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4. Il riposo settimanale e le festività religiose

1.2. Principali argomentazioni della Corte

In punto di diritto, per ciò che attiene la valutazione della Corte in merito alla violazione dell’art.10 Cedu (libertà di espressione), la Corte europea dei diritti

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Ci si chiede se la subordinazione della nomina dei professori dell’Università Cattolica al gradimento della Santa Sede sia compatibile con gli artt. 33 e 19 della Costituzione (libertà di insegnamento e libertà di religione). Non vi sarebbe contrasto con l’art.33 Cost. in merito alla creazioni delle università libere perché queste possono anche essere ideologicamente confessionali. Pertanto, la libertà di insegnamento dei docenti – garantita in toto nell’università statali – nelle università di tendenza non potrebbe essere limitata in funzione della realizzazione della libertà ideologica dell’organizzazione di tendenza. Si osserva, infatti, che negando ad una università ideologicamente orientata il potere di scegliere liberamente i propri docenti sulla base della valutazione della personalità degli stessi, si lederebbe la libertà dell’università. Ammissibile, dunque, sarebbe il potere di recesso da riconoscersi all’Università ideologicamente orientata in ipotesi di indirizzi religiosi o ideologici contrastanti con la finalità della Università stessa.

La limitazione della libertà del docente non sostanzierebbe un’ipotesi di violazione in quanto libero sarebbe il docente di aderire alle particolari finalità dell’organizzazione acconsentendo alla chiamata. Non vi sarebbe violazione, dunque, dell’art. 19 Cost. in quanto la stessa libertà di creare università libere e caratterizzate da un peculiare orientamento confessionale sarebbe funzionale alla tutela della libertà nella dimensione collettiva. Difatti, la libertà del gruppo di appartenenza sarebbe violata se allo stesso non fosse dato il potere di recedere laddove il docente non seguisse più i precetti propri della dottrina di cui è espressione il gruppo.

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Art. 10 n.3 dell’Accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana (firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato con la legge n.121 del 25 marzo 1985):

“Le norme dei docenti dell’Università cattolica del Sacro Cuore (…) sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica”.

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È stato evidenziato in dottrina che “l’art.33 Cost.,dopo aver attribuito, al comma 2, alla Repubblica il

dovere di istruire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (…), al comma seguente attribuisce ai privati il diritto di istituire scuole e istituti di educazione”. La dottrina maggioritaria, inoltre, aderendo

all’orientamento della giurisprudenza costituzionale, “considera questo diritto come funzionale a rendere

possibile che l’insegnamento venga impartito seguendo un particolare indirizzo culturale (…) e lo ritiene collegato sia alla libertà di insegnamento (…), sia alla libertà dei genitori di educare i figli scegliendo un percorso formativo improntato a un preciso orientamento educativo, culturale o religioso” (cfr. MARCO

CROCE, Le libertà garantite dall’art.33 della Costituzione nella dialettica irrisolta (e irrisolvibile?)

individualismo-comunitarismo, in NICOLA FIORITA E ANTONIO VISCOMI (a cura di), Istituzione e

libertà religiosa. Le scuole delle organizzazioni di tendenza, Rubbettino Editore, 2010, p.15).

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Si noti, inoltre, che il punto 6 del Protocollo addizionale prevede, in relazione all’art. 10 dell’Accordo, che «La Repubblica italiana, nell’interpretazione del n. 3 – che non innova l’art. 38 del Concordato

dell’11 febbraio 1929 – si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo».

166 dell’uomo rinviene la violazione dell’articolo in esame nell’ingerenza del diritto di libertà di espressione del professore universitario in quanto non necessaria in una

società democratica.

Difatti, la Corte, nel caso in esame, qualifica come ingerenza nel diritto del ricorrente di cui all’art.10 Cedu il mancato rinnovo del contratto annuale d’insegnamento in quanto il rinnovo protratto per più di venti anni e il riconoscimento della competenza scientifica del docente da parte dei colleghi attesterebbero la stabilità del rapporto di lavoro del docente. A fondamento dell’argomentazione su esposta, la Corte rinvia alla sentenza Vogt c. Germania del 26 settembre 1995.

Il riconoscimento dell’ingerenza nel diritto della libertà di espressione pone il problema di verificare, come richiesto dall’art.10 Cedu, se l’ingerenza sia prevista

dalla legge e funzionale ad uno scopo legittimo, da un lato, e necessaria in una società democratica, dall’altro lato.

La Corte, pur rinvenendo nel caso in esame la configurabilità di una ingerenza

prevista dalla legge per la previsione dell’art.10 n.3 della legge n.121 del 25 marzo

1985 e la conformità ad uno scopo legittimo di tutela dell’interesse dell’Università ad un insegnamento espressione dei precetti religiosi cattolici, esclude che possa tale ingerenza essere necessaria in una società democratica.

La verifica richiesta, in particolare, è quella di stabilire se la misura di limitazione del diritto di cui all’art.10 Cedu sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito e se i motivi addotti dalle autorità nazionali a fondamento della limitazione stessa siano pertinenti e sufficienti.

Pertanto, la Corte, al fine di verificare se la limitazione in esame sia necessaria

in una società democratica, prende in esame sia il diritto del docente alla libertà di

espressione (diritto di trasmettere le conoscenze senza restrizioni), sia l’interesse dell’Università cattolica di proporre un insegnamento conforme alle convinzioni religiose.

La disamina della necessità della limitazione della libertà di cui all’art.10 Cedu passa attraverso l’accertamento del rispetto delle garanzie procedurali relative alla conoscenza delle motivazioni delle restrizioni del diritto e alla possibilità di contestarle, sia nella fase amministrativa innanzi al Consiglio di Facoltà sia nella fase giurisdizionale amministrativa.

167 La Corte evidenzia che il Consiglio di Facoltà non avrebbe dato comunicazione al ricorrente quali fossero le opinioni contrastanti con la dottrina cattolica che avrebbero determinato la mancanza del nulla osta da parte delle autorità ecclesiastiche all’insegnamento. La comunicazione della Congregazione, infatti, conteneva esclusivamente il rinvio ad orientamenti che si oppongono nettamente alla

dottrina cattolica. Pertanto, il docente non avrebbe né avuto contezza in quale modo

le proprie opinioni avrebbero potuto inficiare l’interesse dell’Università né possibilità in concreto di contestarle.

Inoltre, sotto il profilo del controllo giurisdizionale sul procedimento amministrativo, la Corte sottolinea che la mancanza di conoscenza dei motivi addotti a fondamento del mancato rinnovo avrebbe reso impossibile il contraddittorio in giudizio. Aspetto non tenuto presente dai giudici interni che si sarebbero limitati a constatare la legittimità della mera constatazione del Consiglio di Facoltà della mancanza del nulla osta per motivi religiosi.

Per ciò che attiene, invece, il profilo della violazione dell’articolo 9 Cedu255 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione), la Corte riconosce l’ammissibilità di tale motivo di doglianza ma lo assorbe nell’argomentazione relativa alla violazione di cui all’art.10 Cedu. Non necessaria sarebbe, pertanto, la trattazione separata.

Infine, la Corte ritiene, in tema di violazione dell’art. 6 Cedu (Diritto ad un processo equo), sussistere la violazione dell’articolo in esame in quanto il ricorrente non avrebbe beneficiato del diritto di accesso effettivo ad un tribunale interno.

Infatti, sia il TAR che il Consiglio di Stato si sarebbero limitati ad esaminare la legittimità della decisione di mera constatazione da parte del Consiglio di Facoltà dell’esistenza della decisione della Congregazione.

La Corte, non potendo sostituirsi ai giudici interni, ha il ruolo di verificare la compatibilità con la Convenzione dell’interpretazione della legislazione interna data dalle corti e tribunali degli Stati nazionali.

255

Art. 9 Convenzione EDU- Libertà di pensiero, di coscienza e di religione:

“ Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di religione; tale diritto include la libertà di cambiare

religione o credo e la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente e collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie di una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

168 Anche in tale sede la Corte ribadisce le argomentazioni poste a fondamento della ritenuta violazione dell’art. 10 Cedu. In particolare, i giudici interni avrebbero mancato di prendere in esame sia l’omessa comunicazione delle motivazioni poste a base della decisione della Congregazione, sia la relazione sussistente tra le opinioni espresse dal docente e l’attività di insegnamento. Inoltre, la mancanza di conoscenza da parte del ricorrente delle ragioni poste a supporto della decisione della Congregazione avrebbe di per sé escluso la realizzazione del contraddittorio in fase giudiziaria. Pertanto, il controllo giurisdizionale da parte dei giudici interni non sarebbe stato adeguato.