• Non ci sono risultati.

La disposizione dei beati nei ciel

La molteplicità delle beatitudin

Capitolo 3. I gradi di beatitudine

3.1 La disposizione dei beati nei ciel

Il primo dubbio che nasce nell’animo del nostro Poeta è quello relativo alla distribuzione dei beati nei vari cieli e, a tal proposito, egli si chiede se possa essere valutata come vera quella dottrina platonica97, condannata dalla Chiesa, per la quale le anime, dopo la morte del corpo, ritornano presso gli astri dai quali erano discese. Leggiamo, nel Canto IV, i vv. 22-24:

Ancor di dubitar ti dà cagione parer tornarsi l’anime a le stelle, secondo la sentenza di Platone.

La risposta che Beatrice dà al dubbio di Dante, prima di tutto chiarisce la verità della fede cristiana; leggiamo i vv. 34- 36:

ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro.

Tutti i beati, dunque, abitano lo stesso luogo, l’Empireo, differendo tra loro per

96 «Quello infinito e ineffabil bene / che là su è, così corre ad amore / com'a lucido corpo raggio viene.

/ Tanto si dà quanto trova d'ardore; / sì che, quantunque carità si stende, / cresce sovr'essa l'etterno valore. / E quanta gente più là su s'intende / più v'è da bene amare, e più vi s'ama, / e come specchio l'uno a l'altro rende» (Cfr. Pg. XV, 67-75). In questi versi, Virgilio spiega a Dante che la potenza dell'irradiazione divina è inesauribile e, proprio per questo motivo, si offre a chiunque sia in grado di amarla. Perciò, quante più persone in Paradiso si vogliono bene, tanto maggiore è la loro capacità di amare: ciascun beato, infatti, rispecchiando l'amore divino lo ridistribuisce agli altri, proprio come uno specchio che riflette la luce.

97 «E colui che vivesse bene il tempo assegnatoli, ritornato di nuovo nell'abitazione dell'astro a lui

affine, avrà vita beata e conforme alla sua natura» (Cfr. Platone, Timeo, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, p. 119).

83

il diverso grado d’amore; il fatto che essi appaiano in diversi cieli ha in realtà solamente funzione pedagogica: è il modo sensibile per fa avvertire, a Dante e a noi, che le anime dei beati posseggono ognuna una particolare capacità soggettiva di beatitudine98.

Quindi, se sul piano teorico la dottrina di Platone è rigettata, sul piano poetico essa è utilizzata da Dante per creare una grande metafora che rende possibile descrivere la vera scala della beatitudine delle anime che, altrimenti, sarebbe, per noi, invisibile e incomprensibile.

È per questo motivo che Dante dice che probabilmente Platone stesso non avrebbe voluto essere preso alla lettera, come se anch’egli parlasse per metafora, sottintendendo che, dopo la morte corporale, ciò che torna nella stella non sono le anime, bensì le disposizioni di queste ultime99.

Ciò che è descritto nel Timeo e ciò che ritroviamo nel Paradiso non è differente dal punto di vista della situazione: ciò a cui assistiamo, in entrambi i casi, è il ritorno delle anime in quei cieli/astri che maggiormente le hanno influenzate in vita; ciò che, invece, fa la differenza è il modo di intendere ciò che è descritto, come vero in Platone o come metaforico in Dante. Chiaramente, per quanto riguarda il Paradiso dantesco la lettura da adottare è quella metaforica; ma se anche Platone l’avesse intesa in questo modo, allora il Timeo direbbe il vero. È ovvio che il suggerimento che Dante dà di interpretare metaforicamente il testo di Platone ci chiarisce il criterio di cui egli stesso si è servito per disporre gerarchicamente i beati: non sarebbe stato possibile, infatti, fornire una rappresentazione più adeguata, dal momento che l’unico modo per misurare la gloria celeste è l’amore di carità di ciascun beato, dovuto al concorrere di merito e Grazia: realtà misteriosa e, in quanto tale, nota sola a Dio100.

Facendo un salto al Canto XIV, leggiamo i vv. 40-42:

La sua chiarezza séguita l’ardore; l’ardor la visïone, e quella è tanta,

98 Né i Serafini, né Maria, per fare esempi eminenti, hanno una collocazione oggettiva diversa da

quella delle anime del cielo lunare.

99 Tale interpretazione “metaforica” di Platone non è un’idea di Dante, tuttavia il poeta la difendeva

come se riconoscesse la necessità di parlare per metafora quando ci si trova a dover descrivere realtà ultraterrene.

100 Non sarebbe stato possibile altrimenti, per Dante, fornire una ragione della gerarchia delle

beatitudini, come invece aveva fatto per la gerarchia delle pene nell’Inferno e per il Purgatorio, in cui poteva servirsi di peccati e vizi più o meno gravi.

84

quant’ha di grazia sovra il suo valore.

In questi versi è detto chiaramente che la luminosità (chiarezza) dei beati è la conseguenza dell’ardore dell’anima; ma quest’ultimo è a sua volta dovuto al grado di intensità che l’anima raggiunge nel momento in cui vede Dio: la visione di Lui sarà tanto più intensa quanto maggiore è la grazia divina che il beato riceve in aggiunta al proprio merito.

I cieli, che di fatto appartengono ancora all’ordine cosmico, servono a descrivere il tipo di santità vissuta dai beati; mentre questi ultimi, sul piano individuale, risiedono tutti di diritto nell’Empireo e il loro “posto” è misurato solamente dall’amore caritatevole presente nel loro animo.

Leggiamo, al Canto IV, i vv. 34-42:

ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro. Qui si mostrano, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la spiritüal c’ha men salita.

Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende

ciò che fa poscia d’intelletto degno101.