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Genesi e fenomenologia della modernità

2. Fermenti e tracce di un nuovo orizzonte

2.3 La società disciplinare

L‟approdo all‟umanesimo esclusivo si è prodotto nella modernità occidentale attraverso lunghe e complesse dinamiche storiche che si sono intrecciate ad un rovesciamento del nostro modo di guardare il mondo e ad una metamorfosi della nostra sensibilità. Diversi fattori – lo abbiamo più volte specificato – hanno contribuito a questa rivoluzione. È comunque certo che tale peculiare prospettiva umanistica si è fatta strada sull‟orizzonte di una nuova attitudine attivistica che ha segnato la «transizione epocale dalla ricerca del nostro posto nel cosmo alla costruzione di un ordine all‟interno dell‟universo»156.

L‟intrinseco attivismo di questa posizione non sarebbe mai stato praticabile se non si fosse abbandonata l‟immagine di un ordine da sempre all‟opera nella realtà, cioè il vecchio modo di pensare il mondo, cosmico e sociale, come sede realizzatrice di forme intrinseche. Tale abbandono è stato innescato da una possente dinamica neutralizzante che ha sgretolato i paradigmi fondamentali dell‟ontologia tradizionale, in cui l‟apprensione della realtà, legata in modi diversi ad un fondamento strutturale stabile, era comunque sempre guardata come l‟attualizzazione di una qualche forma intrinseca che perdura agli stati mutevoli della realtà fisica. Lo stesso weberiano “disincantamento del mondo”, che ci aliena dal vecchio mondo magico di spiriti e forze, è un‟appendice di questo movimento complessivo: nel suo tipico confronto con una realtà impallidita ed espressivamente incolore, che ha smesso di incarnare essenze spirituali e contenuti normativi a cui l‟uomo si deve adeguare, esso conferisce al movimento il suo principale eco esperienziale.

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In ogni caso, l‟aspetto dell‟intero passaggio su cui a noi interessa porre un‟enfasi particolare è il nuovo portato costruttivistico guadagnato dalla ragione moderna: quel potenziale di attivismo pluridirezionale che solo quest‟ultima archiviazione della soggezione a principi sostantivi da rispettare e recepire ha potuto completamente dispiegare.

Sono molteplici i versanti su cui la crisi della visione del cosmo come realizzazione di forme ha aperto delle nuove straordinarie possibilità. Dapprima, e innanzitutto, l‟universo così spogliato di dinamiche e forme intrinseche si offre all‟uomo e ai vantaggi che questi poteva ricavare da una sua conoscenza oggettiva. L‟oggettivazione e meccanicizzazione del mondo, che sono i passaggi indispensabili in tutta questa vicenda, hanno ottenuto la loro sanzione ufficiale e definitiva dalla nuova scienza del XVI secolo. Quest‟ultima mette da parte ogni esitazione nello spazzare via le varie implicazioni residuali del finalismo e i vecchi rivestimenti qualitativi sovrapposti alla realtà naturale. Essa è ora diventata pura materia fatta funzionare da una causalità meccanicistica infallibile157. Al suo lato

157 Com‟è noto, una simile meccanicizzazione del mondo è riconfermata nella nozione

cartesiana della natura come mera estensione. Secondo il filosofo francese, la vera apprensione della realtà passa infatti dalla capacità di cogliere la separazione radicale tra il dominio sottoposto a causalità meccanica della res extensa, a cui il nostro stesso corpo appartiene, e il regno interamente umano della libertà, di cui invece gode la ragione. Così ci si libera dalla prima fondamentale mistificazione della realtà, che è quella che confonde e mischia lo spirito con la materia e ci fa ripetutamente cadere nell‟errore di proiettare sulla realtà delle qualità che sono invece puramente soggettive ed apparenti. Per quella strada, l‟oggettivazione del mondo e il dualismo diventano i viatici fondamentali per la conoscenza e il controllo del mondo stesso, da un lato, e per il governo razionale delle passioni, dall‟altro. In particolare, il segreto di entrambe queste conquiste è una fondamentale capacità di distacco che ci astrae dalla prospettiva incarnata da cui guardiamo spontaneamente il mondo.

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opposto, vi è una nuova ragione che accorpa al completamento del suo processo di de-sostantivazione l‟accoglimento di una inedita formulazione procedurale. Essa si trasforma così in facoltà interamente umana, criterio di un ordine intramentale che il soggetto impegnato nel costruire la conoscenza vera stabilisce tra i suoi pensieri, come vuole la sua canonica formulazione cartesiana.

Il paradigma scientifico tradizionale fondato sull‟attività contemplativa è letteralmente travolto da questa nuova possibilità. In effetti, il potere costruttivo della ragione, associato al meccanicismo e alla conseguente possibilità di cogliere l‟effettiva struttura della realtà, analizzandola come un terreno neutrale ed inerte, non dischiude soltanto la possibilità di conoscere correttamente il mondo. La scienza esatta che l‟uomo moderno ha guadagnato non può rimanere fine a se stessa. Al contrario, e come ingiunge, in particolare, la nuova mentalità baconiana, essa va resa feconda, ovvero, più correttamente, i suoi nuovi strumenti devono essere messi interamente a frutto e applicati in un‟opportunità manipolativa che trasforma la natura, ponendola al servizio del nostro più pieno vantaggio. Un nuovo potente controllo strumentale e il criterio dell‟efficacia, la scheleriana

Leistungswissen, sono adesso i fondamentali pilastri di una scienza che

consegna all‟uomo le chiavi per trasformare il mondo secondo il suo beneficio. Come Cartesio aveva pronosticato, gli uomini si apprestavano a diventare «signori e possessori della natura».

Il cambiamento fondamentale di cui la posizione cartesiana è uno dei principali emblemi è l‟interiorizzazione delle fonti morali, quel movimento moderno che innalza risorse puramente umane ed interiori a punti di coesione della nostra moralità. Dei poteri interiori sono infatti le fonti che motivano il nostro agire: distacco, controllo razionale e libertà auto responsabile.

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Non c‟è quasi bisogno di specificare che questa dissoluzione dell‟idea di un ordine cosmico antecedente, di un logos sostantivo che informa la realtà complessiva e definisce i fini di tutte le cose, non ha solo rappresentato una rivoluzione conoscitiva con conseguenze enormi nel rapporto umano con la natura, ma ha avuto implicazioni anche nel campo etico, con più generali conseguenze antropologiche dischiuse dalla perdita delle declinazioni ontiche della ragione.

L‟opinione di Taylor è, cioè, che questi cambiamenti che hanno consentito di cominciare a pensare la scienza come una potente attività costruttiva non siano lontani dalle motivazioni che hanno guidato altri mutamenti fondamentali, quelli che hanno travolto l‟universo dell‟etica. Le trasformazioni nei due ordini di esperienza, anzi, avrebbero tratto vantaggio da una «relazione di reciproco sostegno» 158. Il dominio della praxis e quello della poiesis si sono confusi e contagiati.

Abbiamo a che fare con un epocale slittamento verso una nuova concezione poietica della morale che andrebbe ulteriormente approfondito. Esso trova posto nel nostro discorso come testimonianza e ulteriore attestazione di un più generale cambiamento di mentalità che è straordinariamente significativo per la storia di quella nuova visione umanocentrica del mondo che sta noi a cuore ricostruire. Parliamo della lenta conquista da parte dell‟agente moderno di una fiera fiducia nella capacità di trasformazione di sé, di disciplinamento del carattere e della condotta di cui mancavano sicuramente nella storia dei veri precedenti.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, questi obiettivi erano stati più che sfiorati dalle Riforme religiose, che hanno costituito, secondo l‟autore, uno dei viatici più influenti per questi promettenti ideali. Tuttavia, risulta opportuno immaginare che solo la spinta di pressioni provenienti da

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più versanti contemporaneamente abbia loro consentito di ricavarsi una breccia potente, e quindi segnare un‟impronta quasi irresistibile, nella mentalità della gente, così come la storia ci ha effettivamente fatto conoscere. Più forze infatti hanno contribuito ad imporre questa grande idea di “riforma”, questa ambizione di rifacimento che guarda alla società come ad un campo di trasformazione.

Il nuovo modello ricostruttivo e il vulnus disciplinante di cui sopra abbiamo visto le propaggini “popolari”, quelle del versante religioso catalizzato dalle Riforme, trovano applicazione operativa nei programmi riformatori delle autorità politiche. Questi, a loro volta, daranno un eco effettivo alle nuove formulazioni della teoria, come l‟interventismo statale disegnato dal neostoicismo159 e il nuovo modello di razionalità ordinatrice della filosofia cartesiana o ancora l‟ «io puntiforme» di Locke. Fu così che, tramite la sinergia tra i condizionamenti provenienti dalle varie direzioni, il comportamento “razionale” cessò progressivamente di essere un modello allettante solo per esigue minoranze. Un bacino popolare a mano a mano più ampio è interessato da una lenta ma tentacolare disseminazione del binomio di razionalità e disciplina, che includeva, tra le varie cose, il distacco strumentale e razionalizzante, la lotta contro il vizio e un nuovo stile devozionale.

Dobbiamo quindi ora provare ad individuare alcuni dei cambiamenti storico-sociali implicati in queste vicende. Andremo allora a spostare la nostra attenzione in direzione di movimenti che proprio di queste inedite ambizioni ricostruttive e ricreative si sono serviti, e che, nella fattispecie, le

159 Secondo l‟autore, la ridefinizione dei compiti e dei modelli della vita istituzionale e

sociale che conosce quel momento storico è stata molto influenzata dal pensiero neostoico, e da Giusto Lipsio in particolare. Secondo il neostoicismo, è in prima battuta l‟autorità politica che è chiamata a mettere all‟opera, impegnando gli strumenti che le sono propri, la disciplina e un‟energia ricostruttiva della società.

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hanno messe al servizio di una vasta e tentacolare impresa di riforma e rimessa in ordine della società.

In particolare, questo ci conduce a prendere in considerazione certi programmi riformatori che cominciarono a trasformare visibilmente le più importanti società occidentali a partire dal XVI secolo e i cui albori Taylor ritrova nella formulazione rinascimentale dell‟ideale di «civiltà». È infatti a quell‟epoca che risalgono i primi passi di un movimento della civiltà moderna di grandissima rilevanza, il quale ci appare retrospettivamente come un lento e profondo sforzo di civilizzazione. Solo una manciata di secoli più tardi, verso il 1800, gli effetti di questo articolato processo si stabilizzarono, e le società occidentali, da esso internamente “lavorate” e per certi versi trasfigurate, sarebbero diventate un ambiente capace, in condizioni normali, di far regnare l‟ordine e la pace domestica, attraverso il buon governo della legge e gli altri collaudati strumenti in possesso dello Stato.

Non è un caso che citiamo qui tutto questo movimento. A noi, questi programmi di riforma sociale incoraggiati della spinta alla civilizzazione interessano per via dell‟evidenza con cui mostrano di aver introiettato, almeno parzialmente, il nuovo modello antropologico. In effetti, l‟«ideale della civiltà, con la sua immagine portante dell‟addomesticamento di una natura selvaggia, implica già un atteggiamento verso se stessi che potremmo definire di ricostruzione e che […] prese forma in programmi e metodi di “autocreazione”, dove la nostra natura più volgare veniva trattata come materia grezza da controllare, rimodellare e in certi casi eliminare al fine d‟imporre una forma superiore alle nostre vite»160.

Per noi la civiltà è un risultato sostanzialmente pacifico e definitivo, se non quasi inamovibile. Difficile però è immaginare che apparisse come un

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traguardo altrettanto scontato nello scenario della prima modernità in cui si cominciò a immaginare più seriamente un rifacimento della società di questo tipo. La brutalità e gli scoppi di violenza erano ancora all‟ordine del giorno e, verosimilmente, le possibili operazioni messe in atto per cominciare a cambiare questa situazione erano considerate capaci di una durezza molto aspra. Anche solo per le élite e per quanti per primi hanno aperto la strada a questo movimento di cui noi godiamo i risultati, uno stile di condotta raffinato era lontano dall‟essere una seconda natura e il severo disciplinamento che esso prospettava era comunque vissuto come un duro lavoro da compiere. I sacrifici richiesti erano quelli necessari ad ammansire una natura refrattaria, rendendola conforme alla disciplina e all‟addestramento che la civiltà impone all‟individuo come alla società161. In ogni caso, la «civiltà» sembrava portare con sé diverse promesse, come rivela quella contrapposizione alla vita selvatica che essa ha inscritta sin nelle origini del suo nome. Alla società urbana che ne è trasformata una condizione stabile di ordine e di pace domestica, e all‟individuo che lo accoglie come ispirazione del suo comportamento la forza di attenersi ad una vita equilibrata e lo stimolo a lasciare alle porte ogni traccia di modi rudi e selvaggi.

La storia di tutto questo movimento – a quanto pare – cominciò con il Rinascimento, quando le élite delle più importanti società europee cominciano a guardare con un interesse crescente alla «civiltà». Nei primi momenti della sua storia, infatti, proprio questo ideale è stato uno dei fari illuminanti del lungo percorso di rielaborazione della comprensione di sé che ha interessato le classi aristocratiche a partire dall‟epoca rinascimentale. Così, un po‟ prima che le élite di rilievo cominciassero ad apprezzare la grande vocazione universalistica della civilizzazione, che sarà poi uno dei

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motori propulsori della globale spinta moderna alla riforma cha abbiamo citato, essa rappresentava il fulcro di un insieme di beni comunque ambiziosi, ma inizialmente più modesti: quelli coltivati dalla vita di corte in cui l‟uomo raffinato e ben educato trovava il suo ambiente più familiare. Non di rado è accaduto che i grandi movimenti della storia avessero una originaria provenienza elitaria. Così, anche in questo caso, sono state le classi nobili le prime coinvolte da un elaborato processo di «addomesticamento». Nel loro caso, esso ha portato l‟aristocrazia a disinteressarsi alla lotta e al duello, che prima erano tra le sue attività preferite, e ad ammettere la violenza solo nel caso della guerra al servizio del re162. Inoltre, i nobili così addomesticati hanno cominciato a dedicarsi alle occupazioni e preoccupazioni ben più pacifiche del cortigiano e dell‟uomo civile, coltivando prevalentemente le arti e la buona educazione. In questa nuova vita, uno degli sforzi più importanti è allora quello rivolto allo sviluppo di una capacità di controllo razionale di sé che era la chiave di un comportamento misurato e manierato diventato oramai il contrassegno dell‟eccellenza aristocratica.

In realtà, l‟addomesticamento rinascimentale dell‟aristocrazia resta un fenomeno poco incisivo e relativamente marginale per il nostro resoconto e per lo sviluppo epocale che esso cerca di chiarire. Ciò che interessa davvero è un passaggio successivo. Il salto decisivo l‟autore lo ritrova con il „500, e più o meno in concomitanza con le riforme religiose, quando le autorità politiche e i governi, ispirati dal conforto di nuove intuizioni e formulazioni teoriche, con una intensità e determinazione crescenti si lasciano coinvolgere da un sogno decisamente ambizioso che aveva per oggetto la società nella sua interezza. Estendere l‟ordine e i modi di vita disciplinati al di fuori dei confini di un ambiente, in fondo protetto, come quello cortigiano

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ed elevare la civiltà a fulcro di un grande progetto riformatore, operativo e tentacolare. L‟ambizione era quella di realizzare pienamente questo ideale, ben al di là della sua vocazione élitaria, ed immaginare una società che ha praticamente espulso la violenza e dove le persone consacrano la loro vita ad attività produttive e scambi ordinati e restano allineate a condotte controllate.

Tutto ciò implicava grossi cambiamenti. In prima istanza, sono le classi dirigenti e le élite delle società interessate ad avviare la svolta, modificando sensibilmente il loro atteggiamento. Esse infatti mettono da parte quel misto di distanza ed indifferenza con cui fino ad allora avevano guardato alle abitudini di vita e al mondo culturale popolare, dall‟alto della presunta superiorità del loro inquadramento razionale, e cominciano seriamente a preoccuparsi delle abitudini di vita oziose e disordinate dei ceti popolari e a pianificare un intervento su di esse. Dall‟altro lato, questo nuovo interventismo ha dei risvolti immediati nella vita della popolazione. Vediamo allora come tutto ciò coinvolge la parte interessata.

Raggiungere le vette della civiltà, dove la società nella sua interezza riesce a

trasformarsi e si eleva al livello di una popolazione sana, laboriosa, educata

e – non a caso – timorata di Dio, non era un passaggio immediato e senza costi. Al contrario, il traguardo era dei più elevati, e ad esso si poteva arrivare solo grazie ad una impresa riformatrice vera e propria, con cui le masse venivano opportunamente educate mediante un lavoro di disciplinamento che si deve immaginare lungo e verosimilmente faticoso. Così, almeno nella prima fase del moderno processo di civilizzazione, questo esercizio di disciplinamento era in buona parte inseparabile dalla coercizione: era la forza di ordinanze e proibizioni, imposte dalle autorità politiche (spesso incoraggiate dal potere religioso), a piegare le persone alle condotte richieste e spingerle ad abbandonare certi stili di vita diffusi, fatti di costumi morali rilassati ed autoindulgenti, oziosità e violenza. Già a

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partire dal „500 circa, le nascenti intenzioni interventistiche vengono dunque formalizzate nell‟emanazione di misure legislative ed ordinanze che riguardavano vari aspetti della vita dei ceti popolari, le cui condizioni non erano così più abbandonate al caso e alla non curanza. Poco più tardi, nel corso del XVII secolo, questo tipo di interventismo tentacolare, che è per altro in linea con il modello poi consacrato dalla cosiddetta «società disciplinare», viene applicato in maniera ancor più sistematica e accolto soprattutto da quegli stati che avevano preso la volta dell‟assolutismo o del dirigismo statale, come la Francia e le monarchie dell‟Europa centrale. Praticamente nessun versante della vita individuale e collettiva era allora trascurato dall‟applicazione di nuovi criteri razionalizzanti.

L‟obiettivo era però uno stadio successivo: l‟interiorizzazione della disciplina. Se inizialmente i traguardi della civiltà e le pretese dell‟ordine costavano fatica e costringevano a subire la durezza della volontà politica, l‟ambizione delle classi dirigenti era che, con il tempo, e superata questa durezza iniziale, tutto ciò diventasse una sorta di seconda natura, e la gente apprezzasse pienamente lo stile di vita ordinato e coltivasse spontaneamente la sana mentalità fondata sulla laboriosità, la devozione e il disciplinamento del carattere di cui esso si nutre.

In vari modi «importunati, intimoriti, spinti, catechizzati, addestrati e organizzati»163, i ceti popolari sono interessati da iniziative dal raggio ampio. Innanzitutto, sono le loro condizioni materiali di vita a preoccupare questi governi. Da quel momento, essi cominciano più sistematicamente a prendersi in carico le condizioni di salute della popolazione soggetta, con misure sanitarie mirate a promuoverne salute, fecondità e benessere. Obiettivi non meno importanti accorpabili, anche se in maniera più indiretta, alle preoccupazioni materiali delle autorità politiche sono l‟impegno a

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migliorare il livello di istruzione delle fasce sociali più deboli e ad incitare la loro dedizione ad una professione produttiva.

Le intenzioni riformatrici però non si fermavano qui. Persino la condotta morale e la vita spirituale delle fasce popolari iniziano a concernere le classi al potere, che vogliono ora avere voce in capitolo nei comportamenti e negli stili di vita delle fasce popolari. La rilassatezza dei loro costumi e le abitudini oziose e disordinate sono ora oggetto di stigmatizzazione. Questi attacchi sono caratterizzati da una durezza inedita, che includeva – come vedremo tra poco – la repressione di pratiche considerate oltraggiose o licenziose, come quelle promosse da feste popolari quali il carnevale. Un intreccio articolato di motivazioni diverse e complesse, mosso al contempo «dalla paura e dall‟ambizione»164, si impone a chi cerchi di andare alle radici di questo vasto progetto con cui alcune delle più importanti autorità politiche della prima modernità occidentale hanno cominciato a gettare le basi per una volontà interventistica sul campo sociale che diventerà uno degli assi portanti dell‟ordine morale moderno.

C‟era innanzitutto un timore montante per il disordine sociale. Ad essere fonte di una crescente preoccupazione erano in particolare i poveri e gli indigenti, che, per una serie di congiunture negative, quel frangente storico aveva visto aumentare in maniera non trascurabile. Dinnanzi a questa difficile situazione, intere masse di persone non avevano trovato soluzione migliore che quella di tentare una migrazione verso le città, nella speranza che lì fosse meno difficile trovare di che vivere. Per le autorità politiche questa costituiva un‟emergenza vera e propria, che si traduceva nella necessità di escogitare misure efficaci per fronteggiare crimini che verosimilmente avevano l‟occasione giusta per proliferare e interventi

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speciali sul fronte sanitario, per via del richiamo di nuove malattie da prevenire e contenere.

È stato questo senso acuito di un‟ansia legata all‟ordine pubblico ad aver