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Il documento da cui si cita è una copia dattiloscritta, senza data né firme, del

Nel documento Un testimone e la verità (pagine 157-161)

Un testimone e la verità di Fabio Levi e Domenico Scarpa

7 Il documento da cui si cita è una copia dattiloscritta, senza data né firme, del

Rapporto sull’organizzazione igienico-sanitaria del Campo di concentramento per Ebrei di Monowitz (Aushwitz [sic] – Alta Slesia), firmata dal «dott. Leonardo De-Benedetti, medico-chirurgo» e da «Primo Levi, chimico». È conservata presso l’Archivio dell’Isti- tuto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea «Giorgio Agosti» (Istoreto). Per indicazioni analitiche su questo e su altri documenti che saran- no citati di qui in avanti si rinvia alla scheda relativa al Rapporto nelle Notizie sui testi.

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Un resoconto scientifico.

Quella prima relazione prese dunque la strada di Mosca e var- rebbe senz’altro la pena rintracciarla negli archivi in cui forse è ancora conservata insieme alle tante altre che l’accompagna- rono. Prese però anche la via dell’Italia nel povero bagaglio dei due reduci Levi e De Benedetti, se essa ricomparve di poco ri- maneggiata appena dopo il loro ritorno a Torino, avvenuto il 19 ottobre 1945.

Una prima copia del Rapporto fu consegnata, quasi certamen- te nei primissimi mesi del 1946, all’Ufficio storico del Comi- tato di Liberazione Nazionale che aveva sede a Torino; grazie alla cura di Giorgio Vaccarino, fra i personaggi piú in vista del Movimento di liberazione, essa è conservata tuttora nell’Ar- chivio dell’Istituto torinese della Resistenza. Si tratta di una velina dattiloscritta, in bella copia e di 17 pagine. Nella breve premessa gli autori si chiedono con toni sin troppo ottimistici se «forse» vi sia ancora chi ignori, grazie alla documentazione anche fotografica diffusa oramai da piú parti, le «nefandezze» dei «campi di sterminio». Si racconta subito dopo come quel- le pagine fossero state scritte su richiesta dei russi e si accenna all’aggiunta apportata al testo originale di «qualche notizia di ordine generale»: presumibilmente i riferimenti iniziali al viag- gio degli autori verso Auschwitz e le informazioni, proposte al- la fine, sugli ultimi giorni del campo. Tutta la parte centrale, i due terzi del testo, offre, come recita il titolo in lettere maiu- scole, un circostanziato RAPPORTO SULL’ORGANIZZAZIONE IGIENICO-SANITARIA DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO

PER EBREI DI MONOWITZ (AUSHWITZ [sic] – ALTA SLESIA).

Il taglio, come già appare evidente dalla puntuale indicazio- ne geografica offerta nel titolo, vuole essere propriamente ana- litico e informativo. Su questo sembrano collimare lo scrupolo oggettivante del dottore in medicina e lo spirito scientifico del piú giovane, ma non meno rigoroso, dottore in chimica. I rife- rimenti al noi degli autori sono poco numerosi e riguardano per

152 fabio levi e domenico scarpa lo piú il viaggio verso il Lager. Per il resto il discorso prescinde dai casi individuali per concentrarsi sul rapporto fra le condizio- ni del campo e i loro effetti patologici, trascurando di proposito ogni altro fattore non pertinente al tema centrale del referto.

Ne emerge un quadro impressionante delle patologie piú dif- fuse a Monowitz. Ma si impone al lettore con nitida coerenza anche la logica che sosteneva l’apparato “ospedaliero” del cam- po. Fra cura maniacale per le apparenze – una vera ossessione dei nazisti – e ricorso sistematico alla eliminazione dei piú de- boli, tutto era organizzato perché i deportati non superassero una sopravvivenza media di pochi mesi. E, dopo aver fatto ba- lenare le sofferenze imposte a una massa sterminata di esseri umani, nel suo resoconto su Auschwitz il Rapporto non esita a rappresentare anche l’estremo; racconta il pulsare letale delle camere a gas e il fumo ininterrotto dei crematori; descrive per- sino l’opera affidata ai membri del Sonderkommando: di loro dice fossero «scelti fra i peggiori criminali condannati per gra- vi reati di sangue» e ne evoca l’«aspetto assolutamente selvag- gio, veramente da bestie feroci». Ci sarebbe voluto altro tem- po perché anche testimoni accurati come Levi e De Benedetti potessero correggere l’errore, non sull’esistenza delle squadre speciali né sul loro terribile compito, ma sulla provenienza; solo piú avanti essi avrebbero saputo che si trattava di ebrei come gli altri, scelti appositamente dai nazisti per svuotare i crematori.

La logica dell’apparato pseudosanitario allestito in un cam- po come quello di Monowitz non era altro che una logica di annientamento, se si vuole di annientamento controllato. E di «annientamento degli Ebrei» il Rapporto non esitava a parlare sin dalle primissime righe, affinché non ci fossero equivoci sul senso complessivo dei fatti. Eppure, la copia consegnata all’Uf- ficio storico del Cln torinese fu rubricata sotto una categoria che finiva per sminuire la portata di quanto essa intendeva tra- smettere: sulla cartellina originaria del fascicolo troviamo infatti scritto a matita «atrocità fasciste», come se non ci fosse altro modo per classificare un evento estremo, ancora in gran parte ignoto, se non il ricomprenderlo entro schemi consolidati. Co-

un testimone e la verità 153 sí agiva anche chi – e il problema, sia ben chiaro, non riguar- dava solo Torino, ma aveva diffusione ben piú ampia in Italia, in Francia e altrove8 – contro il fascismo aveva combattuto, ma

della persecuzione imposta agli ebrei non aveva saputo cogliere né la specificità né la dimensione.

Era un motivo in piú, per chi l’aveva subita fino all’estremo, per rivendicare su di essa la maggiore attenzione possibile, a di- spetto del clima sfavorevole. Levi e De Benedetti avevano scrit- to nella premessa che ora «forse» erano in molti a sapere. Non era cosí; soprattutto, erano molti di piú a non voler sapere, a non voler ascoltare i racconti dei reduci dai campi di sterminio. Fu in ogni caso per contrastare quell’ignoranza, qualunque ne fosse l’origine, che nacque l’idea di pubblicare quel primo si- stematico resoconto della realtà di Auschwitz, anzi dell’«orga- nizzazione igienico-sanitaria» del campo, su una rivista medica; e la scelta cadde non su un periodico di alta specializzazione e rivolto a pochi, ma su «Minerva Medica» che si presentava al pubblico come «Gazzetta settimanale per il medico pratico», raggiungendo perciò una platea piuttosto ampia ben oltre la cer- chia cittadina torinese.

In un ambiente medico come quello di Torino, dalle solide tradizioni universitarie, e dove la componente ebraica aveva avu- to fino alle leggi razziali del 1938 una forte presenza – si pensi solo a una figura come Giuseppe Levi –, la sfida piú ambiziosa di quell’articolo, apparso il 24 novembre 1946, consisteva ap- punto nel richiamare sullo sterminio appena perpetrato l’atten- zione di un pubblico di alto livello: i medici appunto, sensibili ai valori posti a fondamento della loro professione, valori che clamorosamente i nazisti avevano disatteso e calpestato. Ma era in ogni caso necessario andare oltre: e il compito a quel punto non spettava piú solo al medico e neppure al chimico: richiedeva la penna dello scrittore. Primo Levi, che da tempo coltivava il proposito di raccontare la propria esperienza di deportato nelle 8 Si veda al riguardo in particolare Annette Wieviorka, Les statuts des déportés,

154 fabio levi e domenico scarpa sue piú vaste implicazioni umane, raccolse la sfida. La prova di questo nuovo impegno è ancora una volta nelle carte dell’Ufficio storico del Cln torinese, conservate anch’esse presso l’Istoreto. Infatti, nello stesso fascicolo che contiene il Rapporto, separato da pochi altri fogli, sta una copia dattiloscritta di Storia di dieci

giorni: l’ultimo capitolo di Se questo è un uomo, ma il primo che

Levi ebbe l’urgenza di scrivere. Sull’ultima pagina della Storia, sotto la firma autografa dell’autore, si legge la data: febbraio 19469. Come dire che i due testi vanno considerati in paralle- lo: concepiti, scritti e diffusi nello stesso periodo, non possono essere presentati quali l’uno la premessa dell’altro. Sono con- frontabili ma indipendenti.

Il Rapporto, nato e maturato in collaborazione con Leonar- do De Benedetti, aveva avuto fortunose vicende e ricopriva ora una sua funzione scientifica. Storia di dieci giorni era tutt’altra cosa: una prova letteraria del solo Primo Levi. Che circolassero insieme negli stessi luoghi e magari anche presso le medesime persone sta solo a dimostrare l’impegno instancabile dei due autori a procedere in piú direzioni. Non è un caso ad esempio che una copia di Storia di dieci giorni identica a quella già citata – destinata a subire ulteriori ritocchi formali prima che la sua versione definitiva chiudesse l’edizione di Se questo è un uomo apparsa nell’autunno 194710 – risulti depositata nello stesso pe- riodo presso la Comunità Ebraica torinese. Ed esiste ancora un terzo archivio dove il Rapporto e il capitolo conclusivo del fu- turo Se questo è un uomo furono depositati insieme: quello del Comitato Ricerche Deportati Ebrei (Crde) che a Roma, sotto la guida del colonnello Massimo Adolfo Vitale, cominciò ben presto le sue indagini, e che anzi, poco dopo il rientro in Italia di Levi e De Benedetti, ne raccolse le prime sintetiche depo- sizioni sul Lager di Monowitz. Il lettore le troverà piú oltre in questo stesso volume.

D’altra parte, non sembra casuale che anche Storia di dieci 9 La stessa data è indicata nella nota su Se questo è un uomo contenuta in Primo

Levi, Opere cit., vol. I, p. 1375.

Nel documento Un testimone e la verità (pagine 157-161)