Alla luce delle dinamiche e delle dimensioni brevemente inquadrate, è ancor più calzante la definizione attribuita a questo sistema di welfare quale chatching up model. La specificità di questo sistema, nella sua contrastante tensione tra ricerca del nuovo e bisogno di stabilizzazione, si caratterizza infatti per una peculiare capacità di attingere a diverse tradizioni storico-politiche e sociali, aprendo su scenari decisamente contrastanti e non facilmente inquadrabili analiticamente. Questa insita complessità interna, che sembra tradursi sul piano sociale in una preoccupante tendenza dicotomizzante, si fa ancor più difficile nel momento in cui si confronta con la più ampia criticità della dimensione sociale europea, chiamata a rielaborare il proprio modello sociale alla luce di spinte economiche sempre più pressanti e di segni ormai tangibili dell’inadeguatezza di tale modello ad arginare le derive -in termini di rischio sociale e crescente vulnerabilità- di tali pressioni. Il contesto albanese (ma il discorso potrebbe essere allargato anche agli altri paesi post-comunisti) sta insomma attraversando una duplice transizione: mentre si appresta a convergere su un modello socio-economico di stampo occidentale, le fondamenta di questo presunto modello stanno pian piano cedendo, ponendo la questione di una più ampia transizione che investe tutte le società occidentali94. E se questo inquadramento poteva essere esaustivo per descrivere, fino a pochi mesi fa, la realtà socio-economica albanese, la crisi in atto su scala mondiale segna un ulteriore, grave passaggio, che rende già inadeguata la stessa categoria della transizione, obbligando a riportare il discorso sull’elemento della crisi. L’emergenza del tracollo economico-finanziario che sta colpendo
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Note e riflessioni emerse durante un convegno di studi tenutosi a gennaio 2012 a Tirana sulla crisi economica e i suoi possibili effetti sull’Albania.
121 trasversalmente le economie più deboli quanto quelle più forti, si ripercuote, infatti, con particolare asprezza nei paesi dell’Europa orientale e in particolare proprio negli Stati Balcanici, la cui facile e forse troppo spregiudicata crescita imponente degli ultimi anni si stanno drammaticamente capovolgendo in un pericoloso rischio di tracollo totale.
Tale tendenza diviene particolarmente (e tragicamente) vera proprio per la società albanese, abituatasi troppo facilmente a un ritmo di crescita vertiginoso a cui ha corrisposto un altrettanto vertiginoso innalzamento degli stili di vita, conducendo a quella crescita a due velocità che si è analizzata nei paragrafi precedenti nei termini di vincitori e vinti della transizione. In questo senso la sfida attuale si fa ancora più drammatica perché va ad acuire le condizioni socio- economiche di quell’ampia fascia già esclusa dai benefici della transizione (perdenti), e parallelamente alimenta l’impoverimento dei nuovi ricchi (vincitori), in una spirale che coinvolge trasversalmente tutti i settori e da cui è difficile uscire perché comune anche alle altre società europee (e non solo). Si apre in questa prospettiva una nuova e più ampia riflessione, difficile quanto urgente, sul senso della coesione sociale stessa, una coesione fortemente a rischio in una fase di difficoltà quale quella contingente e ancora più a rischio in sistemi ancora in transizione verso il consolidamento di assetti e statuti, troppo bruscamente ritrovatisi a fronteggiare una nuova emergenza economica e sociale95.
Le considerazioni effettuate nell’insieme del capitolo attraverso questo modesto studio, utilizzando le categorie della disuguaglianza e dell’esclusione sociale, applicate al caso albanese, sono mosse dal convincimento che sia la migliore
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Spunti emersi durante un convegno con rappresentanti dei governi balcanici tenutosi a fine novembre del 2011 a Durres-Albania sul futuro dei paesi balcanici.
122 chiave di lettura o il nuovo paradigma per interpretare le dinamiche sociali albanesi nonché quelle europee dato che la ratio della mia tesi implica un rapporto comparativo della politica sociale albanese con quella europea.
Il paradigma dell’esclusione sociale definisce una nuova articolazione nei processi di disuguaglianza, poiché propone scenari di coesistente apertura e chiusura sociale. Proprio nella sua dinamica che si articola tra i due poli solo apparentemente contrapposti dell’inclusione e dell’esclusione, tale approccio consente, infatti, di indagare e svelare le forme più insidiose e labili dell’attuale disuguaglianza, non più rigidamente schematizzabile in un discorso di classe e reddito, ma anzi sempre più intrinsecamente annodata in una pluralità di livelli che si strutturano su dimensioni differenti (economica, sociale, relazionale, culturale, istituzionale etc.). Ecco perché, pur confrontandosi con gli approcci più critici, quello di esclusione sembra dimostrarsi un approccio valido quanto interessante, specialmente se assunto nell’impostazione di ‘paradigma trasversale per la ricerca’, poiché definisce nuovi spazi di analisi dinamica e integrata tra forme diverse e coesistenti che spaziano dalla vulnerabilità, alla marginalità, fino a includere le nuove povertà. E tale approccio sembra ancor più calzante proprio anche per il contesto europeo, non solo perché esso è stato assunto a livello comunitario come nucleo centrale intorno al quale delineare modelli, pratiche e strategie d’intervento per la riduzione e/o la prevenzione della marginalità, ma anche e più di tutto perché attraverso tale orientamento si riesce ad entrare nel vivo delle più attuali e controverse dinamiche sociali europee, caratterizzate da un mutamento e da una transizione, dagli esiti ancora tutt’altro che chiari. In questa prospettiva, indagare le dimensioni strettamente connesse del lavoro, della marginalità e della cittadinanza e le implicazioni che tale transizione sta
123 apportando sui sistemi di protezione sociale europei hanno rappresentato il terreno per una riflessione articolata e integrata, i cui contenuti si intrecciano evidenziando la necessità di definire nuovi assetti e nuovi istituti nell’elaborazione delle politiche sociali. La riflessione resta inevitabilmente aperta, e anzi proprio attraverso questo studio si pongono nuovi interrogativi e nuovi stimoli tanto per la ricerca, quanto per l’implementazione di più efficaci politiche sociali, e per la revisione degli attuali precari sistemi di welfare, in una prospettiva capace di analizzare criticamente e costruttivamente la complessità sociale emergente, sia a livello delle singole realtà nazionali, sia a livello della più ampia realtà sociale europea, la cui interazione con la dimensione non solo nazionale, ma anche locale diviene sempre più stringente e necessariamente integrata. Una complessità che si fa ancor più densa di dilemmi e interrogativi nel momento in cui si assume la consapevolezza delle sue nuove e ineliminabili contraddittorietà, ma che proprio per questo diviene ancor più urgente e necessaria, specialmente in una fase di crisi globale, quale quella attuale, in cui la dimensione sociale dovrà assumere una nuova centralità, tanto quanto obiettivo su cui finalizzare gli interventi, quanto come promotore essa stessa di un nuovo e diverso modo di intendere la crescita.
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