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Effetti della pronuncia in esame nell’ordinamento interno

4. Il riposo settimanale e le festività religiose

1.4. Osservazioni critiche in dottrina

1.4.4. Effetti della pronuncia in esame nell’ordinamento interno

In dottrina si è sollevato il problema di verificare gli effetti che la pronuncia europea in esame sia destinata a produrre nell’ordinamento interno. Non è mancato chi abbia evidenziato che la Corte europea avrebbe reso privo di effettivo contenuto la stessa statuizione della Corte Costituzionale del’72, che aveva riconosciuto come libero il potere dell’organizzazione confessionale di recedere dal rapporto con il docente.

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MATTEO CORTI, Diritto dell’Unione europea e status delle confessioni religiose. Profili lavoristici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2011, pp. 2-3.

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Cfr. GIUSEPPE D’ANGELO, Appartenenza religiosa e rapporti di lavoro, in Diritto e religioni,

175 Osservazione non priva di conseguenza, in punto di individuazione della portata dell’art.10 n.3 della l. n.121 del 1985, se si considera che il giudice nazionale, sulla base dell’interpretazione della CEDU fornita dalla Corte europea, “dovrà procedere

a un’interpretazione conforme della disposizione, verificando l’esistenza di un contraddittorio e la dimostrazione del nesso opinioni/riflessi sull’insegnamento, oppure, nel caso in cui ritenga che la stessa non sia possibile, dovrà sollevare questione di incostituzionalità per violazione dell’art. 117 e alla Corte costituzionale sarà rimesso il giudizio sulla compatibilità fra la decisione in commento e la s. n. 195/1972”270. Difatti, la norma in esame, potrebbe essere incostituzionale per violazione dell’art.117, I comma, Cost. per la mancanza di riferimento a garanzie

procedurali adeguate per le limitazioni del diritto di libertà di espressione del

soggetto rispetto all’Università Cattolica.

È da osservare, però, come parte della dottrina avesse, già prima della pronuncia della Corte europea, sollevato osservazioni critiche in merito alle modalità di attuazione dell’articolo 38 del Concordato, prima, e, poi, dell’art. 10.3 dell’Accordo del 1984, in riferimento alla revoca ad nutum del gradimento da parte delle autorità ecclesiastiche e alla completa esclusione del sindacato da parte della giurisdizione italiana.

Seguendo tale orientamento dottrinale, non è mancato chi abbia osservato che, già in base all’assetto normativo costituzionale interno italiano, la giurisprudenza nazionale sarebbe potuta arrivare alle stesse affermazioni di principio paventate dalla Corte europea, richiamando proprio i principi consolidati dalla giurisprudenza in tema di giusto processo.

A sostegno della soluzione prospettata, si rinvia alla sentenza n. 18/1982 della Corte Costituzionale, in tema di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma pattizia sulla base dell’art. 34 del Concordato del 1929271, laddove la tutela giurisdizionale viene sussunta tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale

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Cfr. MATTEO CORTI, Diritto dell’Unione europea e status delle confessioni religiose. Profili

lavoristici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio

2011, p. 5. 271

La Corte Costituzionale, sentenza n. 18/1982, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art.1 della legge 27 maggio n.810 («Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato,

sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929»), limitatamente all'esecuzione data

all'art. 34, commi quarto, quinto e sesto, del Concordato, e dell'art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 («Disposizioni per l'applicazione del Concordato dell'11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l'Italia, nella

parte relativa al matrimonio»), in quanto prevedono un procedimento di dispensa super rato da parte

176 e, come tale, non suscettibile di violazione da parte delle norme di natura concordataria.

La dottrina in esame, in base alle osservazioni esposte, afferma che si sarebbe potuto paventare che “la Corte, se mai fosse stata investita della questione, avrebbe

potuto […..] giungere a conclusioni analoghe con riguardo alla posizione dei docenti dell’Università Cattolica. Tanto più che in quell’eventualità non sarebbe stata costretta a dichiarare l’illegittimità dell’art. 10.3, potendosi invece limitare in prima istanza a indicare un’interpretazione “innovatrice” e costituzionalmente orientata della norma in oggetto: una pronuncia additiva sarebbe stata necessaria solo eventualmente e in un secondo momento, qualora l’interpretazione della normativa pattizia indicata dalla Corte fosse stata disattesa”272.

1.4.5. Regime dell’attività di insegnamento del docente e

principio di laicità

Non è mancato chi abbia evidenziato un problema di compatibilità al principio supremo della laicità del sistema normativo relativo all’attività di insegnamento del docente che, da una parte, riconoscendo la natura di ente pubblico non economico all’Università Cattolica, incide sull’autonomia dell’ente stesso, e, dall’altra parte, nel richiedere il gradimento da parte dell’autorità ecclesiastica come presupposto per l’assunzione presso l’ente pubblico in esame, impone una valutazione su qualità estranee al profilo di pertinenza statale.

Difatti, si nota che il carattere tout court di pubblico impiego del rapporto di lavoro, che lega il docente all’Università Cattolica, per la qualificazione di ente di natura pubblica, mal si concilierebbe con il sistema costituzionale. In particolare, si osserva che “se è vero che la libertà di istituire scuole confessionalmente o

ideologicamente orientate rimarrebbe lettera morta qualora non vi si accompagnasse la possibilità per l’ente di modellare i propri rapporti di lavoro (al momento della costituzione così come nella fase del recesso) in funzione della tendenza, tuttavia è altrettanto vero che un sistema fondato sulla trasposizione di

MARCELLO TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla

Corte europea dei diritti dell’uomo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 3 maggio 2010, p.30.

177

quel modello dal settore privato al settore pubblico non può considerarsi compatibile con il principio di laicità”273.

Si rinvia al ragionamento della Corte Costituzionale che riconosce, quale nucleo fondante del principio costituzionale supremo di laicità, la separazione tra l’ordine statale e l’ordine confessionale religioso al fine sia di tutela della neutralità e imparzialità dello Stato rispetto alle confessioni religiose, sia per la tutela dell’autonomia di quest’ultime rispetto ad ingerenze indebite da parte dello Stato.

Questa rilevata incompatibilità della normativa in esame con il principio costituzionale supremo di laicità sarebbe prevalente rispetto anche allo stesso profilo di tutela procedurale, come rilevato dalla sentenza della Corte di Strasburgo in esame, relativo al rilascio o alla revoca dell’atto di idoneità.

Proprio sull’assunto delle argomentazioni svolte, dunque, si sottolinea come la sentenza Lombardi Vallauri sia per il nostro Paese “il segnale di un’occasione

mancata e un avvertimento a non affrontare il confronto in sede europea con la superbia di chi creda di aver già tutto compiuto: se è vero che il grado di soddisfazione dei diritti fondamentali è un indice genuino dello stato di progresso e di salute di una democrazia, è necessario ammettere senza infingimenti che il tasso di democraticità del nostro ordinamento deve essere incrementato e che l’Italia non è (ancora?) una democrazia compiuta”274.

Non a caso in dottrina è stato affermato che sarebbe necessario “un forte

impegno della società civile che ribadisca il comune interesse per una scuola laica, gestita dai poteri pubblici in modo neutrale, capace di creare un ambiente di socializzazione (…). Secondo la dottrina in esame “l’associazionismo soprattutto in campo scolastico, può fare molto per combattere la tendenza all’autarchia (…) contribuendo a creare luoghi di mobilitazione nei quali si saldino e vivano le comuni esigenze e aspirazioni alla libertà, all’uguaglianza, alla liberazione dal bisogno per costruire una società solidale basata sul rispetto dei valori umani”. Pertanto,

secondo la dottrina in esame, ruolo determinante sarebbe da ascrivere alla scuola pubblica nell’affermazione del principio di laicità e nello svolgimento della funzione di integrazione e solidarietà sociale. Invece, “la scuola privata (…), soprattutto se

273

Ivi, p. 34. 274

178

confessionale, tende nei fatti alla separazione, lavora per costruire comunità differenti tra loro (…) a difesa dei loro valori (…)”275.

2.(segue) Tendenza religiosa dell’insegnamento e libertà del

docente all’interno della scuola pubblica: Caso Fernández

Martínez

Nel caso Fernández Martínez c. Spagna la Corte, in primis, richiama il proprio orientamento tradizionale che riconosce il diritto di autonomia della comunità religiosa, artt.9 e 11 Cedu, ed impedisce l’ingerenza da parte dello Stato nella scelta della comunità di tendenza sull’appartenenza confessionale dei fedeli e sulle mansioni di responsabilità all’interno dell’organizzazione religiosa.

In dottrina viene evidenziato come la giurisprudenza nazionale, nell’ambito di opposte istanze di tutela essenziale dei diritti costituzionali e di rispetto dell’insindacabilità piena dei provvedimenti delle autorità ecclesiastiche276, proprio alla luce dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo, richiederebbe la prova del rispetto del contraddittorio e del diritto dell’interessato a fornire le proprie ragioni nell’ambito del procedimento canonico funzionale alla revoca dell’atto di idoneità all’insegnamento277. Sarebbe, invece, da riconoscere assoluta discrezionalità

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GIOVANNI CIMBALO, Le scuole delle organizzazioni di tendenza nel sistema d’istruzione integrato

pubblico-privato, in NICOLA FIORITA E ANTONIO VISCOMI (a cura di), Istituzione e libertà

religiosa. Le scuole delle organizzazioni di tendenza, Rubbettino Editore, 2010, pp.87-88.

Canone 804 C.I.C.:

«1. All’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene

impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo dei vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso.

2. L’Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica».

Canone. 805:

«È diritto dell’Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di

religione, e parimenti, se lo richiedano motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi».

277

La normativa di maggiore rilievo nella materia in esame è da rinvenire nelle disposizioni di seguito specificate.

Il punto 5, lett. a), del Protocollo addizionale prevede, in relazione all’art. 9, che «L’insegnamento della

religione cattolica nelle scuole [pubbliche] è impartito – in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica».

179 all’autorità ecclesiastica in merito alla qualifica di eterodossia della condotta del docente.

Non è mancato chi propenda per l’opportunità di un intervento congiunto di Stato e Santa Sede per la modifica dell’Accordo del 1984, che renda conforme la normativa pattizia al diritto di tutela giurisdizionale, sotto il profilo del momento del rilascio o della revoca del gradimento ai docenti dell’Università Cattolica come per il rilascio e la revoca dell’attestato di idoneità per gli insegnanti di religione cattolica. Intervento congiunto reputato soltanto opportuno, non necessario, per la dottrina in esame, sull’assunto che la valenza di principio supremo dell’ordinamento costituzionale della tutela giurisdizionale fonderebbe ex se la legittimazione di un intervento unilaterale dello Stato funzionale ad una interpretazione della normativa pattizia conforme ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale278.

Altra parte della dottrina279affronta la questione della conformità con il principio di uguaglianza della peculiare disciplina dello status giuridico dell’insegnante di religione cattolica nella scuola pubblica statale, sia per la nomina del docente d’intesa con l’autorità ecclesiastica sia per la necessità dell’atto di idoneità all’insegnamento della religione cattolica 280 da parte del vescovo anche per la stessa partecipazione ad un concorso pubblico. In particolare, si afferma che il principio di uguaglianza sarebbe preservato sotto il profilo della giustizia sostanziale: la parità di

I punti 2.5 e 2.6-bis dell’«Intesa tra Autorità scolastica e Conferenza episcopale italiana per

l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche», resa esecutiva con D.P.R. 16 dicembre

1985, n. 751: «2.5. L’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di

idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale. […] 2.6-bis. Il riconoscimento di idoneità all'insegnamento della religione cattolica ha effetto permanente salvo revoca da parte dell'Ordinamento diocesano».

L’art. 3 della legge 18 luglio 2003, n. 186 («Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione

cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado»): «Ai motivi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dalle disposizioni vigenti si aggiunge la revoca dell'idoneità da parte dell'ordinario diocesano competente per territorio divenuta esecutiva a norma dell'ordinamento canonico».

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MARCELLO TOSCANO, Nuovi segnali di crisi: i casi Lombardi Vallauri e Lautsi davanti alla

Corte europea dei diritti dell’uomo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica

(www.statoechiese.it), 3 maggio 2010, p.33- nota 65, p.33. 279

MARTIN DE AGAR JOSÈ T., Insegnamento della religione e coerenza di vita. Sentenza Fernandez

Martinez vs Spagna, in www.bibliotecanonica.net, anno 2013.

280

Secondo la Delibera della CEI n. 41 del 21 settembre 1990 si chiarisce che, ai fini dell’emanazione del decreto di idoneità, l’autorità ecclesiastica non solo sarebbe obbligata ad accertare il possesso da parte del docente dei requisiti richiesti ex lege, ma dovrebbe anche verificare (con documenti, colloqui o testimonianze) che il candidato testimoni con la propria vita il messaggio cristiano ed abbia capacità pedagogica idonea.

Il venir meno dei presupposti (grave mancanza di capacità pedagogica o condotta pubblica contraria all’etica cristiana) su cui si fonda l’atto di idoneità in esame fonderebbe la necessità della revoca motivata dell’atto stesso.

Il venir meno dell’atto canonico di idoneità farebbe di conseguenza venir meno un requisito del ruolo di insegnante di religione.

180 trattamento di posizioni giuridiche disuguali sarebbe altrettanto ingiusto quanto il trattare in modo diverso posizioni giuridiche simili281.

2.1. Status di insegnate di religione cattolica: conformità con i