Genesi e fenomenologia della modernità
2. Fermenti e tracce di un nuovo orizzonte
2.1 Disincanto e annunci del nuovo ordine
Gli equilibri e le tipiche complementarità su cui poggiava la credenza premoderna sono stati scossi da una serie di mutamenti che hanno scompaginato le condizioni immaginative dei nostri predecessori. Alcune delle più importanti tra queste svolte hanno avuto il loro centro propulsore in un insieme di trasformazioni che è in genere denominato “disincantamento del mondo”.
Diremo subito che anche il nostro autore fa sua questa formula, per certi versi ambigua, del disincantamento. Sotto questa etichetta vengono effettivamente fatti confluire più fenomeni: anche per questo sarà opportuno preoccuparci di disambiguare il senso che essa riveste nel racconto di Taylor, al fine di evitare equivoci intorno ad un‟espressione che spesso viene frettolosamente assunta come un indice della dissoluzione tout
court della religione – un‟accezione che il Canadese, come si può ben
immaginare, non accetta.
Questi ne accoglie, giustamente, un senso più ristretto e specifico, maggiormente vicino al significato effettivo che il termine doveva avere nella sua coniazione weberiana. La «demagificazione del mondo» (Entzauberung der Welt) metteva in risalto quel processo di epocale importanza con cui le antiche forze cosmiche si sono ritirate dal mondo naturale e la magia è stata rimossa, espellendo così – almeno teoricamente –
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ogni traccia di mistero116. La Rivoluzione Scientifica del secolo XVII è stata la grande protagonista di questa svolta che inaugura un trattamento del mondo capace di sfruttare appieno un atteggiamento conoscitivo obiettivo. Come effetti del disincantamento, la neutralizzazione dello spazio cosmico e la fine della manipolazione magica delle forze soprasensibili da parte della pratica religiosa vanno a scuotere significativamente e inesorabilmente quelli che l‟autore de L’età secolare ha indicato come i «bastioni della credenza» medievale117.
Questo effetto innegabile è il motivo principale per cui Taylor accetta l‟idea che esista una qualche forma di nesso tra questo multiforme processo (il disincantamento) e l‟emergenza dell‟umanesimo esclusivo. A questa constatazione, però, egli aggiunge immediatamente la precisazione che questo legame non è costituito dalla sbrigativa equazione tra i due
116 Come osservano giustamente Olivier Bobineau e Sébastien Tank-Storper, l‟«expression
«démagification du monde» («Entzauberung der Welt») est souvent traduite par «désenchantement du monde». Cette dernière expression ayant plutôt une connotation de désillusion, de déception ou de désappointement, est inadéquate pour désigner le processus historique de refoulement de la magie que Weber observe, soit dans le champ religieux où les techniques et formules magiques sont progressivement mises de côté au profit de visions éthiques religieuses, soit dans le champ de la maitrise théorique et pratique du monde où s‟opère un mouvement général de rationalisation», Cfr. Olivier Bobineau e Sébastien Tank-Storper, Sociologie des religions, Armand Colin, Paris 2007, pag.37.
117 «Ho delineato sinora un ritratto del mondo che abbiamo ormai alle spalle, in cui le forze
spirituali agivano su agenti porosi, dove la sfera sociale si fondava su quella sacra e il tempo secolare su tempi superiori; una società, per di più, in cui esisteva un equilibrio tra la struttura e l‟antistruttura; questo dramma umano, poi, si dispiegava all‟interno di un cosmo. Tutto ciò è stato smantellato e sostituito da qualcosa di molto diverso nelle trasformazioni che spesso vengono approssimativamente raccolte sotto l‟etichetta del disincantamento»,
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movimenti, indicata dalle «teorie sottrattive» e lineari. Nella lunghissima storia che conduce alla diffusione di una prospettiva morale indipendente dalla religione, il processo disincantante trova spazio al livello di una più sfumata e sottile consapevolezza che tale epocale trasformazione sarebbe equivalsa al guadagno di una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il «salto quantico» allo stadio successivo.
Parlando della funzione dei vecchi bastioni della credenza e della successiva affermazione dell‟umanesimo esclusivo, egli allora dice: «la scomparsa di questi tre modi di sentire la presenza di Dio nel mondo, benché sicuramente favorisca tale cambiamento, non avrebbe potuto provocarlo da sola, dato che è certamente possibile continuare a sperimentare la pienezza come un dono divino anche in un mondo disincantato, in una società secolarizzata e in un universo postcosmico. C‟era bisogno di un‟alternativa per riuscire a non sperimentarla»118.
Il legame tra disincantamento e umanesimo esclusivo c‟è: è senza dubbio un rapporto certo e fondamentale, ma è nondimeno indiretto. Potremmo così dire che, rispetto alla «nascita della modernità», la spinta demagificante sia stata la fase sottrattiva e decostruttiva119: essa ha concesso la possibilità di pensare il mondo naturale nello cornice di una pura temporalità orizzontale e di ricollocare la realtà sociale in un nuovo spazio desacralizzato.
Con il disincanto, la strada verso l‟umanesimo esclusivo era quindi solo a metà, o forse anche meno. Grazie ad esso, il soggetto non era più sottoposto ad ordini di ragioni superiori, né era più alla mercé delle forze cosmiche. Poteva allora cominciare a raccontarsi diversamente. Per far ciò però, mancava ancora qualcosa di fondamentale, un mezzo che egli avrebbe infine
118 Ibid., pagg. 42-43.
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individuato: il nuovo linguaggio dell‟autonomia e della padronanza della realtà che ancora non era stato completamente articolato.
Il weberiano disincanto, insomma, non basta a spiegare la svolta rivoluzionaria che hanno conosciuto molte delle società occidentali. Il fatto che gli uomini abbiano smesso di cercare il metro delle loro azioni tra i dettami della religione e cominciato a ricavarne il nucleo normativo e motivazionale dall‟aspirazione ad implementare e mettere a frutto risorse (potenzialmente) presenti in loro, merita spiegazioni supplementari. Come abbiamo già accennato, la tesi di Taylor è che il vero perno di tutta questa vicenda sia legato al momento in cui la non credenza ha cominciato ad appoggiarsi ad un complesso narrativo compiuto e credibile, in cui la centralità dell‟uomo è sostenuta e argomentata da un insieme di nuovi valori che si impongono al pensiero e alla condotta.
Si ripresenta allora qui la sua polemica verso le teorie lineari, che ritorna nella forma dell‟insistenza sul «carattere innovativo e costruttivo del secolarismo moderno»120. Secondo Taylor, in effetti, quella moderna si distinguerebbe da ogni variante precedente di umanesimo. Le ragioni della sua unicità sono svariate, e in parte coincidono con certe caratteristiche che hanno conferito a questa nuova visione l‟appeal che l‟ha resa – per la prima volta nella storia – un concreto riferimento pratico per intere masse di persone.
Così anche l‟epicureismo, che l‟autore cita come uno dei modi più importanti e noti con cui nel passato è stata pensata una via indipendente dalla religione, denuncia un profilo decisamente inferiore a quello dell‟umanesimo esclusivo a noi noto. A quella filosofia antica mancava molto: l‟attivismo, innanzitutto, che è cifra tipica della modernità, ma anche
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la spinta ad una benevolenza universale che è capace di favorire l‟intero genere umano e spiega, tra l‟altro, la nostra capacità di prenderci a cuore le varie sofferenze non solo di chi ci è prossimo ma anche di nostri simili che stanno, magari, dalla parte opposta del globo121.
Questo ribadisce la portata innovativa dell‟alternativa umanistica che ha preso piede nelle moderne società occidentali e il carattere ben determinato della sua fisionomia.
Il corredo di ideali a cui essa si accompagnerà è ricco. Innanzitutto, uno dei punti di coesione della nuova narrativa morale umanistica è un inedito individualismo, morale e politico-sociale.
La storia di questo inaudito vocabolario narrativo è quanto mai lunga e tortuosa. Senz‟altro, però, il fatto che la pulsione allo sradicamento nella sfera religiosa abbia cominciato ad essere operativa su di un raggio d‟azione più ampio va conteggiato tra le premesse della svolta. L‟influenza reciproca di eventi importanti sgretola poi l‟ancestrale terreno di una comunicazione ravvicinata tra l‟uomo, il suo ambiente e il divino: con ciò, l‟individuo scopriva di non essere più sottoposto alle direzioni predeterminate da un ordine del bene incarnato dal cosmo.
Si apriva la strada di un nuovo apprendimento per l‟uomo: la capacità di scegliere in autonomia i propri maggiori fini, e di operare questo discrimine tra nuovi valori ed ideali molteplici, alcuni dei quali, per di più, sono scoperti all‟interno di sé. In altre parole, le cosiddette «valutazioni forti» - per usare il neologismo con cui l‟autore di Radici dell’io nomina il fulcro dell‟essenziale capacità umana di giudizio morale – non sono più assicurate da quella ragione sostantiva che le legava al mondo, ma diventano il terreno di un confronto del singolo con le proprie risorse.
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In secondo luogo, l‟orizzonte umanistico che ha preso piede nelle moderne società nord-atlantiche ha a cuore un prototipo ben preciso di uomo: quello di un individuo libero e responsabile che mette a frutto la sua razionalità e le capacità di controllo per trarre giovamento dal mondo naturale e si sforza altresì di plasmare se stesso secondo direzioni prescelte e di imporre un certo ordine alla vita sociale.
Se da una lato la riflessione filosofica viene a dare il proprio suggello teorico a questi nuovi prototipi antropologici e ai suoi connessi modelli di condotta, la fiducia nelle capacità strumentali della ragione umana viene iniettata anche da altri canali, quali il successo della pratiche disciplinanti, innanzitutto. Descartes e Locke indagavano il potenziale strumentale della ragione distaccata e scoprivano che la sua vocazione costruttrice può porre sotto controllo le passioni e oggettivare la realtà, ma gli esiti di queste intuizioni trovavano già un‟eco nel vissuto antropologico. Il nuovo modo in cui il singolo, anche a livello di vissuto inconscio, aveva cominciato ad immaginare se stesso era quasi irriconoscibile rispetto ad un passato che l‟aveva costretto al senso di un profondo e pervasivo impegno nel cosmo: ora egli coglieva i frutti pratici della capacità di proteggersi (buffer) e distanziarsi dalle pressioni degli ordini sociali e cosmici a lui esterni.
In questo modo, la conoscenza oggettiva e l‟atteggiamento distaccato non si offrivano soltanto ad una vocazione puramente contemplativa, ma erano investiti in un nuovo trattamento del mondo fisico, che traeva vantaggi materiali dalla sua manipolazione, e nella costruzione di ordini sociali. Con il richiamo all‟attivismo costruttore di ordini ci troviamo in presenza – come avremo modo di vedere tra breve – di un tratto cruciale dell‟umanesimo esclusivo così come esso è ricostruito dall‟autore de L’età
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«Da quando l‟individuo si sa storico, guarda alla sua identità nella sua irrinunciabile connessione con l‟agire auto strutturante nel tempo, come operatività che svela la tendenziale infinità del finito. La modernità è coscienza rinnovata della temporalità come spazio assegnato all‟autodispiegamento individuale e collettivo, come orizzonte entro cui la soggettività libera dipana le sue energie morali sino a mostrarsi come identità narrativa, ossia come storia dei suoi imprevedibili trascendimenti»122.
A conclusione di questa rapida rassegna dei tratti che disegnano il volto dell‟umanesimo esclusivo, non si può tralasciare di nominare una componente che esso eredita da una delle caratteristiche più peculiari della sensibilità moderna, quella che ha reso quest‟ultima disponibile a prestarsi, come nessuna epoca del passato aveva voluto (o potuto) fare, alla cura per le condizioni materiali di vita e all‟intervento per la loro tutela. In effetti, questo formidabile compito, la salvaguardia del benessere e della prosperità, è uno dei massimi obiettivi per i quali viene messa al servizio la razionalità strumentale conquistata, e per la sua promozione non si esita a fare appello, in funzione di efficace pungolo motivazionale, ad una radicata propensione alla benevolenza che, a detta degli umanisti moderni, abiterebbe l‟animo umano.
Questo della promozione del valore della vita e dell‟attenzione per le sue forme materiali è in effetti un filone rilevantissimo che attraversa l‟umanesimo esclusivo e che, più in generale, segna nel profondo la nostra visione etica. Stiamo infatti parlando di idee a tutt‟oggi fortemente radicate nella nostra sensibilità, e che ora più che in passato trovano effettiva realizzazione grazie al potenziamento dei mezzi pratici a disposizione. Lo si riscontra in continuazione in quella nostra tipica preoccupazione verso
122 Adamo Perrucci, L’orizzontalità del tempo secolare nell’ultima opera di Charles Taylor,
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compiti di straordinaria portata, come la promozione di migliori condizioni materiali per le popolazioni svantaggiate, l‟evitamento della morte e la riduzione della sofferenza.
Questo che si è appena cercato di descrivere brevemente è il prototipo di uomo caro all‟umanesimo esclusivo. In questo tipo di ritratto identitario, che in un primo momento aveva inquadrato il comportamento delle sole élites della cristianità latina, hanno finito per rispecchiarsi intere masse di persone. Come abbiamo già detto, una simile prospettiva, che per prima ha avuto l‟audacia di archiviare qualsiasi lealtà a fini che eccedono il fiorire meramente umano, non può essere comparsa dal nulla. Il tentativo di scrivere una sorta di narrazione genealogica della maturazione di questa immagine antropologica estranea alla religione è la sfida principale dell‟autore de L’età secolare.
Se vuole aspirare ad una qualche profondità, quest‟ultimo ambizioso proposito non può che essere svolto facendo sin dall‟inizio i conti con la decifrazione dei rapporti che tale umanesimo secolare ha intrecciato con la modernità occidentale, in seno alla quale ha voluto venire alla luce. Il suo perimetro è allora segnato in modo non marginale né casuale soprattutto dall‟emergenza dell‟individuo e di una certa immagine del sé, ma anche da altri movimenti riconoscibili nella storia dell‟Occidente moderno.
Gli individui moderni, secondo Taylor, pensano se stessi in modi particolari, attingendo a pratiche ed ideali che sono alieni ad altre culture e sarebbero stati difficilmente comprensibili agli uomini pre-moderni. Un errore in cui incorriamo frequentemente, e che ci induce non solo a limitare la nostra capacità di conoscere profondamente noi stessi ma rende anche più difficile posizionarci in modo corretto nella comprensione delle altre culture, è quello di dare certe parti di noi stessi, della nostra identità occidentale, per scontate e naturali, invece di accettarli come sviluppi che sono stati
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articolati nel corso del tempo e nei contorni di una cornice culturale ben determinata.
Secondo quanto afferma Taylor, gli uomini sarebbero per natura degli esseri che si auto-interpretano (self-interpreting beings) e questa loro attività deve pertanto essere riconosciuta come un tratto trascendentale che abita l‟umana differenza specifica. Sempre secondo il nostro filosofo, sono invece da considerarsi storici e culturali, piuttosto che ontologici, i materiali e le risorse di quest‟opera, fondamentale ma infinitamente rivedibile, di comprensione di sé123. Era specialmente in Radici dell’io che il Canadese si occupava di repertoriare alcuni degli sviluppi a cui ha dovuto attingere l‟io moderno per costruire la sua immagine. Gli aspetti distintivi del sé occidentale moderno sono tanti: la libertà disimpegnata, il distacco radicale, la riflessività radicale, le profondità interiori, l‟affermazione della vita ordinaria e la benevolenza, ecc.
Di tutti questi tratti, forse uno è particolarmente decisivo per la formazione dell‟io moderno: la capacità di immaginarsi come sé e come soggetto di conoscenza grazie alla conquista di una «riflessività radicale» (radical
reflexivity). Quest‟ultima si intreccia con il guadagno di quella distinzione
interno/esterno che è molto più centrale nella nostra formulazione dell‟immagine di persona che in quella di altre culture. Questa stessa svolta verso il soggetto e la sua interiorità permette una nuova comprensione dell‟agire umano che mette il soggetto in vari modi al centro: come tale essa sarà anche l‟evento propulsore della formulazione di nuove fonti morali
123 «Provvisoriamente, e per giungere in maniera un poco più chiara al mio assunto, credo
che ciò che noi siamo in quanto agenti umani sia profondamente dipendente dall‟interpretazione; credo che gli esseri umani in differenti culture possano essere radicalmente diversi nel rapportarsi alle loro auto-comprensioni fondamentalmente differenti», C. Taylor, La topografia morale del sé, Edizioni ETS, Pisa 2004.
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immanenti che permetteranno all‟individuo di trovare fondamentali spinte motivazionali in un orizzonte interamente intra-mondano e intra-umano124. Torniamo ora alle sorti di quell‟umanesimo indipendente che ha avuto un ruolo determinante nelle evoluzioni dell‟Occidente moderno e al lungo itinerario storico in cui ha trovato il proprio terreno di incubazione.
Nella narrazione genealogica che di esso propone, Taylor mette in particolare rilievo uno sfaccettato fenomeno storico-culturale che avrebbe disegnato la tendenza complessiva verso cui si è mossa buona parte dei valori culturali della cristianità latina tardo medievale e primo moderna. Egli parla di un ampio movimento, internamente articolato, al quale hanno contribuito iniziative originariamente autonome ma legate da certe fondamentali aspirazioni moralizzatrici: grosso modo, una spinta alla disciplina e alla razionalizzazione della condotta individuale e sociale. Secondo l‟autore de L’età secolare, le prime iniziative che partecipano a questo «lungo movimento di riforma» si sono rese visibili dal tardo
124 «Il «sé» è qualcosa di cui si parla molto nella nostra civiltà. […] Noi usiamo questa
espressione riflessiva, o il termine corrispondente per l‟auto-riferimento, perché ciò rivela quelli che per noi sono i poteri essenziali dell‟agire umano. […] Può sembrare ovvio che un agente umano faccia propria una posizione riflessiva, che possa dire «io». Altre epoche erano consapevoli di ciò allo stesso modo in cui lo siamo noi. Ma questo non significa affermare che queste concepissero tale prospettiva come il luogo di definizione delle capacità umane. […] E noi ci riferiamo frequentemente ad essa, in quanto abbiamo cominciato a credere che le capacità umane più importanti possano essere realizzate soltanto coltivando la prospettiva della prima persona, focalizzandosi e sviluppando caratteristiche che divengono salienti solo all‟interno di questa prospettiva. E ciò avviene lungo più di una direzione. Intendo esaminare due di queste direzioni che penso rilevanti per il mio tema principale: il controllo di sé e l‟esplorazione di sé», La topografia morale
del sé, cit., pagg. 64-66. Queste ultime capacità fanno capo alle due fondamentali «fonti
morali» moderne, l‟agente razionale e distaccato e la natura come fonte espressiva, che Taylor analizza in Radici dell’io.
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Medioevo, con alcune importanti formulazioni e motivazioni religiose. Più tardi, questa originaria matrice religiosa del vettore teso alla riforma si è intrecciata ad un progetto e ad ideali più strettamente secolari. In particolare, la transizione del progetto riformatore verso forme secolarizzate ha principalmente incluso l‟ampia battaglia legata alla «civilizzazione». Con il tempo, i vaghi intenti comuni ai due fronti sono evoluti verso un‟efficace influenza reciproca che ha accelerato la maturazione di un‟ambizione più vasta e consapevole: un vero e proprio «progetto di trasformazione» che ha incrociato il miglioramento e l‟autodisciplinamento della persona con il riordinamento della società.
L‟ipotesi storica di cui allora il filosofo québécois si fa sostenitore è che questa spinta riformatrice abbia costituito uno dei bacini di incubazione del nostro umanesimo esclusivo, di cui essa ha significativamente contribuito a disegnare la fisionomia, tesa, non a caso, verso ideali di attivismo, ordine, distacco razionale e disciplina.
«A partire dalla fine del Rinascimento, tuttavia, si assiste a […] una sorta di secessione delle élite dalla cultura popolare, fosse essa la devozione alle immagini nella sfera religiosa, o i divertimenti carnevaleschi e popolari. Questa secessione è un sintomo dello sviluppo degli ideali di vita delle élite che apparivano incompatibili con gran parte della cultura popolare, gli ideali di devozione nell‟ambito religioso e della “civiltà” nella sfera secolare. Questa secessione non si fermò qui, ma costituì la base per il tentativo di rimodellare l‟intera società. […] Questo è il contesto entro cui va letta la trasformazione che pose fine al mondo incantato e portò alla luce le prime forme praticabili di umanesimo esclusivo. Quest‟ultimo porta il marchio del processo da cui ha tratto origine; del suo attivismo, uniformazione, omogeneizzazione, razionalizzazione e, ovviamente, della sua ostilità all‟incanto e all‟equilibrio»125
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Sono, in particolare, certi effetti di questo vettore riformatore a far sì che lo