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Spettro post-traumatico da stress in un campione di 129 pazienti con disturbo bipolare ospedalizzati

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

Spettro Post Traumatico da Stress in un campione di 129 pazienti

con Disturbo Bipolare ospedalizzati

CANDIDATO RELATORE

Luca Bertuccelli Chiar.ma Prof.ssa Liliana Dell’Osso

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Per Patty, che ci ha sempre creduto, anche quando tutto andava storto.

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“Se avessi rispettato tutte le regole, non sarei arrivata da nessuna parte.”

“Quel che ho dentro nessuno lo vede. Ho pensieri bellissimi che pesano come una lapide. Vi supplico, fatemi parlare.”

“Trova qualcuno che ti faccia dimenticare il tuo passato, la tristezza. Trova qualcuno che ti cambi la vita, che la renda migliore, che sostituisca e riempia il vuoto di chi se n’è andato. Trova qualcuno per cui valga la pena sorridere.”

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Indice

1 Riassunto ... 2

2 Introduzione ... 7

2.1 Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) ... 7

2.1.1 Epidemiologia e differenze di genere ... 9

2.1.2 Principali fattori di rischio ... 12

2.1.3 Neuroanatomia e correlati neurobiologici ... 17

2.1.4 Storia della patologia post-traumatica ... 21

2.1.5 I criteri diagnostici attuali del PTSD ... 27

2.2 Il PTSD parziale e lo Spettro Post-Traumatico da Stress ... 31

2.3 Il Disturbo Bipolare (DB) ... 35

2.4 Comorbidità tra PTSD e Disturbo Bipolare ... 42

2.5 Obbiettivi dello studio ... 47

3 Materiali e metodo ... 49

3.1 Campione ... 49

3.2 Strumenti e metodi di valutazione ... 50

3.3 Analisi statistiche ... 54

4 Risultati ... 55

5 Discussione ... 58

6 Tabelle e figure... 63

7 APPENDICE: TALS-SR VERSIONE LIFETIME ... 70

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Riassunto

Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo psichiatrico che insorge in seguito all'esposizione, sia diretta che indiretta, ad eventi traumatici. A seguito del trauma i soggetti con PTSD sviluppano una serie di sintomi clinici, che spesso si rivelano essere profondamente invalidanti e potenzialmente cronici.

Il PTSD, secondo i criteri della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici (DSM-5), si struttura in 4 cluster sintomatologici, rappresentati da sintomi intrusivi (rievocazione dell’evento traumatico), condotte di evitamento riguardanti situazioni associate al trauma,

ottundimento emotivo ed affettivo e iperarousal, come ad esempio insonnia ed

ipervigilanza (APA, 2013).

Vari studi dimostrano come la prevalenza del PTSD in specifici gruppi di popolazione, tra cui veterani di guerra, sopravvissuti a terremoti, cicloni o uragani, così come nelle vittime di stupro, oscilli dall’8 al 43%. Nella popolazione generale, invece, le indagini epidemiologiche più recenti hanno riportato tassi di prevalenza del 6.5% negli Stati Uniti e del 2.3% in Italia.

Sono stati inoltre individuati, nel corso degli anni, come potenziali fattori di rischio per lo sviluppo del PTSD: la suscettibilità genetica, il sesso femminile, la giovane età, l'etnia, la gravità dell'evento, i fattori socioeconomici, la presenza di danni cerebrali traumatici ed infine la personalità premorbosa e l'anamnesi positiva per disturbi psichiatrici.

In particolare, vari autori hanno evidenziato una particolare relazione tra PTSD e Disturbo Bipolare (DB). Secondo i dati del National Comorbidity Survey (NCS) la diagnosi lifetime di PTSD in soggetti con DB I raggiunge il 38.8%. Ulteriori studi hanno dimostrato che i soggetti bipolari hanno un rischio di esposizione al trauma più alto rispetto alla popolazione generale. Inoltre il PTSD, influenza negativamente il decorso del DB e determina un peggioramento del quadro

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clinico, minore aderenza al trattamento e un maggior rischio di abuso di sostanze e di suicidio.

Numerosi studi hanno dimostrato l’importanza clinica delle forme parziali di PTSD che, pur non soddisfacendo completamente i criteri diagnostici del DSM, sono caratterizzate da un profondo malessere soggettivo e compromissione significativa del funzionamento socio-lavorativo. Proprio per questo, è stato introdotto il concetto di PTSD parziale (partial PTSD) e sottosoglia (“subthreshold” o “subsyndromal”).

Un progetto internazionale di collaborazione tra ricercatori dell’Università di Pisa, della Columbia University di New York, del Western Psychiatric Institute and Clinic dell'Università di Pittsburgh e dell'Università della California S. Diego, denominato “Spectrum Project”, ha sviluppato il concetto di Spettro

Post-Traumatico da Stress (Dell’Osso et al., 2011; L. Dell’Osso et al., 2009; L.

Dell’Osso et al., 2008). Si tratta di un approccio multidimensionale al PTSD che esplora non solo gli eventi potenzialmente traumatici, inclusi gli eventi “low magnitude”, ma anche la reazione acuta o peri-traumatica e la dimensione dei sintomi post-traumatici da stress, ponendo attenzione alle condizioni sotto-soglia e ai tratti temperamentali e di personalità come fattori di rischio per lo sviluppo del disturbo. Il modello di spettro rappresenta, quindi, un innovativo approccio dimensionale alla malattia mentale che enfatizza il ruolo anche delle forme parziali, atipiche e sotto-soglia di patologia (Dell’Osso et al., 2015).

Grazie agli studi condotti dai ricercatori della Clinica Psichiatrica dell'Università di Pisa, è stato quindi sviluppato il “Trauma and Loss Spectrum-Self Report

(TALS-SR)”, un questionario per valutare i sintomi dello spettro post-traumatico

(Dell’Osso et al., 2008; Dell’Osso et al., 2009).

Questa tesi rappresenta il primo studio condotto in Italia con lo scopo di analizzare la prevalenza del PTSD e della sintomatologia di spettro post-traumatico da stress in un campione di pazienti con DB, in differenti fasi di malattia, consecutivamente ricoverati presso la Clinica Psichiatrica dell’Azienda

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Ospedaliero-Universitaria Pisana (A.O.U.P.), e l’impatto di questi sulle caratteristiche cliniche del DB.

La popolazione indagata nella presente tesi è rappresentata da 129 pazienti ospedalizzati con diagnosi di DB, in differenti fasi di malattia. Tutti i soggetti sono stati indagati mediante un questionario per le variabili demografiche e cliniche appositamente redatto e il Trauma and Loss Spectrum-Self Report versione lifetime (TALS-SR, Dell’Osso et al., 2009c), per valutare i sintomi dello spettro post-traumatico nei pazienti con disturbo bipolare.

Inoltre, in accordo con i fini dello studio, per ogni paziente sono state registrate le variabili relative alle caratteristiche demografiche (età, sesso, livello di istruzione, professione, stato coniugale), l’anamnesi psichiatrica (età e polarità dell’esordio del DB, numero di episodi depressivi e maniacali, numero di precedenti ricoveri, numero di tentativi di suicidio ed eventuali comorbidità psichiatriche), le variabili cliniche dell’episodio (polarità espansiva, depressiva o a caratteristiche miste, durata del ricovero), le comorbidità mediche e la terapia farmacologica.

I risultati ottenuti mostrano una diagnosi lifetime di PTSD nel 42,3% del campione, con un ulteriore 34,1% che riportava una diagnosi di PTSD parziale, senza significative differenze di genere. Le percentuali di PTSD riportate dal campione risultano decisamente più elevate rispetto a quelle riscontrate nella popolazione italiana dallo studio ESeMED del 2.3% (De Girolamo et al., 2006a); esse sono tuttavia in linea con la letteratura sui tassi di prevalenza in pazienti con DB che hanno necessitato ricovero.

Nel nostro campione i pazienti con diagnosi di PTSD o PTSD parziale mostrano tassi significativamente maggiori di episodi depressivi e maniacali, come anche di precedenti ricoveri. Analizzando le comorbidità psichiatriche in relazione al DB è risultato evidente come la presenza di Disturbi d’Ansia ed i comportamenti maladattativi siano associati ad un profilo di DB più grave ad esordio più precoce, maggior numero di episodi, maggior tendenza all’ospedalizzazione ed

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ai tentativi di suicidio. Inoltre è stato evidenziato come anche la comorbidità tra DB e PTSD sia associata anche ad un numero significativamente maggiore di tentativi di suicidio.

Per quanto riguarda i domini del TALS-SR, le femmine riportavano punteggi significativamente più alti nel dominio IV (reazioni alla perdita o a eventi potenzialmente traumatici) e nel totale dei domini sintomatologici. Inoltre è emersa una correlazione tra i domini sintomatologici del TALS-SR e le caratteristiche cliniche del DB che ha mostrato come non solo la diagnosi di PTSD conclamato, ma anche i sintomi di spettro postraumatico da stress risultino importanti per il decorso e la gravità della patologia bipolare. Infatti, il punteggio totale dei domini sintomatologici del TALS-SR correla in modo significativo con il numero di episodi maniacali, depressivi e con il numero di tentativi di suicidio.

E‘ importante ricordare che lo studio presentato in questa tesi mostra alcune limitazioni. In primo luogo, una limitazione importante può derivare dall’utilizzo di uno strumento di autovalutazione come il TALS-SR al fine del rilevamento dei sintomi del PTSD. L’autovalutazione dei sintomi di PTSD può infatti risultare meno accurata rispetto ad un’intervista strutturata da parte di un clinico esperto. Un secondo limite dato dal TALS-SR è quello di valutare la sintomatologia post-traumatica lifetime, rendendo impossibile stabilire una relazione causale tra il PTSD ed il DB o viceversa. Terzo, la ricostruzione della storia clinica riguardante il DB a posteriori può risultare meno precisa ed affidabile rispetto ai dati raccolti in uno studio prospettico. Quarto, la scarsa numerosità del campione. Infine, la mancanza di uno strumento di valutazione del funzionamento del paziente può comportare una minor accuratezza nella caratterizzazione del campione.

Nonostante queste limitazioni, i risultati ottenuti in questo studio confermano lo stretto rapporto che lega una grave patologia psichiatrica come il DB con il PTSD e i sintomi di Spettro Post Traumatico da Stress. Ulteriori studi su queste

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due condizioni sono necessari poiché la comprensione delle modalità con cui il PTSD e il DB usualmente coesistono, potrebbe fornire nuove strategie per ottenere una diagnosi maggiormente accurata e un miglior trattamento dei sintomi per entrambi i disturbi.

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2

Introduzione

2.1

Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è una patologia cronica, contraddistinta dalla presenza di una serie di sintomi che determinano un peggioramento significativo della qualità della vita e che si sviluppano a seguito dell’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico di varia entità.

Gli individui affetti da PTSD rivivono continuamente il trauma attraverso incubi, flashback e ricordi spiacevoli.

Da un punto di vista clinico, gli elementi che caratterizzano questo quadro sono:

La persistente rievocazione dell’evento traumatico, sotto forma di pensieri intrusivi, sogni, flashback, allucinazioni.

L’evitamento di situazioni riconducibili anche indirettamente ad esso.

Le alterazioni negative di cognitività e umore, con perdita di interessi e distaccamento emotivo da amici e familiari.

L’aumento dell’arousal, caratterizzato da irritabilità, ipereccitabilità e difficoltà ad addormentarsi o mantenere il sonno.

I sintomi compaiono tipicamente tre mesi dopo l’evento acuto, ma sono descritti diversi casi in cui la diagnosi viene posta dopo sei mesi, situazione che viene definita dal DSM5 “ad espressione ritardata” (American Psychiatric Association, 2013).

Nel corso degli anni molti autori hanno dibattuto riguardo alla definizione di

trauma ed a ciò che differenzia gli eventi traumatici da quelli stressanti. Per evento stressante si intende infatti un avvenimento capace di evocare una

risposta biologica e comportamentale nell'individuo, atta a porlo nelle condizioni di affrontare l'evento stesso, al fine di favorire il ritorno dell'organismo verso un’omeostasi. La differenza sostanziale tra evento traumatico e stress, quindi, consiste soprattutto nella rapida reversibilità della sintomatologia al momento

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della rimozione dell’evento stressante con conseguente ripristino di un equilibrio. Tutto ciò non è invece necessariamente vero per il trauma, in cui le alterazioni persistono ben oltre la fine dello stesso, andando a costituire un terreno fertile su cui può svilupparsi la patologia post-traumatica (McEwen, 1998).

Il trauma viene definito come «esperienza personale diretta di un evento che

causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica; o la presenza a un evento che comporta morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona; o il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altre persone con cui il soggetto è in stretta relazione» (APA, 1994). Inoltre secondo il DSM-5 può essere definito trauma anche l’essere esposto ripetutamente o in modo estremo a dettagli ripugnanti di un evento traumatico (come nel caso di operatori dell’emergenza per la raccolta di resti umani o di agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli relativi a violenze sui minori). Tale condizione però non deve essere dovuta all’esposizione attraverso strumenti elettronici, televisione, film o fotografie, a meno che non sia legata all’attività lavorativa del soggetto (APA, 2013).

Nel PTSD il trauma riemerge in modo intrusivo nei ricordi del soggetto sotto forma di flashback, immagini vivide e incubi, associandosi a condotte di evitamento nei confronti di pensieri, luoghi, oggetti e situazioni che rievocano l’evento traumatico, a sintomi di ottundimento affettivo, ad alterazioni negative della cognitività e dell’umore, oltre a sintomi persistenti di aumentato arousal. Ne consegue l'autoperpetuarsi delle alterazioni psicobiologiche insorte dopo il trauma e l'incapacità dell'organismo di ritornare alle condizioni di omeostasi precedenti all’esposizione (Yehuda et al., 2000).

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2.1.1 Epidemiologia e differenze di genere

Numerosi studi epidemiologici hanno indagato la prevalenza di PTSD nella popolazione, evidenziando significative oscillazioni nei valori di incidenza e prevalenza. A tal proposito, oltre alla nota variabilità intrinseca delle manifestazioni del disturbo, hanno contribuito sicuramente l'utilizzo di strumenti di valutazione e di metodi di selezione del campione differenti, così come le riformulazioni nel corso degli anni dei criteri diagnostici riguardanti l’evento traumatico e dei criteri sintomatologici. La prevalenza lifetime del PTSD quindi varia in modo molto considerevole a seconda delle popolazioni considerate e dall’anno dello studio.

Il primo studio effettuato in tal senso nella popolazione statunitense, è stato l'Epidemiologic Catchment Area, il quale ha individuato la prevalenza di PTSD nell’arco della vita dello 0.9%, di cui 0.5% maschi e 1.3% femmine (Helzer et al., 1987).

A questo primo studio sono seguiti altri due studi condotti sempre negli Stati Uniti: tassi di prevalenza di PTSD nell’arco della vita del 9.2%, di cui 6% maschi e 11.3% femmine, sono stati individuati dal Random Community Survey (Breslau et al., 1991), mentre il National Comorbidity Survey (NCS) ha riportato tassi di prevalenza nell’ordine del 7.8%, di cui 5.0% maschi e 10.4% femmine (Kessler et al., 1995). I diversi risultati dei tre studi sono verosimilmente imputabili alla differente metodologia adoperata nella selezione del campione, così come ai mutamenti nel corso degli anni dei criteri diagnostici presi in esame.

Dieci anni dopo, il National Comorbidity Survey-Replication (NCS-R) ha riportato una prevalenza di PTSD nel corso della vita del 6.8% (Kessler et al., 2005a).

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Il 3.5% del campione esaminato riportava invece una prevalenza di PTSD a 12 mesi, in cui il 69.7% dei soggetti aveva un disturbo di entità da moderata a grave (Kessler et al., 2005b).

Nonostante la maggior parte degli studi epidemiologici sul PTSD siano stati condotti negli Stati Uniti (Helzer et al., 1987; Kessler et al., 1995; Kessler et al., 2005a; Kessler et al., 2005b), ne esistono alcuni riguardanti la popolazione generale europea (Frans et al., 2005; Darves-Bornoz et al., 2008) e, in particolare, quella italiana (Faravelli et al., 2004a; Faravelli et al., 2004b; De Girolamo et al., 2006b; Gigantesco et al., 2006; Carmassi et al., 2013). Lo studio più recente in tal senso è stato l’European Study of the Epidemiology of Mental Disorders, che si è occupato di analizzare la popolazione dell’Europa occidentale all’interno del WHO World Mental Health Survey Initiative (ESEMeD-WMH). Trattasi di uno studio epidemiologico su scala mondiale volto a stimare la prevalenza del PTSD e la sua associazione con i vari eventi traumatici nella popolazione adulta. L’ESEMeD ha preso in considerazione 21425 adulti rappresentativi di sei paesi europei (Spagna, Italia, Germania, Olanda, Belgio e Francia) (Alonso et al., 2004; De Girolamo et al., 2006a; Kessler, 2007; Darves-Bornoz et al., 2008). Darves-Bornoz e collaboratori (2008) hanno riportato una prevalenza di PTSD a 12 mesi dell’1.1%, trovando nei soggetti colpiti una media di esposizione di 3.2 eventi traumatici ciascuno. I primi dati italiani dello studio ESEMeD hanno individuato una prevalenza di PTSD del 2.3% nel corso della vita, dello 0.8% a 12 mesi e dello 0.4% a un mese dall’evento traumatico (De Girolamo et al., 2006a; De Girolamo et al., 2006b).

Un’analisi multivariata sugli eventi potenzialmente traumatici rispetto al genere di appartenenza, ha individuato sei tipi di eventi maggiormente correlati allo sviluppo di PTSD:

• lo stupro,

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• la malattia grave di un figlio,

• l’essere picchiati dal compagno o dal coniuge,

• lo stalking,

• l’essere picchiati dalle persone dedite all’assistenza (e.g. badanti, familiari).

Uno studio condotto su un campione di studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, vittime del terremoto che ha colpito L’Aquila nel 2009, ha rilevato una prevalenza di PTSD del 37.5% (51.7% nelle donne e 25.7% negli uomini) e una prevalenza di PTSD parziale del 29.9% (32.3% nelle donne e 25.7% negli uomini), indicando una netta differenza tra le due forme in esame per quanto riguarda il fattore di rischio presentato dal sesso femminile (Dell’Osso et al., 2011).

Gli studi epidemiologici hanno rivelato uno specifico rischio di sviluppare il PTSD nel sesso femminile, con una prevalenza pressoché doppia rispetto a quello maschile (Kessler et al.,1995; Breslau et al 2002; Dell’Osso et al., 2011, Carmassi et al 2013, Dell’Osso et al., 2014).

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2.1.2 Principali fattori di rischio

Una caratteristica comune a tutti gli studi epidemiologici è la costante presenza di un’importante percentuale di soggetti esposti al trauma che non ha mai sviluppato la patologia. In seguito a un evento traumatico non è inusuale la comparsa di ansia, sintomi dissociativi, amnesia dissociativa, difficoltà a concentrarsi, disturbi del sonno e derealizzazione. Tuttavia i sintomi non si presentano in tutti gli individui esposti a trauma e quando questo accade spesso recedono spontaneamente. Solo alcuni degli individui esposti ad un determinato evento stressante quindi sviluppano in seguito il PTSD (Javidi e Yadollahie, 2012). In un campione di 2181 soggetti di età compresa tra i 18 e i 45 anni, Breslau e collaboratori riportarono una prevalenza di eventi potenzialmente traumatici pari all'89.6% (Breslau et al., 1998). Se paragonata alla prevalenza di PTSD, tale percentuale è dimostrazione lampante del fatto che il trauma rappresenta sì una condizione necessaria, ma non sufficiente per l'insorgenza del disturbo. Studi più recenti sulla popolazione generale indicano che il 50-85% degli statunitensi subirà un evento potenzialmente traumatico nel corso della vita, mentre solo il 2-50% svilupperà il PTSD (Digangi et al., 2013). Studi clinici hanno anche dimostrato che i pazienti traumatizzati hanno di solito sperimentato più di un evento traumatico nel corso della vita (Carey et al., 2003; Darves-Bornoz et al., 2008), tuttavia capire i motivi per cui soltanto alcuni individui sviluppano il PTSD rappresenta a tutt’oggi una sfida per i ricercatori nel campo della patologia traumatica.

Diversi studi quindi sono stati svolti per capire quali fattori siano collegati allo sviluppo di PTSD. I principali fattori di rischio coinvolti nello sviluppo del disturbo individuati dalla letteratura risultano essere:

1.il sesso, 2.l'età, 3.l'etnia,

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4.la personalità premorbosa e l'anamnesi psichiatrica, 5.la gravità dell'evento,

6.i fattori socioeconomici.

A questi si sovrappongono la suscettibilità genetica e la presenza di danni

cerebrali traumatici (Breslau et al., 1991; Norris, 1992; Breslau et al., 1998;

Sherin e Nemeroff, 2011).

È comprovata la presenza di una differenza di genere nella prevalenza del PTSD, gli individui di sesso femminile sono più a rischio di sviluppare la patologia rispetto a quelli di sesso maschile (Breslau et al., 1999; Breslau, 2002b; Punamaki et al., 2005b; Tolin e Foa, 2006; Dell’Osso et al., 2011; Dell’Osso et al., 2012c; Carmassi et al.,2013; Dell’Osso et al., 2013). I risultati rivelano, inoltre, che l’esposizione a specifici tipi di trauma, come ad esempio gli abusi sessuali, responsabili dei più elevati tassi di PTSD nel sesso femminile, contribuisce parzialmente a giustificare le differenze di genere in tale disturbo. Inoltre, la giovane età al momento dell’esposizione al trauma può risultare di per sé un fattore di rischio nel genere femminile. Nello studio di Ditlevsen e colleghi (2010) sono state rilevate differenze di genere nella distribuzione lifetime del disturbo: in particolare la percentuale maggiore di PTSD è presente nel sesso femminile di età compresa tra i 21 e 25 anni (rapporto di 3:1 rispetto al sesso maschile), mentre la prevalenza minore, in entrambi i sessi, è stata riscontrata nei soggetti intorno ai 70 anni. I ricercatori dell’Università di Pisa, studiando le popolazioni colpite dal terremoto de L’Aquila, hanno individuato per la giovane età un’associazione con un aumentato rischio di PTSD soltanto nelle femmine e non nei maschi esposti (Dell’Osso et al., 2012a; Dell’Osso et al., 2012c; Dell’Osso et al., 2013). La maggior suscettibilità al disturbo del sesso femminile può dipendere, quindi, da numerose cause, tra cui il tipo di trauma, l'età, ma soprattutto dai fattori biologici o da quelli psicosociali che influenzano la risposta all'evento traumatico.

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Per quanto concerne l'età, alcuni autori hanno riportato che l'esposizione ai traumi si riduce con gli anni (Norris, 1992). Gli autori hanno evidenziato che l'età compresa tra i 16 e i 20 anni è quella maggiormente esposta per quanto riguarda la violenza fisica, con una netta tendenza alla diminuzione una volta superati i 20 anni. Tra i 41 e i 45 anni, invece, si ha il picco per quanto riguarda la morte inaspettata di una persona cara, tuttavia in questo caso la frequenza di esposizione si mantiene piuttosto costante anche nelle altre decadi (Breslau, 2002a). Altri studi riportano che la giovane età è globalmente un fattore di rischio per lo sviluppo del PTSD (Punamaki et al., 2005a).

Secondo Norris e collaboratori (1992) gli americani di etnia caucasica sarebbero a maggior rischio di sperimentare eventi traumatici rispetto agli afroamericani, soprattutto per quanto concerne rapine e aggressioni fisiche. Tuttavia i dati a riguardo sono discordanti: in uno studio prospettico di 3 anni sullo stesso campione sono stati ottenuti risultati diametralmente opposti, rilevando una maggiore incidenza di esposizioni traumatiche negli afroamericani rispetto agli individui di etnia caucasica (Breslau et al., 1998).

L’attività lavorativa è strettamente correlata al rischio di sviluppare PTSD,

soprattutto per quanto riguarda i soccorritori in zone colpite da calamità naturali o disastri causati dall’uomo (Turner et al., 1995; Havenaar et al., 1997; Schlenger et al., 2002). Altre categorie professionali a maggior rischi di sviluppare PTSD sono le forze di polizia, vigili del fuoco e pronto intervento, dove i tassi del disturbo possono oscillare dal 6% al 32% (McFarlane et al., 2009). Un recente studio ha indagato un campione di 110 partecipanti tra personale medico e paramedico, riscontrando il PTSD nel 15,7% dei soggetti presi in esame (Carmassi et al., 2016). Nel personale militare e tra i veterani di guerra la percentuale di PTSD può variare dall’1.09% al 34.8 % a seconda dei fattori di rischio correlati (Xue et al., 2015).

Un altro importante fattore di rischio è rappresentato dalla comorbidità o dalla presenza anamnestica di disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, familiarità

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positiva per PTSD e abuso di sostanze, come è stato evidenziato studiando i discendenti delle vittime dell’Olocausto (Fridman et al., 2011; Braga et al., 2012; Dekel et al., 2013) e altre popolazioni (Kessler et al., 1995; Howard e Hopwood, 2003; Koenen et al., 2008a; Dell’Osso et al., 2012b; Galor et al., 2012). L’interesse verso le patologie psichiatriche associate al PTSD è scaturito non soltanto dalle problematiche nucleari delle stesse e dalla resistenza al trattamento che comportano, ma anche dall’interesse verso l’individuazione dei meccanismi eziopatogenetici alla base del disturbo. Il National Comorbidity Survey (NCS), uno dei maggiori studi epidemiologici inerenti le comorbidità nel PTSD, evidenziava come all’interno del campione studiato la percentuale di individui che soddisfaceva i criteri per almeno altri due disturbi psichiatrici era del 59% nei maschi e del 44% nelle femmine. La comorbidità maggiormente rappresentata era quella con episodi depressivi maggiori, con tassi del 48% e del 49% rispettivamente negli individui di sesso maschile e in quelli di sesso femminile. Il 5-10% dei pazienti con PTSD presentavano invece comorbidità con episodi maniacali. Seguivano come prevalenza i disturbi d'ansia (tra i quali all’epoca veniva incluso anche lo stesso PTSD) e i disturbi da abuso di sostanze (Kessler et al., 1995). La validità di questi risultati è stata confermata in altri studi epidemiologici e clinici condotti sui reduci di guerra, sulle vittime di disastri civili e di eventi traumatici subiti in età infantile (O'Toole et al., 1998; Cerda et al., 2011; Dorrepaal et al., 2012).

La prognosi di PTSD appare anch’essa correlata con la presenza di disturbi in comorbidità, quali disturbi dell'umore, disturbi da abuso di sostanze e disturbi d'ansia, con particolare riferimento ai disturbi dello spettro panico-agorafobico, che risultano maggiormente associati a un decorso tendenzialmente cronico di PTSD (Breslau et al., 1991; Zlotnick et al., 1999).

Alcuni studi hanno esaminato la correlazione tra PTSD, depressione maggiore e suicidalità, descrivendo un rischio più alto di comportamenti suicidari nei pazienti con i due disturbi in comorbidità rispetto a quelli con una sola delle due

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patologie (Marshall et al., 2001; Oquendo et al., 2003b; Oquendo et al., 2005). Inoltre anche i tratti di personalità sembrano rivestire un ruolo importante, in particolare per quanto riguarda quelli associati ai disturbi di personalità evitante, antisociale e borderline (Dixon-Gordon et al., 2013).

Un altro elemento coinvolto nella genesi del PTSD è rappresentato dai fattori

socioeconomici, come il basso reddito e la bassa scolarità (Breslau et al., 1998).

È emerso, infine, che l'assenza di un supporto sociale dopo un trauma contribuisce significativamente allo sviluppo di PTSD (Brewin et al., 1999). Sono risultati invece fattori protettivi un buon livello di supporto sociale, familiare e comunitario, così come una rete adeguata di rapporti interpersonali preesistenti all'esposizione all'evento traumatico.

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2.1.3 Neuroanatomia e correlati neurobiologici

Sono state identificate diverse aree cerebrali la cui funzione può essere alterata nel PTSD:

corteccia prefrontale

locus ceruleus

amigdala

ippocampo.

Secondo il modello neurobiologico, può essere distinta una memoria a breve termine (di lavoro) ed una a lungo termine; quest’ultima a sua volta è distinguibile in una dichiarativa “cosciente e esplicita” ed una procedurale “repressa e implicita” (Di Sacco et al., 2006).

Mentre la memoria dichiarativa utilizza il circuito che fa capo all’ippocampo, una struttura dedicata all’acquisizione ed al mantenimento dei nuovi ricordi coscienti, la memoria procedurale fa capo all’amigdala, struttura che media l’esperienza emotiva della paura.

Le due vie sono completamente indipendenti.

Mentre nell’amigdala le connessioni neurali che mediano le associazioni traumatiche tendono a rimanere intatte per tutta la vita del paziente, l’ippocampo, che si è perfezionato nella capacità di ricordare i dettagli e le sfumature degli eventi, presenta una maggiore plasticità e dunque dimentica con più facilità.

I ricordi lampo (flashbulb memories) e l’amnesia o i falsi ricordi caratterizzano i disturbi post traumatici.

I ricordi lampo possono essere attribuiti alla liberazione di cortisolo e catecolamine in seguito alla “risposta di lotta o fuga” che segue uno stress.

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Sull’amigdala ne aumenta l’attività così da avere un rinforzo della memoria emozionale legata all’evento, sull’ippocampo invece ha un’azione di soppressione così che la memoria cosciente risulta essere confusa o assente. É attraverso questo meccanismo che si creano i ricordi di sentirsi “seppelliti vivi” o di una “morte silenziosa” riferiti da tante vittime di un PTSD.

Per quanto riguarda il meccanismo delle false memorie è dimostrato che durante situazioni traumatiche il soggetto può trattenere sia vere che false tracce mnesiche.

La vittima di un trauma spesso utilizza meccanismi quali la dissociazione dei sentimenti o l’amnesia per fronteggiare l’evento.

La liberazione di cortisolo durante uno stress provocherebbe una riduzione del volume dell’ippocampo destro di circa l’8% nei pazienti con PTSD e la riduzione del volume sarebbe proporzionale alla durata dell’evento stressante (Di Sacco et al., 2006).

La creazione delle false memorie sarebbe dovuta al tentativo di colmare gli intervalli vuoti tra quello che si prova realmente grazie alle sensazioni di paura generate dall’amigdala e la frammentata memoria dichiarativa che proviene dall’ippocampo.

In uno studio di Gurvits et al. è stata dimostrata una riduzione del 20% nel volume dell’ippocampo nei veterani della guerra del Vietnam con PTSD rispetto ai veterani senza PTSD (Carlson et al., 2007).

In studi sugli esseri umani, si è dimostrato come l’amigdala sia fortemente coinvolta nella formazione dei ricordi emotivi, soprattutto ricordi legati alla paura in seguito ad eventi traumatici.

Il modello amigdalocentrico del PTSD evidenzia l’ipereccitazione dell’amigdala e insufficiente controllo top-down dalla corteccia mediale prefrontale e dall'ippocampo (Milad et al., 2009).

Lo stress determina un aumento del turnover della noradrenalina nel locus

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Alcuni studi psicofisiologici condotti su pazienti affetti da PTSD hanno dimostrato l’incremento della reattività del sistema autonomico (aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa in condizioni basali e specialmente in seguito a esposizione a stimoli visivi o uditivi associati al trauma) che è mediata dal sistema noradrenergico (Cassano & Tundo, 2006).

L’iperattività dei sistemi dopaminergici centrali, indotta dallo stress, potrebbe determinare alcuni sintomi del PTSD, come lo stato di tensione continua, gli attacchi di panico, l’ipervigilanza e le esagerate risposte d’allarme.

Nello stress non traumatico si verifica un innalzamento del cortisolo plasmatico mentre in quello traumatico una riduzione.

A questa seguirebbe, come già detto, un incremento compensatorio dell’attività recettoriale per i glucocorticoidi a livello ippocampale che potrebbero svolgere un effetto “tossico” responsabile dell’ipotrofia dell’ippocampo e conseguentemente delle turbe mnesiche nei pazienti con PTSD.

In seguito ad uno stress acuto si verifica il rilascio di oppioidi endogeni con conseguente analgesia.

L’appiattimento emotivo (numbing), tipico del PTSD, potrebbe essere correlato ad una disfunzione del sistema oppioide, insorta dopo il trauma.

La successiva esposizione a eventi traumatici determinerebbe un aumento degli oppioidi endogeni che potrebbe spiegare il così detto addiction to trauma (ricerca compulsiva di situazioni pericolose) che è facilmente riscontrabile in pazienti affetti da PTDS, così come in persone che hanno subito traumi psichici. La riesposizione a situazioni stressanti evocherebbe una risposta degli oppioidi a livello cerebrale con conseguente sensazione soggettiva di calma.

Altri sintomi tipici del PTSD, come lo stato di tensione, l’ipervigilanza, la risposta d’allarme, potrebbero essere determinati dall’iperattività dei sistemi dopaminergici centrali indotta dallo stress.

Lo stress acuto è in grado di provocare nell’animale un aumento dei livelli di ormone adenocorticotropo (ACTH) e di corticosterone, promovendo una down

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regulation dei recettori per i glucocorticoidi, in particolare a livello dell’ippocampo.

Mentre nello stress non traumatico si verifica un innalzamento del cortisolo plasmatico, in quello traumatico si registra una riduzione.

A essa seguirebbe un aumento compensatorio dell’attività recettoriale per i glucocorticoidi a livello ippocampale che potrebbero svolgere un effetto “tossico” responsabile dell’ipertrofia dell’ippocampo e conseguentemente delle turbe mnesiche nei pazienti con PTSD.

Sono stati effettuati studi più approfonditi sulla differenza nella risposta allo stress cronico rispetto allo stress acuto (Yehuda et al., 2001).

La riduzione dei livelli di cortisolo plasmatici e urinari nei soggetti con PTSD, rispetto a quelli senza PTSD o ai controlli sani, risulta da un feedback negativo del cortisolo che è secondario a una maggiore sensibilità dei recettori per i glucocorticoidi nei tessuti bersaglio.

Questa alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) contrasta con la ben nota cascata dello stress cronico in cui il rilascio di CRF risulta dall’inibizione del feedback negativo e dalla down regulation dei recettori per i glucocorticoidi.

In uno studio più recente effettuato sia sull’uomo che sugli animali (Dell’Osso et al.,2009), è stato dimostrato che lo stress riduce l’espressione del Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF), una neurotropina (NT) che promuove la proliferazione, la sopravvivenza e la differenziazione dei neuroni.

La stessa BDNF è stata indagata in uno studio successivo (Stratta et al., 2016), analizzando sempre i casi di PTSD nei pazienti sopravvissuti al Terremoto de L’Aquila del 2009: in questo studio i soggetti con un quadro completo di PTSD dimostravano un livello più basso di BDNF rispetto ai soggetti con un PTSD parziale.

(24)

2.1.4 Storia della patologia post-traumatica

La prima definizione di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) risale al

Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici III (APA, 1980), in un

periodo in cui la patologia post-traumatica richiamava su di sé grande attenzione in virtù della sua presenza in un gran numero di reduci dalla guerra del Vietnam. Il primo Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici (DSM-I APA, 1952), prevedeva la diagnosi di “reazione da stress estenuante”, indicando quei quadri psicopatologici immediatamente conseguenti a traumi bellici o civili di elevatissimo impatto emotivo. In questo modo fu possibile porre una diagnosi ai veterani e agli ex prigionieri di guerra, ma anche alle vittime di stupro e ai sopravvissuti all’Olocausto. Tuttavia il DSM-I prevedeva che tale reazione avesse una durata limitata nel tempo, oltre la quale si doveva parlare di “reazione nevrotica” (Friedman et al., 2011a). Anche nel descrivere le sindromi dei reduci dalla Guerra di Corea, si continuarono a utilizzare differenti formulazioni diagnostiche, come “psiconeurosi”, “neurosi da guerra”, “dispepsia non ulcera correlata” (Jones, 2006).

Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici II (APA, 1968) tale diagnosi venne abbandonata, lasciando come unica alternativa quella di “reazione situazionale”, anch’essa peraltro a carattere limitato nel tempo. Data quindi l’impossibilità di descrivere quadri clinici protratti e dato il vastissimo spettro di fattori causali possibili, inclusi quelli non necessariamente traumatici, in letteratura, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, cominciarono a comparire numerose definizioni riguardanti differenti quadri sintomatologici post-traumatici. Tali diagnosi riportavano il nome del singolo evento traumatico scatenante, individuando così un gran numero di patologie differenti (e.g.

“sindrome traumatica da stupro”, “sindrome post Vietnam”, “sindrome del prigioniero di guerra”, “sindrome da campo di concentramento”, “sindrome

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del soldato di marina”, “sindrome da abuso del bambino”, “sindrome da percosse della donna”).

La drammaticità della guerra del Vietnam fu probabilmente il principale fattore che spinse la comunità scientifica a cercare di mettere finalmente ordine nel coacervo diagnostico della patologia post-traumatica, dando vita nel 1980, con l’avvento del DSM-III, alla prima definizione di Disturbo Post-Traumatico da Stress (Figley, 1978; Friedman et al., 2011a). Il DSM-III prevedeva per la diagnosi di PTSD la presenza di un Criterio A, riguardante un evento stressante riconoscibile che “evocherebbe significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli individui”. In particolare si concentrava l’attenzione su quegli eventi comunemente considerati “al di fuori della normale esperienza di un essere umano”, come lo stupro, la guerra e l’Olocausto (Friedman et al., 2011a). Il DSM-III prevedeva inoltre la presenza di 12 sintomi, racchiusi in tre criteri sintomatologici: il Criterio B (sintomi di rievocazione), il Criterio C (sintomi di ottundimento affettivo) e il Criterio D (miscellanea).

Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici III-R (APA, 1987) fu introdotto, all’interno del Criterio A, il concetto della reazione peri-traumatica costituita da un’intensa paura, orrore, oppure un senso di assoluta impotenza. Inoltre si cominciarono a considerare come potenzialmente traumatici non soltanto gli eventi esperiti direttamente dall’individuo, bensì anche il venire a conoscenza di traumi subiti da persone care (Friedman et al., 2011a).

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici IV (APA, 1994), oltre a eliminare la necessità di “un evento stressante riconoscibile che evocherebbe significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli Individui”, suddivise il Criterio A in due componenti di cui una soggettiva e l’altra oggettiva, denominate rispettivamente A1 (eventi traumatici) e A2 (reazione peri-traumatica), definendo meglio i concetti espressi dal DSM-III.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici IV-TR (APA, 2000) prevedeva, oltre ai Criteri A1 e A2 del DSM-IV, 17 sintomi per la diagnosi di

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PTSD, racchiusi in una triade composta da rievocazione (Criterio B), evitamento o ottundimento affettivo (Criterio C) e aumento dell’arousal (Criterio D).

Nel maggio 2013 è stata pubblicata la quinta edizione del Manuale Diagnostico

e Statistico dei disturbi psichiatrici (DSM-5.APA, 2013), nel quale sono state

apportate importanti modifiche ai criteri diagnostici e per il PTSD.

Il gruppo di lavoro per la formulazione dei criteri diagnostici del DSM-5 ha modificato il criterio relativo ai “sintomi persistenti di aumentato arousal” (Criterio E che corrisponde al Criterio D del DSM-IV-TR).

Sono stati, infatti, introdotti il sintomo E1 (“comportamento irritabile o aggressivo”), che corrisponde a una rivisitazione del sintomo D2 del DSM-IV-TR, e il sintomo E2 (“comportamenti impulsivi o autodistruttivi”) di nuova introduzione.

Nel DSM-5 è stata inoltre messa in atto la decisione degli studiosi di separare il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (OCD) e il PTSD dal capitolo dei Disturbi d’Ansia. Infatti, il gruppo di lavoro sui Disturbi d’Ansia, dello Spettro Ossessivo-Compulsivo, Post-Traumatici e Dissociativi, a seguito dei risultati derivati da vari studi clinici e neurobiologici, ha riconosciuto il ruolo centrale di altre forme di emozioni negative oltre a paura e ansia nel PTSD, come la colpa e la vergogna (Friedman et al., 2011); questo ha portato all’esclusione del PTSD dal capitolo di disturbi d'ansia e al suo inserimento in una nuova sezione specifica denominata “Trauma e Disturbi Stress-correlati”.

Questa nuova categoria include i disturbi che riconoscono nella loro eziopatogenesi un evento traumatico stressante, il quale rappresenta un fattore essenziale per il determinarsi dei disturbi stessi. L’evento traumatico è dunque un elemento nucleare, intorno al quale ruota l’intera gamma di reazioni psicopatologiche in risposta ai fattori di stress ambientale.

Nella categoria di “Trauma e Disturbi Stress-correlati” del DSM-5 quindi, oltre al PTSD sono compresi anche i seguenti disturbi:

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• il Disturbo da Coinvolgimento Sociale Disinibito,

• il Disturbo Acuto da Stress,

• i Disturbi dell’Adattamento.

Tutti questi disturbi hanno come origine comune l’esposizione ad un evento traumatico o stressante.

Disturbo di attaccamento reattivo: in questo disturbo la relazione di

attaccamento tra bambino e caregiver è assente o fortemente carente. Inoltre la modalità di relazione sociale è disturbata. Il bambino raramente ricerca la consolazione o risponde a comportamenti rassicuranti e mostra una ridotta o assente espressione di emozioni positive durante l’interazione quotidiana con le figure di accudimento. La capacità di regolazione emotiva è compromessa e si riscontrano episodi di inspiegabile irritabilità, tristezza, paura. Il disturbo si manifesta prima dei 5 anni e non si può diagnosticare prima dei 9 mesi di vita.

Disturbo da coinvolgimento sociale disinibito: la caratteristica fondamentale di

questo disturbo è un comportamento culturalmente inappropriato ed eccessivamente familiare con individui relativamente sconosciuti. Come nel caso del Disturbo da Attaccamento Reattivo il bambino ha sperimentato una relazione di attaccamento con i caregiver assente o fortemente carente. Questo disturbo danneggia significativamente la capacità di relazionarsi con le figure adulte e con i coetanei. Non si può diagnosticare prima dei 9 mesi di vita.

Disturbo acuto da Stress: come il PTSD, anche il Disturbo Acuto da Stress si

manifesta in seguito all’esposizione diretta o indiretta della persona ad un evento stressante o traumatico che implica la morte o la minaccia di essa, lesioni gravi o violenza sessuale. Per fare diagnosi di Disturbo Acuto da Stress si deve riscontrare la presenza di almeno nove sintomi in una qualunque delle seguenti categorie:

intrusione (ricordi angoscianti ricorrenti e intrusivi o sogni dell’evento,

reazioni dissociative, disagio prolungato),

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dissociazione (alterazioni della realtà, dell’altro, di sé e amnesia

dissociativa),

evitamento (di ricordi, pensieri e sentimenti associati all’evento e degli

stimoli esterni capaci di suscitarli),

arousal (irritabilità e scoppi di ira, esagerate risposte di allarme e

ipervigilanza, comportamenti autodistruttivi, difficoltà nella concentrazione e nel sonno, aventi inizio successivamente all’evento traumatico).

Anche il Disturbo Acuto da Stress causa un forte disagio e una compromissione rilevante del funzionamento sociale, lavorativo e altre aree fondamentali per l’individuo e la sintomatologia non deve essere riconducibile agli effetti di una sostanza o ad una condizione medica.

Si differenzia dal PTSD per la durata dei sintomi che va da tre giorni ad un mese dopo l’esposizione al trauma. Sebbene circa la metà delle persone che sviluppano un PTSD inizialmente hanno ricevuto diagnosi di Disturbo Acuto da Stress, tale evoluzione può non verificarsi e il disturbo può essere considerato una risposta transitoria allo stress che diminuisce entro un mese dall’esposizione al trauma.

Disturbi dell’Adattamento: questi si riconoscono dalla presenza di sintomi

emotivi o comportamentali che si manifestano in risposta ad un evento stressante identificabile, entro i tre mesi dal verificarsi di esso, e non si protraggono per più di sei mesi dalla fine dell’evento stressante o delle sue conseguenze. Gli eventi stressanti possono essere singoli (la fine di una relazione sentimentale), multipli (marcate difficoltà lavorative, problemi coniugali) ricorrenti (associati a crisi lavorative stagionali) o continui (malattie croniche); possono riguardare un individuo, un’intera famiglia o una comunità allargata. Alcuni eventi stressanti possono essere connessi a specifiche fasi di vita (inizio della scuola, uscita dal nucleo familiare, rientro nel nucleo familiare, matrimonio, fallimenti nei traguardi lavorativi). I sintomi o i comportamenti

(29)

sono clinicamente significativi e producono una risposta di stress sproporzionata e/o una compromissione rilevante del funzionamento sociale, della sfera lavorativa o delle altre aree fondamentali per l’individuo. I sintomi non soddisfano i criteri per altri disturbi o non sono imputabili alla normale reazione ad un lutto.

(30)

2.1.5 I criteri diagnostici attuali del PTSD

Attualmente le caratteristiche cliniche richieste dal DSM-5 per porre diagnosi di PTSD prevedono il soddisfacimento del criterio riguardante l’esposizione al trauma (Criterio A) e di quattro criteri sintomatologici (Criteri B, C, D ed E), oltre alla menomazione significativa della funzione sociale, lavorativa o di altre aree importanti per l’individuo (Criterio F) (Friedman et al., 2011a; Calhoun et al., 2012).

Il Criterio A prevede l’esposizione, reale o minacciata, a morte, lesioni gravi o violenza sessuale.

L’individuo può essere:

1. vittima diretta del trauma;

2. assistervi in qualità di testimone;

3. venirne a conoscenza quando la vittima dell’evento traumatico è un membro della famiglia o un amico intimo (purché si sia trattato di un evento inatteso, violento e accidentale);

4. essere esposto ripetutamente o in modo estremo a dettagli ripugnanti di un evento traumatico (come nel caso di servizi di primo intervento per la raccolta di resti umani; agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli relativi a violenze sui minori), ma con la specificazione che questa condizione non si deve applicare all’esposizione attraverso strumenti elettronici, televisione, film o fotografie, a meno che non sia legata all’attività lavorativa del soggetto.

Il Criterio B riguarda i sintomi intrusivi non presenti prima dell’evento traumatico.

In particolare per la diagnosi deve essere soddisfatto almeno uno dei seguenti sintomi:

A. ricordi intrusivi spiacevoli riguardanti l’evento traumatico, involontari, spontanei o innescati da qualcosa che lo ricorda;

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B. incubi ricorrenti il cui contenuto o significato rimanda all’evento traumatico;

C. reazioni dissociative (flashbacks) in cui l’individuo prova sensazioni o si comporta come se l’evento stesse accadendo nuovamente in quel momento;

D. malessere psicologico intenso o prolungato all’esposizione a stimoli interni o esterni che simboleggiano o ricordano un aspetto dell’evento traumatico;

E. marcata reazione fisiologica all’esposizione a stimoli interni o esterni che simboleggiano o ricordano l’evento traumatico.

Il Criterio C prevede la presenza di almeno un sintomo di evitamento attivo degli stimoli associati al trauma, ovvero tentativi di evitare:

I. pensieri, sensazioni o percezioni sensoriali;

II. conversazioni, luoghi, persone, oggetti, attività e situazioni, che ricordano l'evento o che sono a esso correlati.

Il Criterio D, riguardante le alterazioni negative della cognitività e dell’umore associate all’evento traumatico, richiede il soddisfacimento di almeno tre sintomi tra i seguenti:

1. incapacità a ricordare aspetti importanti dell’evento traumatico (amnesia dissociativa, non dovuta a sostanze stupefacenti né a danno organico cerebrale);

2. persistente ed esagerata sfiducia nel futuro riguardo se stessi, gli altri o il mondo in generale;

3. incolpare in modo distorto se stessi o gli altri per le cause o le conseguenze dell’evento traumatico;

4. stato emotivo pervasivo negativo, come paura, orrore, rabbia, senso di colpa o di vergogna;

5. significativa riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività importanti;

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6. senso di distacco o estraniamento nei confronti degli altri;

7. persistente incapacità di provare emozioni positive (ottundimento affettivo).

Il Criterio E riguarda le manifestazioni di aumentato arousal e reattività associate all’evento traumatico, che si sono manifestate o che sono peggiorate dopo l’evento traumatico.

I sintomi necessari per il soddisfacimento del Criterio E sono almeno tre tra i seguenti:

A. comportamento aggressivo o irritabile;

B. messa in atto di comportamenti maladattativi o autodistruttivi; C. ipervigilanza;

D. esagerata risposta d’allarme;

E. problemi a mantenere la concentrazione;

F. disturbi del sonno, per esempio la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, oppure un sonno non ristoratore.

Va notato come rispetto alla precedente versione del DSM non sia più prevista la distinzione secondo il criterio temporale in PTSD acuto, cronico o a ritardata insorgenza.

Infine è necessario ricordare che il DSM-5 prevede due sottotipi clinici per il PTSD:

Sottotipo prescolare, riguardante i bambini in età prescolare (sotto i sei

anni di età). In questo contesto il PTSD può essere correlato all’esposizione a morte reale o minaccia di morte di una persona cara, una grave lesione, oppure violenza sessuale in uno (o più) dei seguenti modi: 1. Fare esperienza diretta dell’evento traumatico.

2. Assistere direttamente a un evento traumatico accaduto ad altri, in particolare ai caregiver primari.

3. Venire a conoscenza di un evento/i traumatico/i accaduti a un membro della famiglia oppure a una figura di accudimento.

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Sottotipo Dissociativo, per i soggetti con sintomi persistenti o ricorrenti di

depersonalizzazione e/o derealizzazione.

• Depersonalizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di sentirsi distaccato dai, e come se si fosse un osservatore esterno dei, propri processi mentali o dal proprio corpo (per es., sensazione di essere in un sogno; sensazione di irrealtà di se stessi o del proprio corpo o del lento scorrere del tempo).

• Derealizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell’ambiente circostante (per es., il mondo intorno all’individuo viene da lui vissuto come irreale, onirico, distante o distorto).

Lo stress post-traumatico causa la disintegrazione di vari aspetti dell’identità e della memoria, dal momento che la risposta dissociativa consente alla persona di difendersi dall’intrusione del “materiale” traumatico soverchiante e doloroso” (Dorahy et al., 2014). La dissociazione non è semplicemente un sintomo, ma uno spettro complesso di stati e manifestazioni che, a un’osservazione attenta, risulta alla base di altri sintomi conosciuti del PTSD. Ad esempio, i flashbacks e le reazioni fisiologiche marcate, in risposta a eventi scatenanti associati all’evento traumatico, possono essere interpretati come la conseguenza della riattivazione improvvisa delle parti dissociative della personalità che contengono i ricordi del trauma, e quindi direttamente collegabili alla frammentazione del soggetto e ai sintomi dissociativi.

(34)

2.2 Il PTSD parziale e lo Spettro Post-Traumatico da Stress

Studi recenti hanno evidenziato l’importanza anche di forme parziali e/o sotto soglia di PTSD, favorendo lo sviluppo di approcci dimensionali a tale patologia. Infatti, se si utilizza una definizione meno restrittiva del Criterio A, aumenta il numero degli eventi traumatici a cui la popolazione generale è esposta e di conseguenza il numero di casi di PTSD diagnosticati (Breslau, 2002a; Bacchus et al., 2003; VanLoey e VanSon, 2003; Zatzick et al., 2003, Stratta et al., 2016, Carmassi et al., 2016).

D'altro canto, numerosi autori ritengono la gravità e l'eccezionalità dell'evento un elemento inderogabile, che caratterizza lo spettro delle sindromi post-traumatiche.

In letteratura si trovano varie descrizioni di come i traumi derivanti dall'esposizione diretta a conflitti militari rappresentino tra tutti i più significativi, relativamente allo sviluppo di un PTSD grave e con decorso cronico (Prigerson et al., 2001; Solomon e Mikulincer, 2006).

Negli ultimi anni diversi studi hanno riportato la presenza di quadri sintomatologici compatibili con quelli del PTSD in seguito a traumi di minore entità, come ad esempio: divorzio, rottura di relazioni sentimentali o amicizie importanti, trasloco, cambiamento di scuola o di lavoro, aborto, perdita della vista o dell'udito o un grave handicap, fallimenti ripetuti nella scuola o nel lavoro, gravi e frequenti discussioni in famiglia, molestie psicologiche, avances sessuali indesiderate, denunce o azioni disciplinari, arresto, furti in casa o scippi. Si poneva quindi la questione dell’importanza dell’impatto soggettivo di questi eventi sull’individuo, definiti “low magnitude” (Breslau e Davis, 1987; Solomon e Canino, 1990; Avina e O'Donohue, 2002; Breslau, 2002a; Moreau e Zisook, 2002; McNally, 2003; Zatzick et al., 2003; Olff et al., 2005; Olde et al., 2006, McLaughlin et al., 2015).

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Il DSM-5 ha tuttavia optato per un orientamento più restrittivo, escludendo tali eventi dal novero dei possibili traumi responsabili di PTSD (Friedman et al., 2011a).

Alcuni autori hanno inoltre sottolineato come un gran numero di vittime, esposte a traumi, non soddisfi tutti i criteri sintomatologici del DSM per porre diagnosi di PTSD, pur lamentando un considerevole malessere soggettivo e una notevole compromissione della sfera socio-lavorativa (Stein et al., 1997b; Marshall et al., 2001; Lai et al., 2004; Hepp et al., 2006).

Pertanto, alcuni ricercatori (Kulka e Institute, 1987; Parson, 1990; Weiss et al., 1992; Blank, 1993; Carlier e Gersons, 1995; Stein et al., 1997b; Marshall et al., 2001; Breslau et al., 2004; Mylle e Maes, 2004; Hepp et al., 2006) hanno introdotto il concetto di PTSD parziale o sottosoglia (“subthreshold” o

“subsyndromal”).

Come evidenziato dai già discussi dati epidemiologici, il trauma rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per l'insorgenza del PTSD.

Secondo i criteri diagnostici del DSM-IV-TR, per la diagnosi di PTSD parziale erano richiesti il soddisfacimento dei Criteri A e B e di uno tra i Criteri C e D, con il criterio non soddisfatto avente almeno un sintomo presente; alcuni autori consideravano invece necessari il soddisfacimento del Criterio A e di due su tre dei criteri sintomatologici. La prevalenza delle forme di PTSD parziale o sotto soglia risultava pertanto variabile in base all’algoritmo diagnostico utilizzato. In un campione di 9358 pazienti statunitensi, dove il PTSD sotto soglia era definito dalla presenza di almeno un sintomo di ogni criterio del DSM, la prevalenza del PTSD parziale risultava del 5.7% nelle donne e del 2.2% negli uomini (Marshall et al., 2001).

Per quanto riguarda il DSM-5, i ricercatori si sono concentrati sulla valutazione dei criteri e dei sintomi da adottare e sulla loro concordanza con la diagnosi di PTSD secondo il DSM-IV-TR (Forbes et al., 2011; Calhoun et al., 2012; Elhai et al., 2012, McLaughih et al., 2015), pertanto ulteriori studi sono risultati

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necessari per rivalutare la prevalenza di PTSD parziale secondo algoritmi diagnostici basati sui nuovi criteri.

Presso la Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Pisa, in collaborazione con ricercatori della Columbia University di New York (Shear MK, Endicott J), del Western Psychiatric Institute and Clinic dell'Università di Pittsburgh (Frank E, Kupfer DJ) e dell’Università della California S. Diego (Maser J), è stato studiato un nuovo modello di approccio al PTSD: lo Spettro

Post-Traumatico da Stress (Dell’Osso et al., 2008; Dell’Osso et al., 2009c;

Dell’Osso e Carmassi, 2011; Dell’Osso et al., 2012d).

Per “spettro” si indica un approccio dimensionale al PTSD, articolato lungo un continuum che collega le forme atipiche e sotto soglia, talora espressione di tratti stabili di personalità, al disturbo conclamato previsto dal DSM (Moreau e Zisook, 2002; Dell’Osso et al., 2008; Dell’Osso et al., 2009c; Dell’Osso et al., 2014). Lo Spettro Post-Traumatico da Stress adotta pertanto un approccio tridimensionale, costituito dalla dimensione degli eventi potenzialmente traumatici, inclusi gli eventi “low magnitude”, la dimensione della reazione acuta o peri-traumatica e la dimensione dei sintomi post-traumatici.

Per indagare e poter analizzare lo Spettro Post-Traumatico da Stress è stato ideato un Test di valutazione: Il Trauma and Loss Spectrum-Self Report

(TALS-SR) (Dell’Osso et al., 2009c).

Lo strumento, originariamente sviluppato in inglese, è stato poi tradotto in italiano e infine tradotto nuovamente in inglese da ricercatori bilingue, al fine di identificare eventuali incongruenze tra le due lingue. Il TALS-SR esplora i sintomi di spettro post-traumatici associati che possono insorgere nell'arco della vita di un individuo in relazione all’esposizione ad uno spettro di eventi potenzialmente traumatici e di perdita.

Il TALS-SR rappresenta uno strumento complementare alla diagnosi di PTSD secondo il DSM e offre un approccio dimensionale più completo alla psicopatologia del paziente attraverso l’accesso alle informazioni relative ai

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sintomi sottosoglia, le manifestazioni atipiche, oltre ad una vasta gamma di caratteristiche cliniche associate al trauma e agli eventi di perdita. Un recente studio ha indagato lo spettro post-traumatico da stress tramite il TALS-RS in un campione di 110 persone scelte tra personale medico e paramedico, ed ha riscontrato un PTSD nel 15,7% dei soggetti presi in esame (Carmassi et al., 2016).

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2.3

Il Disturbo Bipolare (DB)

Il disturbo bipolare costituisce una tra le forme più frequenti di malattia mentale. É inoltre responsabile di una Disability-adjusted life year o DALY (attesa di vita corretta per disabilità) peggiore di qualsiasi forma di cancro o delle condizioni neurologiche più gravi quali l’epilessia o la malattia di Alzheimer (Organization WH, 2002; Crump et al., 2013), soprattutto a causa del suo esordio precoce e dell’andamento cronico.

Tutti gli individui nel corso della loro vita sperimentano continue oscillazioni del tono dell’umore, solitamente in risposta a stimoli esterni: si tratta di fenomeni fisiologici, che svolgono una funzione adattativa; infatti essi modulano la spinta all’iniziativa e favoriscono l’adozione di modelli comportamentali idonei al mutare delle circostanze ambientali (Akiskal 1996; Marneros 2001; Swann et al., 2013).

Quando queste oscillazioni diventano ampie, prolungate, indipendenti o sproporzionate rispetto agli stimoli esterni, perdono la loro funzione adattativa e danno luogo ai disturbi dell’umore.

In una visione più moderna, i disturbi dell’umore vengono classificati come facenti parte di un continuum, un ampio spettro dell’umore, che include condizioni che vanno da risposte fisiologiche agli agenti esterni, a forme sotto-soglia, attenuate a decorso protratto, fino alle forme unipolari e alle patologie più invalidanti come il disturbo bipolare tipo I e II.

Se questi quadri sottosoglia, la cui prevalenza nei campioni presi in esame è risultata maggiore rispetto al disturbo conclamato, erano inizialmente ritenuti forme “benigne”, studi epidemiologici hanno dimostrato come siano connessi ad un aumento delle ospedalizzazioni ed alla necessità di cure per patologie mediche e psichiatriche, in particolare le forme con sintomi depressivi (Sherbourne e coll., 1994).

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L’adozione di un modello unitario di spettro dei disturbi dell’umore consente non solo di cogliere le manifestazioni parziali, atipiche e attenuate, che se pur non soddisfino i criteri di gravità, durata o numero di sintomi previsti per la diagnosi, influenzano la sfera socio-lavorativa e affettiva del paziente (Cassano e coll., 2004), ma offre diversi vantaggi sia sul piano clinico-terapeutico, sia su quello della ricerca, con particolare riferimento ai correlati biologici di malattia. Il DSM-IV-TR distingueva i disturbi dell’umore in due grandi categorie:

• i disturbi unipolari, caratterizzati da episodi esclusivamente depressivi,

• i disturbi bipolari, caratterizzati invece dall’alternarsi di episodi depressivi e maniacali.

Nel DSM-5 i disturbi depressivi e quelli bipolari non vengono più inclusi in un’unica categoria "Disturbi dell'Umore”.

Quello che nel DSM-IV-TR si chiamava "Disturbo Bipolare Episodio Misto" è stato eliminato e sostituito dall’“identificatore” "con caratteristiche miste" e

"con stress e angoscia".

Gli identificatori non sono veri e propri criteri, ma permettono di rendere ragione sia di episodi maniacali in diagnosi unipolari, sia di tener conto della dimensione ansiosa nei pazienti bipolari o depressi. Non ci sono invece cambiamenti particolari nella diagnosi di Bipolare I e Bipolare II.

Nella nuova versione è stato migliorato l’algoritmo diagnostico degli episodi maniacali e ipomaniacali grazie all’indicazione di valutare le variazioni di livello energetico e di umore.

Sia la depressione che la mania si manifestano con una serie di sintomi riguardanti il tono affettivo, la psicomotricità, la sfera cognitiva e il sistema neurovegetativo. L’insorgenza conclamata del disturbo pieno può essere preceduta anche di anni, da una serie di segni e sintomi precursori, come cefalea, disturbi del sonno, irritabilità, od oscillazioni timiche subsindromiche (Cassano&Tundo, 2006).

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Il Disturbo Bipolare I è la forma più grave di disturbo dell’umore, comprende

quei pazienti che hanno presentato episodi depressivi e maniacali o misti a piena espressione sintomatologica, e vi rientrano anche quei pazienti che presentano esclusivamente ricadute maniacali (5-9% dei casi) (Yazici,2014).

Nel decorso spontaneo, non modificato da terapia, i singoli episodi hanno durata abbastanza regolare, 3-4 mesi per la mania e 6-8 mesi per la depressione, e stabile nell’arco della malattia.

Un recente studio, condotto su 61392 adulti provenienti da 11 paesi d’America, Europa, Asia (Merikangas et al., 2011), ha individuato una prevalenza lifetime dello 0,6% per il disturbo bipolare I (BP-I), dello 0,4% per il disturbo bipolare II (BP-II) e del 1,4% per le forme sottosoglia (BPS), come definiti nel DSM-IV. La prevalenza totale nella popolazione generale per tutti i disturbi dello spettro bipolare è del 2,4%, mentre la prevalenza a 12 mesi risulta essere di 0,4% per BP-I, 0,3% per BP-II e 0,8% per il BPS. I tassi lifetime di BP-I e BPS sono risultati maggiori nei maschi rispetto alle femmine (circa 1,1:1), mentre il rapporto si inverte per il BP-II.

L’età d’esordio si colloca tra i 15 e i 40 anni, con una maggiore frequenza intorno ai 30 anni (Hamshere et al., 2009), non è rara la comparsa anche in età pre-puberale; il 20-40% dei bipolari adulti, inoltre, indica l’infanzia come periodo di comparsa del disturbo (Faedda et al., 2004).

Più frequentemente la polarità di esordio è di tipo depressivo (rapporto depressione/mania al primo episodio è di 3:1 nelle donne e 3:2 negli uomini). Il decorso successivo si caratterizza per una prevalenza di recidive depressive nelle donne e un’equivalenza di fasi depressive e espansive negli uomini.

Il numero di episodi pieni a cui il paziente può andare incontro nel corso della vita varia da 2-3 fino a 30 e oltre con una media di 8-10.

Il Disturbo Bipolare I è una forma particolarmente grave, confermata da frequente familiarità, dall’alto numero di ospedalizzazioni, dalle numerose

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condotte autolesive, e dal disadattamento familiare, lavorativo e sociale a cui sovente si associa (Shastry, 2005).

Il Disturbo Bipolare II comprende pazienti che abbiano presentato un episodio

depressivo maggiore alternato con almeno un episodio ipo-maniacale spontaneo; secondo alcuni autori dovrebbe includere anche episodi ipo-maniacali indotti da farmaci/sostanze, e pazienti con episodi depressivi insorti su un temperamento ipertimico/ciclotimico o comunque con familiarità di primo grado per Disturbi Bipolari. L’età di esordio del Disturbo Bipolare II è più tardiva e con più breve durata degli episodi. Presenta un numero di recidive più alto, maggior rischio di ricorrenze stagionali a rapida ciclicità, una più frequente comorbidità con altre patologie psichiatriche, come il disturbo di panico, il disturbo ossessivo compulsivo e i disturbi di personalità. Nel BP-II è frequente anche l’abuso di alcool e altre sostanze (Engstrom et al., 2003).

Il Disturbo Bipolare II è considerato un quadro di gravità intermedia tra Depressione maggiore e Disturbo Bipolare I: secondo alcuni autori esso non rappresenta una forma di passaggio tra le due patologie, ma è un disturbo mentale autonomo con una specifica sintomatologia, decorso e risposta al trattamento.

I dati epidemiologici riguardanti il disturbo bipolare con caratteristiche miste sono scarsi per la mancanza di criteri validi e affidabili per la diagnosi e per la complessità del quadro clinico che caratterizza questi quadri affettivi.

Secondo le stime disponibili, una diagnosi di stato misto può essere effettuata in circa il 30-40% dei pazienti ospedalizzati per disturbo bipolare I (Shim, Woo, & Bahk, 2015).

Sul piano lavorativo e sociale le conseguenze possono essere particolarmente negative se prevalgono le fasi depressive e la comorbidità con altri disturbi mentali, in particolare quelli di abuso di sostanze.

Il rischio suicidario nell’arco della vita è 15 volte maggiore nei soggetti affetti da disturbo bipolare rispetto alla popolazione generale (DSM-5). É stato stimato

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