienti sottoposti a NSRP.

Sono stati selezionati 221 pazienti sottoposti a tecnica NS: 133 di prostatectomia radicale “open” retropubica (ORP) ed 88 operati di prostatectomia radicale robot-assistita (RARP). L’età media nel primo gruppo era di 65,7 anni, mentre nel secondo di 61,8. Durante la terapia riabilitativa a base di PDE-5i (Sildenafil, Vardenafil o Tadalafil) 3 volte a settimana, tutti i pazienti sono stati seguiti per 12-18 mesi per valutare i risultati sulla funzione sessuale mediante questionari validati (IEEF-5 ed EHS). Tutti i pazienti valutati per lo studio avevano una buona funzione sessuale prima dell’intervento. 72 pazienti del primo gruppo e 28 del secondo hanno rifiutato la terapia riabilitativa, rispettivamente 8 e 17 hanno presentato un recupero spontaneo precoce delle erezioni, mentre rispettivamente 20 e 2 pazienti hanno avuto bisogno di passare dalla terapia orale a quella iniettiva intracavernosa a base di PGE-2. Alla fine del trattamento sono giunti 71 pazienti (33 del primo gruppo e 38 del secondo gruppo), con un recupero della funzione sessuale attiva in 66 pazienti (31 del primo gruppo e 35 del secondo gruppo). Il tasso di effetti collaterali è stato contenuto ed ha portato alla sospensione del trattamento orale solitamente in 4 pazienti.

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Il confronto tra i due gruppi ha dimostrato delle differenze significative circa la propensione ad accettare la terapia riabilitativa, il tasso di recupero di erezioni spontanee ed il tasso di shift terapeutico; non si sono osservate differenze invece per quanto riguarda il tasso di successo al termine del trattamento long-term con PDE-5i. Andando ad osservare l’andamento degli score dei questionari IIEF-5 ed EHS emerge, dopo un atteso ed importante calo dei valori dopo l’intervento, un ritorno al termine del follow-up a valori paragonabili a quelli pre-operatori di base.

Il trattamento a lungo termine PDE-5i comporta importanti risultati nel recupero della funzione sessuale dei pazienti sottoposti a NSRP, a fronte di un adeguato profilo di sicurezza.

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ANATOMIA PROSTATICA

Forma, dimensione e rapporti

La prostata è una ghiandola localizzata a livello della piccola pelvi, dove rappresenta l’unico organo solido, ed è dotata di una forma assimilabile a quella di una castagna. Presenta un peso di 18g nel giovane adulto e misura 3cm in lunghezza, 4cm in larghezza e 2cm in profondità; al centro viene attraversata dall’uretra. Possiamo riconoscere una superficie anteriore ed una posteriore, le superfici laterali, con un apice posto inferiormente ed un’ampia base superiormente, in contiguità con la vescica.

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I nervi cavernosi corrono posterolateralmente alla prostata, all’interno della fascia prostatica laterale; per preservarli, questa fascia deve essere incisa lateralmente alla prostata ed anteriormente rispetto al fascio neuro-vascolare (neuro-vascular bundle, NVB). Per questo possiamo capire come una conoscenza minuziosa dei piani fasciali che circondano la prostata sia cruciale per poter effettuare una buona chirurgia nerve sparing. L’impiego sempre maggiore della chirurgia robotica e laparoscopica ha portato ad un rinnovato interesse per l’anatomia di questi strati fasciali, al fine di rispettare al massimo il NVB; la magnificazione anatomica propria di queste tecniche è di grande aiuto. La massima preservazione della fascia prostatica laterale a livello dei peduncoli prostatici è indispensabile per preservare il NVB e quindi per la funzione erettile nelle dissezioni anterograde.

L’apice della prostata è in continuazione con lo sfintere striato uretrale, una guaina tubulare orientata verticalmente che circonda l’uretra membranosa e la prostata: istologicamente infatti potremmo trovare ancora delle normali ghiandole prostatiche nel contesto del muscolo striato, senza la presenza intermedia di capsula o di stroma. Alla base della prostata alcune fibre esterne longitudinali del muscolo detrusore vescicale si fondono con il tessuto fibromuscolare della capsula. Infatti gli strati muscolari circolare intermedio e longitudinale esterno raggiungono l’uretra prostatica, determinando la formazione dello sfintere pre-prostatico. Come per l’apice, anche in questo caso non vi è una vera e propria capsula a fare da separatore tra prostata e vescica. Nelle resezioni chirurgiche per l’adenocarcinoma prostatico, questa particolare situazione anatomica può rendere complicata l’interpretazione di questi margini ed ha portato ad ipotizzare che la prostata non possieda una vera e propria capsula.

Riconosciamo una divisione in zone che si distinguono in base alla localizzazione dei loro dotti nell’uretra, alle loro differenti lesioni patologiche ed in alcuni casi anche dalla loro origine embriologica. Queste possono essere facilmente riconosciute all’esame ecografico trans-rettale (TRUS). A livello dell’angolo che divide l’uretra in pre-prostatica e pre-prostatica, i dotti della zona di transizione si sviluppano e passano sotto lo sfintere pre-prostatico per portarsi al suo lato posteriore e laterale. Normalmente la regione di transizione contiene il 5-10% del tessuto ghiandolare prostatico; una discreta banda di tessuto fibromuscolare divide questa parte dai rimanenti compartimenti

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contatto con il collo vescicale tra le posizioni ad ore 1 e 5 e ad ore 7 ed 11, con i rami maggiori posizionati posteriormente. Quindi svoltano caudalmente, proseguendo parallelamente all’uretra, staccando rami per alimentarla, oltre che per servire le ghiandole periuretrali e la zona di transizione. Nell’ipertrofia prostatica benigna questi vasi provvedono maggiormente alla vascolarizzazione arteriosa dell’adenoma. Quando queste ghiandole sono resecate o enucleate, i sanguinamenti più importanti si riscontrano maggiormente a carico del collo della vescica, particolarmente nelle posizioni ad ore 4 ed 8.

L’arteria capsulare rappresenta il secondo ramo principale dell’arteria prostatica: da questa si staccano alcuni piccoli rami che si ramificano sulla capsula prostatica. Per lo più questa arteria decorre postero-lateralmente alla prostata con i nervi cavernosi (NVB) e termina a livello del diaframma pelvico. I rami capsulari perforano la prostata e seguono quindi le bande di stroma per raggiungere il tessuto ghiandolare. Il drenaggio venoso della prostata è per la maggior parte a carico del plesso periprostatico.

Il drenaggio linfatico si ha primariamente a livello dei linfonodi otturatori ed iliaci interni. Una piccola porzione del drenaggio linfatico inizialmente passa attraverso il gruppo dei linfonodi pre-sacrali o, meno comunemente, a livello dei linfonodi iliaci esterni.

Innervazione

Rami nervosi del sistema simpatico e di quello parasimpatico raggiungono la prostata attraverso i nervi cavernosi, a partenza dal plesso pelvico (localizzato lateralmente al retto, a circa 7cm dal margine anale). Questi nervi seguono la ramificazione dell’arteria capsulare fino al raggiungimento degli elementi ghiandolari e stromali. I nervi parasimpatici (che partono dai livelli sacrali S2-S4) terminano a livello degli acini e promuovono la secrezione, mentre i rami simpatici (a partenza da L1-L2) determinano contrazione delle cellule muscolari lisce capsulari e stromali. I nervi cavernosi decorrono postero-lateralmente alla prostata, nella fascia prostatica laterale.

Il blocco dei recettori 1 riduce il tono dello stroma prostatico e dello sfintere pre-prostatico ed incrementa il flusso urinario nei soggetti affetti da ipertrofia prostatica benigna. Sono stati inoltre individuati nella prostata anche neuroni contenenti sintetasi di ossido nitrico e peptidergici che dovrebbero essere responsabili del rilasciamento

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della muscolatura liscia. I neuroni efferenti invece decorrono dalla prostata sino al plesso pelvico e quindi ai centri spinali toraco-lombari.

Un altro importante nervo correlato alla prostata è il nervo pudendo, che determina l’innervazione somatica dello sfintere striato e del muscolo elevatore dell’ano.

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FISIOLOGIA DELL’EREZIONE

L’erezione viene definita come un evento neuro vascolare modulato da fattori psicologici e dallo stato ormonale, dove sia la vascolarizzazione che l’innervazione rappresentano elementi essenziali per la sua fisiologia.

La vascolarizzazione del pene è assicurata dall’arteria pudenda interna: questa dà un ramo per il pavimento pelvico prima di dividersi nell’arteria uretrale, nell’arteria dorsale del pene (che decorre tra la fascia di Buck e la tonaca albuginea) e nell’arteria profonda del pene (da cui si dipartono i rami elicini con “orientamento a cavatappo” che drenano direttamente nei sinusoidi). Il deflusso venoso è invece garantito a strati: il drenaggio superficiale è affidato alle vene dorsali superficiali che drenano nella safena; il drenaggio intermedio alla vena dorsale profonda che invia il flusso al plesso periprostatico di Santorini; il sistema venoso profondo si compone della vena cavernosa e della crurale, che si uniscono alle vene periuretrali per affluire nelle vene pudende interne.

L’innervazione del pene coinvolge il sistema autonomo e quello somatosensoriale: le fibre simpatiche originano presso l’area toraco-lombare (D12-L2), mentre le fibre parasimpatiche originano dal centro sacrale dell’erezione (S2-S4) per andare ad unirsi e formare il plesso pelvico da cui si dipartono i nervi cavernosi. Questi seguono il decorso dei vasi pudendi ed entrano nei corpi cavernosi dopo essere passati lateralmente all’apice della prostata. L’innervazione somatosensoriale è rappresentata dal nervo dorsale del pene, ramo terminale del nervo pudendo: le informazioni sensitive raggiungono i segmenti sacrali S2-4 per essere inviate ai centri integrativi superiori. È presente anche una innervazione efferente che raggiunge i muscoli ischio-cavernosi e bulbo-cavernosi, che hanno un ruolo rilevante durante l’erezione in quanto, comprimendo i corpi cavernosi contro la pelvi determinano un aumento di pressione interna.

La fisiologia dell’erezione vede tre momenti fondamentali: la riduzione della resistenza (e quindi il rilasciamento della muscolatura dei corpi cavernosi), l’aumento del flusso arterioso e la riduzione dell’efflusso venoso per compressione dei plessi intracavernosi.

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che l’iniezione intracavernosa provochi un’immediata erezione (si sospetta che la detumescenza dopo erezione possa essere legata ad una interruzione di secondi messaggeri NO dipendenti da parte della diesterasi o della scarica simpatica durante l’eiaculazione); dall’altra la scarica parasimpatica non adrenergica non colinergica porta ad un rilascio di ossido nitrico (NO) che determina un aumento di cGMP che a sua volta causa rilasciamento del muscolo liscio cavernoso per attivazione di una proteinchinasi specifica ed inattivazione della catena leggera della miosina per fosforilazione.

Durante il ritorno allo stato flaccido si veridica l’idrolisi del cGMP da parte della isoforma 5 della fosfodiesterasi (PDE-5). La superfamiglia del PDE comprende 11 isoforme dell’enzima, di cui solamente la -5, la -6 e la -9 sono specifiche per il cGMP. La PDE-5 si trova, oltre che nel tessuto cavernoso, anche a livello di piastrine, polmoni, cervelletto e midollo spinale, muscoli scheletrici e cuore, placenta, pancreas ed intestino, aorta e surreni3; questo può far supporre un’ampia gamma di effetti collaterali da parte degli inibitori delle PDE-5, che in realtà si pensa siano limitati a livello della retina, del sistema cardiovascolare e gastrointestinale.

RELAZIONE FRA MECCANISMO DELL’EREZIONE E GHIANDOLA PROSTATICA

La funzionalità sessuale, da un punto di vista anatomico, si realizza per mezzo dei nervi cavernosi e del fascio vascolo-nervoso (NVB): l’integrità nervosa e vascolare della prostata è fondamentale per consentire il regolare processo fisiologico dell’erezione. La prostatectomia radicale, potendo determinare un danno al NVB, si correla con importanti effetti collaterali, quali l’incontinenza urinaria, ma soprattutto la disfunzione erettile.

Si comprende quindi la notevole importanza di un’accurata conoscenza anatomica della regione pelvica e della prostata; ancora di più se si pensa che queste sottili strutture nervose sono non visibili e difficilmente identificabili durante la chirurgia.

Dalla prima descrizione anatomica secondo Walsh, ai fini di consentire una prima applicazione dell’approccio nerve sparing nel 19824, numerosi Autori si sono dedicati a cercare di incrementare i risultati funzionali della prostatectomia radicale traducendo le dettagliate conoscenze anatomiche nella pratica clinica routinaria: tra questi Stolzenburg

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et al. hanno dimostrato perfettamente come il trasferimento di conoscenza anatomiche di base porti ad un sensibile miglioramento dei risultati funzionali della prostatectomia radicale, senza compromettere l’efficacia oncologica. Vi sono infatti determinate strutture anatomiche critiche nella preservazione delle componenti nervose autonomiche del plesso pelvico e che richiedono di essere trattate con cura ed attenzione durante la chirurgia: in particolare sono la regione laterale della prostata, le vescicole seminali e la regione apicale. Come già detto, il NVB decorre a livello della superficie laterale della prostata, per cui nel momento in cui andremo ad eseguire l’incisione della fascia pelvica laterale è fondamentale identificare il tessuto areolare tra la fascia stessa e la superficie laterale prostatica; dal momento che i rami dei nervi cavernosi che vanno ad innervare il collo vescicale si ritrovano a poca distanza dagli apici delle vescicole seminali, è consigliabile una preparazione adeguata del loro piano di clivaggio dalla prostata; a livello apicale le fibre nervose decorrono lateralmente e posteriormente all’uretra, per cui si richiede un trattamento delicato ed accurato nel momento della sua preparazione, che passerà dall’identificazione del legamento di Müller e della fascia dello sfintere esterno per la definizione di un piano di sezione più sicuro possibile. Stolzenburg et al hanno sottoposto a prostatectomia radicale 150 pazienti con una tecnica nerve sparing bilaterale intrafasciale per forme localizzate di adenocarcinoma, prestando particolare attenzione nei passaggi operatori che interessano le strutture pelvico-prostatiche critiche, ed hanno eseguito un follow-up a 6 e 12 mesi, ottenendo ottimi risultati sul piano della potenza sessuale (rispettivamente con il 61,2% ed il 79,3% dei pazienti che avevano erezioni sufficienti per avere rapporti)5.

Naturalmente i candidati che trovano indicazione con maggiore frequenza all’intervento chirurgico di prostatectomia radicale sono quei pazienti che richiedono un trattamento localizzato per la cura della patologia neoplastica della prostata.

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ADENOCARCINOMA PROSTATICO

Epidemiologia

L’adenocarcinoma prostatico rappresenta il tumore più frequente nella popolazione di soggetti anziani maschi (>70 anni) in Europa ed in generale il secondo tumore più frequente nella popolazione maschile in tutto il mondo (1.100.000 casi e 307.000 decessi nel 2012), rappresentando quindi un importante problema di salute pubblica, in particolare nei paesi sviluppati. La sua incidenza è particolarmente alta nei paesi dell’Europa del Nord e di quella Occidentale (>200 casi per 100.000 uomini) ed è in aumento nei paesi dell’Europa Meridionale e nell’Europa dell’Est6. Si riscontra una notevole differenza tra le diverse parti del mondo: riconosciamo paesi ad incidenza elevata (Nord Europa ed America Settentrionale), intermedia (Europa del Sud ed America Latina) ed infine a bassa incidenza (Estremo Oriente). Questa notevole differenza geografica è legata all’esposizione a fattori ambientali, a motivi genetici, alla dieta ed agli stili di vita, nonché all’accessibilità al sistema sanitario nazionale.

Attualmente il rischio di ammalarsi di carcinoma alla prostata è di circa il 16%, mentre il rischio di incorrere a morte sempre per esso è del 2,9%.

Questo trend è in gran parte determinato dall’introduzione del test di laboratorio per la ricerca del PSA (Prostatic Specific Antigen) che ha portato ad un incremento del numero di biopsie effettuate in soggetti asintomatici o con sintomi riferibili alle basse vie urinarie. L’epidemiologia del carcinoma prostatico è strettamente correlata alla storia dell’impiego del PSA come marker tumorale e di progressione della malattia: nel 1992 si è registrato un picco importante nell’incidenza del tumore legato al largo impiego del PSA, quindi un leggero declino per poi tornare ad aumentare come nei livelli pre-PSA. Si è sviluppata un’importante controversia riguardo al suo utilizzo, in quanto, a fronte di un aumento del numero di diagnosi, non si sono registrati altrettanti benefici per quanto riguarda la mortalità; anzi, allo stesso tempo siamo andati maggiormente incontro ad una serie di importanti effetti collaterali (disfunzione erettile, incontinenza urinaria e problemi vescicali) che hanno determinato un impatto importante sulla qualità della vita di questi pazienti.

L’utilizzo del PSA come test di screening ha portato a due cambiamenti nell’epidemiologia della malattia: in primis un abbassamento dell’età media a cui si effettua la diagnosi, da cui una riduzione del numero di tumori in stato avanzato o

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una spiccata preferenza nel crescere nella regione periferica della ghiandola; i cambiamenti a livello molecolare di entrambe le lesioni presentano numerose similitudini (la perdita allelica a livello della regione 8p21-24 per esempio). All’aumentare del volume prostatico occupato dal PIN si avrà inoltre un maggiore stadio patologico, uno score di Gleason maggiore, una maggiore incidenza di margini chirurgici positivi e di invasione perineurale7.

Il 95% dei tumori maligni che interessano la prostata sono adenocarcinomi; il restante 5% sono invece neoplasie primitive connettivali e neuroendocrine e tumori secondari (quindi sarcomi, uroteliomi e linfomi). Con il termine carcinoma prostatico intendiamo la variante acinare della neoplasia, che rappresenta l’estrema maggioranza dei casi: insorge nel 70% dei casi nella regione periferica della prostata (situazione che permette di apprezzare la neoplasia all’esplorazione rettale) e presenta una spiccata multifocalità (80% dei casi). Macroscopicamente il tumore si presenta come tessuto neoplastico duro e nodoso, biancastro e dai margini irregolari, che in base alla sua estensione può arrivare ad interessare le vescicole seminali ed il collo vescicale. Ha una tendenza alla metastatizzazione per via linfatica (essenzialmente a livello dei linfonodi otturatori ed iliaci) e per via ematogena venosa, interessando a distanza in particolar modo sedi come lo scheletro assiale, generalmente con lesioni osteoblastiche. Nella maggioranza dei casi, all’istologia si riconosce un quadro ben definito: le ghiandole si presentano più piccole e rivestite da un unico strato di cellule cuboidali o colonnari; appaiono inoltre affollate. Il citoplasma è più tendente all’eosinofilia ed i nuclei appaiono grandi e spesso contornati da vari nucleoli. Il ventaglio di alterazioni istologiche che si osserva microscopicamente rappresenta la base per la definizione del Gleason Score.

Diagnosi clinica

Il sospetto clinico per il carcinoma prostatico si basa sull’esplorazione rettale e sui livelli del PSA, anche se la diagnosi definitiva richiede una valutazione istopatologia (essenzialmente in occasione di biopsia prostatica, ma anche del tessuto asportato in sede di TURP o di adenomectomia eseguita per ipertrofia benigna).

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Mediante esplorazione rettale è possibile individuare masse nella regione periferica che abbiano un volume >0,2mL. Con questo unico esame (senza associare la ricerca del PSA) è possibile riscontrare il 18% dei casi di carcinoma8. Un quadro anomalo individuato all’esame digito-rettale indica un maggior rischio di un alto score di Gleason9 e per questo rappresenta un’indicazione alla biopsia prostatica ecoguidata. Il PSA rappresenta un marker sierico organo-specifico che ha rivoluzionato la diagnosi per il carcinoma, anche se non è da ritenere tumore-specifico. Presenta infatti una specificità non ottimale in quanto tende ad innalzarsi sia in altre condizioni patologiche (l’ipertrofia prostatica benigna e la prostatite, un infarto prostatico o un trauma perineale, la ritenzione urinaria) che in situazioni non patologiche (una recente manovra diagnostica come una biopsia, una cistoscopia o la stessa DRE), ma in qualche caso anche banalmente per l’eiaculazione.

Esiste una sovrapposizione per determinati valori di PSA (in particolare per quelli definiti nella famigerata “zona grigia”, tra 4 e 10 ng/mL) tra condizioni diverse, patologiche e non; allo stesso tempo possiamo avere condizioni indolenti, per cui abbiamo lo sviluppo di neoplasia (anche di grado rilevante) in assenza di innalzamento dei livelli di PSA10. Nonostante ciò, si conferma come miglior predittore di tumore rispetto alla DRE ed all’ecografia trans-rettale (TRUS)11.

Per migliorare l’accuratezza diagnostica del PSA sono stati studiati ed inseriti nella pratica clinica altri parametri. Tra questi contiamo il PSA correlato all’età del paziente che ha il suo razionale con il dato che con l’aumento dell’età si ha un incremento dei livelli del marker, per cui il singolo valore necessita di essere confrontato a quelli di riferimento per la fascia di età; la PSA density, ovvero il valore del PSA correlato al volume prostatico ottenuto mediante misurazioni alla TRUS (modificando di conseguenza il range di normalità); la PSA velocity ed il doubling-time, che calcolano la cinetica di crescita del PSA valutando rispettivamente l’incremento del valore sierico annuo e l’incremento esponenziale del PSA nel tempo (hanno un maggior ruolo nella prognosi piuttosto che nella diagnosi, non offrendo ulteriori informazioni rispetto alla misurazione singola del PSA12, con l’evidenza che un cambiamento maggiore di 0,75ng/mL/year si associa ad un aumentato rischio di carcinoma); il free/total PSA ratio, che ha un suo ruolo nella diagnosi differenziale tra la patologia neoplastica e

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l’ipertrofia prostatica benigna, stratifica il rischio in quei pazienti che si trovano nella “zona grigia” e che non presentano evidenze all’esplorazione digito-rettale, in quanto nel caso di carcinoma prostatico il valore sarà ridotto, in particolare se minore di 0,2513; ancora, il [-2]Pro-PSA è specifica isoforma del proenzima del PSA, introdotta nel Prostate Health Index(PHI), test che combina inoltre le misurazioni del PSA libero e totale e che secondo una importante meta-analisi può ridurre le indicazioni alla biopsia14; il Four kallikrein test (4k test), un panel test che incorpora diversi esami (PSA totale, PSA libero, PSA intatto e lo studio delle callicreine umane associate alle peptidasi 2) con l’intento di aumentare l’individuazione di forme neoplastiche aggressive (produce uno score il cui risultato viene correlato all’età del paziente, all’esame digito-rettale ed al referto di biopsie precedenti).

Oltre a questi test che implementano le funzioni del PSA ne sono stati studiati anche altri, tra cui il marker PCA3: un mRNA non codificante espresso specificatamente a livello prostatico, sovra espresso nel caso di neoplasia, identificabile nelle urine del paziente dopo spremitura della ghiandola al massaggio prostatico eseguito nel corso di DRE. Ad ora la sua maggiore indicazione è nel determinare se sia indicato ripetere una biopsia dopo il riscontro di un risultato bioptico iniziale negativo15.

La necessità di eseguire una biopsia è dettata dal PSA e/o dal sospetto al DRE; andrebbero considerate pure l’età, la presenza di comorbidità e le conseguenze terapeutiche. Non basta un singolo ritrovamento di un valore di PSA oltre i limiti a giustificare la biopsia, ma è piuttosto indicato ripetere la valutazione dei suoi livelli a distanza di poche settimane, alle solite condizioni standardizzate.

Nel caso di riscontro bioptico negativo non è assoluta l’esclusione la diagnosi, per cui esistono dei criteri in base ai quali può essere indicato ripetere il prelievo: l’aumento o il mantenimento di livelli elevati di PSA, un DRE sospetto, una proliferazione acinare atipica, una estesa HG-PIN, la presenza di poche ghiandole atipiche in prossimità di aree HG-PIN, il singolo ritrovamento di un carcinoma intraduttale o segni individuati ad una MRI multiparametrica.

Il gold standard attuale per l’esecuzione della biopsia prostatica è rappresentato dall’esame eseguito sotto guida ecografica trans-rettale, anche se praticamente pari

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dignità presenta l’approccio perineale: questa consente generalmente di individuare le lesioni neoplastiche come dei noduli ipoecogeni, anche se talvolta il tumore può avere anche un comportamento ecogenico diverso. Esistono diverse tipologie di sonde per eseguire la TRUS: le sonde a scansione radiale (con cui si sono state eseguite le prime biopsie) e le sonde a scansione longitudinale (al momento quelle più impiegate nella pratica clinica), fino ad arrivare alle sonde multiplanari (che consentono di visionare l’ago bioptico subito dopo la penetrazione a livello della cute del perineo o della mucosa rettale, dando una maggiore capacità di orientamento per il prelievo).

Si tratta di un esame mediamente invasivo, che presenta un tasso accettabile di complicanze.

Complicanze Percentuale di pazienti affetti

Ematospermia 37.4

Ematuria >1 giorno 14.5

Sanguinamento rettale <2 giorni 2.2

Prostatite 1.0

Febbre >38,5°C 0.8

Epididimite 0.7 Sanguinamento rettale >2 giorni richiedente o

meno intervento 0.7

Ritenzione urinaria 0.2

Altre condizioni richiedenti ospedalizzazione 0.3

Percentuale di complicanze per esame bioptico, indipendentemente dal numero di cores

Controindicazioni all’esame bioptico sono rappresentate da una importante coagulopatia, una dolorosa condizione ano-rettale ed una prostatite acuta. La terapia anticoagulante o antiaggregante piastrinica dovrebbe essere sospesa sulla base di precisi protocolli; è indicata una profilassi antibiotica, specie nel caso di accesso trans-rettale, solitamente a base di chinoloni (da assumere 24 ore prima della procedura e per i 3 giorni a seguire); prima dell’esame il paziente deve sottoporsi ad un clistere di pulizia del basso retto (incrementa l’efficacia della finestra acustica per l’imaging prostatico). Si procede quindi alla analgesia, per cui è raccomandato un blocco eco-guidato dei fasci nervosi peri-prostatici, e si posiziona il paziente generalmente in decubito laterale sinistro con le ginocchia piegato a 90° (la posizione litotomica è preferita nel caso di

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approcci trans-perineali). Nell’approccio trans-perineale si inserisce la sonda ecografica end-fire nel retto e si visualizza la ghiandola sul piano coronale e sagittale, si cerca di individuare aree ipoecogene e si localizza l’uretra (che appare come struttura mediana ipoecogena che si immette nel corpo spongioso); individuati i margini della prostata, si procede al campionamento, in genere con un prelievo “a sestante”. Introdotto l’ago nello spazio ischio rettale, in scansione longitudinale possiamo osservarlo come una linea iperecogena riflettente; è importante individuare il retto e la vescica, le vene periprostatiche e le vescichette seminali. Nell’approccio trans-rettale analogamente si valuta la prostata mediante sonda ecografica sia sul piano longitudinale che su quello trasversale; generalmente si impiega uno specifico adattatore per ago incorporato sulla stessa sonda ecografica per una maggiore precisione dei prelievi.

Il modello di campionamento ha subito negli anni diverse modifiche: siamo passati in origine dalla biopsia “a sestante” secondo lo schema di Hodge (un campione rispettivamente dalla base, dall’apice e dalla regione intermedia per lato) alla tecnica estesa secondo Presti (campionamento delle regioni laterali, prevedendo di ottenere 10 frustoli di tessuto), ad altre tecniche che prevedono l’analisi di 12 (“doppia sestante”) o di 13 campioni (in cui si biopsiano 5 regioni, secondo Eskew)16.

Classificazione e Sistema di Stadiazione

L’obiettivo di un sistema di classificazione per i tumori è quello di riuscire a combinare i pazienti in funzione di un outcome clinico simile, oltre che a dare la possibilità di strutturare dei trials clinici su popolazioni di pazienti omogenee e di agevolare il confronto sul piano clinico-patologico dei dati ottenuti nei vari centri in tutto il mondo. Infine offre la possibilità di costruire un sistema di raccomandazioni sul piano del trattamento. Riconosciamo in primis un sistema di stadiazione basato sulla classificazione secondo il sistema Tumor, Node, Metastasis (TNM) che valuta, appunto, l’estensione del tumore, l’impegno linfonodale ed a distanza della neoplasia.

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T – Primary tumor

Tx Primary tumor cannot be assessed

T0 No evidence of primary tumor

T1

Clinically inapparent tumor non palpable or visible by imaging T1a – Tumor incidental histological finding in 5% or less of tissue

resected

T1b – Tumor incidental histological finding in more than 5% of

tissue resected

T1c – Tumor identified by needle biopsy (e.g. because of elevate

PSA level)

T2

Tumor confined within the prostate1 T2a – Tumor involves one half of one lobe or less

T2b – Tumor involves more than one half lobe, but not both lobes T2c – Tumor involves both lobes

T3

Tumor extends through the prostate capsule2

T3a – Extracapsular extension (unilateral or bilateral) including

microscopic bladder neck involvement3

T3b – Tumor involves seminal vescicles

T4

Tumor is fixed or invades adjacent structures other than seminal vescicles: exernal sphincter, rectum, levator muscles and/or pelvic

wall

N – Regional lymph nodes4

Nx Regional lymph nodes cannot be assessed

N0 No regional lymph node metastasis

N1 Regional lymph node metastasis5

M – Distant metastasis6

Mx Distant metastasis cannot be assessed

M0 No distant metastasis

M1

Distant metastasis M1a – Non regional lymph nodes

M1b – Bones M1c – Other sites

1 Tumor found in one or both lobes by needle biopsy, but not palpable or visible by imaging, is 

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2Invasion into the prostatic apex or into (but not beyond) the prostate capsule, is not classified 

as pT3, but as pT2 

3Positive  surgical  margins  should  be  indicated  by  an  R1  descriptor  (residual  microscopic 

disease) 

4The  regional  lymph  nodes  are  the  nodes  of  the  true  pelvis,  which  essentially  are  the  pelvic 

nodes below the bifurcation of common iliac arteries 

5Lateralitly does not affect the N‐classification 

6When  more  than  one  site  of  metastasis  is  present,  the  most  advanced  category  should  be 

used 

Questo sistema di stadiazione consente di definire l’estensione del carcinoma, importante per poter programmare una linea di trattamento e per avere un indicatore prognostico.

Esiste poi un sistema di grading istologico, universalmente accettato in tutto il mondo: il Gleason Score. Esso si basa su una suddivisione in gradi in funzione dell’aspetto

architetturale del campione bioptico, quindi sulla morfologia e sulle modificazioni della ghiandola. Dal momento che oltre il 50% di casi evidenzia più di un grado rappresentato nel campione, possiamo costruire uno score: riconosciamo un “pattern primario” (il pattern maggiormente rappresentato) a cui associamo il rispettivo grado ed un “pattern secondario” (il secondo maggiormente rappresentato) a cui associamo sempre il relativo grado. Sommando questi due gradi si ottiene lo Score di Gleason. È importante

specificare il grado primario ed il secondario in quanto, per esempio, un quadro 3+4 presenta una prognosi diversa rispetto ad uno 4+3. Nel caso in cui sia rappresentato unicamente un solo pattern si procede raddoppiando il grado corrispettivo; qualora invece siano rappresentati tre pattern si sommano il grado maggiormente rappresentato con quello più alto (senza considerare quindi l’estensione)17. Il punteggio che otteniamo andrà da un minimo di 2 (associato ad un aspetto ben differenziato) ad un massimo di 10 (aspetto scarsamente differenziato).

Gradazione del carcinoma prostatico secondo Gleason:

1: Tumore composto da piccoli noduli tondeggianti contenenti ghiandole ben delimitate ed individualizzabili, strettamente ravvicinate ed uniformi, uguali le une alle altre. Cellule di forma regolare.

2: Il tumore continua ad essere di forma nodulare, ma rappresentato da ghiandole meno facilmente delimitabili e più strettamente stipate, non più uniformi, ma con iniziali

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Sulla base dello score di Gleason e dello stadio clinico si studia la correlazione con la presenza di metastasi linfonodali: le prime stazioni ad essere interessate sono quelle dei linfonodi otturatori, quindi gli ipogastrici, gli iliaci esterni, i sacrali, gli iliaci comuni, gli inguinali ed i para-aortici. In particolare il rischio di impegno linfonodale correla con alti valori di PSA, uno stadio T2b-T3, una scarsa differenziazione o l’invasione perineurale18. Per lo studio del fattore N possono essere utili anche esami di imaging: una TC addominale o una MRI multi-parametrica possono indicare indirettamente un coinvolgimento linfonodale, mostrando un aumento di diametro ed un’alterazione della forma, anche se la loro sensibilità risulta essere ridotta19 e se sono incapaci di riconoscere un’invasione nodale iniziale microscopica.

Allo stesso modo possiamo valutare il rischio di malattia a distanza: le sedi maggiormente interessate sono, in ordine di frequenza: l’ileo, l’ischio ed il rachide lombo-sacrale, il rachide dorsale, le coste ed il femore. Il plesso venoso di Batson, privo di valvole, rappresenta il sistema che permette il passaggio delle cellule metastatiche organizzate in micro-emboli dalla ghiandola prostatica fino al midollo osseo dello scheletro della pelvi. Questo spiega il particolare trofismo del carcinoma prostatico per queste sedi. Nella maggioranza dei casi si tratta di lesioni osteo-addensanti (che quando vengono individuate all’imaging rappresentano un segno alquanto indicativo di cancro della prostata), ma possono essere pure miste o osteolitiche. L’impegno agli organi parenchimatosi non è comune; si nota comunque un maggiore coinvolgimento a distanza a livello del polmone, del fegato, dei reni e dei surreni.

La scintigrafia ossea a base di tecnezio 99 è di largo impiego per lo studio globale del paziente, anche se presenta una specificità relativamente bassa20. La sua positività diagnostica è correlata alo stadio clinico, allo score di Gleason ed al livello di PSA. Naturalmente la scintigrafia ossea è da riservare unicamente in quei pazienti che presentano sintomatologia.

Esistono delle nuove modalità per la ricerca delle metastasi linfonodali: in particolare la PET/TC con 11C o la 18F-Colina, che presenta una buona specificità a fronte di una sensibilità non proprio ottimale: una meta-analisi ha preso in studio 609 pazienti per valutare questa procedura ed ha dimostrato una specificità ed una sensibilità rispettivamente del 92% e del 62%21. Allo stesso modo, per la ricerca delle metastasi a

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distanza è stata presa in considerazione la PET o la PET/TC con il 18F-fluoride che ha dimostrato una specificità simile ed una sensibilità maggiore rispetto alla scintigrafia ossea (anche se con un rapporto costo/efficacia minore)22; è stato valutato anche l’impiego della risonanza magnetica multi parametrica (mpMRI) total body, che sembra presentare una sensibilità ed una specificità maggiore23.

Associando alcuni parametri (stadio clinico, punteggio di Gleason, il PSA) sono stati costruiti dei nomogrammi che aumentano l’accuratezza della stadiazione: tra questi quello di Partin, che permette di prevedere lo stadio patologico, se la malattia sia confinata all’organo o se sia extracapsulare (se non addirittura infiltrante le vescicole seminali, i linfonodi regionali o organi a distanza).

Un ulteriore sistema di classificazione è quello della “EAU risk classification”, sostanzialmente ottenuto sulla base del sistema di classificazione D’Amico. Questo permette di suddividere le classi di pazienti in funzione del rischio, calcolato a sua volta in base al PSA, allo score di Gleason ed allo stadio clinico.

Low-risk Intermediate-risk High-risk

Definition PSA <10ng/mL + GS <7 + cT1-2a PSA 10-20ng/mL or GS=7 o cT2b PSA >20ng/mL or GS >7 or cT2c Any PSA Any GS cT3-4 or N+

Localized Locally Advanced

EAU risk groups for biochemical recurrence of localized and locally advanced prostate cancer

Il trattamento della malattia

Numerosi soggetti che presentano un carcinoma prostatico localizzato non beneficeranno di un trattamento definitivo, mentre nel 45% dei casi avremo dei candidati ottimali. Per questo sono state definite diverse strategie terapeutiche (con i loro benefici e svantaggi specifici) in base alle caratteristiche del paziente (età, comorbidità, aspettativa di vita) e della neoplasia.

La forma clinicamente localizzata con un rischio veramente basso è quel caso riscontrato mediante biopsia indicata unicamente per l’aumento dei livello di PSA (senza quindi anomalie all’esame digito-rettale o all’imaging), con GS <6 e PSA

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<10ng/mL, meno di 2-3 cores positivi con una frazione di impegno tumorale <50% per ogni core positivo, uno stadio clinico T1c o T2a, una PSA density <0,15ng/mL/cc24. Questa classe di pazienti richiede un approccio di sorveglianza attiva in caso di un’aspettativa di vita inferiore ai 20 anni; per una maggiore aspettativa di vita invece il trattamento risulta lo stesso delle forme clinicamente localizzate a basso rischio. La sorveglianza attiva si prefigge lo scopo di definire un buon timing per un trattamento curativo allo scopo di ridurre un eccesso di trattamento e, soprattutto, gli effetti collaterali che ne deriverebbero. Il paziente viene sottoposto ad una stretta sorveglianza e, al riscontro di predefiniti indicatori. possiamo decidere di intervenire immediatamente, sempre considerando l’aspettativa di vita. La sorveglianza attiva dovrebbe basarsi sul valore di PSA, sul DRE e sulla ripetizione delle biopsie, anche se ad ora non esiste accordo in letteratura nel definire un intervallo di tempo in base a cui eseguire gli esami ed i criteri per determinare quando è necessario intervenire attivamente (un buon indicatore potrebbe essere un cambiamento nei risultati della biopsia o una progressione dello stadio T).

La forma clinicamente localizzata a basso rischio vede quei pazienti che non presentano un tumore apparente a livello della prostata (assenza di anomalie alla valutazione clinica e di imaging) o la presenza di malattia localizzata a livello di un singolo lobo insieme ad un PSA <10ng/mL ed appartenenti al gruppo di grading 1 (GS ≤6). In questi pazienti i trattamenti standard indicati sono rappresentati dalla sorveglianza attiva, dalla terapia radiante (somministrabile sia mediante irradiazione da fonte esterna o mediante infissione di semi di materiale radioattivo -brachiterapia) o la prostatectomia radicale (eseguibile con un approccio open o minimante invasivo, in cui la linfoadenectomia risulta opzionale).

La sorveglianza attiva non deve essere confusa con l’approccio “watchful waiting” (WW) che assume che spesso il cancro alla prostata si sviluppi lentamente ed è diagnosticato prevalentemente in uomini anziani con un’alta incidenza di comorbidità e di altre condizioni che intervengono sulla loro mortalità in modo più importante. Per questo è indicata in quei pazienti che presentano una bassa aspettativa di vita: prevede un trattamento differito o guidato in base alla sintomatologia ed un approccio conservativo fino al momento in cui non si determini una progressione. La WW è

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effettuata in quanto il paziente non può essere un candidato per una terapia definitiva ed offre quindi un trattamento palliativo (solitamente la terapia da deprivazione androgenica –ADT): è il trattamento di scelta in quegli uomini che presentano una bassa aspettativa di vita.

La radioterapia e la prostatectomia radicale rappresentano dei presidi terapeutici per quei pazienti che desiderano un approccio più aggressivo: infatti, sebbene la sorveglianza attiva determini un minor tasso di effetti collaterali nel breve termine, allo stesso tempo induce un elevato tasso di ansia e di stress nei pazienti. L’obiettivo della radioterapia è di somministrare una dose di radiazioni unicamente al tumore, cercando al contempo di non irradiare i tessuti normali: nelle forme localizzate a basso rischio sono usate singolarmente sia la brachiterapia che la radioterapia da sorgente esterna (external beam RT, EBRT) che permettono di avere un controllo della malattia analogo a quello della prostatectomia radicale. La EBRT vede come tecnica standard impiegata la radioterapia conformazionale 3D (3D-CRT), che consente la somministrazione di elevate dosi di radiazione al tumore riducendo al tempo stesso l’irraggiamento dei tessuti limitrofi normali: a questa fanno capo la intensity-modulated RT (IMRT, che permette di modulare la dose di radiazione), la image-guided RT (IGRT, vede impiego di tecniche di imaging eseguite immediatamente prima dell’irradiazione per avere una localizzazione più precisa della lesione da colpire) e la proton-beam RT (PBRT, impiega come sorgente di radiazione dei protoni, in modo da somministrare ampie dosi ad un piccolo volume target, riducendo la dispersione della dose ai tessuti limitrofi, in quanto presenta uno scarso potere di penetrazione). Questa tecnica non è scevra da complicanze, di natura gastrointestinale (proctiti acute di moderata o grave severità, ma anche effetti collaterali in cronico, seppure in un ridotto numero di pazienti, come il tenesmo rettale, la diarrea, l’ematochezia e l’urgenza rettale), urinaria (si valuta che circa la metà dei pazienti lamenta disuria o urgenza minzionale, da associare o meno a cistiti ed uretriti, anche se questi sintomi tendono a risolversi nel giro di poche settimane) ed infine la disfunzione erettile (ha un’incidenza che cresce con il passare del tempo, per cui a 2 anni di distanza avremo un 60-70% dei soggetti che la presenteranno con gradi da moderati a severi).

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La brachiterapia prevede l’impianto direttamente nel contesto della ghiandola delle sorgenti radioattive (iodio-125 o palladio-103 per un dosaggio minore, iridio-192 per un transitorio alto dosaggio) in modo che possano rilasciare un’alta quantità di dose radiante in un volume ridotto, massimizzando l’effetto sulla lesione; questa richiede solamente un unico o comunque un limitato numero di trattamenti. L’appropriatezza dell’indicazione alla brachiterapia va in funzione della praticabilità sul singolo paziente, dell’assenza di condizioni urinarie coesistenti e della possibilità di poter irradiare tutto il volume neoplastico; nel caso di questi pazienti a basso rischio rappresenta una valida alternativa come presidio terapeutico singolo, anche se necessita di due step, dal momento che in vari trial clinici è stato dimostrato che i risultati derivanti sono simili a quelle della altre modalità di trattamento25. Un ampio volume prostatico (>60g) può indurre una maggiore incidenza di complicanze, tra cui la ritenzione urinaria acuta: per questo talvolta si effettua precedentemente una ADT, in modo da ridurre il volume ghiandolare. Tra le complicanze avremo sintomi urinari (disuria, pollachiuria e urgenza minzionale transienti, ma anche ritenzione urinaria per edema prostatico o complicanze a lungo termine come l’incontinenza o la stenosi uretrale), la disfunzione erettile (tempo-dipendente, simile a quella che si sviluppa nella EBRT) e disturbi gastrointestinali (in questo caso meno frequenti di quelli genitourinari).

Infine la prostatectomia radicale, un’opzione valida di trattamento per la malattia localizzata, a fronte di un alto tasso di controllo a lungo termine della neoplasia e di un profilo dal punto di vista di morbilità e mortalità perioperatoria e di effetti collaterali comunque accettabile. Viene asportato tutto il tessuto ghiandolare e si procede al monitoraggio del PSA per valutare la presenza di tessuto prostatico residuo e per valutare l’eventualità di ricorrenze biochimiche di malattia. Le complicanze più importanti in questo caso sono l’incontinenza urinaria (comune nel periodo immediatamente successivo all’intervento, ma che prevede un graduale ritorno alla normalità) e la disfunzione erettile. Quest’ultima, a fronte del comportamento epidemiologico di questo tumore (diagnosticato sempre più spesso in fasi precoci ed in pazienti giovani) rappresenta un fattore estremamente importante per quanto riguarda il trattamento globale della patologia, compreso gli aspetti di qualità della vita del paziente.

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Altre tecniche ablative indicate in questa classe di pazienti sono di recente introduzione: la criochirurgia e la high-intensity focused ultrasound (HIFU). La criochirurgia si effettua con delle criosonde (17G di diametro) inserite mediante guida TRUS, termosensori da posizionare a livello del collo vescicale e della fascia del Denovillier ed una protezione uretrale: vengono effettuati due cicli di congelamento che consentono di raggiungere i -40°C a livello del parenchima prostatico e dei NVB, inducendo la morte cellulare per deidratazione da denaturazione proteica, rottura diretta della membrana cellulare per formazione di cristalli e stasi vascolare con formazione di microtrombi26. È indicata per prostate minori di 40mL di volume, in pazienti a basso rischio e con aspettativa di vita maggiore di 10 anni. HIFU invece agisce causando danno tissutale per convergenza di onde di ultrasuoni ad alta energia su un volume ridotto a determinare effetti termici e la cavitazione del parenchima: si possono raggiungere anche temperature superiori ai 65°C a livello dei tessuti maligni, in grado di determinare una necrosi coagulativa limitata a quell’area. In genere si effettua previa anestesia periferica; principali complicanze sono la ritenzione urinaria, l’incontinenza e la stenosi uretrale. Per questa metodica i dati della letteratura a disposizione sono ancora pochi, nonostante i risultati siano incoraggianti, e per questo EAU consiglia il trattamento nell’ambito di protocolli di studio.

La forma clinicamente localizzata a rischio intermedio vede pazienti con un tumore maggiormente esteso rispetto alle classi di rischio precedenti, che impegna oltre la metà di un lobo prostatico o che addirittura si presenta bilateralmente (T2b-T2c) senza diffusione extracapsulare o alle vescicole seminali; allo stesso tempo possiamo avere anche pazienti con una lesione T1 o T2a, ma con un PSA sierico compreso tra 10 e 20ng/mL o con un GS=7. Le opzioni standard in questa classe di pazienti sono la radioterapia (la EBRT e/o la brachiterapia, che talvolta possono associarsi alla ADT che può essere considerata come una componente di un approccio combinato) e la prostatectomia radicale (accompagnata da una linfoadenectomia e che può accompagnarsi ad una terapia radiante adiuvante nel caso di una stadiazione chirurgica avversa). In questo caso la sorveglianza attiva non è indicata.

La forma clinicamente localizzata ad alto rischio conta pazienti con malattia ulteriormente diffusa, con un presunto impegno extracapsulare all’esame digito-rettale

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(T3a) o che presenta un PSA >20ng/mL o un gruppo di grading di 4 o 5 (GS tra 8 e 10). I trattamenti standard per questi pazienti includono la radioterapia (EBRT da sola o associata ad un boost di brachiterapia, solitamente associata ad ADT) e la prostatectomia radicale con linfadenectomia associata (nel caso in cui non ci sia fissazione su strutture adiacenti ed escludendo l’evidenza clinica di impegno linfonodale. Riguardo a quale approccio sia preferibile scegliere tra la radioterapia e la chirurgia c’è una certa controversia, per via dell’assenza di trials randomizzati27; la scelta dipende dalla decisione del paziente adeguatamente informato riguardo ai vantaggi ed agli svantaggi relativi.

I pazienti che presentano impegno linfonodale senza manifestare metastasi a distanza vengono solitamente trattati con una radioterapia definitiva associata ad ADT. La radioterapia avrà come target di irradiazione l’intera pelvi. Non ci sono trials randomizzati che dimostrino il beneficio della radioterapia in questa classe di pazienti, anche se alcune evidenze ottenute da studi osservazionali dimostrano un vantaggio nella sopravvivenza: un’analisi retrospettiva dei dati dal database SEER ha visto che l’outcome a 10 anni per quei pazienti sottoposti a radioterapia era decisamente migliore rispetto a coloro che non erano stati sottoposti alla irradiazione (sopravivenza complessiva 45% vs 29%, sopravivenza specifica per il tumore 67% vs 53%)28. La ADT adiuvante sembra ridurre la mortalità specifica per il cancro e l’incidenza di recidive e di metastasi a distanza.

I pazienti che presentano metastasi a distanza non sono candidabili per una terapia definitiva loco regionale, ma andranno incontro alla castrazione chimica o ad orchiectomia bilaterale. In alcuni casi la ADT può essere combinata alla chemioterapia a base di docetaxel. La sopravvivenza mediana dei pazienti M1 è di 42 mesi29, anche se tra questi c’è una certa eterogeneità.

La deprivazione androgenica può essere ottenuta sopprimendo la secrezione testicolare di androgeni o inibendo l’azione degli androgeni circolanti a livello dei recettori: per ottenere il blocco androginico possono essere anche combinate. Queste si prefiggono di intervenire sul testosterone, che ha un ruolo fisiologico nel regolare la crescita delle cellule ghiandolari e sembra essere implicato sia nell’induzione che nella progressione del carcinoma. L’orchiectomia bilaterale è una procedura chirurgica rapida e semplice,

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economica, virtualmente priva di complicanze che permette di raggiungere nel modo più veloce in assoluto i livelli di castrazione (PSA <20ng/dL, corrispondente ad 1mol/L), praticamente nell’arco di 12 ore. Il livello di testosterone può essere mantenuto a livelli minimi anche grazie ad una terapia farmacologica a base di estrogeni (dietilstilbestrolo, non indicato nella prima linea di trattamento per i frequenti effetti collaterali trombo embolici) o di LH-RH analoghi (leuprolide, buserelin, goserelin e triptorelina). Questi ultimi vengono somministrati su base mensile (ogni mese, bimestrale, trimestrale o semestrale) o annua per via della loro capacità di depositarsi nel tessuto adiposo; a distanza di 2-3 giorni dalla prima iniezione inducono un fenomeno detto di “flare up”, ovvero determinano un aumento del rilascio di ormone LH ed FSH che dura circa una settimana e che causa effetti clinici dannosi (dolore osseo, ostruzione vescicale acuta, danno renale acuto, compressione del midollo spinale ed uno stato di ipercoagulazione). Per questo è indicato associare una concomitante terapia anti-androgenica, al fine di evitare il picco androgenico. Il raggiungimento dei livelli di castrazione si hanno per down-regulation dei recettori di LH-RH, in genere nel giro di 2-4 settimane. Una classe di farmaci relativamente nuova è quella degli antagonisti dei recettori di LH-RH (abarelix e degarelix), che presentano una efficacia analoga agli agonisti di LH-RH, ma che hanno un minore effetto di deposito (sono presenti solo formulazioni da iniettare mensilmente) e che presentano importanti effetti collaterali (nella somministrazione a lungo termine possono determinare reazioni allergiche importanti), per cui la loro somministrazione è indicata in pazienti metastatici e sintomatici in cui non sono possibili alternative terapeutiche. Quindi abbiamo gli anti-androgeni: riconosciamo la classe delle forme non steroidee (nilutamide, flutamide ed il bicalutamide, il più sicuro dal punto di vista della sicurezza e della tollerabilità) che competono con i recettori per il testosterone e le forme steroidee (ciproterone acetato)che all’azione periferica aggiungono anche un’azione di inibizione a livello centrale.

La castrazione chimica consente di evitare il trauma chirurgico, ma a sua volta presenta svantaggi legati ai costi ed agli effetti collaterali (vampate di calore, perdita della potenza sessuale e calo della libido, astenia, riduzione della massa muscolare ed osteoporosi, anemizzazione).

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Nel momento in cui si ha lo sviluppo della ormono-refrattarietà, con inefficacia del blocco androgenico totale (LH-RH agonisti ed anti-androgeni), si procede con un’ulteriore linea di trattamento: la chemioterapia. Generalmente questi pazienti hanno una prognosi infausta, con una sopravvivenza mediana di 18 mesi. Il tumore alla prostata è sempre stato considerato scarsamente chemio sensibile, ma con l’introduzione dei taxani, ed in parte del docetaxel, si è dimostrata la capacità di aumentare l’aspettativa di vita dei pazienti di pochi mesi: il docetaxel associato al prednisone è diventata la prima linea standard di trattamento nei pazienti ormonorefrattari, in seconda linea è indicato il cabazitaxel.

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LA PROSTATECTOMIA RADICALE

Nel caso delle forme di tumore localizzate, l’opzione di trattamento più indicata è rappresentata dalla chirurgia e quindi dalla prostatectomia radicale. Questa può essere eseguita con un approccio retro pubico (più frequente) o con un approccio perineale. Quest’ultimo, pur associandosi ad una minore perdita ematica, è gravato dallo svantaggio di non consentire una linfoadenctomia loco regionale e presenta una maggiore incidenza di lesioni del fascio neuro vascolare e del retto30.

Prostatectomia radicale retro pubica

La prostatectomia radicale retro pubica a cielo aperta è stata descritta da Walsh che, grazie ad un attento studio della anatomia ha migliorato la tecnica chirurgica. Si tratta dell’approccio maggiormente impiegato, sia per la possibilità di eseguire la linfoadenectomia che per la maggiore familiarità anatomica acquisita nel tempo; inoltre consente di associarsi a mirate variazioni tecniche (come per esempio la “bladder neck preservation”, BNP).

Nella preparazione pre-operatoria si chiede al paziente di eseguire un esame delle urine per escludere la presenza di un’infezione attiva; non è richiesta alcuna restrizione dietetica o preparazione intestinale. Appena prima dell’incisione si somministra una dose di cefalosporina di seconda generazione (nel caso di allergia ai betalattamici si daranno gentamicina e vancomicina) per via endovenosa, altre due dosi nel post operatorio. Generalmente viene preferita l’anestesia epidurale singola per tutti i pazienti, in quanto consente di avere un rapido ritorno alla funzione intestinale a fronte di un adeguato controllo del dolore e di un minor numero di complicanze polmonari e laringee legate alla non necessità di ventilazione artificiale. Il paziente viene posizionato in posizione supina con il tavolo operatorio in Trendelenburg inversa, in modo da facilitare l’esposizione dell’apice prostatico (successivamente alla sua dissezione posizioneremo il tavolo in posizione di Trendelenburg). Si posiziona un catetere di Foley (18 French) per via trans-uretrale e si riempie il palloncino con 10cc di soluzione fisiologica; si esegue un’incisione mediana da sotto l’ombelico alla cima del pube lunga 8cm circa. Si accede allo spazio del Retzius e si provvede subito alla mobilizzazione della vescica e del peritoneo superiormente. La dissezione apicale comincia con una

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incisione bilaterale verticale della fascia endopelvica, proseguita fino alla base della prostata, sempre mantenendosi laterali in modo da evitare lesioni dei NVBs; quindi si separa la faccia mediale del muscolo elevatore dell’ano dalla prostata mediante l’uso di forbici e si incide i legamenti puboprostatici. Questi non presentano alcun apporto vascolare al loro interno e possono essere incisi, consentendo quindi un’agevole esposizione del plesso venoso dorsale di Santorini ed un’adeguata legatura, in modo da evitare importanti sanguinamenti che sarebbero difficili da controllare4. L’emostasi secondo Myersviene effettuata con la “bunching technique” che prevede l’utilizzo di clamps di Turner-Babcock e punti trafiggenti con ago ricurvo; una ulteriore emostasi viene ottenuta mediante sutura continua con Monocryl 3-0 sui margini esterni dello sfintere striato e del complesso venoso.

Eseguita la emostasi si passa quindi alla sezione dell’uretra, per cui si retrae superiormente la prostata e si seziona la vena dorsale con le forbici, esponendo la superficie anteriore dell’uretra. Questa viene incisa, facendo attenzione a preservare il collicolo seminale: in un primo momento solamente nella sua porzione anteriore, nella superficie compresa tra le ore 3 e le ore 9, esponendo il catetere di Foley. Rimosso il catetere vescicale si procede al posizionamento dei punti di sutura (aver lasciato la porzione posteriore di uretra attaccata facilita questa procedura in quanto evita la retrazione dell’uretra) ad ore 12, 3, 5, 7 e 9, facendo attenzione ad evitare le NVBs. Quindi si procede al completamento della sezione dell’uretra, mediante l’uso di forbici chirurgiche e sotto visione diretta.

Il tempo operatorio successivo vede la preservazione delle benderelle neuro-vascolari (laddove sia possibile effettuare la tecnica nerve sparing): queste decorrono all’interno della fascia pelvica laterale (composta dalla fascia dell’elevatore dell’ano e la fascia pelvica) e si riuniscono a livello dell’apice della prostata in posizione mediana, dove è più facile causarne una lesione. È necessario quindi separare la fascia prostatica da quella dell’elevatore dell’ano: nella tecnica originale di Walsh si ottiene uno scollamento ed una lateralizzazione delle benderelle mediante successivi passaggi di clamp, l’uno vicino all’altro, in modo da scollare il tessuto fibro-adiposo superiormente e lateralmente alla prostata, fino a determinare una esposizione laterale della stessa. In questo modo le benderelle risultano fuori dal piano chirurgico e la divisione successiva

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