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3. Il fenomeno del multiculturalismo e il dialogo ecumenico

3.1. Divieto di molestie fondate su motivi religiosi

Tra le novità introdotte in ambito europeo dalla Direttiva 2000/78/CE, in tema di pari opportunità nel mondo del lavoro, si rinviene il divieto di molestie, fondate anche su motivi religiosi, che si sostanziano – ex art. 2.3 - in “un comportamento

indesiderato adottato”, basato su motivi tra cui anche religiosi, “avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”.

Pertanto, elementi caratterizzanti della fattispecie sarebbero individuati dal comportamento indesiderato - elemento a valenza soggettiva in quanto qualificato in base alla percezione della vittima - e dal mancato rispetto della dignità umana e dalla compromissione del clima lavorativo (clima intimidatorio, umiliante, ostile, degradante od offensivo), elemento a valenza oggettiva.

La nozione comunitaria della molestia in materia anche religiosa non è esente da critiche.

In particolare, in primo luogo, si evidenzia che il primo elemento, fondato sulla percezione soggettiva della vittima, potrebbe far qualificare indesiderati, sotto il profilo religioso, taluni comportamenti, pur se in realtà non intenzionalmente offensivi oppure manifestazione di esercizio di un diritto fondamentale, quale la libertà di espressione del pensiero. In secondo luogo, se pur è da riconoscere

73 all’elemento oggettivo - violazione della dignità della persona e clima rovinato da atteggiamenti mortificanti - una valenza correttiva della rilevanza della percezione soggettiva della vittima della condotta non desiderata, è da rilevare la indeterminatezza dei concetti richiamati dall’elemento oggettivo in questione. Infatti, mancherebbe per l’elemento in esame il criterio di individuazione della violazione della dignità e del grado di offensività sufficiente per determinare un clima mortificante.

La nozione comunitaria in esame della molestia, anche in materia religiosa, è stata recepita alla lettera dalla legislazione nazionale con l’art. 2.3 del d.lgs. n. 216/2003, lasciando inalterate le perplessità sollevate in merito alla qualificazione comunitaria.

Precisazioni in merito agli aspetti indicati dalla normativa in esame si attendono dalla giurisprudenza che, di recente, ha avuto ancora poche occasioni per pronunciarsi in merito alle fattispecie di molestie a carattere religioso. Nelle ipotesi affrontate è stato dato rilievo alla presenza dell’intenzionalità dell’atto e al collegamento dell’intenzionalità dell’atto con l’elemento religioso.

Aspetti quest’ultimi che portano a qualificare il comportamento indesiderato anche in riferimento alla volontarietà del comportamento offensivo; elemento quest’ultimo del tutto irrilevante nella normativa europea.

È da rilevare che il Regno Unito, nell’attuare la Direttiva in esame con la recente legge del 2010 (Equality Act 2010), invece, non solo ha specificato come si debba dimostrare che il comportamento adottato sia indesiderato, ma ha anche ampliato l’ambito di applicazione della molestia a carattere religioso.

Difatti, in riferimento al primo aspetto, al fine di individuare come indesiderata la condotta, è da tenere in considerazione contestualmente la presenza sia della percezione della vittima, sia di altre circostanza del caso, sia di una ragionevole evidenza che il comportamento abbia realizzato l’effetto della molestia. Invece, l’ampliamento della sfera d’azione della tutela antidiscriminatoria si realizza, da una parte, richiedendo per la configurazione della molestia uno soltanto degli elementi oggettivi indicati in direttiva (o la compromissione del clima nell’ambito lavorativo o la violazione della dignità della persona), dall’altra parte, reputando rilevante anche un solo episodio offensivo ai fini della configurazione della molestia purché di particolare rilevanza.

74 Non è mancato in dottrina chi abbia osservato che la normativa in Italia sulle molestie in materia religiosa rimarrebbe in una sorta di limbo operativo, forse per la

scarsa conoscenza della fattispecie e la generale disattenzione.101

Ruolo determinante sarebbe da ascrivere all’esame dei casi al fine di qualificare correttamente la figura di molestia a carattere religioso sul luogo di lavoro in un’ottica sia di tutela delle persone in posizione di svantaggio e sia di realizzazione del diritto alla diversità culturale e religiosa.

Di fondamentale importanza, nel ruolo concreto di ascolto, segnalazione e intervento in tema di discriminazione, soprattutto per le questioni collegate alla sfera lavorativa, è l’istituzione, ex art. 7 del decreto legislativo n. 215/2003, dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali- operante nell’ambito del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Si evidenzia che l’ambito maggiormente colpito da fenomeni discriminatori a motivo religioso è quello lavorativo laddove, da un lato, il datore di lavoro affronta i problemi legati agli immigrati, dall’altro lato, risulta difficile distinguere gli atti discriminatori a carattere religioso rispetto a quelli culturali.

Dallo studio dei casi UNAR emergono aspetti di peculiare interesse: in riferimento al responsabile della discriminazione, in genere sarebbe da individuare nello stesso datore di lavoro, raramente nei colleghi di ufficio; in riferimento all’elemento psicologico, in genere sarebbe legato più a motivi utilitaristici (ad es. difficoltà nel processo produttivo) più che all’avversione ad una data religione in quanto tale; in riferimento alla produzione degli elementi di prova, difficile per la vittima sarebbe la prova del comportamento discriminatorio, soprattutto laddove non vi siano testimoni; in riferimento alla religione maggiormente penalizzata, essa sarebbe da individuarsi nella religione mussulmana in ragione della visibilità di peculiari atti di culto in ambito lavorativo.

Proprio sulla base delle fattispecie esaminate dall’UNAR, non è mancato chi abbia sottolineato che la questione della discriminazione, anche religiosa, debba non soltanto essere affrontata sul piano legale, attraverso una legge organica e generale sulla libertà religiosa, che raccolga anche i semi già gettati dalla giurisprudenza

101

Cfr. STELLA COGLIEVINA, Il divieto di molestie in materia religiosa: tra parità, libertà religiosa e

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costituzionale; ma anche sul piano culturale della prevenzione, al fine di realizzare

un modello culturale per una società aperta ed inclusiva102.

3.2. Festività ecclesiastiche e riposo settimanale come profili di