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I dolori del giovane Tsipras Agenor

Nel documento Senza presente e senza futuro (pagine 110-116)

Alexis Tsipras ha fatto promesse moderate all’estero e progressiste a casa. Se manterrà le prime sarà costretto a tradire il proprio elettorato, se invece vorrà mantenere gli impegni presi con gli elettori dovrà spingersi fin dove ha finora detto di non voler andare

L’importante vittoria di Syriza nelle elezioni greche di domenica scorsa arriva con quasi sei anni di ritardo, anni nei quali i vari governi «tecnici» o «di unità nazionale» sono stati lo strumento per scaricare i costi del «salvataggio» della Trojka sulla popolazione. Le vere difficoltà per Alexis Tsipras, però, iniziano adesso. La sua vittoria da sola non basta a risolvere i problemi del paese e il suo programma sarà seriamente messo alla prova dalla realtà politica, economica e istituzionale.

La posizione ufficiale di Syriza, al momento, è di «non intraprendere azioni unilaterali». Questo vuol dire che non straccerà gli accordi presi, non farà default unilaterale sul debito, non uscirà dalla moneta unica. Gli organi diri- genti del partito hanno deciso di chiedere una «conferenza europea sul debito» nella quale negoziare con i creditori esteri, ormai principalmente istituzionali, un condono del debito esistente, che valga probabilmente anche per altri: in primis Spagna e Portogallo.

Come notato recentemente dal Financial Times, non si tratta di un’idea molto radicale, tanto che è stata proposta da quasi ogni economista mainstream . Come tante altre proposte ragionevoli circolate in questi anni, anche quest’ultima avrà poche possibilità di successo, considerando che dall’altro lato del tavolo ci saranno i paesi creditori, Germania, Francia e Olanda in testa, ma anche la Commissione europea, la Bce, il Fmi.

Il Ministro delle Finanze tedesco, ha già fatto sapere che Tsipras non ha altra scelta che non sia rispettare gli impegni e gli accordi del precedente governo. Se la posizione dei creditori rimarrà questa, ben presto il nuovo governo greco si troverà a un bivio: mantenere la via cooperativa e quindi rivedere drasticamente al ribasso le proprie ambizioni in quanto a condono del debito e rovesciamento dell’austerità, oppure abbandonarla e intraprendere azioni unilaterali.

In campagna elettorale, Syriza ha affermato di volere un condono del debito pubblico che potrebbe arrivare anche al 50% dello stock esistente. Nell’impro- babile scenario di una decisione concordata, implicherebbe una riduzione del debito dal 180% al 90% del PIL. Si tratterebbe di un default importante, ma lascerebbe comunque una mole di debito difficilmente sostenibile in assenza di crescita economica sostenuta. Oltretutto, una volta concordato il default parziale, la Grecia dovrebbe continuare a rispettare la governance economica europea e il fiscal compact. Sarebbe quindi da escludere una scossa in senso espansivo della politica fiscale a seguito di una ristrutturazione del debito.

Le nuove linee guida su un’interpretazione cosiddetta flessibile del Patto di stabilità e crescita, recentemente pubblicate dalla Commissione, possono abbo- nare al massimo qualche decimo di punto di deficit. Faranno guadagnare tempo (poco) a paesi comunque vicini al rispetto dei vincoli (come Italia, Belgio e Francia), ma sono assolutamente irrilevanti nel caso della Grecia. Un discorso simile vale per il programma di quantitative easing lanciato dalla Bce. Con il 2% del capitale della Bce sottoscritto dalla Banca Nazionale greca, solo il 2% degli acquisti riguarderà il debito pubblico greco. Quindi, se anche metà del debito venisse condonato, in base all’assetto istituzionale attuale, le prospettive di crescita per la Grecia non sarebbero molto maggiori rispetto a quelle odierne.

Ma anche immaginando che una maggiore spesa pubblica fosse possibile, magari nel quadro di una rinnovata governance economica europea, questa aumenterebbe il reddito disponibile, quindi (coi cambi fissi) anche il rapporto fra importazioni ed esportazioni, e quindi – a sua volta – il debito estero del paese. In altre parole, pur ripartendo da una situazione più favorevole, si ricostituireb- bero quelle dinamiche che hanno contribuito a portare il paese nella crisi attuale. A fronte di queste considerazioni, il secondo tipo di azione – la ristruttura- zione ‘unilaterale’ – potrebbe comportare di fatto l’uscita dall’unione monetaria. Tsipras si è sempre prodigato nei mesi scorsi per scongiurare questa ipotesi, spiegando che il suo partito non ha assolutamente intenzione di portare la Grecia fuori dall’euro. Tuttavia alcuni esponenti di spicco di Syriza, l’econo- mista Costas Lapavitsas in primis, già dal 2010-2011 avevano sostenuto che l’uscita dall’euro fosse l’unica soluzione per evitare il disastro. Avendo raggiunto un avanzo primario, la possibilità ora è credibile.

Un’uscita dalla moneta unica permetterebbe alla Grecia di completare quell’aggiustamento della bilancia commerciale che ha finora tentato a colpi di

austerità e compressione dei redditi. Il mercato dei cambi lascerebbe la moneta nazionale deprezzarsi, e secondo il rapporto speciale di Moody del 14 Gennaio scorso nel medio-lungo termine, in seguito a un’uscita dall’euro, la crescita in Grecia sarebbe superiore a quella negli altri paesi della zona euro, innescando anche in questi ultimi discussioni in merito all’opportunità di uscire.

Rimarrebbe l’incognita della tenuta del sistema bancario, tenuto ora in vinta dalla liquidità di emergenza fornita dalla Bce. La grossa differenza, però, rispetto all’uscita che poteva avvenire qualche anno fa, è che oggi più dell’80% del debito pubblico greco, rifinanziato in questi anni di aiuti della troika, è ormai emesso sotto legislazione internazionale e non più nazionale. In altre parole, rimarrebbe prezzato in euro e quindi insostenibile, necessitando un default totale. È anche per questo che molti creditori istituzionali stanno abbassando i toni e potreb- bero essere pronti a negoziare con Syriza.

In conclusione, Alexis Tsipras in campagna elettorale ha fatto promesse moderate all’estero (escludendo categoricamente azioni unilaterali) e progres- siste a casa (basta austerià , condono del debito e nuove politiche espansive di sostegno dei redditi), che non sono compatibili fra loro. Se manterrà le prime, sarà costretto a tradire il proprio elettorato, applicando ricette imposte dall’e- sterno e condannandosi a una progressiva ma inesorabile erosione del consenso. Se invece vorrà mantenere gli impegni presi con gli elettori, dovrà spingersi fin dove ha finora detto di non voler andare. Il vero problema politico adesso sarà decidere chi tradire. La speranza è che non ripeta gli errori di tanti governi di sinistra che si sono trovati a quello stesso bivio, anche perchè, dopo Syriza, potrebbe esserci Alba Dorata.

James Galbraith

La Grecia non deve essere costretta a negoziare nel terrore. E l’Europa, da parte sua, non deve avere paura di negoziare con calma, senza aggressività né minacce, in buona fede. Solo se questo accadrà, dei seri negoziati potranno andare avanti

Cinquantaquattro anni fa, durante il suo discorso di insediamento, il presidente John Fitzgerald Kennedy dichiarò, «Non dovremo mai negoziare per paura». «Ma non dovremo mai aver paura di negoziare». Non si trattava delle afferma- zioni cruciali di quel discorso, tuttavia, esse figuravano fra le più importanti. L’obiettivo di tali affermazioni, dirette deliberatamente e indiscutibilmente verso l’Unione Sovietica, era quello di comunicare la necessità che la guerra fredda finisse senza sfociare in un conflitto e che il mondo non continuasse a vivere perennemente investito da tempeste, pericoli e dalle ombre di una guerra nucleare.

L’Europa di oggi ha di fronte a se una negoziato che riguarda il debito e la depressione dell’economia della Grecia. Da un lato si trova il giovane governo greco. Dall’altro le potenze finanziarie europee e del mondo. Oggi come allora, la questione della paura non può essere sottovalutata. Le potenze europee hanno tre strumenti a disposizione in questa fase iniziale dei negoziati. Primo, la Grecia ha dei debiti in scadenza quest’anno che non sarà in grado di rimborsare. Secondo, le banche greche si appoggiano sul fondo di emergenza della Banca Centrale Europea le cui dimensioni potrebbero essere ridotte. Terzo, il Quantita- tive Easing fornisce alla Bce uno strumento capace di isolare gli altri paesi dalla ripercussioni dell’agonia greca. L’Europa potrebbe decidere di utilizzare questi strumenti per portare avanti una politica di minacce utile a perpetuare austerità, preclusioni e miseria per la Grecia.

Le minacce sono nell’aria. Il Telegraph ha fornito una sintesi della recente riunione dei ministri delle finanze europei tenutasi il 26 di gennaio: «...L’eu- rozona ha escluso la possibilità di una cancellazione del debito e ha avvertito la nuova coalizione anti-austerità in merito alla necessità che il nuovo esecu- tivo rispetti gli accordi presi in precedenza. Il portavoce del governo tedesco, il

Signor Steffan Steibert, ha sostenuto, rivolgendosi agli oligarchi riuniti a Davos, che la Grecia deve mettere in atto tutte le misure necessarie affinché la ripresa dell’economia continui. E ciò significherebbe mantenere gli impegni prece- dentemente sottoscritti che vincolerebbero l’attuale governo a un percorso di riforme prestabilito. O, volendo usare l’espressione adottata dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble lo scorso dicembre, «...le nuove elezioni non cambiano nulla...».

Per i greci questi impegni rappresentano uno scherzo crudele. Quale ripresa dell’economia? Quali obiettivi da raggiungere? Se elezioni non cambiano nulla perché tenerle? E ovviamente, la premessa che gli impegni precedenti vanno onorati non è altro che un testardo dogma. Il risultato che si è già ottenuto grazie alla vittoria di Syriza è, sopra ogni altra cosa, l’indiscutibilità del fatto che quando delle politiche sono sbagliate sia necessario cambiarle.

Il primo ministro inglese David Cameron ha riassunto l’attuale prospettiva greca con il tipico understatement britannico. «Quello che le elezioni greche mostrano è un segnale delle difficoltà in cui versa l’economia mondiale, euro- zona compresa. Siamo d’accordo». Quando le politiche falliscono, l’economia declina. I greci non sono soli nell’osservare il fallimento dinanzi ai loro occhi.

Come riportato dal Telegraph, le questioni sul tavolo sono due: il negoziato e il debito. Per quanto riguarda il primo, la Grecia propone di ritornare padrona del proprio destino. L’esperimento del controllo esterno da parte della Troika è stato già realizzato. I risultati sono evidenti. Debbono essere messe in atto nuove politiche tese ad aiutare i bisognosi e i più vulnerabili, utili a stabilizzare l’eco- nomia e a favorirne la ripresa. L’esperienza dei precedenti governi greci non è stata positiva, questo è innegabile. Ma la mano pesante e i diktat che sono seguiti hanno prodotto un disastro.

Il tema della cancellazione del debito è solo in parte una questione di risorse. L’alternativa contenuta nell’espressione «extending and pretending» è, dopotutto, una forma di trasferimento fiscale. Tale pratica, tuttavia, consiste nell’accumulare nuovo debito su quello già esistente, esattamente il meccani- smo attraverso cui un paese viene messo sotto tutela, perennemente obbligato a chiedere la carità. La cancellazione coinciderebbe con il ritorno all’autonomia. Sono proprio la forma e i termini di un tale passaggio che dovrebbero, in parte, essere oggetto dei negoziati. Colloqui con scadenze brevi, coercizione e ultima- tum significherebbero verosimilmente che l’Europa ha già deciso di evitare una

discussione reale mandando a monte i colloqui stessi sin dall’inizio. Se questa è la decisione, allora l’ onere storico di questa, e del caos che potrebbe seguirne, peserà su coloro che se assumeranno la responsabilità

Quanto potere contrattuale ha la Grecia? Ovviamente non molto; le armi pesanti sono dall’altro lato. Ma c’è qualcosa. Il primo ministro Tsipras e la sua squadra possono presentare le loro ragioni senza avanzare minacce di alcun tipo. Dopodiché, la correttezza e la moralità delle loro controparti dovrebbe spingere a tenere le tre armi di cui si è fatta menzione fuori dalla stanza, garan- tendo, in particolare, risorse fiscali e stabilità finanziaria nel corso dei colloqui.

Se questo accadrà, dei seri negoziati potranno andare avanti.

Rispetto a quest’ultimo punto, il ministro delle finanze Greco Yanis Varou- fakis, sembra aver ottenuto credito in Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti mostrando l’esistenza di un ragionevole spazio per la discussione e il cambia- mento. Forse lo stesso accadrà in Italia dopo la visita del ministro. E la cancelliera Angela Merkel si espressa con una moderazione mai sentita prima in Germania. È possibile che si stia anche lei rendendo conto che la scelta che dovrà fare a breve determinerà il futuro dell’intera Europa.

In questa situazione, entrambi i frammenti del discorso del presidente Kennedy preparato, per inciso, da mio padre, sembrano aver valore. La Grecia non deve essere costretta a negoziare nel terrore. E l’Europa, da par sua, non deve avere paura di negoziare con calma, senza aggressività ne minacce, in buona fede.

il manifesto 6 febbraio 2015

I problemi di Atene. E le soluzioni

Nel documento Senza presente e senza futuro (pagine 110-116)