2 Gender diversity: analisi della letteratura
2.1 Donne manager nelle aziende familiar
Prima di analizzare la questione femminile nelle aziende familiari, può essere interessante
introdurre brevemente la nozione di impresa familiare nel nostro paese. Questo tipo di
azienda è un istituto giuridico nell'ordinamento italiano, disciplinato dall'art. 230 bis del
codice civile. Esso regola i rapporti che nascono in seno ad una impresa ogni qualvolta
un familiare dell'imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o
nella stessa impresa, salvo che sia configurabile un diverso rapporto (art. 230-bis codice
civile). Infatti, la collaborazione dei familiari all'impresa potrebbe configurarsi come
rapporto di lavoro subordinato o come partecipazione a una società di fatto. L'impresa
familiare riceve per la prima volta tutela nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia;
l'esigenza sottesa alla creazione di tale istituto era di tutela nei confronti di quei familiari
che, pur lavorando all'interno di una impresa familiare, non erano protetti nei confronti
dell'imprenditore. Situazione iniqua che trovava larga applicazione nel mondo della
piccola impresa italiana, in cui spesso il padre assumeva la qualifica di imprenditore, e la
moglie ed i figli non ricevevano nulla in cambio del proprio lavoro.
È vivacemente discusso, in seno alla dottrina italiana, il problema della natura giuridica
dell'impresa familiare. Le tesi maggiormente sostenute sono quelle che vedono
rispettivamente nell'impresa familiare una ipotesi di impresa collettiva o di un'impresa
73 I sostenitori della prima teoria ritengono che tutti i componenti familiari che prestano la
loro opera all'interno dell'impresa assumano la responsabilità collettiva nei confronti dei
terzi, e acquistano la qualità di co-imprenditori.
All'opposto, i sostenitori della teoria dell'impresa individuale ritengono che, nell'impresa
familiare, sia imprenditore solo colui al quale spetta per legge tale qualifica. Solo
quest'ultimo sarà responsabile con il proprio patrimonio dell'adempimento delle
obbligazioni assunte dall'impresa, e solo questi sarà soggetto a fallimento in caso di
insolvenza.
Le decisioni riguardanti la gestione, a produzione, la destinazione degli utili e la
cessazione dell'impresa familiare sono adottate dai partecipanti e vengono prese a
maggioranza calcolata per teste, vale a dire con un voto per ciascun collaboratore,
indipendentemente dalla quota della sua partecipazione. Si precisa che, il familiare che
partecipa all'impresa familiare, deve limitarsi a collaborare e non a gestirla; infatti, se i familiari gestissero in comune l’impresa, si andrebbe a configurare una società di fatto e non un’impresa familiare, con l’effetto, per esempio, che un’eventuale dichiarazione di fallimento del titolare si estenderebbe a tutti i familiari gestori.
Cromie e O’Sullivan (1999) hanno compiuto uno studio nel Regno Unito su 3609
imprese, con lo scopo di confrontare le esperienze professionali delle donne manager che
lavorano nel business della loro famiglia con quelle di donne manager che non hanno
questo legame familiare. Dalla loro analisi, è emerso che le donne manager non
appartenenti alla famiglia devono fronteggiare molti più ostacoli (discriminazioni esplicite o tacite) rispetto alle donne che lavorano nell’azienda di famiglia; non per questo però, le donne manager, anche se legate all’organizzazione da vincoli di parentela non si troveranno ad affrontare nessun ostacolo, ma sicuramente saranno minori. E’ stato
74 carriera nelle imprese, e naturalmente questo avviene anche per le donne. Per i membri
della famiglia, la loro lunga collaborazione con l'azienda, permetterà loro di sviluppare
importanti competenze di business; il loro accesso ai vertici, conferirà vantaggi per i
mentori, opportunità di formazione e migliori reti di contatti; inoltre, come membri della
famiglia, saranno soggetti a valutazioni meno rigorose rispetto agli altri. Questi sono
vantaggi potenziali, che possono tradursi in benefici reali a seconda del ruolo adottato dai
membri femminili della famiglia proprietaria. Dallo studio è emerso anche che le donne (mogli, figlie etc.) che lavorano a pieno titolo nell’organizzazione, tendono a mettere al primo posto la professione rispetto alla vita privata, ma in maniera minore rispetto alle
donne che non lavorano in imprese familiari perché beneficiano di una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro. Nello specifico, i risultati rilevano che la presenza femminile nei board è maggiore nelle imprese familiari (91% rispetto al 70%); le aziende,
che non hanno donne ai loro vertici, motivano questa condizione col fatto che, quando si
rende disponibile una posizione di rilievo, questa viene offerta prima agli uomini della
famiglia e non residuano poi posti per le donne. Inoltre è emerso che la retribuzione
femminile, sia per le imprese familiari, sia per quelle non familiari, risulta inferiore
rispetto a quella maschile per gli stessi compiti, ma sono comunque maggiori per le donne
nelle aziende di famiglia. Per quanto riguarda la formazione, esiste una netta differenza
tra le imprenditrici familiari e quelle non familiari, infatti le prime che possiedono
qualifiche sono il 19%, mentre le altre superano il 40%. In conclusione, questo studio,
suggerisce che la vita lavorativa, la scalata al successo, la possibilità di coniugare lavoro
e famiglia, sono tutte condizioni più semplici per le donne che decidono di entrare nell’azienda di famiglia, rispetto a quelle che devono guadagnarsi l’accesso ai vertici di imprese alla quale non sono legate da vincoli di parentela.
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Vadnjal e Zupan (2011) hanno compiuto la loro analisi in ambito extra-europeo, in
Slovenia, su un totale di 200 aziende, 107 delle quali sono imprese familiari. E' stato
riscontrato che il contributo delle donne alla società di famiglia non è realmente
riconosciuto e premiato, tuttavia, le donne che non decidono di perseguire una posizione
di CEO o non sono state designate come successori nella proprietà dell’azienda di
famiglia, e pertanto, hanno o hanno avuto una reale possibilità di essere impiegate altrove,
trovano ancora una serie di vantaggi a lavorare nell'azienda di famiglia rispetto alle
imprese non familiari. Le donne hanno valutato positivamente l’impiego nelle imprese
familiari, perlopiù relativamente ad una maggiore autonomia e flessibilità, mentre non
sono stati evidenziati vantaggi finanziari. Le donne non CEO si sentono uguali agli
uomini in azienda, in quanto la maggior parte di esse svolgono funzioni significative;
tuttavia, questo implica anche la condivisione di più responsabilità nella società e, di
conseguenza, meno tempo da dedicare alla famiglia. Le imprese familiari che sono in
media ancora abbastanza piccole, per lo più non offrono buone prospettive di carriera
formali, allo stesso tempo però permettono alle donne un maggiore controllo sul proprio
lavoro e sulle relazioni. Considerando il numero di imprese familiari in Slovenia, sempre
più donne stanno prendendo parte al potenziale imprenditoriale di queste aziende;
lavorare con i membri della famiglia porta ad una diminuzione dello stress e
dell'incertezza, e lasciare la leadership ai loro partner maschili sembra più attraente per le
donne che affrontano le sfide di business come uniche proprietarie. D'altra parte, mentre
il ruolo informale delle donne è spesso riconosciuto, tale ruolo è più pronunciato nelle
imprese familiari; in questo caso, le donne esercitano la loro influenza sul processo
decisionale nel luogo di lavoro. Considerando che i membri femminili della famiglia
condividono ruoli manageriali in gran parte delle imprese familiari in cui gli uomini
76 nella gestione del business di famiglia; tuttavia, le donne non sembrano infastidite dalla
situazione esistente, e spesso considerano la loro influenza informale abbastanza forte,
tale da farle sentire soddisfatte. Lo stile "femminile" delle donne in imprese familiari è
molto importante per la creazione di buone relazioni interne, per il clima globale nel
mondo degli affari, per la soddisfazione dei dipendenti e per il morale; questo aspetto può
contribuire positivamente alla performance finanziaria delle imprese familiari, ma vale
per il benessere dei dipendenti, per il modo di interfacciarsi con il mercato e con la società,
ma spesso non si materializza in un miglioramento dei risultati finanziari. Questo
contributo da parte delle donne è spesso benevolmente riconosciuto, ma non
adeguatamente ricompensato. In conclusione, i dati dello studio, suggeriscono che le
donne, spesso, possiedono diversi punti di vista su questioni di transizione rispetto agli
uomini. Le donne CEO, con la loro nomina, introducono una serie di cambiamenti nello
stile di gestione, ma, per raggiungere questa posizione, devono adottare comportamenti
molto competitivi ed essere molto più competenti dei loro colleghi uomini (perlopiù
fratelli nelle aziende familiari). Il loro processo di elevazione alla posizione di CEO,
spesso, neutralizza parte delle peculiarità dello stile gestionale femminile e le funzioni di
un amministratore delegato sembrano condurre ad esperienze che induriscono i loro
approcci. Ai fini della gestione di piccole imprese familiari, quindi, dovrebbe essere
chiaro che i ruoli delle donne nell’azienda sono spesso formalmente sottovalutati. Le
donne, non solo svolgono in modo invisibile un ruolo tradizionale di sostegno, ma
possono anche contribuire con la loro migliore attitudine al problem solving ed un diverso
stile manageriale people-oriented; queste qualità vengono valorizzate come alternativa al
più tradizionale approccio maschile. Nei processi di diagnosi dei progetti di consulenza,
le donne, anche se non in possesso di posizioni di leadership, possono essere preziose
77 svolgono un ruolo molto importante nella risoluzione dei conflitti in ambienti prettamente
dominati dagli uomini.
Ma perché mi sto concentrando sulle aziende familiari? In Italia 2 aziende su 3 sono
controllate da famiglie, con la detenzione di almeno il 51% della proprietà da parte di una
qualche realtà familiare. Bianco et al. (2015) hanno compiuto uno studio sul ruolo femminile nelle imprese familiari italiane. Dallo studio è emerso che prima dell’entrata in vigore delle succitate quote rosa, in Italia la presenza di donne nei board era perlopiù
nulla e, dove vi se ne trovavano, erano al massimo, una o due per consiglio. Dopo l’introduzione della normativa, il numero di amministratrici è cominciato a crescere, ma questo, in particolare, nelle aziende controllate da famiglie: è però stato rilevato, che la
maggior parte delle donne alle quali sono state aperte le porte dei vertici aziendali erano
legate da vincoli di parentela con la famiglia proprietaria. Dallo studio, che si è
concentrato sulle aziende quotate italiane e sulla composizione dei consigli d’amministrazione, è emerso che la presenza delle donne era correlata ad una bassa partecipazione alle riunioni del consiglio e ad un tendenziale abbassamento del livello
culturale ed di esperienze sul campo. Questo non avviene invece nei consigli che hanno
donne amministratrici che non appartengono alla famiglia proprietaria e che sono
indipendenti, come da Codice di Autodisciplina delle Società Quotate. La realtà
analizzata appare abbastanza chiara, cioè, quando le imprese si sono viste obbligate ad
incrementare la gender diversity nei board si sono comportate in due modi differenti: alcune aziende familiari hanno assolto all’obbligo di legge attraverso la nomina di mogli, madri e figlie, senza un criterio meritocratico e senza un adeguato livello d’istruzione, solo per colmare il divario tra percentuale femminile richiesta e percentuale femminile
effettiva; le aziende non familiari invece si sono trovate a dover nominare amministratrici
78 meritocratico. Ed è per questo che in Italia, almeno fino ad ora non è stato semplice delineare l’influenza reale che la gender diversity è potenzialmente in grado di apportare nella gestione d’impresa. Lo studio, però, sottolinea altresì che le aziende virtuose sono in continuo aumento, tanto che in molte società, familiari e non, la percentuale femminile
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