• Non ci sono risultati.

la dominazione napoleonica

L’avvio della carriera di Diedo in ambito culturale, fu dovuta all’immediata dimostrazione di competenze legate sia all’ambito dell’architettura sia ad una conoscenza trasversale e approfondita in materia di cose d’arte (oggi li chiameremmo beni culturali).

Le occasioni vennero fornite dal fervente clima di cambiamenti del periodo napoleonico ed in particolare di quel meccanismo di soppressione e concentrazione degli ordini religiosi. Il primo atto di questo processo fu il passaggio al Demanio della proprietà di tutti i beni appartenenti alla chiesa (30 marzo 1806)82, il secondo atto comincia già il 28 luglio dello stesso anno con il decretò di confisca e la conseguente soppressione e concentrazione dei monasteri e conventi, per ordine del Viceré Beauharnais83. Un intervento massiccio che portò alla soppressione di 18 monasteri nella sola città lagunare. In questo modo

“il governo si riappropriava di spazi spesso scarsamente utilizzati dal clero, che diventavano in questo modo possibili sedi di nuove funzioni per la

81

Gottardi, Venezia nell’età della restaurazione, 2000, p. 13.

82

Bertoli, La soppressione di conventi e monasteri a Venezia dal 1797 al 1810, 2002, p. 30.

83

cittadinanza. Soprattutto in relazione al ruolo che conventi e monasteri rivestivano a Venezia, in questa prima grande ondata di confische si può leggere non solo un differente approccio amministrativo e organizzativo alla questione, ma anche il prologo alla nascita di un nuovo rapporto con la città, con i suoi spazi e con le relative destinazioni d’uso.”84

Altro meccanismo, questa volta senza lati postivi - eccettuata la spinta alla maturazione della salvaguardia dei beni culturali e della loro gestione in termini sempre più avanzati – fu quello della confisca! Imposto da Napoleone a varie città della penisola sin dal 180585, con l’incameramento di molti beni provenienti da chiese e monasteri, in cambio di una pensione di mantenimento per religiosi e religiose. Nello specifico della città di Venezia le operazioni di confisca furono pianificate in due momenti: nel 1806, con l’acquartieramento delle truppe; e nel 1807 con la stesura di quello che è considerato il primo piano regolatore generale della città.86 Questi accadimenti coinvolsero Diedo, fin da subito, in tre importanti progetti pubblici voluti dal nuovo governo. Il primo risalente al 1806 era una vera e propria opera di catalogazione dell’accumulo delle confische, ammontichiate per l’occasione in Palazzo Ducale. Le due figure incaricate dell’operazione erano Pietro Edwards e Antonio Diedo. Stupefacente notare come il primo responsabile non fosse Edwards87 ma il trentaquatrenne Diedo: di ventotto anni più giovane. 88 Ciononostante Edwards svolse al meglio il compito, catalogando ogni opera e in aggiunta indicando quali quadri necessitassero di restauro, arrivando addirittura, come emerso da una lettera di Diedo al Governo, a privarsi di un domestico per affidargli la custodia dei quadri. Il governo provvide a mandare un sostituto più indicato e a restaurare i quadri indicati89.

84

Filipponi, Venezia e l’urbanistica napoleonica: confisca e riuso degli edifici ecclesiastici tra

il 1805 e il 1807, in “Engramma”, n. 111, novembre 2013. [versione online: PDF; url:

http://www.engramma.it/eOS2/archivio_pdf/111_larivistadiengramma.pdf]

85

ASV, Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, b. 27, 1805, P. I, 123-140, Decreto n. 45

86

Filipponi, Op. cit,

87

“contemporaneamente Edwards veniva nominato dal governo sia “conservatore di tutte le pitture ed altri oggetti d'arte" sia "delegato per la Corona" e dall’Accadema di Belle Arti: “conservatore della galleria dell'Accademia delle belle arti di Venezia e della galleria Farsetti" (Rinaldi, Edwards, Pietro, 1993, Vol. 42.

88

Bassi, La R. Accademia di Belle Arti di Venezia, 1941, p. 76.

89

Il definitivo trampolino alla carriera di Diedo fu la nomina tra i membri della commissione d’ornato: l’ iniziativa di maggior rilievo per l’assetto urbanistico della Venezia napoleonica. L’unità operativa che veniva a costituirsi Il 9 gennaio del 1807 era una completa novità; attivata contemporaneamente a Venezia e Milano. Nel caso specifico di Venezia, questa era composta da cinque personalità scelte tra i membri dell’Accademia di Belle arti - in corso di riapertura - e tra i cittadini “intelligenti di architettura, ed arti analoghe”90.

“La Commissione doveva occuparsi di tutto ciò che riguardava l’edilizia e la forma urbana. Con il suo incarico di monitoraggio e regolamentazione, la Commissione all’Ornato configurò una nuova modalità di approccio all’intervento urbano, che diventava in questo modo, un procedimento in grado di controllare sia l’aspetto tecnico e formale, sia quello economico e sociale delle operazioni, la cui messa in atto rappresentava il passaggio all’“Età moderna” dei processi di trasformazione urbana”91.

Come si evince dal rapporto con Edwards, tra le fortune di Diedo ci fu anche quella di essere giovane all’insorgere dei cambiamenti napoleonici. Come lui anche la maggioranza dei professori nominati, per la neoriformata Accademia di Belle Arti, erano giovani, vicini al nuova corrente artistica legata al “classicismo”92; inoltre esclusi Diedo e Selva nessuno di questi era residente in Venezia. Le stesse caratteristiche appartenevano, dopo Alvise Almorò Pisani, al nuovo presidente: Leopoldo Cicognara. La scelta non era casuale ma derivante dalla volontà di staccarsi dalle vecchie istituzioni. Questa volontà di discontinuità permeava molte delle novelle azioni del governo napoleonico. Emblematico in tal senso è l’edificazione dell’edificio di Piazza San Marco, sul lato opposto della Basilica, a tutti noto come Ala Napoleonica, causa della distruzione della piccola chiesa sansoviniana posta tra le procuratie vecchie e le procuratie nuove: l’atto più forte di discontinuità con il periodo dogale. E ancora questo come altri eventi, tra cui la rifondazione dell’Accademia di belle Arti erano atti di necessità:

90

ASV, Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, b. 28, 1807, P. I, p. 9, Decreto n. 5.

91

Romanelli, Venezia Ottocento. L’architettura, l’urbanistica, 1988, p. 115.

92

“necessità di sostenere il confronto con il passato, di risemantizzare luoghi e funzioni, di offrire soluzioni concrete a un pressante problema logistico, di affermare inequivocabilmente la fine di un’epoca e l’avvio di un’epoca nuova che anche a livello di segni e linguaggi intendeva porre tra sé e il passato un’esplicita operazione di rifondazione culturale.”93