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2 Introduzione

2.3 Il Disturbo Bipolare (DB)

Il disturbo bipolare costituisce una tra le forme più frequenti di malattia mentale. É inoltre responsabile di una Disability-adjusted life year o DALY (attesa di vita corretta per disabilità) peggiore di qualsiasi forma di cancro o delle condizioni neurologiche più gravi quali l’epilessia o la malattia di Alzheimer (Organization WH, 2002; Crump et al., 2013), soprattutto a causa del suo esordio precoce e dell’andamento cronico.

Tutti gli individui nel corso della loro vita sperimentano continue oscillazioni del tono dell’umore, solitamente in risposta a stimoli esterni: si tratta di fenomeni fisiologici, che svolgono una funzione adattativa; infatti essi modulano la spinta all’iniziativa e favoriscono l’adozione di modelli comportamentali idonei al mutare delle circostanze ambientali (Akiskal 1996; Marneros 2001; Swann et al., 2013).

Quando queste oscillazioni diventano ampie, prolungate, indipendenti o sproporzionate rispetto agli stimoli esterni, perdono la loro funzione adattativa e danno luogo ai disturbi dell’umore.

In una visione più moderna, i disturbi dell’umore vengono classificati come facenti parte di un continuum, un ampio spettro dell’umore, che include condizioni che vanno da risposte fisiologiche agli agenti esterni, a forme sotto- soglia, attenuate a decorso protratto, fino alle forme unipolari e alle patologie più invalidanti come il disturbo bipolare tipo I e II.

Se questi quadri sottosoglia, la cui prevalenza nei campioni presi in esame è risultata maggiore rispetto al disturbo conclamato, erano inizialmente ritenuti forme “benigne”, studi epidemiologici hanno dimostrato come siano connessi ad un aumento delle ospedalizzazioni ed alla necessità di cure per patologie mediche e psichiatriche, in particolare le forme con sintomi depressivi (Sherbourne e coll., 1994).

L’adozione di un modello unitario di spettro dei disturbi dell’umore consente non solo di cogliere le manifestazioni parziali, atipiche e attenuate, che se pur non soddisfino i criteri di gravità, durata o numero di sintomi previsti per la diagnosi, influenzano la sfera socio-lavorativa e affettiva del paziente (Cassano e coll., 2004), ma offre diversi vantaggi sia sul piano clinico-terapeutico, sia su quello della ricerca, con particolare riferimento ai correlati biologici di malattia. Il DSM-IV-TR distingueva i disturbi dell’umore in due grandi categorie:

• i disturbi unipolari, caratterizzati da episodi esclusivamente depressivi,

• i disturbi bipolari, caratterizzati invece dall’alternarsi di episodi depressivi e maniacali.

Nel DSM-5 i disturbi depressivi e quelli bipolari non vengono più inclusi in un’unica categoria "Disturbi dell'Umore”.

Quello che nel DSM-IV-TR si chiamava "Disturbo Bipolare Episodio Misto" è stato eliminato e sostituito dall’“identificatore” "con caratteristiche miste" e

"con stress e angoscia".

Gli identificatori non sono veri e propri criteri, ma permettono di rendere ragione sia di episodi maniacali in diagnosi unipolari, sia di tener conto della dimensione ansiosa nei pazienti bipolari o depressi. Non ci sono invece cambiamenti particolari nella diagnosi di Bipolare I e Bipolare II.

Nella nuova versione è stato migliorato l’algoritmo diagnostico degli episodi maniacali e ipomaniacali grazie all’indicazione di valutare le variazioni di livello energetico e di umore.

Sia la depressione che la mania si manifestano con una serie di sintomi riguardanti il tono affettivo, la psicomotricità, la sfera cognitiva e il sistema neurovegetativo. L’insorgenza conclamata del disturbo pieno può essere preceduta anche di anni, da una serie di segni e sintomi precursori, come cefalea, disturbi del sonno, irritabilità, od oscillazioni timiche subsindromiche (Cassano&Tundo, 2006).

Il Disturbo Bipolare I è la forma più grave di disturbo dell’umore, comprende

quei pazienti che hanno presentato episodi depressivi e maniacali o misti a piena espressione sintomatologica, e vi rientrano anche quei pazienti che presentano esclusivamente ricadute maniacali (5-9% dei casi) (Yazici,2014).

Nel decorso spontaneo, non modificato da terapia, i singoli episodi hanno durata abbastanza regolare, 3-4 mesi per la mania e 6-8 mesi per la depressione, e stabile nell’arco della malattia.

Un recente studio, condotto su 61392 adulti provenienti da 11 paesi d’America, Europa, Asia (Merikangas et al., 2011), ha individuato una prevalenza lifetime dello 0,6% per il disturbo bipolare I (BP-I), dello 0,4% per il disturbo bipolare II (BP-II) e del 1,4% per le forme sottosoglia (BPS), come definiti nel DSM-IV. La prevalenza totale nella popolazione generale per tutti i disturbi dello spettro bipolare è del 2,4%, mentre la prevalenza a 12 mesi risulta essere di 0,4% per BP-I, 0,3% per BP-II e 0,8% per il BPS. I tassi lifetime di BP-I e BPS sono risultati maggiori nei maschi rispetto alle femmine (circa 1,1:1), mentre il rapporto si inverte per il BP-II.

L’età d’esordio si colloca tra i 15 e i 40 anni, con una maggiore frequenza intorno ai 30 anni (Hamshere et al., 2009), non è rara la comparsa anche in età pre-puberale; il 20-40% dei bipolari adulti, inoltre, indica l’infanzia come periodo di comparsa del disturbo (Faedda et al., 2004).

Più frequentemente la polarità di esordio è di tipo depressivo (rapporto depressione/mania al primo episodio è di 3:1 nelle donne e 3:2 negli uomini). Il decorso successivo si caratterizza per una prevalenza di recidive depressive nelle donne e un’equivalenza di fasi depressive e espansive negli uomini.

Il numero di episodi pieni a cui il paziente può andare incontro nel corso della vita varia da 2-3 fino a 30 e oltre con una media di 8-10.

Il Disturbo Bipolare I è una forma particolarmente grave, confermata da frequente familiarità, dall’alto numero di ospedalizzazioni, dalle numerose

condotte autolesive, e dal disadattamento familiare, lavorativo e sociale a cui sovente si associa (Shastry, 2005).

Il Disturbo Bipolare II comprende pazienti che abbiano presentato un episodio

depressivo maggiore alternato con almeno un episodio ipo-maniacale spontaneo; secondo alcuni autori dovrebbe includere anche episodi ipo-maniacali indotti da farmaci/sostanze, e pazienti con episodi depressivi insorti su un temperamento ipertimico/ciclotimico o comunque con familiarità di primo grado per Disturbi Bipolari. L’età di esordio del Disturbo Bipolare II è più tardiva e con più breve durata degli episodi. Presenta un numero di recidive più alto, maggior rischio di ricorrenze stagionali a rapida ciclicità, una più frequente comorbidità con altre patologie psichiatriche, come il disturbo di panico, il disturbo ossessivo compulsivo e i disturbi di personalità. Nel BP-II è frequente anche l’abuso di alcool e altre sostanze (Engstrom et al., 2003).

Il Disturbo Bipolare II è considerato un quadro di gravità intermedia tra Depressione maggiore e Disturbo Bipolare I: secondo alcuni autori esso non rappresenta una forma di passaggio tra le due patologie, ma è un disturbo mentale autonomo con una specifica sintomatologia, decorso e risposta al trattamento.

I dati epidemiologici riguardanti il disturbo bipolare con caratteristiche miste sono scarsi per la mancanza di criteri validi e affidabili per la diagnosi e per la complessità del quadro clinico che caratterizza questi quadri affettivi.

Secondo le stime disponibili, una diagnosi di stato misto può essere effettuata in circa il 30-40% dei pazienti ospedalizzati per disturbo bipolare I (Shim, Woo, & Bahk, 2015).

Sul piano lavorativo e sociale le conseguenze possono essere particolarmente negative se prevalgono le fasi depressive e la comorbidità con altri disturbi mentali, in particolare quelli di abuso di sostanze.

Il rischio suicidario nell’arco della vita è 15 volte maggiore nei soggetti affetti da disturbo bipolare rispetto alla popolazione generale (DSM-5). É stato stimato

che dal 25 al 50% dei soggetti con disturbo bipolare tenterà il suicidio almeno una volta nella vita, e che dall’8 al 19% porterà a termine il tentativo (Latalova et al., 2014). All’aumentare della gravità del disturbo bipolare, aumenta anche il rischio suicidario. I tentativi anticonservativi riguardano circa 1/4 dei soggetti affetti da BP-I, 1/5 di quelli con BP-II e 1/10 di quelli con BPS.

Per quanto riguarda l’episodio maniacale esso è definito da un periodo durante il quale vi è un umore anormalmente e persistentemente elevato, espanso o irritabile, e coesistono fenomeni psicotici.

Per la diagnosi di episodio maniacale, i criteri indicati dal DSM-5 sono:

• L’umore anormalmente e persistentemente elevato, espanso o irritabile, per la maggior parte della giornata, deve durare almeno una settimana e deve essere accompagnato da almeno tre sintomi addizionali tra:

 autostima ipertrofica che va dalla fiducia in se stesso priva di critica alla grandiosità marcata;

 diminuito bisogno di sonno: il soggetto si sveglia prima dell’ora abituale, sentendosi pieno di energie;

 maggiore loquacità rispetto al normale o spinta continua a parlare: l’eloquio maniacale è pressante, ad alta voce, rapido e difficile da interrompere;

 fuga delle idee o esperienza soggettiva per cui i pensieri si succedono rapidamente;

 distraibilità: i soggetti non sono capaci di filtrare gli stimoli esterni irrilevanti e la loro attenzione viene facilmente sviata;

 aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale), oppure agitazione psicomotoria o irrequietezza;

 eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per esempio eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati).

• I sintomi devono essere tali da compromettere l’attività lavorativa o sociale o da richiedere l’ospedalizzazione, oppure devono esserci manifestazioni psicotiche.

• L’episodio non deve essere causato dagli effetti fisiologici di una sostanza o di una condizione medica generale.

L’esordio è più rapido di quello della depressione ed è generalmente preceduto, per 3-4 giorni, da sintomi prodromici come iperattività, espansività e loquacità aumentata, spese eccessive, maggior energia e appetito e ridotto bisogno di sonno.

Per porre diagnosi di episodio depressivo maggiore invece devono essere soddisfatti i seguenti criteri:

 La presenza di cinque dei seguenti elementi, di cui uno deve essere umore depresso o perdita di interessi (abulia) o di piaceri (anedonia) per tutte le attività per un periodo di almeno due settimane:

 alterazioni del peso corporeo: significativa perdita di peso o aumento di peso non dovuto a diete (per esempio più del 5% del peso corporeo in un mese) o diminuzione dell’appetito (iporessia, più frequente) o suo aumento (iperoressia) quasi ogni giorno;

 alterazione del sonno: insonnia (nella maggior parte dei casi) o ipersonnia (sotto forma di prolungamento del sonno notturno o di aumento del sonno durante il giorno);

 alterazioni dell’attività psicomotoria: agitazione oppure rallentamento;

 ridotta energia e affaticabilità quasi ogni giorno, anche in assenza di attività fisica;

 sentimenti di svalutazione e di colpa eccessivi o immotivati quasi ogni giorno, fino a tematiche deliranti;

 riduzione della capacità di concentrazione, di pensare o prendere decisioni: i pazienti possono apparire facilmente distraibili o possono lamentare disturbi mnesici;

 ricorrenti pensieri di morte o ideazione suicidaria, pianificazione o tentativi di suicidio.

 I sintomi devono durare per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno per due settimane consecutive.

Tali sintomi devono causare al soggetto un significativo disagio o compromissione a livello socio-lavorativo.

 I sintomi non devono essere conseguenza degli effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica generale.

L’esordio può essere improvviso, più frequente nelle forme bipolari, o può essere preceduto per alcuni giorni o settimane da prodromi come labilità emotiva, tensione, astenia, inappetenza, insonnia, cefalea. Nel 30-40% dei casi all’episodio maggiore fa seguito una sintomatologia residua con manifestazioni che, per quanto attenuate, possono compromettere il funzionamento sociale, lavorativo e familiare e la qualità della vita (APA, 2013).

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