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Il passaggio alla dominazione austriaca

Nel 1815 dopo solo sette anni di Accademia, come è noto, avviene un ulteriore cambio di governance: da Napoleone si passa al dominio asburgico: ha inizio la “Restaurazione”. Partendo dal punto di vista interno all’Accademia non emergono grossi cambiamenti: lo statuto resta inalterato per una ventina d’anni, cosi come il corpus accademico lo stesso presidente Cicognara – la figura più legata alla vecchia dominazione – viene riconfermato alla guida dell’Accademia. In generale la grossa novità che coinvolge sia la città che l’Accademia è la dipendenza diretta da Vienna, o come meglio spiegato da Berengo:

“Quello che, dopo la rotta delle armate francesi e il lungo assedio di Venezia, prendeva forma il 7 aprile 1815, a seguito di una occupazione militare a Milano e a Venezia, era Lombardo-Veneto, un davvero strano stato all’interno della monarchia asburgica. Non si trattava infatti di un Regno autonomo, quale –seppure con molto sforzo- aveva attuato il Governo francese, ricorrendo si all’unione delle corone sul capo di un unico sovrano. Napoleone appunto, ma erigendo a Milano una folla di ministeri e facendone una vera capitale. Ora invece l’accentramento amministrativo privilegiava Vienna e per ogni minuta questione, anche per la nomina di una guardia forestale bisognava ricorrere là;questo fattore poi si aggiungeva l’inesistenza di ogni organo comune di governo […] ” Certo Venezia era in un certo senso una capitale, rispetto al periodo napoleonico, in cui era stata ridotta a semplice capoluogo del Dipartimento adriatico. 94 In generale la storiografia immediatamente post unitaria, tende a riportare una netta disparità tra la dominazione napoleonica e quella asburgica, determinata anche dall’essere stati, gli Austriaci, gli ultimi dominatori da

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Romanelli, Venezia nell’Ottocento in Storia di Venezia…,2002, p. 943.

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scacciare e non di meno i più longevi. Di questo parere è Berti che vede nel dominio austriaco la fine dell’autonomia del veneto:

“gli anni dal 1814 al 1847 segnano per la storia della cultura veneta il passaggio dall’autonomia alla subordinazione. Ammesso che nell’età della Restaurazione si possa ancora parlare di una cultura propriamente veneta, si deve comunque sottolineare la presenza di una volontà governativa straniera coercitiva, la quale impedì quella linea di continuità tra il vecchio e il nuovo, tra la tradizione e il cambiamento che avrebbe dovuto mantenere integri i rapporti specifici di tale cultura.”95

Che tale concezione avesse le sue radici all’inizio dell’epoca unitaria, ce lo dimostra, tra gli altri, un documento del 1871, meraviglioso nel descrivere le problematiche del vivere sotto il dominio austriaco: la Commemorazione di Agostino Sagredo. Nel ripercorrere la vicenda personale del già incontrato patrizio veneziano, l’autore ripercorre brevemente la storia della prima metà del diciannovesimo secolo, vicina nella conta degli anni ma già lontana per la vincente ideologia unitaria, per la quale va detto il vero nemico era lo sconfitto impero asburgico e più indulgente si era con il lontano dominio francese, infatti:

“Il genio di Napoleone I, aspirante alla monarchia universale, fu vinto da quello del secolo, tendente alla libertà e alla indipendenza dei popoli. Ma il periodo dell’effimero regno d’Italia, da lui creato, fu per le scienze e per le arti fecondo di ottimi risultati, che poi resero vani gli sforzi reazionarii della Casa d’Austria, signora più o meno assoluta della Penisola dal 1815 al 1847”96

Fatte le dovute tare alla libertà in epoca napoleonica, giungiamo alla descrizione del periodo della dominazione austriaca.

“subentrato quello di Casa d’Austria, che riuscì all’Italia assai più antipatico e pesante dell’altro. Non avverso per massima alla giustizia e alla civiltà, il Governo austriaco era in continuo sospetto delle idee liberali, specialmente in fatto di religione e di nazionalità, sotto qualunque forma si presentassero. Né contentavasi di esercitare la sua pressura nel regno

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Berti, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, 1989, p.333.

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Lombardo Veneto, ma considerava sé legittimo mallevadore della vitalità dell’assolutismo negli altri stati italiani, e questi cointeressati nella consolidazione del suo potere in Italia”97.

Al di là della leggenda nera della storiografia ottocentesca, non per forza sempre in errore, dobbiamo riscontrare una iniziale accoglienza positiva del nuovo dominatore (almeno in apparenza). Francesco I era arrivato a Venezia il 31 ottobre del 1815, preoccupato di rinsaldare i rapporti con le città sottomesse anche a seguito della fuga di Napoleone dall’Isola d’Elba, il 26 febbraio 1815. E non a caso di lì a poco il neo Governo fornì un importante segnale di rottura con il precedente: il 13 dicembre 1815 fu accolto, da una grande cerimonia in Piazza S. Marco, il ritorno in patria di molte opere d’arte, tra cui i quattro Cavalli della facciata della basilica di San Marco, il Leone staccato da una delle colonne di Piazzetta San Marco (tornato in pezzi) e il Giove Egioco. L’evento ebbe il risultato sperato e agitò il dibattito cittadina. L’attento Cicogna anticipava il ritorno patria delle opere d’arte in questo modo:

“Fra poco vedremo i nostri Cavalli, i nostri quadri, i nostri manoscritti da Parigi tornare a Venezia, col nostro Leone. Così i Cavalli avran girato da Corinto a Roma, da Roma a Bisanzio, da Bisanzio a Venezia, da Venezia a Parigi, da Parigi a Venezia98

L’evento è quindi testimone dell’importanza assoluta del segmento culturale nella considerazione dei cittadini veneziani. Questi avevano, almeno fino al ’48, rinunciato all’indipendenza politica ma non alla difesa della propria storia gloriosa, e dunque, del proprio patrimonio artistico. La cosa era stata certamente capita da Francesco I, che già nell’agosto del 1815 aveva inviato al Louvre Joseph Rosa (per le opere d’arte) e il barone Ottenfels (per manoscritti, libri e oggetti d’antichità), a trattare per la restituzione delle opere. Il Giove Egioco, veniva addirittura trasportato personalmente da Metternich!99

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Gar, Commemorazione di Agostino Sagredo (1798-1871), 1871, p. 231.

98

Cicogna, 28 ottobre, 1815. Cit. in Catra, Il glorioso e polemico ritorno delle opere d’arte

requisite da Napoleone: i Cavalli di San Marco e il Giove Egioco, 2017, p. 156.

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In questo scenario, che potremmo definire epico, l’Accademia di Belle Arti viene investita di un importante ruolo di rappresentanza: a dirigere la cerimonia saranno infatti il pittore Giuseppe Borsato e l’architetto Lorenzo Santi. Da annotare l’aver preferito i professori al Segretario e al Presidente. In ogni caso quest’ultimo la spunterà nel dibattito tra intellettuali sorto attorno al collocamento dei Cavalli, e ad esempio, all’attuale posizione sul pronao della basilica veniva anteposto da Canova il collocamento su quattro basamenti davanti a Palazzo Ducale, a ricordo di un’invenzione del Canaletto (Windsor Castle).100 Se le opere d’arte continuarono a tornare da Parigi, lo stesso non si poteva dire per le opere veneziane trasferite nella Pinacoteca di Brera, su volere di Napoleone, affinché divenisse il primo museo d’Italia: un Louvre dall’altra parte delle Alpi. Le richieste di restituzione da parte di Cicognara a questo punto non mancarono ma furono puntualmente ignorate; per questo motivo venne accusato di aver usato dei toni troppo aggressivi e che con un po’ di diplomazia in più si sarebbero ottenuti risultati maggiori.

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Vincenzo Chilone, Ritorno dei cavalli a San Marco, 1815, Palazzo Treves.