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La disponibilità di beni rifugio e l'importanza della ―buona famiglia‖.

Capitolo 2 – La frammentazione della ricchezza

2.4 La frammentazione del capitale immobiliare e finanziario

2.4.1 La disponibilità di beni rifugio e l'importanza della ―buona famiglia‖.

I cosiddetti "beni rifugio" rappresentano una fattispecie di investimento tradizionale molto antica, che ha l'indubbio pregio di costituire una forma redditizia di impiego del capitale coniugata all'appagamento del senso estetico; infatti, sono beni rifugio, tra gli altri, gli oggetti d'arte (quadri, stampe, libri antichi, argenteria, tappeti, sculture, mobili, vasi), le collezioni di francobolli, di monete e di orologi, nonché i gioielli, le pietre e i metalli preziosi quali oro e platino.

Sono, inoltre, da considerare beni rifugio gli immobili, sebbene questi siano soggetti ad una specifica tassazione; peraltro, per larga parte dei contribuenti il loro acquisto è determinato innanzitutto dalla necessità, piuttosto che dall'investimento di capitale.

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Indubbiamente le possibilità di investimento, grazie anche alla globalizzazione dei mercati e alle possibilità concesse da Internet, seppure con i limiti di legge, sono infinite: si va dal classico acquisto di titoli di Stato (BOT, BTP, CCT, eccetera), di buoni postali fruttiferi, di azioni, di warrant e di obbligazioni, alla sottoscrizione di fondi comuni di investimento di ogni tipo, sempre più specializzati, alla sottoscrizione di polizze vita e di fondi pensione, alla gestione dei propri investimenti interamente affidata a banche e ad altri intermediari finanziari, eccetera.

In merito a queste tipologie di investimento, che sono comunque senz'altro le più diffuse, bisogna però trarre due considerazioni: la prima, ovvia, considerazione, è che il rendimento lordo dei suddetti strumenti di investimento è soggetto a tassazione mediante ritenuta fiscale e la seconda è che l'acquisto di warrant, di azioni e di obbligazioni a tasso variabile, nonché la sottoscrizione di quote di un fondo comune di investimento, possono celare un considerevole rischio.

I beni rifugio non sono tassati (escludiamo gli immobili), dal momento

che qualsiasi cittadino può acquistare un diamante del valore di cinquanta milioni presso una casa d'aste, un negozio o un privato, anche

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prenotandolo telefonicamente, senza che il Fisco ne sia direttamente a conoscenza, e senza rischiare che il suo investimento crolli del 20 per cento in un mese a causa di un forte ribasso in Borsa. Ovviamente tutto ciò a patto che l'acquisto sia effettuato da persona di fiducia, accompagnato da garanzia e da stima, a testimonianza che la pietra valga la cifra richiesta.

Una caratteristica negativa importante riguardo ai beni rifugio è, invero, la possibile scarsa liquidità del bene acquistato, giacché, in un momento di bisogno, potrebbe risultare difficile vendere allo stesso prezzo una pietra preziosa, come un quadro d'autore; inoltre, bisogna considerare che tutti gli investimenti realizzati tramite l'acquisto di beni rifugio, in linea di massima, danno i propri frutti nel medio-lungo periodo, in quanto le loro valutazioni hanno oscillazioni contenute, ma in questo risiede anche il basso fattore di rischio di svalutazione.

Un altro motivo della bassa percentuale di presenza dei beni rifugio nei portafogli degli italiani166 si deve forse al timore dei furti, fattore di non poco conto quando si investono grosse cifre in opere d'arte

166 Si stima che gli italiani investano in beni rifugio il 2,6 per cento del loro

patrimonio (escludendo gli immobili); cfr. PATRIZI, I beni rifugio quali indici di capacità contributiva, in "il fisco" n. 34 del 24 settembre 2001, pag. 11380.

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o in pietre e metalli preziosi da conservare, presumibilmente, nella propria abitazione.

In definitiva, l‘attitudine alla contribuzione è quindi oramai rappresentata non tanto dal reddito tradizionalmente inteso, ma dal contesto familiare e lavorativo nel quale il soggetto si muove ed opera, e dal patrimonio di cui dispone, indipendentemente dal flusso reddituale che esso produce. Il migliore indicatore della condizione economica di un singolo o di una famiglia non è più rappresentato dal reddito, ma almeno da una combinazione tra reddito e patrimonio.

A ben vedere, con il passaggio da una società di produttori ad una società di consumatori, in cui l'urgenza sociale di ―consumare ed essere visibili‖ giustifica il ricorso ai prestiti e al credito, la misurazione della capacità economica secondo alcuni Autori potrebbe essere estesa anche al consumo, inteso come tenore di vita. Perciò, in questo nuovo contesto, la tassazione dovrebbe essere declinata anche sulla spesa e sull‘imposta sui consumi, rinunciando all‘idea, ormai superata dalla storia, di legarla alla sola imposta sul reddito167.

167 Carpentieri, in L

UPI,FALSITTA,CARPENTIERI,STEVANATO, Capacità, economica, capacità contributiva e minimo vitale, in Dialoghi tributari, p. 126.

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Si badi bene, la connessione tra spesa e reddito è molto meno netta di quanto si potrebbe pensare; ormai molti comprano e vivono a credito (il che è più facile, come già detto, se si hanno a disposizione certi cespiti patrimoniali)168; il reddito può non esserci e, nonostante questo, può esserci la spesa. Ormai è la capacità del consumatore, non quella del produttore di reddito, a definire lo status di cittadino169 e, in questa prospettiva, forse è giusto rifocalizzare sulle scelte sovrane del consumatore l‘interazione tra diritti e doveri evocata per legittimare l‘imposizione fiscale. E dovrebbe considerarsi che proprio l‘IVA, a differenza dell‘imposta sul reddito, pone al centro quella libertà di scelta (del consumatore) che nel senso comune della società dei consumatori definisce il significato della sovranità individuale e dei diritti umani, e che i governi che presiedono alle società dei consumatori brandiscono e sfoggiano come il genere di servizio da cui deriva tutta la legittimazione di cui ha bisogno il loro potere170.

168 Non si può ignorare del resto il fiorire, in questo periodo, delle agenzie pegni e dei

―compro oro‖.

169 Carpentieri, loc. ult. cit.

170 Carpentieri, in L

UPI,FALSITTA,CARPENTIERI,STEVANATO, Capacità, economica, capacità contributiva e minimo vitale, op. cit., p. 126.

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Non è in totale contraddizione con quanto precede l‘idea che l‘indice di capacità contributiva non debba più necessariamente misurarsi in termini di scambiabilità sul mercato171. è sostenibile che la situazione economica di un soggetto oggi non dipenda più solo dai beni proprietari, dall‘avere qualcosa che si può vendere, ma anche dall‘avere, ma altresì dalla situazione patrimoniale ereditata o più in generale dalla rete di relazioni parentali, sociali e amicali è in grado di influire sulla capacità economica di un soggetto quanto e più del possesso di un reddito o di un patrimonio, ma sembrerebbe corretto ritenere che essa non possa costituire un diretto oggetto di tassazione, ma possa casomai determinare una diversa tassazione di altre forme di capacità economica da lui comunque possedute.

A parità di reddito o patrimonio, o altro indice di capacità contributiva, lo status familiare potrebbe insomma giustificare diversificazioni di tassazione.

171 G

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Capitolo 3

– L'evasione delle aziende e quella degli

autonomi.

“Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli

sarà tolto anche quello che ha”172

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