con la fincion, fa veder cose vere
3. Per i Domenicani e gli Agostiniani (1615-1621) La volta di San Domenico a Brescia
L’allontanamento improvviso dal cantiere della Ghiara non fu dovuto allo scarso apprezzamento del lavoro di Sandrini, quanto piuttosto all’impegno da questi sottoscritto, prima del maggio 1615, con i Domenicani di Brescia168. É legittimo immaginare che a far da tramite fosse stato qualche frate che conosceva gli affreschi reggiani. Le fonti, a questo proposito, non forniscono alcuna indicazione, tuttavia si può avanzare un’ipotesi alla luce dei rapporti instaurati dal pittore con un domenicano che, nella seconda metà nel terzo decennio del Seicento, gli avrebbe affidato la decorazione della volta della parrocchiale di Bagolino. Ci si riferisce al padre Serafino Borra, membro di una facoltosa famiglia originaria della Valle Sabbia, ma distintosi, tra il 1607 e il 1608, come inquisitore generale a Modena169. Già prima del 1611 il predicatore, “maestro in sacra teologia”, fu richiamato a Brescia, insediandosi da priore nel convento di San Domenico170. Malgrado il suo nome non compaia tra i firmatari del contratto stipulato con il pittore, non è da escludere che, dati i suoi interessi artistici171, fosse stato proprio lui a suggerire Sandrini per la decorazione della chiesa di Brescia172. La conferma arriva da un’annotazione vergata nel 1627 dallo stesso Tommaso, che ricorderà la
“felice Memoria Del Mol(t)o Reve(rend)o P(adre) Bora [Serafino Borra] poi che desso era ben informato delle grande imperfesione delle cantonate disuguali et altri luoghi difforme della Chesa
168
Se ne era reso conto anche MAZZA (1996, p. 116, nota 35). Non sappiamo come reagirono i padri serviti della Ghiara alla notizia che Sandrini si era impegnato contrattualmente in un’altra impresa, ma è un’ipotesi da tenere in considerazione il fatto che la repentina liquidazione dal cantiere reggiano, nel maggio 1615, fosse dovuta proprio al suo ritorno a Brescia.
169
Su Serafino Borra manca uno studio monografico (alcune notizie in FLOCCHINI 1983). Nominato inquisitore a Modena il 5 aprile del 1607, Borra prese il posto di Arcangelo Calbetti (sul quale si veda ROVERI in Dizionario storico dell’Inquisizione 2010, I, p. 244). A Modena, dove rimase in carica per un anno, fu protagonista di vari interrogatori (CERIOTTI,DALLASTA 2008, p. 149; sulla sua figura, in relazione all’inquisizione di Modena, si veda anche PROSPERI 2009, p. 325, nota 29; GUIDI 2007).
170 Il Borra è definito “priore” di San Domenico sia nel capitolato di costruzione della chiesa, redatto il 23 giugno 1611, sia il 3 febbraio 1612 (si veda nota seguente). In un documento del 9 settembre 1614 Serafino è chiamato “maestro in sacra teologia” (VOLTA 2012, pp. 208-209).
171 Nel 1613 e nel 1614 il Borra sottoscrive, nel convento di San Domenico a Brescia, alcuni incarichi per la costruzione del santuario della Madonna del Pianto a Ono Degno, in Val Sabbia (si veda VOLTA 2012, pp. 38, 206-209; BONOMI 1987, pp. 83-88, con bibliografia; COLOMBO,MARUBBI,MISCIOSCIA 2011, pp. 183 e 233, anche per la pala di Bagolino). Si veda, inoltre, GUERRINI 1956, pp. 101-118 (che segnala “un suo bel ritratto […] nella sacrestia del santuario”); VAGLIA 1964, pp. 353-357.
172 A sottoscrivere il contratto con Sandrini nel 1615 furono frate Benedetto da Oriano, in qualità di “sindaco”, e Aurelio Tabarrini (si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27). Benedetto da Oriano, in un documento del 4 dicembre 1613, è definito “padre priore” (si veda BOSELLI 1976, p. 97).
di San(t)o Dom(enic)o di Brescia che altro rimendio l’industria mia poteva remidiar a simil diffeto…”173.
Che il religioso fosse a conoscenza delle problematiche strutturali relative alla fabbrica di San Domenico, sfociate in un contenzioso con alcune maestranze, la dice lunga sul suo possibile ruolo di committente della decorazione affrescata174.
Collocata extra moenia nella zona sud-occidentale della città, la chiesa di San Domenico risaliva alla prima metà del XIII secolo, ma venne demolita nel 1609 e rinnovata quasi completamente su progetto del pittore-architetto Pietro Maria Bagnadore175. Intorno alla metà del secondo decennio del Seicento la navata unica voltata a botte e conclusa da un profondo presbiterio era pronta a ricevere una veste decorativa176. Nella primavera del 1615 Sandrini sottoscrisse con i padri il contratto per “la pittura della volta della Chiesa loro”177, fissando la conclusione nel giugno 1616178. Il pittore avrebbe percepito 3500 lire planette, distribuite tra l’acconto del 15 luglio 1615179 e altri pagamenti più generosi giunti a metà e a fine opera. Questi ultimi vennero scalati in due fasi distinte tra il settembre e il dicembre del 1616 e tra il marzo e l’aprile del 1617180. Stando a queste date, il lavoro, avviato dopo l’intonacatura della volta, pagata alle maestranze il 15 luglio 1615181, e già a buon punto nella primavera del ’16 (quando venne sottoscritto il contratto con i Fiammenghini per le parti di figura), sembra si sia protratto oltre il dovuto, se è attendibile la testimonianza di Brognoli, che nel 1826 fece in tempo a rilevare la firma “Tomasus Sandrinus perspettivus Fac(iebat) anno MDCXVII”182.
173 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 57.
174 Per ulteriori considerazioni rimando al Saggio introduttivo, pp. 39-41.
175 Il nome di Bagnadore compare nel capitolato della costruzione della chiesa, approntato il 23 giugno 1611 (per questo e altri documenti si veda BOSELLI 1976, pp. 93-100; PRESTINI La chiesa prepositurale di San Lorenzo 1996, pp. 270-271). Sui Domenicani a Brescia si veda GUERRINI 1921a, pp. 218-228 e ID. 1921b, pp. 392 ss; I Domenicani a Brescia 2006.
176 Parte del più antico patrimonio decorativo mobile di san Domenico è confluita presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia (si vedano le schede n. 12, 107, 160, 169, 181, 280 in Pinacoteca Tosio Martinengo 2014)
177 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27.
178 Riporta un’informazione errata FUSARI 2005, p. 80, secondo il quale Sandrini “a San Domenico […] era legato per contratto a eseguire l’opera in due mesi, tra il maggio e il giugno del 1616”.
179 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 28.
180 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, nn. 30-37.
181 Si veda BOSELLI 1976, p. 99. Per quanto riguarda la tecnica pittorica, si rimanda alle specifiche del contratto con Sandrini: “Intendono e vogliono i P(rede)tti Padri che la pittura tutta sia fatta à fresco secondo che sarà intonigata di tempo in tempo e di giorno in giorno, la qual intonigatura sia fatta a spese de pred(e)tti Padri, come anco promettono di dargli i ponti fatti buoni e sicuri p(er) schifare lui, e tutti gli altri contra i pericoli” (Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27).
L’intero complesso subì, in seguito al trasferimento dell’Ospedale maggiore, profonde modifiche sino al totale atterramento a metà Novecento183. Per ricostruire idealmente l’assetto decorativo è quindi necessario ricorrere alle fonti. La prima notizia è fornita da una cronaca, che alla data 1615 riporta come
“di quest’anno ridotta a perfezione la Chiesa di S. Domenico si comincia a dipingere, et il Prospettista è il s(igno)r Tomaso Sandrino veramente pittore celeberrimo in quella professione”184.
Nel XVII secolo gran parte degli storiografi, da Ridolfi a Faino e Cozzando, furono concordi nel riferire al pittore “il volto grandissimo di q(ues)to tempio”, realizzato
“à chiaro et schuro tutto finto à prospettiva con colondi (sic) et altri cose fatte con grandi maestria vi è posto in fogliami finti di bronzo et arabeschi oro in quantità”185.
Per avere un’idea di come si presentasse l’insieme bisogna affidarsi al resoconto di Averoldi, secondo cui la volta della chiesa segnava una “lunghezza fino al coro […] di sessanta passi andanti, e per larghezza vintiquattro”186. Passando in rassegna “la prospettiva del volto”, l’erudito inoltre annotò che:
“Què comparti sì ben distinti, quelle Colonne sì ben ripartite paiono cadenti, e sono ritte, paiono ritte, e sono cadenti; ovunque volgiate o le pupille, o il piede, per ogni parte vi vengono in prospettiva, e conforme li vari aspetti dell’occhio, si van’addrizzando sul punto, e col girare de’ sguardi s’uniscono nel centro le linee più lontane. Quella degradazione sì ordinata, quel chiar oscuro sì naturale, ora ombreggiato da lieve tinta, ora caricato di gagliardi risalti con la forza
183 Le vicende del trasferimento dell’ospedale dalla “crociera di San Luca” alla zona su cui insisteva il convento di San Domenico sono ripercorse da ROBECCHI 2001. Il primo trasferimento dell’ospedale nella nuova sede avvenne nell’aprile del 1847, e non intaccò la chiesa di San Domenico (che nel 1848 fu donata all’ospedale dal governo provvisorio istituito durante la prima guerra di indipendenza; il passaggio di proprietà della chiesa verrà formalizzato soltanto nel 1864). Soltanto in seguito alle critiche per la mancanza di aria salubre, causata, secondo alcuni, proprio alla mole della chiesa che negava il passaggio di aria nelle zone dei chiostri, si decise di atterrare la chiesa. In questo contesto vanno ricondotti i due disegni dell’architetto Antonio Dall’Era (purtroppo non più reperibili) delle volte della chiesa di San Domenico (datati 1870). Inizialmente fu demolito il presbiterio e solo a partire dal 1882 l’amministrazione dell’ospedale (di deciso orientamento zanardelliano) decise di procedere con il totale atterramento della chiesa, “che toglieva salubrità all’Ospedale civile e che sapientemente ora è convertita in uno stabilimento balneario” (da “La provincia di Brescia”, 31 maggio 1884).
184 BIANCHI [1630], ed. 1930, p. 96. In realtà le pitture di Sandrini vennero citate anche nella cronaca di Bernardino Vallabio, alla data errata del 1577: “Il Tempio parimente di S. Domenico hà avuto l’ultima compitezza; per il che per la disposizione della fabrica, e vaghezza della Pittura fatta per mano di M. Tommaso Sandrino nostro Bresciano, si può annoverare tra le più belle che habbiamo” (GUERRINI 1927, II, p. 190).
185 FAINO [1630-1669], ed. 1961, p. 72.
186 AVEROLDO 1700, pp. 120-121. Sull’apporto critico di quest’ultima opera letteraria si veda NICHILO 2007, pp. 196-214.
dell’ombra, e con gli sbattimenti de’ lumi divelti dalla superfizie, come perfettamente và imitando i scalpelli! Là quel Quadrato da mezzo sostenuto da modiglioni, arrichito da mensole, come fino alle stelle vi porta la vista!”187.
Nello stesso periodo anche Paglia descrive gli affreschi, soffermandosi sull’abbondanza decorativa e sulla capacità di finzione delle pitture:
“Entriamo adunque nella maestosa Chiesa di S. Dom(enic)o […] La sublimità dell(a) quale porge all’occhio si bella distanza, che sembra assai più del suo essere altissimo: mercè non solo della Fabbrica illustre, mà dell’Architettura industriosamente dipinta et eroicamente compartita, che basta per mostrarsi più naturale, che Artificiale. […] Io non posso ritenermi nel dub(b)io del verisimile, tanto s’approssima al vero quanto s’allontana dal finito; Ben pò invidiarsi cotesta bella veduta, ma non già mai imitarla: mentre supera di gran longa ogni imaginatione.
Veramente bisogna dire, Hà tanta veemenza che rapisse la stessa maraviglia; è con contrasti si vantaggiosi proveduti di forza et di maniera, constringono ad’ ammirare quelle pietre mentite, què marmi finti, è què sentimenti di distributione et de portimenti cosi regolati all’altezza et alla vastità della Chiesa; che nella bellezza dell’ordine, nell’isquisitezza del dissegno, nella vaghezza delle tinte, et nella corispondenza delle figure, nella varietà de gesti ben intesi, et nell’aggiustatezza delle degradazioni ottimamente concertate; fingendo Archi, concavi, modioni, piedestali con sporti rilevati che in fora rissaltano; et con Base fondamentali che ergendo quarantaotto colonne così rotonde e ben fatte che spiccando dal muro in si fatta maniera portano in alto la Volta in modo, che pare un occhiata distante; corispondendo questa à membri disopra con ragionevole misura degl’ Architravi, frontespici, uovoli, dadi, reguadramenti et simili; con la bizzaria de freggi, con la diligenza de cartelami, con la diversità de arabeschi parte adorati è parte lumati d’oro e’n varie guise dipinti, che confondono l’occhio à fine d’istupidirlo. Et con mezzi eccellenti di proportione et ordine di distanza, dimostrano scurci cosi artificiosamente coloriti, che sembrano pietre vere, è non finite; non potendo certificarsi, se da vicino non si tocca”188
Un valido complemento alle antiche descrizioni è fornito da alcune testimonianze figurative. Se la critica già conosce due acquerelli ottocenteschi che documentano l’aspetto della volta e, forse anche del presbiterio della chiesa, è recente l’identificazione del disegno preparatorio conservato presso il Département des Arts graphiques del Musée de Louvre (D. 5). A fugare ogni dubbio sulla sua paternità è la scritta che lo accompagna in basso a destra:
187 AVEROLDO 1700, pp. 120-121.
“Il presente disegno di M(esse)r Tomaso Sandrini è quello sot(toscri)tto del quale / si fa mentione nello scritto formato tra Padri d(e) S(an)to Dom(eni)co / detto M(esse)r Tomaso per dipinger la chiesa d(e) S(an)to Dom(eni)co di / Brescia. Publicato sotto il dì di genna(i)o 1615 / Io Tomaso Sandrino chonfeso questo eser mio disegno presentato chome di sopra” 189.
Una considerazione a margine consente di precisare il discorso relativo al periodo reggiano del pittore e, soprattutto, alle circostanze della sua conclusione. Alla luce infatti della scritta appena ricordata, parrebbe che il progetto fosse stato presentato ai bresciani nel mese di gennaio 1615, in anticipo rispetto alla presunta data del contratto, fissata a ridosso del “principio di Maggio p(ro)ss(i)mo di quest’anno 1615”190. C’è da immaginare, dunque, che durante la pausa invernale dall’impegno in Ghiara Sandrini fosse rientrato a Brescia per intavolare le prime trattative coi Domenicani di questa città, senza però sottoscrivere alcun impegno formale, dal momento che era contrattualmente vincolato ai fabbricieri reggiani. Inoltre, come si precisa nel contratto, la costruzione della volta di San Domenico in quel periodo andava ancora “terminando”191, e perciò non sarebbe stato comunque possibile iniziare prima il lavoro. La data del primo acconto, luglio 1615, mi pare confermare che l’inizio della decorazione non avvenne prima dell’estate. Tenendo presente questa concatenazione di eventi, si può immaginare che l’improvvisa partenza del pittore da Reggio, nella primavera del 1615, abbia suscitato un certo risentimento dei reggiani, visto che, a quella data, gli affreschi della cupola erano tutt’altro che terminati, mancando all’appello le figure di Leonello Spada. Ad ogni modo queste circostanze non inficiarono i rapporti del bresciano con i fabbricieri della Ghiara, dal momento che, nel 1620, verrà richiamato per una consulenza.
Tornando al disegno del Louvre, si tratta ad evidenziam del progetto citato all’inizio del contratto:
“S’obliga d(ett)o M(e)s(sser) Tomaso à dipingere detta Chiesa dal Cornisone maestro in su conforme al disegno da lui presentato alli Predetti Padri, riconosciuto e sottoscritto da lui e dalli Padri…”192.
Secondo una procedura consolidata, Sandrini sottoscrisse l’impegno dopo aver fornito il progetto, affinché i committenti potessero
189
Si veda Disegni di quadratura, D.5.
190 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27.
191 Così si specificava nel contratto (si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27).
“anco far veder e considerare da periti e conforme a quello si sarà giudicato emendarlo et alterarlo senza però crescer la fattura”193.
Si tratta di una testimonianza grafica utilissima per comprendere le modalità con le quali Sandrini presentava le proprie idee, prima di realizzare gli affreschi. Il pittore era certamente consapevole di quanto fosse difficile restituire, attraverso un disegno, il complicato effetto prospettico generato dall’alternanza di “archi, concavi, modioni, piedestali con sporti rilevati che in fora rissaltano”194. Per questo motivo propose una sorta di “esploso”, in cui le varie parti non sono regolate dalla medesima prospettiva: la fascia più bassa del foglio, che corrisponde alle lunette delle finestre, adotta una visione frontale, mentre la parte alta cerca di rendere, con maggior senso dello spazio, la fuga delle colonne e degli elementi illusivi195: E’ poi interessante osservare che il disegno riguarda soltanto una porzione della grande volta di San Domenico: si tratta di una modalità tipica della progettazione architettonica, che preferiva fornire un dettaglio rifinito in tutte le sue parti.
Per quanto riguarda invece le parti di figura, tra cui le finte statue degli archi e le scene nei cartigli alla base, le fonti, a partire dal Faino, danno precise indicazioni sull’autore di questi settori, eseguiti a monocromo:
“vi è molte figure di chiaro et scuro di colore beretino: padri et papi et vescovi et santi dil Giugno fatti bene, con molte istoriette di chiaro et scuro, cose di color rosso, cermasino, virde del sudetto Giugno”196.
La collaborazione tra Sandrini e Giugno inizia dunque dalla progettazione e riguarda i “chiaro scuri”, vale a dire le statue e i bassorilievi. Diversa, invece, era la procedura seguita nel caso delle grandi scene figurate al centro della volta, per le quali il quadraturista si limita a disegnare gli spazi e le cornici, lasciando vuoti i campi destinati ad accogliere le istorie197.
Passiamo all’analisi di due acquerelli realizzati nell’Ottocento da un allievo dell’École des Beaux Arts di Marsiglia: pur essendo attualmente irreperibili e conosciuti soltanto attraverso fotografie in bianco e nero, essi forniscono la più ampia panoramica disponibile198. Il primo
193 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27. E’ probabile che il disegno del Louvre fosse l’unico sottoposto ai committenti, poiché nel contratto si parla di “disegno” al singolare.
194 PAGLIA [1660-1701], ed. 1967, p. 343.
195 N è escluso che Tommaso fosse a conoscenza delle pratiche disegnative degli architetti; su questo argomento rimando alle considerazioni che ho espresso nel Saggio introduttivo.
196 FAINO [1630-1669], ed. 1961, p. 72.
197
Di questo argomento si parla diffusamente nel Saggio introduttivo, pp. 33-36.
198 Pubblicati per la prima volta da PANAZZA (1981, IV, p. 151, catt. G XLIV 40-41), e segnalati presso gli Ospedali Civili di Brescia. A una attenta ricerca nell’archivio degli Spedali (condotta grazie a Cinzia Agnelli e alla dott.ssa Chiara Benedetti), non mi è stato possibile rintracciare i due fogli, che vanno quindi considerati
registra l’intero spazio pittorico della navata, divisa in campate che corrispondevano al numero delle cappelle, “cinque per parte”199 (foto 149). Su ogni lato della volta a botte si sviluppava una finta loggia con una balconata intervallata da coppie di basamenti aggettanti su cui poggiavano altrettante colonne, ribattute alla parete interna (foto 150). Come a Rodengo e in San Giovannino a Reggio, dal loggiato si aprivano altri ambienti laterali introdotti illusionisticamente da arcate a tutto sesto. La tipologia delle balaustre, arricchite dal dado centrale e da mensole decorate da foglie di acanto, consente di accostare la volta bresciana a quella di San Giovannino, di un anno precedente. Questa analogia conferma che l’impianto illusorio del “doppio loggiato” fosse divenuto prerogativa di Sandrini a partire dal 1614-1615200.
La differenza in San Domenico è rappresentata dalla soluzione adottata nel centro. Se in San Giovannino le tre scene di figura erano inquadrate da cartigli, in questo caso prendono posto entro finte mensole. I cartigli, pur presenti, riempiono gli spazi tra una scena e l’altra, ospitando ulteriori raffigurazioni a monocromo, quasi certamente da attribuire, come quelle alla base della volta, a Giugno. Furono probabilmente destinate a questi ultimi settori le finiture dorate riscontrate dagli osservatori antichi, che ricordavano i chiaroscuri “parte adorati e parte lumati d’oro”201. L’ingente spesa per il prezioso materiale fu oggetto di discussione, tanto è vero che i committenti ritrattarono gli accordi iniziali, specificando in una postilla del contratto che “il pred(ett)o M(e)s(ser) Tomaso s’obliga alla meta della spesa ch’andarà à metter l’oro no come si diceva di sopra che si do dovesse metter tutto à spese delli Padri”202.
L’identificazione degli autori delle tre medaglie figurate al centro della volta (illeggibili nell’acquerello ottocentesco), è possibile grazie alla testimonianza delle guide e ad alcuni disegni preparatori che aiutano a precisare i soggetti: i due episodi di Cristo giudice, la Vergine e i santi Francesco d’Assisi e Domenico203 (foto 151), un tempo collocato “nel vano verso il coro”204, e l’Assunta al centro della volta, spettavano a Giovan Battista Della Rovere, coadiuvato dal fratello Giovan Mauro, mentre il terzo episodio, “nel primo campo vicino alla porta”205, con I santi dispersi. Bisogna avvertire il lettore che le due fotografie qui segnalate sono state fornite dall’Archivio dei Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia (ringrazio Piera Tabaglio). Le fotografie presentano notevoli problemi di lettura, tra i quali, il più importante, è che sembrano il frutto di interpolazioni che hanno arbitrariamente unito le fotografie relative al presbiterio e alla navata della chiesa; si è dunque pensato di pubblicarle cercando di restituire, per quanto possibile, il loro aspetto originale.
199 FAINO [1630-1669], ed. 1961, p. 70.
200 Per l’analisi delle varie tipologie illusionistiche adottate da Sandrini durante tutto l’arco della sua attività si veda il Saggio introduttivo.
201 PAGLIA [1660-1701], ed. 1967, p. 343.
202 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 27.
203
Pubblicato da Loda 2013, pp. 481-486.
204 MACCARINELLI [1747-1751], ed. 1960, p. 60 (si veda anche per la citazione seguente).
205 Secondo FAINO [1630-1669], ed. 1961, p. 72 “in unno [dei tre quadroni centrali] vi è la beata Vergine portata dagli angioli con divinità et molti angioletti fatto da Marco (sic) Mauro detto il Fiamenghino milanese; il
Pietro, Paolo e Domenico (foto 152), era opera di Giugno. Rispetto al connubio stretto ormai da tempo con quest’ultimo, che contemplava un legame di fiducia anche per questioni di natura economica206, nel percorso di Sandrini è una novità la collaborazione con i fratelli Della Rovere. Il loro intervento, il primo di una prolifica attività nel Bresciano, è scandito dal contratto stipulato con i Domenicani il 18 aprile 1616207. Il risultato dovette soddisfare le attese di tutti, tanto è vero che pochi anni dopo, a ridosso della morte di Giugno nel 1621, si sarebbe riproposta l’accoppiata tra il della Rovere e Sandrini nella parrocchiale di Bienno.
Meno scontata è invece la lettura del secondo acquerello ottocentesco relativo alla chiesa bresciana, che pare riferirsi al soffitto del presbiterio di San Domenico (foto 153). Non è dato