Il pensiero contemporaneo s’interroga sul dono: relazione, reciprocità, legame, riconoscimento
I L DONO NELLA TENSIONE CREATRICE TRA GENEROSITÀ E OBBLIGO
1. Per un’epifania del riconoscimento nella modernità: Paul Ricoeur.
Muovendo dalla fenomenologia di Husserl e dall’esistenzialismo di Jasper e Marcel, Paul Ricoeur (Valence 1913-‐ Châtenay-Malabry 2005) ha visto nella fenomenologia, un «fil conducteur dans le labyrinte humain».293 Nel suo itinerario filosofico, che lo conduce alla
scoperta della dimensione dell’uomo capace di…, appare la rinuncia a una verità monadica succeduta da un ideale dialogico; egli vuole fotografare il mistero dell’essere umano, attraverso una fenomenologia esistenziale, enunciata primariamente nel testo Il volontario e l’involontario294. In questo studio il Ricoeur dipinge un individuo che è
sintesi tra il volontario, i cui gradi sono il decidere, l’agire, il consentire e l’involontario, caratterizzato dal saper fare precostituito, dall’emozione e dall’abitudine. Il metodo fenomenologico viene posto a servizio dell’analisi esistenziale: il filosofo indaga le questioni concernenti la libertà e la volontà colpevole, il male e la responsabilità; delinea un essere umano caratterizzato da fragilità e fallibilità, cifre della distanza tra finito e infinito; in tal sede Ricoeur preannuncia, inoltre, la mediazione compiuta dai simboli e i miti. L’intenzione è quella di «tratteggiare le forme o possibilità essenziali dell’uomo-‐ le strutture eidetiche-‐, che rappresentano le motivazioni di fondo del nostro agire, cioè gli atti volontari e involontari, raggiungibili seguendo il metodo fenomenologico dopo avere operato la messa tra parentesi di due elementi concreti, la colpa e la trascendenza»295.
In considerazione della fragilità e della colpevolezza (dalla capacità d’agire consegue la responsabilità dell’agito) dell’uomo, l’autore prospetterà un cogito integrale, ovvero in grado, nel cammino alla ricerca del sé, di abbandonare il cogito cartesiano per giungere a un cogito pratico caratterizzato dalla volontà. L’io arcaico lascia spazio a quello dei “maestri del sospetto”, Nietzsche, Marx e su tutti Freud che partecipano alla decostruzione del cogito, che permettono a Ricoeur di pensare ad «una filosofia
293 P. RICOEUR, Le volontaire et l’involontaire, Aubier, Parigi, 1950 p. 7.
294 Facciamo riferimento in questo lavoro all’opera P. RICOEUR, Il volontario e l’involontario, a cura di M.
Bonato, Genova, Marietti, 1990.
dell’uomo e del soggetto in grado di fare della coscienza non più un dato (l’essere conscio, il “Bewusstsein”) bensì un compito (il divenire conscio, il “Bewusstwerden”)».296 Il filosofo francese giunge a sottolineare inoltre, come l’unità
dell’essere umano non può concepirsi unicamente nella comprensione dell’io e delle sue funzioni e strutture, compito che dovrebbe essere assolto dalla fenomenologia, ma che essa stessa deve trascendersi in metafisica.
L’idea della capacità e del compito della coscienza, conducono lo studio verso quella il Nostro definisce la filosofia della volontà, nella quale egli indaga la possibilità del male, affronta il problema della mediazione tra realtà e mito e i loro caratteri simbolici; entra così nel circolo ermeneutico del “credere per capire e capire per credere”.
È in Finitudine e colpa297, che Ricoeur teorizza un essere umano caratterizzato da
attributi di sproporzione, intermediarietà, fragilità e fallibilità. In seguito approda a una vasta ermeneutica delle forme con cui l’essere umano ha rappresentato il male nel corso della storia. Si compie in questo testo l’osmosi che caratterizzerà tutta la filosofia ricoeuriana: l’integrazione della componente riflessiva con quella ermeneutica.
Il filosofo pone in essere lo studio concernente le tappe del conoscere «vi è come un punto cieco al centro della visione luminosa, che è quella funzione dell’anima, di cui Kant dice precisamente che è cieca ma indispensabile»298, dell’agire e del sentire umano.
Giunge ad approfondire il tema della colpevolezza analizzando le sue caratteristiche e le sue narrazioni, tenendo sempre il riferimento all’universo della simbologia.
Tracciate le linee guida della filosofia della volontà, l’autore si confronta con l’opera di Freud e darà ampio spazio al dialogo con la filosofia del linguaggio. Ne nasceranno due studi, Il conflitto delle interpretazioni che, assieme a Dell'interpretazione. Saggio su Freud (1965), i quali offrono la prima esplicita enunciazione delle questioni fondamentali che impegneranno Ricoeur: il ruolo della «distanziazione» interpretativa per cui è possibile percepire il testo come oggetto autonomo e il potere della «referenza» del testo, che concerne la sua capacità di rifigurare praticamente e ontologicamente il mondo. Infine, tali studi, condurranno l’autore a esplicitare la portata etica dell’atto ermeneutico, in cui l’individuo coglie il mondo e soprattutto se stesso.
296 N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, op cit., p. 569. 297 P. RICOEUR, Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna, 1970. 298 Ivi, p. 116.
L’incontro con la “creatività per distacco”299dell’opera freudiana e in particolare con
l’inconscio300, porta Ricoeur a sostenere che, con la destrutturazione compiuta dalla
scoperta psicoanalitica, si sia delineata la possibilità di una lettura della psiche costituita dall’archeologia del soggetto e dalla teleologia del soggetto. La prima si manifesta in un movimento analitico e regresso verso l’inconscio, mentre la seconda esprime un movimento sintetico e progressivo.
Riprendendo il dialogo con Husserl, il Nostro afferma la necessità di pensare ad una fenomenologia ermeneutica – l’innesto dell’ermeneutica nella fenomenologia-‐, tracciando innanzi tutto una critica dell’ermeneutica alla fenomenologia idealista e accostando poi le due in una prospettiva che tende all’ontologia. Con Metafora viva301 e
Tempo e racconto302, in cui vengono alla luce gli elementi della configurazione –della
struttura narrativa-‐ e rifigurazione -‐del tempo-‐, Ricoeur si inserisce nuovamente nello studio sul linguaggio, arrivando a distinguere tempo psichico e cosmologico senza però riuscire a delineare raffigurazioni specifiche del tempo, dovendo quindi tornare al punto di partenza. Definisce, quindi, la necessità di una “retractatio”303 -‐termine mutuato da
Agostino-‐, ovvero una nuova discussione sulle affermazioni iniziali.
Il filosofo, prosegue il suo cammino arrivando al punto di tirare le fila della questione inerente alla domanda kantiana: “chi è l’uomo?” che dopo la destrutturazione del cogito, assume la forma del : “chi sono io?” . Traccia i profili del sé dando vita a “Soi-meme comme un autre”304 , opera che rappresenta il culmine dell’antropologia ricoeuriana.
«Innanzi tutto il filosofo sostiene il primato dell’azione riflessiva, sé, sulla posizione immediata del soggetto, quale si rivela nell’ego cogito. In secondo luogo vuole evidenziare la duplicità di significazione dell’identità, idem e ipse, infine all’interno dell’identità ipse chiarisce la dialettica del sé e dell’altro da sé. La risposta alla richiesta
299 È la forma di creatività teorizzata dalla psicologia della gestalt in cui «non vi sono legami con un
preesistente modello, ma v’è semplicemente una frattura, una discontinuità, un distacco. Il nuovo elemento, l’opera, è veramente “altra” rispetto al già dato. Si tratta forse del massimo ottenibile in fatto di creatività», G. BARTOLI, Psicologia della creatività. Le condotte artistiche e scientifiche, Monolite, Roma, 2005. pp. 25-‐26.
300 La psicoanalisi svela «un istinto in cui tutte le forme derivate si indirizzano verso qualcosa di
assolutamente primitivo», P. RICOEUR, Dell’interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano 2002. p. 468.
301 Cfr P. RICOEUR, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica per un linguaggio di rivelazione, Jaka Book,
Milano 1981.
302 Cfr P. RICOEUR, Tempo e racconto. Vol I, Jaka Book, Milano 1986; Tempo e racconto. Vol II La
configurazione nel racconto di finzione, Jaka Book, Milano 1987; Tempo e racconto. Vol III, Il tempo raccontato, Jaka Book, Milano 1988.
303 F. BREZZI, Introduzione a Ricoeur, op cit., p. 93.
“chi è quell’essere che sono io?” non è immediata e diretta, ma solo al termine giungerà ad indicare il singolo come autore e protagonista del proprio racconto di vita, individuo responsabile, centro dell’etica che merita di essere chiamato sé».305 “Chi parla?”; “chi
agisce?”; “chi si racconta?” “Chi è responsabile?” Sono queste le domande intorno a cui il filosofo costruisce la complessa struttura di un sé che deve essere studiato anche nella relazione tra sé e alter e l’altro nel sé nel complesso intreccio tra fenomenologia e ontologia che trova soluzione in una verità costituita da testimonianza-‐attestazione. All’io credo, Ricoeur oppone l’io credo in, e l’io credo a, compiendo così due passi fondamentali per la comprensione di tutta la ricerca: il primo consiste nel decentrare, rispetto all’asse dell’io, il cogito, al fine di averne una comprensione più profonda; il secondo concerne l’irruzione nell’io dell’alterità, che sconvolgerà l’integrità pensata e costruita da sempre.
Continua la propria ricerca nell’io spezzato che ha carattere ontologico solo nella misura in cui fa: Ricoeur disegna, quindi, un’ontologia dell’atto. Come accennato in precedenza, introduce il problema etico trovandosi a rispondere alla domanda inerente alla responsabilità, sostenendo la necessità di un’etica come una saggezza pratica che passa sotto il controllo della morale. Compie questo percorso dialogando con l’eticità hegeliana, la questione morale in Kant e Aristotele entrando nella sfera teleologica, nel nucleo del concetto di “philia”306, facendo riferimento al concetto espresso non solo nella
Politica ma in Etica Nicomachea307.
Nell’ultima parte dei suoi studi Ricoeur si concentra e definisce la struttura dell’uomo capace innanzi tutto in relazione alla concentricità di memoria, storia e oblio, proseguendo il percorso nell’ambito della giustizia e in ultima istanza andando a tracciare i confini del dono, del perdono e del riconoscimento, che ci si accinge a mostrare.
Un’opera complessa quindi, della quale è necessario chiarire in modo più esplicito l’identità del nuovo cogito, affinché sia possibile orientarsi nel cammino che condurrà il
305 F. BREZZI, Introduzione a Ricoeur, op cit., p. 96.
306 «La philia si dice in EN VIII 7, si distingue dal semplice affetto (philesis) e dalla semplice passione
(pathos) in quanto è una scelta (prohairesis), che come tale dipende da una deliberazione razionale. […]L’idea che in questo modo Aristotele intende sostenere è che la corretta disposizione nei confronti dell’altro, propria di ogni vera forma di philia, dev’essere in qualche modo ricondotta alla disposizione che l’uomo virtuoso è in grado di avere nei confronti di se stesso; questi infatti si rapporta al proprio amico così come si rapporta a se stesso, dal momento che l’amico è per lui un altro se stesso», L. ALICI (a cura di), Forme della reciprocità. Comunità istituzioni, ethos. Il Mulino, Bologna, 2004 pp. 87-‐91.
sé al dono. Conseguentemente è necessario descrivere innanzitutto, la struttura del chi agente e le relazioni che stabilisce tra sé e l’altro da sé. Solo in seguito a questo passaggio sarà possibile scorgere svelare le modalità dell’agire che il riconoscimento308, questione
centrale dello studio qui condotto, dischiude.
2. Principio dei percorsi del riconoscimento: la tappa del sé in quanto altro.
Per tutto l’ottavo decennio del ventesimo secolo Paul Ricoeur concentra i suoi studi intorno al problema della antropologia morale, con cui aveva avuto modo di confrontarsi sin dagli anni cinquanta. Sorge sempre più forte la domanda intorno all’uomo, alla possibilità di pensare un cogito “altro” che, anche a seguito dell’esposizione del complesso filosofico nietzschiano e freudiano si rivela spezzato nel suo carattere più intimo. Da ciò scaturisce l’impossibilità di ricomporre un disegno dell’io che tragga vita dal precedente principio generatore; il filosofo francese conduce l’essere al centro dello studio ermeneutico perché da questo possano emergere i suoi caratteri ontologici. Quello di Ricoeur è un cogito integrale, un cogito pratico che si esplica nell’atto di volontà che conduce alla testimonianza. L’individuo, a partire dagli studi sul volontario e l’involontario, diventa capace di….
Il percorso qui esaminato ha, secondo l’autore, tre principali intenzioni filosofiche, che sono esplicitate nel titolo dell’opera Soi-même comme un autre. La prima, Soi, ha come intenzione quella «di far risaltare il primato della mediazione riflessiva sulla posizione immediata del soggetto, quale si esprime alla prima persona del singolare: “io penso”,“io sono”. Questa prima intenzione trova sostegno nella grammatica delle lingue naturali quando essa consente di opporre “sé” a “io”.»309
In seguito, l’intenzione del même, lo porterà a «dissociare le due principali significazioni dell’identità, a seconda che intendiamo per identico l’equivalente dell’idem o dell’ipse
308 P. Ricoeur in Percorsi del Riconoscimento (Raffaello Cortina, Milano 2005.), si propone di interrogarsi
sul significato del termine “riconoscimento”, mai indagato prima in maniera specifica dalla filosofia. Egli ripercorre alcuni dei fondamentali testi che hanno segnato la storia dell’occidente, scovando in essi lumi per la sua ricerca. Scopre le modulazioni dell’agire che il riconoscimento pone in essere, principalmente dal punto di vista etico e politico. Approda alla riflessione sulla relazione che intercorre tra gli individui. Questa, conduce il filosofo allo studio del dono, scambio mutuale, quindi reciproco, che eccede la logica della conoscenza e della simmetria.
latino.»310Ovvero indicando con idem un medesimo che permane nel tempo e con ipse,
uno stesso che non implica un preteso nucleo di immutabilità nell’individuo. L’identità viene descritta dall’autore nel quinto studio dell’opera, nel momento in cui riferisce di quella narrativa e di quella personale:
l’ipseità, ho affermato più volte, non è la medesimezza. Ora poiché questa distinzione di capitale importanza è misconosciuta, falliscono le soluzioni apportate al problema dell’identità personale che ignorano la dimensione narrativa[…]. Essa viene innalzata a un rango di problematicità soltanto quando passano in primo piano le sue implicazioni temporali. Il confronto fra le nostre due versioni dell’identità fa per la prima volta veramente problema con la questione della permanenza nel tempo.311
Oltre alla dialettica tra idem e ipse, il filosofo affronta la correlazione, che individua come complementare alla precedente, tra sé e altro da sé. Nell’intenzione comme un autre, viene presentata la concezione del rapporto tra medesimo e altro, da cui emerge una relazione dalla struttura arcaica in cui l’alterità è rappresentata da ciò che è diverso o distinto; più interessante appare quello tra ipseità e altro, in cui l’alterità non è più intesa solamente come termine di paragone ma come ipseità stessa: la implica in sé. «Sé come un altro suggerisce fin dall’inizio che l’ipseità del se stesso implica l’alterità ad un grado così intimo che l’una non si lascia pensare senza l’altra, che l’una passa piuttosto nell’altra. Al “come” vorremmo annettere la significazione forte, legata non soltanto ad una comparazione, ma a un’implicanza: sé in quanto…altro.»312
La tessitura costituita da Ricoeur per la comprensione del sé, che si orienta verso un’ontologia della soggettività, è composta da dieci studi, nove dei quali costituenti i principi ermeneutici del sé, concernenti l’analisi, la dialettica della medesimezza e l’ipseità e quella di quest’ultima con l’alterità, declinati con la forma di quattro domande riguardanti il chi, che costituiscono la piccola etica. Nonostante la diversità delle novità proposte per ciò che riguarda l’agire, tre elementi costituiscono una costante ritmica di tutti gli elementi esaminati:
descrivere, prescrivere, raccontare.[…] Questa terna consente di assegnare all’approccio narrativo una funzione di transizione e collegamento fra la descrizione, che prevale nelle filosofie analitiche dell’azione, e la prescrizione che designa come un termine generico tutte le determinazioni dell’azione a partire dai predicati “buono” e “obbligatorio”. Ma questa disposizione non ha quasi più che una funzione didattica, che mira a guidare il
310 Ivi, p. 77.
311 Ivi, p. 204. 312 Ivi, p. 78.
lettore nell’attraversamento della polisemia dell’agire. Tale funzione didattica non impedisce che, sul filo della questione posta, la terna possa leggersi in ordine differente.313
La prima questione affrontata da Ricoeur mira alla ricerca ermeneutica del sé e riguarda il “chi parla ?” In essa il Nostro compie propri studi sul linguaggio nella differenza tra approccio semantico e pragmatico nella definizione della differenza tra idem e ipse dialogando con la filosofia analitica. Descrive, inoltre, i rilevamenti linguistici in cui il sé si dice.
In secondo luogo, affronta la questione centrale della filosofia dell’azione: “chi agisce?” «Ricoeur ricorre alla teoria dell’azione, in cui il soggetto parlante si trasforma nel soggetto agente e sofferente, ma i due aspetti sono strettamente collegati, poiché la parola è indissociabile dall’agire».314 Vengono quindi messe in risalto le caratteristiche
della semantica dell’azione senza agente e la prospettiva dall’azione all’agente. Il centro del discorso emerge dal momento che Ricoeur inserisce in questi studi l’idea dell’uomo capace, che sfugge alle determinazioni fisiche e naturali e si inserisce in una prospettiva di praticità e progettualità che lo condurrà all’interno del contesto etico.
“Chi si racconta?” È la terza questione, che disegna un raccontare che è periodo intermedio tra descrivere e prescrivere e che quindi apre la strada verso il discorso ontologico che affronterà il Nostro nell’ultimo studio. L’identità viene contestualizzata rispetto al tempo, l’idem e l’ipse si configurano nella loro contrarietà che si risolve in un sé che ha come termine di paragone l’alterità in cui si riconosce e con cui inizia il processo di scambio. Egli, infatti, afferma che
ci si comprende come un altro, ci si progetta su un modello di eccellenza, ci si valuta in base alla realizzazione dei fini proposti. L’arte del raccontare realizza, così, quella che Benjamin chiama l’arte dello “scambio delle esperienze”, che scaturiscono l’esercizio della saggezza pratica.315
Se, quindi, l’indagine verte sulla praxis e interroga l’agire, è necessario che s’individui l’agente e interprete degli atti, che, attraverso l’interazione scaturisce effetti per l’altro. “Chi è il soggetto morale d’imputazione?” L’autore si trova a dover fare una distinzione partendo dal dato linguistico tra il concetto di etica (dal greco ἦθος, "èthos") e morale (dal latino moralis), che in funzione di aggettivo ha origine proprio dalla parola di derivazione greca. Sostiene che il primo termine indica la prospettiva di una vita
313 Ivi, p. 96.
314 F. BREZZI, Introduzione a Ricoeur, op cit., p. 97. 315 P. RICOEUR, Sé come un altro, op. cit., p. 56.
compiuta, mentre il secondo concerne la declinazione di questa all’interno dell’ambito normativo.
Fra prospettiva e norma si riconoscerà facilmente l’opporsi di due eredità, una eredità aristotelica, in cui l’etica è caratterizzata dalla sua prospettiva teleologica, e una eredità kantiana, in cui la morale è definita dal carattere di obbligazione della norma, dunque da un punto di vista deontologico.316
In questa prospettiva Ricoeur sancisce il primato dell’etica sulla morale, la necessità della prospettiva etica di passare al vaglio della norma e la legittimità di un ricorso della norma al carattere prospettico. Si definiscono quindi due orizzonti, quello della prospettiva etica che traghetta l’individuo verso la stima di sé e quello del momento deontologico che conduce al rispetto di sé.
Il primato del principio etico è giustificato nella “prospettiva della vita buona con e per l’altro all’interno di istituzioni giuste”317, in cui la vita buona nella prospettiva aristotelica,
compie il duplice percorso per cui essa è ancorata alla praxis e la teleologia interna di quest’ultima ne è principio strutturale. Nella dimensione del con e per l’altro Ricoeur, staccandosi sia dalla prospettiva di Husserl sia da quella di Levinas, parte dallo studio che Aristotele compie, legato alla philia, (dal greco φιλία) nell’Etica Nicomachea318
secondo cui essa è «quella forma di benevolenza attiva che comporta una autentica sollecitudine per il bene dell’altro in vista dello stesso, per amor suo»319. Il filosofo
francese, compie un passo ulteriore superando anche la quaestio aristotelica, passando allo stadio del dare-‐ avere in linea con la prospettiva dell’essere che fa e che è capace. Si prospetta dunque, un sé che ama, la cui iniziativa proviene dall’altro o dal medesimo nei confronti del sofferente. Mentre nell’amicizia vi è una uguaglianza presupposta, in questo contesto va ricercata nel riconoscimento della fragilità e nella somiglianza di questa condizione umana. Similitudine che è frutto di scambio tra stima di sé e sollecitudine dell’altro che «autorizza a dire che non posso stimare me stesso senza stimare l’altro[…]diventano così, fondamentalmente equivalenti la stima dell’altro come un se stesso e la stima di se stesso come un altro».320
316 Ivi, p. 264.
317 Ivi p. 266.
318 Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, op. cit., VIII 4, 1156 b 8-‐12.
319 E. PEROLI, Il bene dell’altro. Il ruolo della philia nell’etica di Aristotele, in L. Alici (a cura di), Forme della