• Non ci sono risultati.

Guardando alle specifiche strategie di diversificazione si possono distinguere, in particolare, quelle capaci di produrre, insieme a beni e servizi privati, anche beni pubblici ed esternalità positive (i metodi dell’agricoltura biologica e a ridotto impatto ambientale, le produzioni di qualità certificata e di prodotti tradizionale, oltre ad attività remunerate attraverso premi previsti dalle politiche quali la conservazione del

0 50 100 150 200 250 300 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 0 ettari 0,01-0,99 ettari 1-1,99 ettari 2-2,99 ettari 3-4,99 ettari 5-9,99 ettari 10-19,99 ettari 20-29,99 ettari 30-49,99 ettari 50-99,99 ettari 100 ettari e più aziende con attività remunerative connesse aziende biologiche

aziende con produzione DOP/IGP aziende con vendita diretta aziende con attività remunerative connesse aziende biologiche aziende con produzione DOP/IGP aziende con vendita diretta

paesaggio e della biodiversità), questo tipo di attività vengono anche definite di ‘diversificazione multifunzionale’. (Henke & Salvioni, 2010)

Le attività di prima lavorazione e trasformazione dei prodotti in azienda (deepening), pur non producendo ‘direttamente’ beni pubblici sono spesso un prerequisito per l’attivazione di quelle strategie di qualificazione delle attività agricole con un forte radicamento locale sopra richiamate, in quanto permettono all’azienda l’acquisizione di maggior valore aggiunto. L’OCSE rileva come queste siano mediamente più presenti negli Stati membri del Sud Europa rispetto a quelli del Nord, a testimonianza del fatto che il tipo di produzione conta nello sviluppo di questo tipo di attività di differenziazione. Per lo stesso motivo, spesso, l’attività di trasformazione in azienda è associata all’agricoltura biologica, a certificazioni di qualità del prodotto e alla vendita diretta in azienda o tramite la filiera corta.

Al contrario, altre attività come il contoterzismo, il turismo, l’artigianato ecc. rappresentano espansioni (broadening) delle attività al di fuori dello spettro agricolo, anche se naturalmente mantengono connessioni con l’attività primaria vera e propria. Il contoterzismo include sia il lavoro a contratto in agricoltura presso altre aziende (spesso legato alla fornitura di lavorazioni che necessitano d specifiche attrezzature) sia altre attività che occasionalmente vengono svolte al di fuori di quella agricola. In questo caso, la diversificazione dell’attività avviene sulla base di una riorganizzazione dei fattori di produzione (lavoro, macchine) e di una loro migliore utilizzazione, che può anche prescindere dal lavoro svolto in azienda.

Una categoria molto ampia di differenziazione è quella che riguarda il turismo: le relazioni tra l’attività turistica e quella agricola possono essere lette come produzione di esternalità legate alla necessità di mantenere il paesaggio rurale in condizioni che siano attraenti per i turisti, una certa diversificazione delle attività produttive, un basso imbatto ambientale, il controllo degli odori, ecc. Ciò avviene contestualmente alla produzione di beni privati che si sommano a quelli veri e propri del turismo, ad esempio lo stimolo dell’economia locale, la produzione di beni tipici e di qualità.

La letteratura (Haggblade, Hazell, & Reardon, 2010) distingue tra processi di diversificazione intrapresi per un obiettivo di accumulazione, guidati da ‘fattori di trazione’ (pull factors), e processi orientati dal tentativo di gestire il rischio, far fronte alle crisi o sfuggire alla stagnazione e al declino dell’agricoltura, guidati invece da ‘fattori di pressione’ (push factors). Mentre i primi sono associati con redditi in crescita e con un sistema patrimoniale relativamente solido per l’azienda, nel secondo caso ci troviamo, al contrario, di fronte ad un tentativo di arginare una tendenza verso la

povertà e il declino dell’azienda stessa. Tra i pull factors possono essere indicati i migliori redditi delle attività non agricole e la dinamica positiva della domanda per nuovi beni e servizi che le aziende possono essere in grado di offrire. Redditi migliori provenienti da altre attività possono poi essere virtuosamente utilizzati in agricoltura per migliorare gli investimenti e rendere più redditizia l’attività primaria stessa. Tra i fattori di pressione (push factors), invece troviamo la ciclicità dei redditi aziendali (che può causare periodi di crisi finanziaria), i fattori di incertezza propri dell’attività agricola (problemi con gli eventi naturali), la mancanza di credito a breve e medio termine, ed infine la bassa redditività dell’attività agricola dovuta a condizionamenti esterni (impossibilità di crescita nella scala aziendale e quindi di applicazione di economie di scala).

In entrambi i casi il contesto di rifermento gioca un ruolo determinante tanto che si può proporre di integrare la classificazione proposta in letteratura con l’individuazione di ‘fattori territoriali’ che, oltre a rappresentare specifici limiti, spingendo le imprese ad integrare il reddito, possono diventare importanti meccanismi di incentivo: i redditi extragricoli sono generalmente migliori in alcune specifiche aree, come quelle periurbane, ed in aree a vocazione turistica. Dunque, gli spill over dalle attività non agricole a quelle agricole sono legati, ancora una volta, alle condizioni di sviluppo esterno al settore primario. La domanda di nuovi beni e servizi è un fattore che negli ultimi anni, nei contesti sviluppati, è diventato cruciale per dare impulso alla diversificazione: le aziende adattano la propria offerta di prodotti e servizi sula base di quanto la società, nel suo complesso, richiede al settore primario e alle aree rurali83. Il ruolo della diversificazione delle attività agricole entro le connessioni di un sistema agricolo locale è, invece, ancora poco indagato, ciò anche in ragione del fatto che, come dimostrato nel primo capitolo, l’economia agraria ha avuto sempre un profilo strettamente aziendale e settoriale (un’eccezione è la lettura dello sviluppo agricolo di

83 Finocchio (Finocchio, 2007) ha stimato su un panel di 387 imprese marchigiane rilevate dalla Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) l’influenza di alcune caratteristiche aziendali sulla decisione dell'imprenditore agricolo a intraprendere percorsi alternativi all'attività agricola convenzionale (solo deepening, solo broadening, deepening e broadening). I risultati hanno mostrato il forte ruolo giocato dalla localizzazione dell’azienda sia in termini di altitudine che di provincia. Questo risultato attesta il forte legame tra diversificazione e territorio. L’adozione di percorsi alternativi all’agricoltura convenzionale è inoltre influenzata positivamente dalla presenza in azienda di macchinari di proprietà e da orientamenti colturali non specializzati (policoltura o poliallevamento). Molto spesso sono gli imprenditori agricoli con una redditività al limite della sussistenza ad intraprendere attività accessorie all’agricoltura tradizionale nel tentativo di ricercare possibilità di guadagno che l’attività agricola di base non sembra garantire. Al contrario gli imprenditori agricoli che ottengono margini di profitto elevati con l’attività tradizionale non sembrano molto invogliati a cambiare il proprio business aziendale. (Henke & Salvioni, La diversificazione del reddito nelle aziende agricole italiane: una via di uscita dalla crisi, 2010)

Fabiani che, invece, si concentra sull’analisi dell’integrazione tra l’agricoltura ed i settori extragricoli). Utilizzando le tradizionali chiavi di lettura dello sviluppo dei sistemi economici locali, non si può non rilevare che la diversificazione si muove, di fatto, verso l’internalizzazione nell’azienda agricola di molte delle connessioni a monte e a valle che, invece, hanno determinato il costituirsi dei sistemi economici distrettuali e delle reti di imprese. Analogamente, anche guardando il fenomeno in un’ottica intersettoriale, da una prima analisi, si potrebbe interpretare come una perdita delle potenzialità di integrazione tra agricoltura e settori extragricoli, ma, come lo stesso Fabiani evidenzia, è possibile invece riconoscere la creazione di “collegamenti intersettoriali non necessariamente attinenti alla sfera della produzione” (Fabiani, 1991), parliamo in questo caso dei collegamenti con il settore dei servizi.

Pare evidente che, se attraverso una lettura tradizionale, la diversificazione comporta una perdita delle connessioni che integrano l’azienda nel sistema delle imprese locali e ne fondano i rapporti economici, attraverso una lettura ‘territorialista’, è possibile riconoscere l’integrazione tra la produzione agricola ed il sistema territoriale nel suo complesso, che si esplica attraverso l’offerta di beni e servizi, ma si fonda sul radicamento al territorio dell’attività agricola che assume ‘valore generativo e integrativo’ in un “rovesciamento del rapporto fra produzione e luoghi: nella più matura riflessione di Becattini sono i luoghi che generano fini, forme e qualità della produzione grazie all’affermarsi di una ‘coscienza di luogo’” (Dematteis & Magnaghi, 2018).

(3.4.1) La ‘diversificazione multifunzionale’ nelle strategie di valorizzazione

L’approfondimento (deepening), come visto, attiene a tutte quelle ‘attività’ che valorizzano l’attività agricola aziendale, ovvero i processi di trasformazione dei prodotti aziendali, quindi prima lavorazione dei prodotti agricoli, trasformazione di prodotti vegetali o animali, servizi per l’allevamento, silvicoltura, produzione di mangimi.

Tra queste attività quelle prevalenti nel contesto provinciale sono la silvicoltura (praticata dal 7% delle aziende con un impegno lavorativo pari al 3,3%) e la trasformazione di prodotti animali (5% delle aziende e 4,5% delle giornate di lavoro). Seguono la trasformazione di prodotti vegetali, la prima lavorazione di prodotti agricoli, i servizi per l’allevamento e, marginalmente la produzione di mangimi (praticata da 3 sole aziende in tutta la provincia).