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I trionfi bresciani (1621-1629) La volta della parrocchiale di Bienno

con la fincion, fa veder cose vere

4. I trionfi bresciani (1621-1629) La volta della parrocchiale di Bienno

E’ ancora piuttosto recente il riferimento a Sandrini e alla sua bottega di un ciclo d’affreschi nella parrocchiale di Bienno in Val Camonica, intitolata ai santi Faustino e Giovita249 (foto 198). Tale attribuzione è stata rafforzata anche alla luce dell’attività, svolta nella medesima chiesa, del pittore milanese Giovan Mauro Della Rovere, che firmò alcuni affreschi nel 1621. La presenza del Fiammenghino a Bienno, per eseguire le figure della volta e di alcune cappelle, entro un complesso impianto di architetture prospettiche, non può che richiamare la precedente collaborazione con Sandrini nella chiesa di San Domenico a Brescia. Non sembra del tutto casuale che nell’architettura della parrocchiale biennese gli studiosi abbiano avvertito analogie proprio con la chiesa domenicana, una considerazione che ha suggerito la candidatura dello stesso progettista, Pietro Maria Bagnadore250. Ancora più significativa è però la “dipendenza non solo storica, ma fisica e pastorale”251 della parrocchiale di Bienno dal cenobio benedettino di San Faustino e Giovita di Brescia, che dal 1570 aveva il giuspatronato sulla chiesa, amministrandola tramite un monaco parroco252. Questo rapporto pare tanto più significativo se si considera che Sandrini, nel corso della seconda metà del terzo decennio del Seicento, si dedicherà alla sua impresa più impegnativa proprio nella chiesa dei benedettini a Brescia. Una coincidenza che pare sintomatica del legame instaurato con l’ordine, che deve aver agevolato la presenza del pittore in entrambi i cantieri.

La riedificazione dell’antica chiesa biennese ebbe inizio nel 1614 e si concluse nel 1620, durante l’episcopato del veneziano Marino Giorgi, come attesta un’epigrafe in controfacciata253. Sul modello di San Domenico a Brescia, terminata nel 1615, anche a Bienno l’edificio presenta

249 L’attribuzione è stata formulata da BIZZOTTO in Arte in Val Camonica 2000, IV, p. 334.

250 Sulla parrocchiale di Bienno mi limito a segnalare i contributi non citati nella nota precedente: OTTINO DELLA

CHIESA 1963, pp. 260-262; PERONI 1964, p. 875; MORANDINI 1972, pp. 145-146; ANELLI 1973, p. 24; FERRI

PICCALUGA 1989, p. 117; BOTTICCHIO 2000, p. 5; MORANDINI in Arte in Val Camonica 2000, p. 496 (con il parere di Volta in favore di Giovanni Battista Lantana).

251 FUSARI 2005, p. 63 (con bibliografia).

252 La data si ricava dal Constitutum del rettore di Bienno, don Doroteo de Tabarinis, nella visita pastorale del vescovo Marino Giorgi del 22 ottobre 1602 (per le visite pastorali camune si veda La visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo Brescia 2004). La prima testimonianza dell rapporto tra la chiesa di Bienno e quella di San Faustino a Brescia risale al IX secolo (si veda BONTEMPI 1996, pp. 73-77). All’inizio del XII secolo è menzionata la “cappella di San Faustino dentro il castello di Bienno” (PRESTINI 1999, pp. 345-346).

253 Il primo a segnalarla e a trascriverla fu BERTOLINI 1973: “Questo tempio / incominciato l’anno 1614 / a spese della Comunità / e per autorità dell’Ecc(ellentissi)mo e / Rev(erendissi)mo / Vescovo di Brescia / fu portato unanimamente / a questa perfezione / l’anno 1620”.

una sola navata voltata a botte, su cui Sandrini approntò le sue architetture prospettiche con figure del Fiammenghino. I soggetti riguardano temi neo e veterotestamentari: procedendo dalla controfacciata al presbiterio, entro alcuni cartigli si possono facilmente individuare Mosè riceve le tavole della legge (foto 199), la Trasfigurazione (foto 200), l’Ascensione (foto 201), la Pentecoste (foto 202), l’unica di cui conosciamo anche il disegno254, e l’Eterno in gloria (foto 203). I cinque episodi, inquadrati da cornici arricciate simili a quelle di San Giovannino a Reggio, sono collegati da medaglie a monocromo (foto 204-206), con le Virtù teologali e cardinali (con l’aggiunta della Mansuetudine) e i Quattro evangelisti.

A Bienno viene adottato la soluzione già riscontrata nei presbiteri di Candiana e San Domenico: il “doppio loggiato” è sostituito da possenti mensoloni inframmezzati da finestre sbarrate, che mostrano uno scorcio di cielo (foto 207-208). La differenza, tuttavia, consiste nel fatto che la tipologia “a mensola” non è applicata alla zona presbiteriale, bensì all’intera navata. Sandrini rinuncia ad accentuare l’altezza della chiesa, organizzando lo spazio per conferire un preciso assetto alle scene. Gli affreschi proseguono sulle pareti della navata: la fascia più bassa presenta coppie di Profeti, anch’essi del Fiammenghino, entro finte nicchie. Se per le soluzioni illusionistiche principali l’attribuzione a Sandrini pare fuori discussione255 (foto 209-210), e pare confermarlo anche l’alta qualità delle finiture dorate e dei classici girali sul tono del verde (foto

211-213), va però osservato che alcune decorazioni palesano una tenuta esecutiva inferiore e un

disegno più calligrafico, mai riscontrato fino ad ora nel repertorio di Tommaso e per questo imputabile a qualche membro attivo nella sua bottega (foto 214). La critica ha voluto identificare il collaboratore in Ottavio Viviani, che secondo alcuni fu presente a Bienno insieme al fratello Stefano Viviani, a cui è stata riferita, in via ipotetica, l’Annunciazione sull’arco trionfale256. Purtroppo Il nome di Ottavio si può ipotizzare a ragion veduta per il fatto che, nel corso degli anni quaranta del secolo, fu operoso nella basilica di Santa Maria in Valvendra a Lovere, non distante

254 Per il disegno preparatorio della Pentecoste (penna e matita marrone con rialzi a biacca; 335 x 235 mm) si veda LODA 2013, pp. 489-491.

255 Recentemente ha però trovato l’opposizione di VIRGILIO 2005, p. 148, che riferisce al Fiammenghino anche le prospettive architettoniche. Sebbene sia stato identificato un disegno di quadratura di Giovanni Battista Della Rovere (Parigi, Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 12030; cfr. Gênes triomphante 2006, pp. 92-94), mi sento di escludere che il milanese sia l’autore delle finte architetture di Bienno.

256 Per l’attribuzione a Stefano Viviani si veda FUSARI 2005, p. 87. A proporre la possibile partecipazione di Ottavio Viviani è BIZZOTTO (in Arte in Val Camonica 2000, IV, p. 334, nota 54), che “ha sottolineato alcuni particolari comuni tra questa volta e quella del Carmine di Brescia, cioè le pigne dorate rovesciate a mo’ di bulloni; vi aggiungo le bordure simulanti fettucce intrecciate o arrotolate su se stesse, le volute delle mensole che sorreggono le arcate, il gusto del contrasto tra colori ramati e grigi nei finti bassorilievi e le loro cornici”.

da Bienno, e nella stessa chiesa biennese tornò sicuramente entro il 1646, per dipingere alcune cappelle insieme a Pietro Ricchi, pittore con il quale strinse un sodalizio257.

Le cappelle la cui parte figurativa spetta invece al Fiamminghino palesano, per quanto riguarda le quadrature, una sigla stilistica diversa da quella tipica di Sandrini, perciò mi sento di escludere la possibilità che il pittore bresciano vi abbia messo mano, come invece recentemente ipotizzato258. Il suo intervento a Bienno va circoscritto all’impostazione della volta, ed è probabile che nell’esecuzione sia intervenuta ampiamente la bottega. Del resto, proprio a partire da questo periodo si comincia a riscontrare, nei cantieri gestiti dal pittore bresciano, una sempre maggior partecipazione di maestranze qualificate che lo affiancarono (lo si vedrà sia in San Giorgio a Bagolino sia in San Faustino a Brescia). Per quanto concerne la cronologia, la data 1621 lasciata da Giovan Mauro Della Rovere in due diversi punti indica che le quadrature, a questa altezza, fossero a un avanzato stadio di finitura259. L’inizio del lavoro di Tommaso dovrà di conseguenza cadere intorno al 1620, epoca entro la quale la riedificazione della parrocchiale era ultimata260. Per quanto riguarda le ragioni della presenza del pittore in Valle Camonica, mi pare interessante segnalare quantomeno che il suo antico maestro Bulgarini fu convocato a Vione nell’ottobre 1619, per realizzare una soasa intagliata e dorata, tutt’ora conservata nella parrocchiale di San Remigio261.

257 Su Viviani si veda il Saggio introduttivo, pp. 51-54. Condivido l’attribuzione a Ottavio Amigoni degli affreschi della cappella di san Benedetto e di San Giuseppe (FUSARI 2005, p. 79) e a Pietro Ricchi delle scene nella cappella di Sant’Orsola e Caterina d’Alessandria (DAL POGGETTO 1996, pp. 225-226).

258 Si veda FUSARI 2005, pp. 98-115, che individua la mano di Sandrini anche negli affreschi delle cappelle degli Angeli, del Santissimo Sacramento, del Rosario e di Sant’Agostino.

259

Come è già stato osservato in altre occasioni, è assai probabile che le quadrature venissero realizzate prima delle figure. Il cartiglio vicino al profeta Michea nello scomparto sopra la cappella di Sant’Agostino recita: “IO MAVRVS DE ROBORE DICVTS FIAMENGHINVS PINXIT ANNO MDCXXI” (si veda FUSARI 2005, p. 76, note 61-62 riferisce che “i restauri furono compiuti dal bergamasco Tino Belotti che a memoria del suo intervento ha lasciato una scritta ai piedi del profeta Amos che indica la data di conclusione dei lavori: «1966: Restaurò Pittore Belotti»). Un’altra scritta è apposta sul cornicione che sovrasta la medesima cappella, la seconda di destra, giuspatronato della locale famiglia Bontempi (si veda FUSARI 2005, pp. 81-82).

260 L’ipotesi è che “Sandrini abbia realizzato il suo lavoro in un breve lasso di tempo” (FUSARI 2005, p. 80). L’attività di Giovan Mauro Della Rovere per la parrocchiale biennese proseguì con l’esecuzione di due pale per le cappelle del Santissimo Sacramento e di Sant’Agostino, ancora conservate in chiesa (entrambe firmate e datate 1622).

Le volte di Santa Maria del Carmine a Brescia

La prima notizia relativa al rinnovamento seicentesco della chiesa Santa Maria del Carmine a Brescia è fornita da un cronachista, che nel 1620 annota: “di quest’anno si comincia la Chiesa del Carmine facendosi li volti alle due navi, dipinti”262. Questa testimonianza consente di seguire la progressione della costruzione e, soprattutto, della sua decorazione, a cui partecipò, dapprima parzialmente poi sempre più da protagonista, Tommaso Sandrini. L’indicazione non lascia dubbio sul fatto che i lavori nell’originario ambiente carmelitano incominciarono dalle navate laterali. Ciò è confermato dal contratto relativo alla volta della navata maggiore, del 12 agosto 1622, e dalla testimonianza di padre Guarganti, secondo cui nel 1618 “Thomae [Vineta] solertia fornices tres ex parte sepulchri constructi, et pretio lire 200 in singulo depicti”263.

Se si osservano gli affreschi delle volte della navata destra e delle prime due campate di sinistra (partendo dalla controfacciata), si ha l’impressione di una certa unità complessiva, segno che questi settori furono concepiti secondo un unico progetto che prevedeva la ripetizione degli stessi moduli. Si tratta di interventi da riferire a maestranze non ancora identificate, che rielaborano spunti dagli “episodi ornamentali della coeva gran volta della vicina chiesa della Madonna delle Grazie [sullo] stile degli stuccatori ticinesi del primo Seicento”264. Per la loro datazione fa fede il 1622 iscritto in un punto poco visibile della navata destra, termine che vale come post quem anche per la seconda campata di sinistra, dedicata alla carmelitana Teresa d’Avila, canonizzata in quell’anno265. La campagna relativa a pale, altari e affreschi si protrarrà sino al 1630, data segnata a chiare lettere sull’epigrafe dell’arco trionfale della chiesa (foto 215).

Gli affreschi della terza, quinta e sesta campata della navata sinistra, dedicate rispettivamente a Santa Cecilia, all’Ascensione e a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, e quelli della seconda cappella di destra (di Sant’Eligio o degli orefici), mostrano invece un linguaggio aderente ai modi di Sandrini266. La sesta campata – a cui s’è già accennato in precedenza per un confronto con la volta della cappella del Sacramento di San Giovanni a Brescia – presenta una decorazione che

262

BIANCHI [1630], ed. 1930, p. 133. Per le vicende edilizie e costruttive della chiesa si veda MEZZANOTTE

1991, pp. 11-21; VOLTA 1991, pp. 25-119.

263 GUARGANTI, ms. cod. II Mantuana [1645], II 5, f. 133r (si veda VOLTA 1991, p. 116, nota 175). Sempre Guarganti afferma che nel 1621 “le volte laterali sono costruite per ordine di Tomaso Vineta e dipinte dal Viviani”. Purtroppo non abbiamo notizie sul committente.

264 VOLTA 1997, p. 51. Per qualche ipotesi attributiva concernente gli affreschi delle volte delle navate laterali, in relazione a un certo pittore Giovanni Antonio Zanone, si veda ID. 1991, p. 117, nota 201.

265 Se ne è accorto Volta 1991, p. 85. Per la decorazione delle cappelle si veda PRESTINI 1991, pp. 202-203; MASSA 2001.

266 Se ne è accorto VOLTA 1991, pp. 74-79; ID. 1997, pp. 51-52, che riferisce queste tre cappelle alla mano di Tommaso Sandrini, coadiuvato, per la parte delle figure, da Camillo Rama. Gli affreschi della quarta campata di sinistra, invece, si tratta di un intervento più tardo, probabilmente settecentesco.

coinvolge la parete, dove si riscontra la mano di Francesco Giugno nella Resurrezione e nel Mosè ed Elia, e, più in basso, entro nicchie sovrastate da edicole, nei Santi Pietro Tommaso e Andrea carmelitano267 (foto 216). Malgrado nel basamento delle colonne che sostengono l’altare sia incisa la data 1625, l’identificazione di Giugno (autore anche di una pala per la cappella di Sant’Eligio268) obbliga a contenere la cronologia entro il 1621, anno della sua morte269. Lo stile dei girali e dell’edicola in alto, da cui sporgono i tipici elementi pendenti, sembra fugare qualsiasi dubbio sulla partecipazione di Tommaso, come peraltro confermava anche il Faino, secondo il quale la volta della “Capela del Cristo sostenuto dali angioli è dipinta dal Sandrino”270 (foto 217). Al Carmine si consumò dunque l’ultimo atto della collaborazione tra i due, avviata sui ponteggi del refettorio di Rodengo e interrotta solo in occasione della parentesi emiliana di Tommaso, tra il 1613 e il 1615. Secondo Paglia i due pittori avevano dipinto insieme anche la casa “in faccia al Carmine”271, cioè di fronte all’ingresso della chiesa, dove alla fine del Seicento si poteva ancora osservare

“sopra la Speciaria una facciata di bellissima Architettura dipinta, che forma vaga Loggia adorna di Balaustri spiccanti, in mezzo della quale siede una consulta de Medici, che invero sembrano vivi, ed una Donna di aspetto senile, che à lenti passi se ne và con bel moto portando un vaso di medicina, rivolgendosi pallida, e quasi dubbiosa di portar’ all’Inferno la morte, ò la vita. Le altre figure di color bronzino, dinottano Ipocrate, Galena, et Avicenna et altri come Auttori antichi di quella p(er) aderire al Sogetto. Opera à fresco colorita con gran dolcezza, delle mani del Zugno, et del Zandrini”272.

Non resta più nulla di queste testimonianze, forse il primo intervento di Sandrini nella zona del Carmine273. La sua presenza in chiesa già prima del 1621 fornisce in ogni caso un’acquisizione

267 Ringrazio per la segnalazione, avvenuta in forma orale, Fiorella Frisoni. Per la pala dell’altare si veda FRISONI

2008, pp. 143-176.

268 Si trova nella seconda cappella della navata destra e raffigura La Madonna col Bambino tra i santi Eligio e Giovanni Battista (su questa pala si veda BEGNI REDONA in La chiesa e il convento di Santa Maria del Carmine 1991, pp. 204-205). Sull’ipotesi che il committente possa essere il frate Aurelio Manerba, lo stesso il cui nome è iscritto sul quinto altare, adiacente a questo, si veda PRESTINI 1991, pp. 202-203; a proposito dell’altare si veda MASSA 2001, pp. 22-25, che attribuisce impropriamente gli affreschi della cappella a Sandrini.

269 Sull’altare addossato al muro di questa campata si veda MASSA 2001, pp. 38-41.

270 FAINO [1630-1669], ed. 1961, p. 80.

271 PAGLIA [1660-1701], ed. 1967, p. 710.

272 IBID, p. 136.

273 Come sostenuto da PRESTINI 1991, p. 195, che ha precisato il nome del proprietario della casa: Orazio del fu Persio Porta. Credo che si riferiscano proprio alla “spezieria” le scritte ancora leggibili sulle finestre della casa posta di fronte alla chiesa: l’iscrizione recita “MIRA CHE DIO TI MIRA / CHI MAL VIVA MAL MVORE / PENSA ET POI FA”. Gli affreschi sono segnalati anche da RIDOLFI (1648, ed. 1914-1924, I, pp. 256-257): “all’incontro della Chiesa del Carmine dipinse nella casa d’uno spetiale una consulta de’ Medici sopra certo infermo, alla quale fece gli ornamenti il Sandrino detto” e da MACCARINELLI ([1747-1751], ed. 1960, pp.

252-importante. Archiviata la progettazione del ciclo di Bienno, il pittore dovette impostare la navata sinistra della chiesa carmelitana, per poi attendere all’impegnativa impresa della volta maggiore. Come a Bienno doveva essere assistito da una bottega che si serviva dei suoi disegni e cartoni, secondo una prassi sempre più evidente nel corso del terzo decennio, sia nella chiesa dei Santi Faustino e Giovita a Brescia sia nella parrocchiale di San Giorgio a Bagolino. A maestranze della stessa cerchia, all’opera verosimilmente sotto la sua supervisione, dovrà spettare l’esecuzione della terza e quarta campata della navata sinistra del Carmine, che per motivi stilistici non possono essere riferite al pittore274.

Nessun dubbio, invece, sulla paternità delle quadrature della volta maggiore, costruita a partire dal 12 agosto 1622 e ultimata nel giro di un paio d’anni275. Stando alla testimonianza del Guarganti, l’unico a fornire l’entità del pagamento, gli affreschi della “nave di meggio” furono realizzati nel 1625:

“per ordine di padre [Tommaso] Vineta venne dipinta, nello stesso anno, la volta mediana della chiesa da Tomaso Sandrini primo nell’arte [della prospettiva] per il prezzo di lire 2000”276.

L’attribuzione fu accolta immediatamente, tanto è vero che il 22 ottobre 1639 il notaio Marcantonio Cosio annotava:

“la chiesa di prima era antichissima, et [hora] si ritrova tutta abellita, ad aver fatto il volto a tutte tre le navi benché molto longa, et grande; et tutte tre parimenti dipinte, in particolare la nave di mezzo, à prospettiva di chiaro et scuro per mano del Sandrino Pittore di quella professione eminentissimo con quadro sotto il volto, et himaghi di diverse figure, fatti da pittori eccellenti. Il 253): “di non volgar credito sono le Pitture a fresco, che abelliscono la facciata della Casa situata in prospettiva alla Porta della Chiesa. Queste rappresentano per mano di Fran(ces).co Giugno la consulta di diversi Medici su la vita d’un misero amalato. L’architettura poi è un travaglio di Tomaso Sandrini”.

274 Andrebbe considerato più a fondo il problema attributivo che riguarda gli affreschi della seconda cappella destra del Carmine, dedicata a Sant’Eligio. La data 1701 presente sugli affreschi è confermata dal fatto che la scena figurata al centro sia da attribuire a Giovanni Antonio Cappello (Brescia, 1669-1741; sul quale si veda STRADIOTTI in Brescia pittorica 1981, pp. 89-90); questa decorazione è “da ricondurre più logicamente nella cerchia del Sandrini, o di qualche suo tardivo imitatore, con tutti i dubbi sollevati nella poderosa balconata aperta dalle quattro mensole azzurre d’angolo, introvabili nel pur variato repertorio sandriniano conosciuto” (VOLTA

1991, p. 103). Condivido l’idea che si tratti di un imitatore di Sandrini, che ripropone alcuni schemi tipici delle sue quadrature.

275 Per le vicende edilizie si veda VOLTA 1991, p. 79. Sull’attribuzione a Sandrini mi permetto di segnalare il curioso, quanto inaccettabile, parere di Cesare Alpini, che riteneva di dover escludere la sua presenza in favore di quella di Gian Giacomo Barbelli (si veda bibliografia precedente a p. 89).

276

GUARGANTI, ms. cod. II Mantuana [1645], II 5, f. 133v. Sempre il Guarganti annoterà un altro intervento di Sandrini nel 1629, relativo alla pittura della cornice del “fornice di mezzo, o volto grande”. Il ritorno del pittore a distanza di qualche anno non stona con la pratica, piuttosto frequente, di affidare il lavoro alla bottega e di tornarvi in tempi diversi (si vedrà soprattutto nel caso di San Faustino e Giovita).

cornicione di rilievo che circonda tutta la chiesa ed un fregio di chiaro et scuro fatto pur da suddetto Sandrino…”277.

Menzionati anche da Ridolfi278, Faino279 e Cozzando280, su questi affreschi si soffermerà con maggior precisione la letteratura artistica settecentesca:

“Alla lunghezza sua [del Carmine], forse mi direte, non corrisponde la larghezza; Non ve lo nego, ma se alzerete la vista all’Architettura, o prospettiva della volta, oh come bene v’inganna! e da ciò si deduce avvedutezza, e giudizio nel Pittore Tomaso Sandrino nostro Bresciano, il quale avendo appunto concepita questa dissonanza, hà con tal metodo divisi i comparti, onde l’occhio resta pago, e si leva quanto, prima del colorito dell’Arco, averebbe qualche poco di noia apportato, ed infatti soggetti esperti nella professione danno gran lode al famoso Sandrino, non solo pel suo forte, e ben’inteso chiaroscuro, ma per la nova simmetria, qual dissi, donata a questo Tempio antico”281.

Emerge un aspetto già rilevato per la chiesa di San Domenico: l’abilità di Sandrini nel correggere, tramite la pittura, le imperfezioni dell’architettura. Nel caso del Carmine la “dissonanza” era provocata dalla “lunghezza [a cui] non corrisponde la larghezza”. In effetti la fabbrica era stata modificata poco dopo la metà del Quattrocento, con l’aggiunta di due campate che avevano portato la chiesa a 72 metri282. Nell’affrontare la decorazione della volta a botte appena costruita, Sandrini non poteva non tener conto di questo aspetto per calibrare le sue prospettive. Il sistema del “doppio loggiato” impiegato, per esempio, a Rodengo e a San Giovannino a Reggio Emilia, rischiava di diventare controproducente. Per questo motivo il pittore optò per una soluzione che, su scala ridotta, aveva già proposto nel corridoio del palazzo del Broletto una decina d’anni prima: al posto di un grande vano finse molti ambienti in sequenza, ognuno dei quali convergente verso il

277 Si veda Documenti. Tommaso Sandrini, n. 65.

278

“In Brescia adornò col suo pennello la volta della Chiesa de’ Santi Faustino e Giovita di curiose inventioni. Quella di San Domenico, e del Carmine, e le Cappelle etiando delle medesime Chiese” (RIDOLFI 1648, ed. 1914-1924, I, p. 251).

279 “S(an)ta Maria del Carmini chiesa anticha ma di novo rimodernata particolarmente il volto di detta chiesa chè