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Status di insegnate di religione cattolica: conformità con i principi dell’ordinamento

4. Il riposo settimanale e le festività religiose

2.1. Status di insegnate di religione cattolica: conformità con i principi dell’ordinamento

In particolare, in riferimento al profilo costituzionale e al trattato internazionale (accordo bilaterale Stato Chiesa), la peculiare posizione giuridica dell’insegnante di religione cattolica troverebbe giustificazione nell’assetto normativo di cui all’art.7, II comma, Cost., all’art.117 Cost.282, al trattato internazionale del Protocollo addizionale (art.5), all’Accordo del 18 febbraio 1984 (l. 121 del 1985), che richiede l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche in conformità alla

dottrina della Chiesa e con insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica.

Tale normativa sarebbe conforme al principio di laicità enucleato nell’ambito della Carta Costituzionale (artt. 2,3,7,8,19,20) dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1989 che definisce il principio in esame “uno dei profili

della forma di stato delineata in Costituzione” includendolo tra i c.d. principi supremi dell’ordinamento. Laicità cooperativa che si sostanzia in un atteggiamento di

favore del fenomeno religioso in ottica di pluralismo confessionale e religioso. In riferimento al profilo della normativa comunitaria (profilo discriminazione art.14 Cedu e direttiva 78/2000/CE del 27 novembre 2000 – parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - e direttiva 29 giugno 2000, n. 2000/43- in materia di discriminazione per motivi di razza e di origine etnica), si osserva che la normativa in tema di insegnamento della religione sarebbe conforme anche sotto il profilo normativo delle direttive comunitarie su citate, oltre che dell’art.14 Cedu, sulla base della rimodulazione in dottrina del concetto stesso di discriminazione. Infatti, quest’ultimo, da una parte, non sarebbe più letto in ottica

protettiva, ma di tutela di parità di opportunità e, dall’altro canto, sarebbe da

conferire un’accezione di discriminazione ampliata, in quanto comprensiva non

281

ANDREA BETTETINI, Lo status giuridico degli insegnanti di religione cattolica, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n.39/2012, 17 dicembre 2012.

282

In seguito alle modifiche apportate dalla L. cost. 18 ottobre 2001 n.3 laddove si stabilisce che “la

potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

181 soltanto delle cd. discriminazioni dirette, ma anche le c.d. discriminazioni

indirette283.

Nell’ambito della direttive su indicate viene espressamente sancito che la discriminazione indiretta sarebbe legittima laddove sia oggettivamente giustificata da

una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari o, come specificato dalla legge n.125 del 1991, in tema di parità di

trattamento fra uomo o donna, afferisca a profili essenziali allo svolgimento del rapporto di lavoro.

In riferimento alla giurisprudenza nazionale italiana, il Consiglio di Stato284, in materia di atto canonico di idoneità dell’insegnamento della religione, nel riconoscere natura dichiarativa ed endoprocedimentale dell’atto canonico, avrebbe specificato l’ambito di competenza dell’autorità scolastica statale. Pertanto, il giudizio di idoneità de quo non sarebbe esente da una valutazione sul corretto esercizio del potere canonico alla luce dei criteri di ragionevolezza e non arbitrarietà da parte della giurisdizione statale. Il decreto di idoneità sarebbe sindacabile per

eccesso di potere che, se, da una parte, esclude l’indagine nel merito del rispetto del

principio di autonomia della Chiesa, dall’altra parte, nell’ottica del bilanciamento con gli altri principi dell’ordinamento statale, permette di verificare se l’atto di

283

Nozione di discriminazione:

1. Ai fini della presente direttiva, per «principio della parità di trattamento» si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1.

2. Ai fini del paragrafo 1:

a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono

mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

3. Le molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo 1, una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per uno dei motivi di cui all'articolo 1 avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri.

284

Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 novembre 2000 n.6133, in Foro amministrativo 111 (2000), pp.3643-3645. Posizione giurisprudenziale condivisa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n.574 del 14 novembre 2002.

182 idoneità o la relativa revoca, da parte dell’autorità canonica, sia fondato su motivi di tutela di interesse istituzionale della Chiesa per la garanzia dell’identità confessionale dell’ente. Pertanto, la dottrina in esame ha osservato che il potere dell’autorità ecclesiastica, al fine dell’atto di idoneità dell’insegnamento della religione cattolica, dovrebbe svolgersi in modo conforme ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano. Dunque, l’annullamento dell’atto ecclesiastico da parte del giudice nazionale per eccesso di potere potrebbe intervenire soltanto in ipotesi di manifesta incompatibilità dell’atto con i principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato afferenti alla tutela della persona umana.

Infine, la dottrina in esame, pone in rilievo il profilo giurisprudenziale europeo (Corte europea dei diritti umani), in tema dell’affermazione del principio della insindacabilità dei motivi di carattere strettamente religioso su cui si fonda il mancato rinnovo del contratto annuale dell’insegnante di religione e morale cattolica in una scuola pubblica. In particolare, la valutazione dell’impedimento all’insegnamento afferirebbe alla competenza dell’autorità ecclesiastica, e, pertanto, non si configurerebbe violazione dell’art. 8 Cedu285, in tema di diritto al rispetto

della vita privata e familiare.

Nel giudizio di bilanciamento tra il diritto della persona di cui all’art. 8 Cedu (tutela vita privata e familiare) e il diritto della confessione religiosa alla libertà religiosa di cui agli articoli 9 e 11 Cedu, la Corte farebbe prevalere la dimensione collettiva della libertà religiosa in base sia alla peculiare natura del rapporto di lavoro dell’insegnante di religione rispetto agli altri insegnanti, sia alla fiducia che deve intercorrere tra il docente e l’autorità ecclesiastica competente a valutare la sussistenza dei requisiti indicati dalla normativa canonica (can. 804 e can. 805) e sia alla garanzia di tutela dei diritti di scelta ideologicamente orientato degli alunni e delle famiglie di riferimento.

La Corte avrebbe asserito la prevalenza dell’autonomia della confessione religiosa e la legittimità di un giudizio dell’organizzazione sulla conformità della

285

Art. 8 Cedu – Diritto al rispetto della vita privata e familiare:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non vi può essere ingerenza dell’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista per legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e le libertà altrui”.

183 condotta del dipendente docente rispetto ai principi qualificanti l’identità confessionale dell’organizzazione stessa. Gli articoli 9 e 11 Cedu sarebbero funzionali alla tutela della credibilità del messaggio religioso della struttura confessionale e, dunque, legittimerebbero l’adozione delle misure necessarie alla garanzia dell’ideologia religiosa.

La giurisdizione statale potrebbe soltanto valutare se gli obblighi contrattuali di lealtà, tra il docente e l’ente confessionali, siano conformi ai principi fondamentali dell’ordinamento sotto il profilo, in particolare, della tutela della persona umana.

Pertanto, è stato osservato dalla dottrina in esame che la tutela dell’identità confessionale dell’ente e la c.d. tendenza troverebbero un proprio riconoscimento di garanzia nei limiti di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini

italiani.

2.2.Caso Fernández Martínez c. Spagna, ricorso n. 56030/07: